1. Sanità  e farmacie – Accreditamento – Prestazioni dialitiche – Erogabili solo presso ambulatori protetti  – D.M. 22.7.2006 lettera H- Normativa regionale  sopravvenuta  – Conseguenze  


2. Sanità  e farmacie – Accreditamento – Prestazioni dialitiche – Presso strutture private – Possibilità   – In via transitoria  –  Art.7 L.R. n. 4/2010


3. Sanità  e farmacie – Accreditamento – Prestazioni dialitiche – Presso strutture private – Possibilità   – In via transitoria  –  Art.7 L.R. n. 4/2010 – Limite numerico dei pazienti – Sussiste  – Conseguenze 


4. Procedimento amministrativo – Provvedimento – Difetto di istruttoria – Fattispecie

1. Ai sensi del regolamento regionale n. 3/2005 l’elemento distintivo fra centri che praticano la dialisi ad elevata, media e bassa assistenza è individuabile, non già  in relazione ai parametri organizzativi delle strutture come prevedeva il DM 22.7.1996 (ambulatori protetti, cioè situati presso istituti di ricovero o case di cura accreditate), bensì a particolari connotazioni strutturali o alla idoneità  della struttura al trattamento di particolari stati patologici del paziente. Ne discende che, contrariamente al passato, possono essere accreditati i trattamenti dialitici anche in strutture ambulatoriali, purchè in possesso dei requisiti di legge.


2. Ai sensi del regime transitorio di cui all’art.7 L.R. n. 4/2010, possono essere accreditare per le prestazioni dialitiche anche le strutture private che ne abbiano fatto richiesta entro il 31.3.2010, purchè munite dei requisiti di legge ed in attesa dell’approvazione della “rete dialitica pubblica” che realizzerà  un sistema per la gestione dei servizi dialitici accentrato presso le strutture pubbliche


3. Se, ai sensi del regime transitorio di cui di cui all’art.7 L.R. n. 4/2010, possono essere accreditare per le prestazioni dialitiche anche le strutture private che ne abbiano fatto richiesta entro il 31.3.2010 per il numero di pazienti in cura alla predetta data, la previsione va interpretata nel senso che l’autorizzazione riguarda pazienti  che possono variare nel corso del tempo purchè contenuti nel medesimo numero, non essendo richiesta la formulazione di un elenco nominativo.   


4. E’ illegittimo per difetto d’istruttoria il provvedimento che impedisce l’accreditamento delle strutture dialitiche private ove non sia stato preceduto da una valutazione preventiva circa la capacità  attuale del sistema pubblico di assorbire i pazienti attualmente in cura presso le prime.
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vedi Cons. St., sez. III, ordinanza 12 dicembre 2013, n. 4981 – 2013; ordinanza interlocutoria 26 settembre 2013, n. 3822 – 2013, n. ric. n. 6317 – 2013; sentenza 15 giugno 2015, n. 2951 -2015
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N. 01022/2013 REG.PROV.COLL.
N. 01840/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1840 del 2012, proposto da: 
Diaverum Italia S.r.l., rappresentata e difesa dagli Avv.ti Silvio Giancaspro, Fulvio Mastroviti e Luigi Liberti, con domicilio eletto presso il secondo, in Bari, via Quintino Sella n. 40; 

contro
Azienda Sanitaria Locale Bari, rappresentata e difesa dall’Avv. Edvige Trotta presso la quale elegge domicilio, in Bari, Lungomare Starita n.6; 
Regione Puglia, in persona del Presidente della giunta pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Maria Grimaldi presso il quale elegge domicilio, in Bari, Settore Legale Regione Puglia, lungomare N.Sauro n. 31; 

nei confronti di
C.B.H. Città  di Bari Hospital S.p.A.; 

e con l’intervento di
ad adiuvandum: di R.M. + altri rappresentati e difesi dall’Avv. Ebe Guerra presso il quale eleggono domicilio, in Bari, via Abate Gimma n. 30; 

