Breve segnalazione di contrasti giurisprudenziali: gli enti “ospedalieri” ecclesiastici sono soggetti ai tetti di spesa o possono beneficiare del ripiano regionale? Qual è l’effetto dell’acquisizione sanante ex 42-bis nei giudizi pendenti?
* * *
1) Con sentenza 29.2.2012, n. 453 la II Sezione del TAR Bari ha rigettato un ricorso proposto da un ente ecclesiastico civilmente riconosciuto esercente l’attività ospedaliera, che chiedeva, tra l’altro, di essere remunerato per prestazioni erogate a carico del servizio sanitario nazionale oltre i volumi ed i tetti di spesa assegnati, assumendo di essere equiparato a tutti gli effetti agli enti pubblici ospedalieri e di dover beneficiare, pertanto, del ripiano integrale per le prestazioni rese. La II Sezione del TAR, sulla scorta di un approfondito excursus normativo e muovendo dall’esegesi delle norme degli artt. 1 e 2 della l.n. 132/1968, ha negato che sussista nel nostro ordinamento un’equiparazione di tal fatta, anche perchè solo gli ospedali pubblici avevano l’obbligo di prestare l’assistenza ospedaliera in maniera incondizionata (art. 2, co.3, l.n. 132/1968) mentre gli enti ecclesiastici, oltre a rendere prestazioni sanitarie su di un piano privatistico pur se soggetto alla verifica di qualità della struttura di cui al “procedimento di classificazione” da parte della Regione (art.20, l.n. 132/1968), potevano entrare a far parte del circuito della sanità pubblica soltanto a seguito della stipula di apposite convenzioni con le USL (art. 39 – 43 della l.n. 833/1978). Detto assetto sarebbe stato sostanzialmente confermato, proprio quanto alla impossibilità di equiparare gli enti ecclesiastici alle strutture ospedaliere pubbliche, dalla normativa successiva (D.Lgs.n. 502/1992 D.Lgs. n. 229/1999, D.Lgs. n. 254/2008).
2) Ad una conclusione diametralmente opposta era pervenuta la III Sezione dello stesso TAR con la sentenza n.1796 del 25.11.2011 per la quale il provvedimento di classificazione di cui all’art. 20, l.n. 132/1968 comporta l’incardinamento della struttura privata nel sistema sanitario pubblico, “considerandolo ‘presidio dell’unità sanitaria locale nel cui territorio è ubicato’ (art 43 l. 833). Con la classificazione l’ente ecclesiastico, quale presidio dell’unità sanitaria locale, si identifica con il medesimo e gode, quanto all’esercizio dell’assistenza sanitaria, degli stessi finanziamenti delle AA.SS.LL, ai sensi del combinato disposto dell’art 2 c.5 e 6 della l. 132/1968 e art 32 della medesima legge recante disposizioni finanziarie degli enti ospedalieri”.
3) Non è questa la sede per commentare la difformità degli orientamenti assunti dal TAR, anche perchè sono in gioco due sentenze interessanti e accuratamente motivate.
Ci limitiamo, pertanto, a proporle all’attenzione dei lettori, non potendo esimerci dal rilevare che le due tesi che le sorreggono muovono dall’interpretazione – opposta – di alcune norme contenute nella l.n. 132/1968: ed è sorprendente che, a distanza di quarantacinque anni, in una materia cruciale e delicata sotto il profilo socio-economico come quella sanitaria, non si possa far affidamento nemmeno su di una definizione legislativa chiara dell’ente “ospedaliero” ecclesiastico.
* * *
4) Si segnalano, infine, due orientamenti diversi in tema di applicazione della norma dell’art. 42-bis del d.P.R. n. 327/2001 introdotta dall’art. 34 comma 1 del d.l.6 luglio 2011, n. 98 convertito nella l. 111 del 15 luglio 2011 ai giudizi in corso.
5) Nella sentenza resa dalla Sezione I n. 348 del 14.2.2012, l’applicazione dell’istituto dell’acquisizione sanante prevista dalla norma in commento è stata ritenuta immediata e automatica (cioè operante a prescindere dal contegno tenuto dall’ente espropriante), con l’effetto che il ricorrente, interessato ad ottenere il reintegro nel possesso del bene a seguito della caducazione in Corte Costituzionale della norma dell’art. 43 d.P.R. 327/2001, avrebbe dovuto proporre motivi aggiunti per censurare l’illegittimità sopravvenuta dell’originario provvedimento, sotto il profilo dell’omessa rinnovazione, da parte dell’Amministrazione, della valutazione di attualità e prevalenza dell’interesse pubblico a disporre l’acquisizione del bene a norma dell’art.42-bis, co. 8.
6) Viceversa, nella sentenza resa dalla Sezione III n. 370 del 22.2.2012 si afferma il principio per il quale è l’Ente espropriante a dover scegliere se applicare il nuovo istituto dell’acquisizione sanante, ovvero acquistare il bene in via negoziale, ferma restando la possibilità per chi subisca l’esproprio di ottenere il risarcimento del danno: “Rimane pertanto anche nell’attuale mutato contesto – per altro in gran parte riproduttivo della sanatoria seppur atipica contenuta nel precedente art 43, datane la non retroattività dell’effetto acquisitivo e l’integrale refusione dei danni – la necessità di un passaggio intermedio, necessario e logicamente precedente il momento risarcitorio, consistente nell’assegnazione di un termine all’Amministrazione perchè definisca (in via negoziale o autoritativa ex art. 42-bis citato) la sorte della titolarità del bene illecitamente appreso, cui segue, ma in posizione inevitabilmente subordinata e condizionata, la condanna risarcitoria, secondo il criterio esaustivo previsto dallo stesso art. 42-bis (o dalla transazione e dal prezzo della compravendita, in caso di esito negoziale paritetico), che sia ammissibile a risarcimento (secondo i noti canoni di causalità immediata e diretta rispetto all’illecita apprensione), ivi inclusa la parte concernente i danni riflessi ed indiretti alla parte reliquata della proprietà privata”.
7) Anche in tal caso, la segnalazione persegue lo scopo di suscitare l’interesse alla lettura delle sentenze suddette, tra le prime ad affrontare le conseguenze derivanti dall’applicazione della “nuova” acquisizione sanante.