per l’annullamento
1) della nota prot. AOO151/9898 datata 19 settembre 2012, con cui la Regione Puglia, in relazione alle condizioni di erogabilità  delle prestazioni dialitiche rese in regime ambulatoriale a favore di pazienti uremici cronici e ai fini della determinazione dei volumi e delle tipologie delle prestazioni sanitarie erogabili dalle strutture private in regime di convenzionamento con il servizio sanitario regionale, ha impartito direttive alle Aziende sanitarie;
2) della nota prot. 162851 in data 11 ottobre 2012, con cui l’Azienda Sanitaria Locale di Bari ha recepito le predette direttive regionali ed ha comunicato alla Diaverum S.r.l. che le prestazioni contrassegnate con la lettera “H” di cui al D.M.. 22 luglio 1996 sono erogabili solo presso ambulatori protetti, ossia presso ambulatori situati nell’ambito di istituti di ricovero ospedaliero e/o case di cura private accreditate che erogano prestazioni di dialisi, afferenti alle unità  operative di nefrologia, individuate dalla deliberazione di Giunta regionale n. 813 del 2006, e che il limite di cui all’art. 4, terzo comma, della legge regionale n. 4 del 2010 deve intendersi riferito sia ai nominativi che al numero dei soggetti presenti alla data del 31 dicembre 2009, sicchè le strutture che erogano prestazioni dialitiche non possono prendere in carico ulteriori pazienti rispetto a quelli già  rilevati al 31 dicembre 2009 sia nominativamente che numericamente, se non richiesti i nulla osta da parte dell’Azienda in cui insistono le strutture;
3) di tutti gli atti presupposti e consequenziali ed in particolare, ove occorra e nei limiti di interesse, delle deliberazioni di Giunta regionale n. 2019 del 2009, n. 899 del 2010 e n. 813 del 2006;
 

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Azienda Sanitaria Locale Bari e della Regione Puglia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 maggio 2013 il dott. Marco Poppi e uditi per le parti i difensori presenti come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 

FATTO e DIRITTO
Con atto n. 9898 del 19 settembre 2012 del Dirigente il Servizio Programmazione e Assistenza Ospedaliera e Specialistica, la Regione Puglia, con riferimento all’erogazione di prestazioni dialitiche in regime ambulatoriale in favore di pazienti uremici cronici, rammentava ai Dirigenti Generali delle Aziende Sanitarie Regionali che dette prestazioni dovevano considerarsi “soggette a specifiche condizioni di erogabilità ” e che, pertanto, quelle previste dal D.M. 22 luglio 1996 e contrassegnate dalla lett. H, potevano essere erogate unicamente “c/o ambulatori protetti ossia presso ambulatori situati nell’ambito di istituti di ricovero ospedaliero” come prescritto dallo stesso D.M. richiamato, pena l’esclusione dalle procedure di liquidazione.
Con il medesimo provvedimento, l’Amministrazione richiamava i destinatari al rispetto dell’art. 7, comma 3, della L.R. n. 4/2010, a norma del quale “nelle more del completamento della rete dialitica pubblica previsto dalla legge regionale 19 settembre 2008, n. 23 (Piano regionale di salute 2008- 2010) e dalla deliberazione della Giunta regionale 27 ottobre 2009, n. 2019 (Approvazione Rete dialitica per l’assistenza ai nefropatici cronici per il triennio 2009-2011), i direttori generali sono autorizzati a stipulare, con le strutture di cui al comma 1, accordi contrattuali per volumi e tipologie di prestazioni dialitiche sino alla concorrenza del rapporto ottimale di 3,5 pazienti per posto rene accreditato e per tre trattamenti settimanali per paziente, salvo esigenze cliniche di particolare rilievo documentate, nei limiti del numero di pazienti che risultino già  in carico alla data del 31 dicembre 2009”.
In caso di superamento di detto rapporto ottimale alla data individuata, veniva prevista la remunerazione delle prestazioni applicando una regressione tariffaria pari al 30% (come previsto dall’art. 7, comma 3, seconda parte, della L.R. n. 4/2010) con la precisazione che “gli accordi contrattuali per gli anni successivi andavano annualmente adeguati in ragione del venir meno dei pazienti in trattamento al 31/12/2009 e comunque nei limiti della potenzialità  ergativa massima di ogni struttura” e con l’ulteriore limitazione dell’impossibilità  di presa in carico di “ulteriori pazienti rispetto a quelli già  rilevati, sia nominativamente che numericamente, alla data del 31/12/2009”.
Con nota n. 162851 dell’11 ottobre 2012 indirizzata alla ricorrente, l’Azienda Sanitaria Locale BA (ASL), precisando i contenuti della richiamata nota n. 9898, ribadiva la necessità  che le prestazioni in argomento dovessero essere erogate unicamente presso ambulatori protetti da individuarsi unicamente in quelli situati nell’ambito di Istituti di ricovero ospedaliero ed in quelli situati presso Case di Cura Private accreditate che erogano prestazioni di dialisi, afferenti alle Unità  Operative di Nefrologia individuate dalla D.G.R. n. 813/2006.
Quanto alla possibilità  di presa in carico di pazienti ulteriori rispetto alle consistenze al 31 settembre 2009, l’ASL precisava che detto limite doveva intendersi riferito tanto al numero di soggetti a quella data in cura, quanto ai nominativi dei medesimi con possibilità  di deroga unicamente previo “nulla osta da parte dell’Azienda in cui insistono le strutture, dopo aver valutato il pieno utilizzo dei posti dialisi afferenti alle strutture che fanno parte della rete dialica pubblica e di cui alla DGR n. 2019/2009 e n. 899/2010”.
Nell’occasione veniva anticipato che eventuali ammissioni non autorizzate eccedenti il limite imposto, avrebbero dato corso a procedure di recupero degli importi richiesti.
La ricorrente, limitata nell’esercizio delle proprie attività  in quanto, nonostante la prolungata erogazione delle prestazioni in questione, non rientrerebbe nella definizione di “ambulatorio protetto” così come non sarebbe ricompresa nei soggetti individuati con D.G.R. n. 813/2006, impugnava, con contestuale richiesta di sospensione, i provvedimenti in epigrafe specificati, deducendo:
l’illegittimità  dell’applicazione della disciplina del D.M 1996, da ritenersi superata dalla normativa di rango regionale sopravvenuta;
l’illegittimità  per contrasto con l’art. 7 della L.R. n. 4/2010 della riserva di erogazione delle prestazioni “H” in favore delle sole strutture accreditate ex D.G.R. n. 813/2006;
violazione dell’art. 7 della L. n. 241/1990 per omessa comunicazione dell’avvio del procedimento teso all’imposizione di limitazioni incidenti su attività  esercitate in forza di pregresso accordo convenzionale;
violazione del principio di libera scelta dell’utente fra struttura pubblica e privata, nonchè, difetto di istruttoria in relazione alla mancata preventiva verifica della capacità  della rete pubblica ad assorbire i volumi prestazionali delle strutture estromesse;
l’illegittimità  per contrasto, sotto altro profilo, con l’art. 7 della L.R. n. 4/2010 e con l’art. 8 bis del D. Lgs. n. 205/1992 del divieto di presa in carico di pazienti non compresi negli elenchi nominativi degli assistiti alla data del 31 dicembre 2009.
La Regione Puglia e l’ASL BA si costituivano in giudizio con memorie di identico contenuto (v. memorie depositate il 17 gennaio 2013 dalla Regione e il 5 aprile 2013 dalla ASL) confutando le avverse doglianze e chiedendo la reiezione del ricorso.
Con atto di intervento ad adiuvandum depositato il 14 gennaio 2013, si costituivano i pazienti in cura presso le sedi della ricorrente, in epigrafe elencati, sostenendo il fondamento delle censure formulate dalla ricorrente.
Nella camera di consiglio del 17 gennaio 2013 veniva accolta l’istanza cautelare sul presupposto del grave pregiudizio incombente sulla ricorrente e, in via mediata, sui pazienti al momento in cura presso le strutture dalla medesima gestite, in ragione della perdurante efficacia delle determinazioni oggetto di contestazione.
All’esito della pubblica udienza del 16 maggio 2013, la causa veniva trattenuta in decisione.
In ossequio ad esigenze di priorità  logica, il collegio procede allo scrutino del terzo motivo di ricorso nella parte in cui viene dedotta l’illegittimità  dell’omessa comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 della L. n. 241/1990.
La doglianza è fondata.
Con tale capo di impugnazione la ricorrente afferma che la comunicazione omessa si sarebbe resa necessaria, nel caso di specie, in quanto i provvedimenti impugnati travolgerebbero i diritti acquisiti dalla Società  in forza della convenzione datata 24 febbraio 2012, che consente l’erogazione presso i propri centri di prestazioni dialitiche “H” senza limitazione alcuna.
L’art. 1 di detta convenzione, rubricato “Oggetto del contratto”, infatti, prevede che la ricorrente, “essendo in possesso dell’autorizzazione all’esercizio per l’espletamento all’attività  di dialisi, si impegna ad erogare ¦ le prestazioni sanitarie complete, relative alla branca specialistica di dialisi in regime ambulatoriale, con oneri a carico del SSR”.
La contestata omissione ha leso i diritti partecipativi della ricorrente impedendole di intervenire nella formazione della volontà  dell’Amministrazione già  in fase procedimentale rappresentando in contraddittorio le proprie ragioni a difesa dell’assetto di interessi già  consolidatosi in ragione di una prassi risalente e della stipula della convenzione
Una particolare esigenza di completezza nel processo di acquisizione preventiva degli interessi coinvolti derivava ulteriormente dalle peculiarità  proprie della materia, afferente a prestazioni c.d. salva vita che, notoriamente, incidono su delicati profili psicologici del paziente titolare di un qualificato interesse alla continuità  del trattamento terapeutico.
Profilo questo ben esposto e supportato sotto il profilo scientifico dagli odierni intervenienti.
La censura è dunque fondata.
Il collegio procede, di seguito, allo scrutinio delle censure di natura sostanziale.
La Regione Puglia, con provvedimenti adottati nel 2012, innovando una prassi consolidata, ha disciplinato l’erogazione delle prestazioni dialitiche in ambito privato introducendo delle limitazioni in applicazione di una fonte normativa statale risalente all’anno 1996, che la ricorrente assume non essere mai stata applicata nei propri confronti e che, in ogni caso, ritiene essere stata superata dalla sopravvenuta normativa di rango regionale.
La ricorrente, che si qualifica come soggetto operante nel settore sanitario nazionale e che negli 8 centri di dialisi ambulatoriali presenti in Puglia, dei quali 3 nel distretto della ASL BA, assiste oltre 500 pazienti svolgendo circa il 46% delle complessive attività  dialitiche private del territorio regionale, premette che in data 24 febbraio 2012, nella qualità  di soggetto “accreditato e/o autorizzato ad erogare prestazioni dialitiche per il numero di posti tecnici autorizzati all’esercizio alla data di entrata in vigore della deliberazione di Giunta Regionale 30 settembre 2002, n. 1412”, ha sottoscritto con l’ASL BA un “contratto per l’erogazione ed acquisto di prestazioni dialitiche da parte di Strutture sanitarie per l’anno 2012” presso i centri Acquaviva delle Fonti, Bari e Corato per un totale di 58 posti rene autorizzati e n. 185 pazienti.
Detto contratto, come emerge dalla lett. f) dell’art. 5, presupponeva “l’avvenuta presentazione entro il 31/12/2010, della domanda di accreditamento alla Regione Puglia, unitamente all’autocertificazione del possesso dei requisiti minimi ed ulteriori fissati dai RR.RR. n. 3/2005 e n. 3/2010 e s.m.i.”.
Quanto ai profili lesivi imputabili alla serie provvedimentale impugnata, che la ricorrente ritiene palesino l’illegittimità  dell’agire amministrativo e conferiscano fondamento ai suesposti motivi di ricorso, la ricorrente espone che per effetto delle determinazioni assunte dall’Ente regionale non potrà  più erogare le prestazioni dialitiche contrassegnate dalla lett. H, in quanto non versa nella condizione di “ambulatorio protetto”, nè rientra fra i soggetti privati di cui alla DGR n. 813/2006 e che dovrà  astenersi, altresì, dal trattamento di pazienti nominativamente diversi da quelli già  in cura presso le proprie strutture al 31 dicembre 2009.
La ricorrente precisa ulteriormente, e la circostanza non trova smentita nelle difese delle resistenti, che in forza della richiamata convenzione, ed anche in epoca precedente, ha costantemente erogato le prestazioni dialitiche di cui al D.M. 22 luglio 1997, comprese quelle contrassegnate dalla lettera “H”.
Nello specifico, con il primo motivo di ricorso, la ricorrente deduce che l’Amministrazione avrebbe agito sull’errato presupposto che dovesse considerarsi tuttora attuale quanto disposto dall’art. 1, comma 2, lett. a) del DM 1996 in base al quale le prestazioni “contrassegnate con la lettera “H”” poichè “soggette a specifiche condizioni di erogabilità ” dovevano considerarsi “prestazioni erogabili solo presso ambulatori protetti, ossia presso ambulatori situati nell’ambito di istituti di ricovero ospedaliero” o presso case di cura accreditate così come precisato con circolare ministeriale n. 100/SCPS/21.4075 dell’1 aprile 1997.
La richiamata disciplina ministeriale, evidenzia la ricorrente, era coerente con i contenuti dell’ormai superato Piano Sanitario Nazionale 1994-1996 (PSN) di cui al D.P.R. 1 marzo 1994, che operava una non più attuale distinzione fra le strutture interessate alla prestazione di trattamenti dialitici basata sulla tipologia dell’assistenza medica, ovvero, sulla continuità  o meno della presenza di personale medico.
Le Amministrazioni resistenti, formulando difese speculari, evidenziano che l’erogazione delle prestazioni dialitiche sarebbe tuttora disciplinata dal D.M. 1996 e che, pertanto, sarebbe tuttora operante la limitazione prevista in relazione a quelle contrassegnate dalla lettera “H” che sarebbe riservata alle strutture ospedaliere o assimilate nei sensi sopra esposti.
Ciò in quanto nulla sarebbe stato innovato dai regolamenti regionali n. 3/2005 e 3/2010 che avrebbero mantenuto il criterio di distinzione basato sui diversi livelli di assistenza rendendo irrilevante, ai fini della ricostruzione normativa operata dalla ricorrente, l’intervenuta generalizzazione dell’obbligo di garantire la presenza del medico in costanza di trattamento presso tutte le tipologie di struttura.
La censura è fondata.
Deve, infatti, ritenersi corretta la affermata coerenza della distinzione in questa sede contestata con i contenuti del PSN 1994-1996 il cui punto 5.C.3, in tema di prestazioni dialitiche, suddivideva i servizi nei seguenti 4 livelli:
– centri ospedalieri ad elevata assistenza finalizzati al trattamento dei pazienti di particolare complessità ;
– strutture decentrate in altre sedi ospedaliere funzionalmente aggregate alle unità  operative di nefrologia di riferimento;
– strutture ad assistenza limitata finalizzate al trattamento di pazienti addestrati all’autogestione che non richiedano la presenza costante di personale medico;
– attività  di dialisi domiciliare.
Le attività  non domiciliari (la quarta tipologia non è d’interesse nel presente giudizio) venivano, pertanto, distinte in base al criterio del livello di assistenza assicurato, fra quelle allocate in ambito ospedaliero e, quindi, con assistenza garantita in via continuativa dalla presenza costante di personale medico e quelle ad assistenza limitata prive di tale supporto.
Così specificata la ratio della limitazione introdotta dal D.M. 1996 in tema di prestazioni “H”, era da ritenersi assolutamente ragionevole che le limitazioni imposte all’erogazione di dette prestazioni non operassero con riferimento alle strutture ospedaliere, ancorchè decentrate, ma incidessero unicamente sulle attività  degli ambulatori esterni, in quanto non dotati di una costante assistenza medica.
Del resto che, in quell’ottica, l’elemento rilevante fosse rappresentato dalla continuità  dell’assistenza da parte di personale medico e non dalla natura ospedaliera della struttura in sè, è confermato indirettamente dalla circostanza che il DM 1996 equiparava a queste, ai fini in esame, le case di cura accreditate, che strutture ospedaliere non sono ma che garantiscono, tuttavia, una costante assistenza medica.
Altro e decisivo elemento a favore della tesi che individua il criterio discretivo nella tipologia dell’assistenza medica si ricava ulteriormente dallo stesso D.M. del 1996, laddove elencando, in allegato 1, le prestazioni erogabili in presenza del medesimo trattamento, non sempre prevede la classificazione “H” che comporta l’assoggettabilità  a specifiche modalità  di erogazione.
Si veda la “dialisi in acetato o bicarbonato” che, quando identificata dal codice 39.95.1, viene contraddistinta dalla lettera “H”, mentre la stessa “Emodialisi in acetato o in bicarbonato domiciliare” identificata dal codice 39.95.2, non reca l’ulteriore segno distintivo “H”.
Al diverso codice corrisponde, pur in presenza della stessa prestazione, un diverso importo di rimborso (superiore in caso di lettera “H”), che non può che essere posto, nella illustrata logica di allora, in relazione ai diversi costi di gestione delle strutture “protette”.
Allo stesso modo si veda la “Emofiltrazione con membrane a permeabilità  elevata” che presenta la lettera “H” con codice 39.95.5 e non anche in caso di erogazione in assistenza limitata, con codice 39.95.6.
Quanto rilevato evidenzia come l’assoggettabilità  a particolari modalità  di erogazione, e quindi la necessità  che la dialisi venisse erogata in ambulatorio protetto, non sia in funzione della particolarità  della struttura in sè, potendo come visto essere erogata anche ambulatorialmente, ma della tipologia di assistenza, come palesato dalla stessa terminologia utilizzata dai redattori del D.M. 1996, che distingue le identiche prestazioni (apponendo o meno la lettera “H”) a seconda che siano erogate in ambito protetto, “domiciliare” (v. “Emodialisi in acetato o in bicarbonato domiciliare”) o in ambiti ad “assistenza limitata” (v. “Emofiltrazione con membrane a permeabilità  elevata”).
La posizione espressa trova ulteriore conferma ove si abbia riguardo ai contenuti dispositivi del R.R. n. 3/2005 (non modificato sul punto dal successivo R.R. n. 3/2010) che, al punto B.01.04, dopo aver stabilito che “la dialisi è un trattamento terapeutico ambulatoriale per pazienti affetti da insufficienza renale in fase uremica che può essere effettuato in ambito extraosppedaliero e intraospedaliero”, ha dapprima riformulato la classificazione delle attività  dialitiche non più in quattro livelli, ma nei seguenti tre:
– ad elevato impegno assistenziale presso U.O. di dialisi in grado di garantire per tutti i giorni dell’anno assistenza dialitica 24 ore su 24;
– a medio impegno assistenziale, presso centri dialisi ad assistenza decentrata;
– a basso livello assistenziale presso centri dialisi ad assistenza limitata,
e, nel contempo, ha previsto a carico di tutte le strutture interessate a prestazioni dialitiche, indipendentemente dal livello assistenziale, l’obbligo di garantire almeno un medico nefrologo ogni 16 pazienti afferenti al struttura, un infermiere ogni 3, un ausiliario OTA-OSS ogni 10, nonchè 3 medici specialisti in nefrologia per ogni modulo di 6 reni artificiali.
Ma quel che più rileva, a sostegno della inattualità  delle distinzioni operate dal D.M. 1996, è che è stato previsto l’obbligo di presenza del medico durante l’esecuzione del trattamento.
Ciò non consente, quindi, di poter considerare attuale la distinzione operata dal PSN 1996 sulla base della tipologia di assistenza medica, atteso che non è più possibile oggi effettuare prestazioni di dialisi presso strutture che, ancorchè definibili ad assistenza limitata, non dispongano della presenza costante di personale medico durante il trattamento.
L’elemento distintivo fra centri ad elevata, media e bassa assistenza, nella vigenza della normativa regionale sopravvenuta è invece individuabile, più che in base a parametri organizzativi, a particolari connotazioni strutturali o alla idoneità  della struttura al trattamento di particolari stati patologici del paziente.
A mero titolo esemplificativo si richiamano le prescrizioni poste a carico dei centri ad elevata assistenza, circa la necessaria disponibilità  di locali destinati “alle urgenze ed al trattamento dei casi di insufficienza renale acuta; sala per interventi di chirurgia per accessi vascolari e peritoneali o in alternativa sala operatoria nel presidio” o, con riferimento ai centri ad elevata e media assistenza, di “locali per addestramento alla dialisi domiciliare e attrezzature per l’effettuazione della dialisi peritoneale”, nonchè, per i centri a medio e basso livello assistenziale, la predisposizione di protocolli di gestione delle emergenze cliniche che includano “il trasferimento del paziente in struttura di ricovero in caso di necessità “.
Preso atto che l’assistenza medica continua, almeno con riferimento ai periodi di trattamento, non è più una prerogativa della struttura ospedaliera o assimilata, deve ritenersi in contrasto con i canoni di logicità  e ragionevolezza mantenere in vigore un criterio distintivo dipendente dalla sola tipologia strutturale, discriminando quelle ambulatoriali.
Con il secondo motivo, la ricorrente deduce l’illegittimità , per contrasto con l’art. 7 della L.R. n. 4/2010, della nota ASL BA dell’11 ottobre 2012 nella parte in cui limita la possibilità  di erogare le prestazioni dialitiche “H” alle sole strutture accreditate individuate con D.G.R. n. 813/2006.
La posizione è contrastata dalle resistenti, che affermano la legittimità  dell’esclusione della ricorrente dalla possibilità  di assicurare prestazioni “H” sul presupposto che la ricorrente non rientra fra i soggetti accreditati, ma opera in virtù di una autorizzazione in deroga all’art. 8 quater del D. Lgs. n. 502/1992.
A tal proposito si rende necessaria una breve ricognizione delle fonti regolanti la materia a livello regionale.
Con D.G.R. n. 2019 del 27 ottobre 2009, recante “Approvazione rete dialitica per l’assistenza ai neuropatici cronici per il triennio 2009-2011”, la Regione ha predisposto il “Piano della salute e la qualificazione dell’assistenza nefrologica” (All. 1) proponendosi quale obiettivo programmatico “il pieno utilizzo della rete dialitica pubblica esistente” (punto A, lett. e).
La medesima delibera richiama il D. lgs. n. 502/1991 laddove prevede la possibilità  di ricorrere agli istituti dell’autorizzazione e dell’accreditamento previa valutazione “delle necessità  assistenziali connesse al fabbisogno programmato dei servizi e prestazioni ed in rapporto al volume ed alla qualità  delle stesse”; il R.R. n. 3/2005 che definisce i “requisiti minimi per l’autorizzazione e quelli ulteriori per l’accreditamento delle strutture sanitarie” ed il R.R. n. 3/2006 ove si prevede che “il fabbisogno di Posti tecnici (Reni artificiali) è rinviato a specifico piano di settore ¦” .
La delibera contiene, altresì, la precisazione che “ai fini dell’accreditamento delle strutture di dialisi, il numero di posti tecnici da accreditare è funzionale alla garanzia di prestazioni da erogare in favore dei cittadini in trattamento emodialitico, secondo una rigorosa valutazione epidemiologica del bisogno sanitario ¦” e che “la concessione dell’autorizzazione alla realizzazione ed, eventualmente, all’esercizio dell’attività  dialitica non possa prescindere da una valutazione coerente rispetto ai servizi da accreditare e con i quali è possibile stipulare accordi e contratti, in considerazione della peculiarità  del trattamento emodialitico, che è prestazione necessariaquoad vitam” (All. A, punto B1).
In altri termini, con il provvedimento in questione la Regione ha specificato le proprie azioni programmatiche prevedendo “l’obiettivo di consentire l’immissione di tutti i nuovi pazienti presso le strutture pubbliche di dialisi e di favorire eventualmente la presa in carico di pazienti gestiti presso altre strutture [che] deve essere conseguito dall’Azienda facendo ricorso, ove necessario e nelle more dell’adeguamento degli organici, agli strumenti contrattuali per l’incentivo della produttività  a favore dell’Azienda col fine di ottimizzare il rapporto di utilizzazione delle macchine e di rendere possibile l’attivazione del terzo turno giornaliero per venire incontro alle esigenze dei pazienti che ne vogliano fruire”. (All. A, punto D1)
Con successiva D.G.R. n. 899 del 25 marzo 2010 la Regione, specificando la portata del riportato punto D1 della D.G.R.. n. 2019, ha chiarito che “nella rete dialitica pubblica devono intendersi ricomprese le strutture di dialisi afferenti alle Unità  Operative di Nefrologia degli enti equiparati (Enti Ecclesiastici – IIRCCS privati) e delle case di Cura private accreditate individuate dalla D.G.R. n. 813/2006, concernente le preintese, per l’esercizio dell’attività  di ricovero e cura per acuti nella disciplina di Nefrologia”.
Il richiamato contesto normativo è chiaro nel delineare un sistema di erogazione fondato su una generalizzata preferenza per una gestione dei servizi dialitici accentrata presso le strutture pubbliche cui, ai fini in esame, vengono equiparate le sole “Case Cura private accreditate individuate dalla D.G.R. n. 813/2006”.
Si tratta, tuttavia, di un modello destinato ad operare a regime una volta conseguito l’obiettivo programmatico della realizzazione della “rete dialitica pubblica” (che, ad oggi, le resistenti non comprovano essere stata già  realizzata).
Di ciò ne è consapevole il legislatore regionale che con L.R. n. 4/2010, nelle more della realizzazione di detta “rete pubblica”, in evidente considerazione della necessità  di garantire la continuità  terapeutica dei trattamenti in atto, ha previsto e disciplinato un regime transitorio.
L’art. 7, comma 1, della citata L.R. n. 4/2010 prevede che “le strutture dialitiche private possono essere accreditate, fermo restando il possesso dei requisiti minimi e ulteriori stabiliti dal regol. reg. 3/2005, per il numero di posti tecnici autorizzati all’esercizio alla data di entrata in vigore della deliberazione della Giunta regionale 30 settembre 2002, n. 1412 (D. lgs. 502/1992 e successive modifiche e integrazioni)”.
Il secondo comma precisa ulteriormente che “per l’applicazione di quanto disposto al comma 1, le strutture di dialisi private presentano, entro il 31 marzo 2010, domanda di accreditamento alla Regione – Assessorato alle politiche della salute – Servizio programmazione e gestione sanitaria, autocertificando il possesso dei requisiti minimi e ulteriori fissati dal regol. reg. 3/2005”.
Infine il terzo comma dispone che “nelle more del completamento della rete dialitica pubblica previsto dalla legge regionale 19 settembre 2008, n. 23 (Piano regionale di salute 2008- 2010) e dalla deliberazione della Giunta regionale 27 ottobre 2009, n. 2019 (Approvazione Rete dialitica per l’assistenza ai nefropatici cronici per il triennio 2009-2011), i direttori generali sono autorizzati a stipulare, con le strutture di cui al comma 1, accordi contrattuali per volumi e tipologie di prestazioni dialitiche sino alla concorrenza del rapporto ottimale di 3,5 pazienti per posto rene accreditato e per tre trattamenti settimanali per paziente, salvo esigenze cliniche di particolare rilievo documentate, nei limiti del numero di pazienti che risultino già  in carico alla data del 31 dicembre 2009. Per garantire in via transitoria l’erogazione di prestazioni in favore di tutti pazienti in carico alla data del 31 dicembre 2009, le prestazioni in eccesso rispetto al rapporto ottimale di cui al presente comma sono remunerate applicando la regressione tariffaria del 30 per cento a partire dalla data di entrata in vigore della presente legge”
Le richiamate disposizioni, coerentemente con quanto precisato con D.G.R. n. 899/2010 consentono, pertanto, la possibilità  di erogazione di tali prestazioni da parte di soggetti privati in possesso dei requisiti previsti dal R.R. n. 3/2005, che facciano richiesta di accreditamento entro la data del 31 marzo 2010 “nei limiti del numero di pazienti che risultino già  in carico alla data del 31 dicembre 2009”.
Ciò determina, ai fini in esame, e sino all’attuazione della rete pubblica, una sostanziale equiparazione fra i soggetti accreditati ex D.G.R. n. 813/2006, pacificamente autorizzati all’erogazione delle prestazioni, ed i soggetti che, come la ricorrente, sono in possesso dei requisiti richiesti, dal R.R. n. 3/2005 e sono già  autorizzati ad operare nel settore al momento dell’entrata in vigore della D.G.R. n. 1412/2002 e che, entro il termine del 31 marzo 2010, hanno presentato domanda di accreditamento.
Con il terzo motivo di ricorso, già  in parte scrutinato relativamente alla dedotta violazione dell’art. 7 della L. n. 241/1990, viene rilevato il difetto di istruttoria in relazione alla mancata preventiva valutazione delle effettive capacità  delle strutture ad elevato livello assistenziale (ospedaliere o accreditate), facenti parte della costituenda rete pubblica ad assorbire i numerosi pazienti attualmente in cura presso le strutture della ricorrente o di altri soggetti ad essa assimilabili.
La doglianza è fondata.
La illustrata previsione di un regime transitorio, che si rende necessario in ragione della mancata realizzazione, ad oggi, della “rete pubblica”, con conseguente necessità  di ricorrere al settore privato per il soddisfacimento della domanda di prestazioni dialitiche, nei termini e con le modalità  esplicitate in sede di scrutino del precedente motivo di ricorso, testimonia di per sè l’incongruità  di una misura che, di fatto, anticipa effetti propri della situazione a regime, determinando una immediata estromissione della ricorrente che, per le suesposte ragioni, deve considerarsi transitoriamente titolata alla prosecuzione della propria attività .
La mancanza di una preventiva valutazione circa la capacità  attuale del sistema pubblico ad assorbire il parco pazienti attualmente in cura presso i centri privati (profilo in merito al quale le resistenti non allegano puntuali elementi a confutazione), determina la fondatezza del dedotto difetto di istruttoria.
Le considerazioni sino ad ora esposte assorbono le doglianze, in verità  formulate genericamente, oggetto del quarto motivo di ricorso con il quale la ricorrente deduce la violazione del principio introdotto con D. Lgs. n. 502/1992 (novellato nel 1999), che dispone il concorso su base paritetica delle strutture pubbliche e private al soddisfacimento del diritto alla salute.
Con il quinto motivo di ricorso la ricorrente deduce il contrasto dei provvedimenti impugnati con l’art. 7, comma 3, della LR. N. 4/2010, laddove impedisce la presa in carico di pazienti non inclusi nell’elenco nominativo del pazienti in carico alla data del 31 dicembre 2009, in assenza del previo “nulla osta da parte dell’Azienda in cui insistono le strutture, dopo aver valutato il pieno utilizzo dei posti dialisi afferenti alle strutture che fanno parte della rete dialica pubblica e di cui alla DGR n. 2019/2009 e n. 899/2010”.
Il motivo è fondato.
La norma invocata prevede che “nelle more del completamento della rete dialitica pubblica previsto dalla legge regionale 19 settembre 2008, n. 23 (Piano regionale di salute 2008- 2010) e dalla deliberazione della Giunta regionale 27 ottobre 2009, n. 2019 (Approvazione Rete dialitica per l’assistenza ai nefropatici cronici per il triennio 2009-2011), i direttori generali sono autorizzati a stipulare, con le strutture di cui al comma 1, accordi contrattuali per volumi e tipologie di prestazioni dialitiche sino alla concorrenza del rapporto ottimale di 3,5 pazienti per posto rene accreditato e per tre trattamenti settimanali per paziente, salvo esigenze cliniche di particolare rilievo documentate, nei limiti del numero di pazienti che risultino già  in carico alla data del 31 dicembre 2009”.
La disposizione è univoca nell’imporre un contingentamento delle prestazioni erogabili in convenzione mediante rinvio ad un dato numerico rappresentato dal numero di pazienti già  in cura alla data individuata senza alcun riferimento ulteriore alla loro identità .
Tale interpretazione, oltre che essere imposta dal chiaro tenore letterale della disposizione è, altresì, coerente con laratio del complessivo intervento regionale, volto alla realizzazione di un sistema che, a regime, sarà  caratterizzato da una valorizzazione del ruolo pubblico nell’erogazione di prestazioni dialitiche, ma che, al momento, riconosce il proprio transitorio deficit strutturale e prevede il mantenimento della presa in carico di un certo numero di pazienti da parte del sistema privato individuandolo mediante un rinvio alle consistenze del parco utenti privato ad una determinata data.
L’illogicità  dell’interpretazione operata dalle resistenti si palesa con forza ove si ipotizzi un avvicendamento totale dei pazienti già  in cura alla data del 31 dicembre 2009 che, stante l’impossibilità  del sistema privato di procedere, pur nel rispetto del contingente numerico assegnato, ad un avvicendamento dei soggetti in cura, determinerebbe un repentino incremento della domanda che coglierebbe impreparato il sistema pubblico, ancora privo di una propria rete alternativa.
Per quanto precede il ricorso deve essere accolto nei limiti suindicati.
La specificità  delle questioni oggetto del giudizio consente di procedere alla compensazione delle spese di giudizio fra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità  amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2013 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Sabato Guadagno, Presidente
Giuseppina Adamo, Consigliere
Marco Poppi, Primo Referendario, Estensore
 
 
 
 

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 26/06/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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