Continenza e principio della domanda

“Continenza” e principio della domanda*

Sommario: 1. L’argomento di continenza e il suo
utilizzo. 2. Analisi dell’argomento di continenza. 3. Segue. Le regole plausibilmente presupposte
dall’argomento di continenza. 4. Principio della domanda, imparzialità  e
terzietà  del giudice.

1. L’argomento
di continenza e il suo utilizzo.
Nel dibattito giurisprudenziale
e dottrinario sul processo amministrativo ha fatto il suo ingresso un argomento[1] piuttosto singolare.
Nella giurisprudenza del Consiglio
di Stato, esso compare con riguardo alle sanzioni alternative: nel dubbio che
esse costituiscano una pronuncia senza domanda, la sezione V sostiene che esse
sono “comunque un minus rispetto alla
dichiarazione di inefficacia totale del contratto”, sicchè appare conforme al
principio della domanda l’attribuzione al giudice del potere di irrogarle[2].
La stessa struttura
argomentativa è presente sotto forma di descrizione dell’effetto della
conversione della domanda tipizzata dall’art. 34, c.3, c.p.a.[3]: “l’azione costitutiva si
depotenzia di quel “quid pluris”- la
modificazione di una situazione giuridica – che la caratterizza rispetto al
contenuto di accertamento proprio di ogni azione per ridursi a mero
accertamento, per il quale il presupposto dell’interesse è costituito
dall’interesse risarcitorio” [4]. Ciò dimostrerebbe la
compatibilità  di questo potere con il principio della domanda, tanto da ritenere
superflue la previa proposizione della domanda risarcitoria o l’istanza di
parte per l’esercizio di tale potere.
La dottrina di “estrazione
giudiziaria” sfodera il medesimo argomento, nel difendere la giurisprudenza
sull’accertamento dell’illegittimità  con effetti meramente conformativi[5] dall’obiezione di aver
violato il principio della domanda: “la domanda di annullamento contiene
sempre, e per definizione, come il più reca il meno, il quid minus della domanda di mero accertamento dell’illegittimità
con effetti non retroattivi o non eliminatori”[6].
L’argomento è utilizzato, cioè,
per giustificare la compatibilità  di questi tre poteri officiosi decisori del
giudice amministrativo con il principio della domanda.
Qui non interessa contestare le
tesi che di questo passaggio giustificativo si giovano, ma analizzare ciò che
esso presuppone in relazione ai poteri del giudice e al principio della domanda.

2. Analisi dell’argomento di continenza.
L’argomento che si può definire
“di continenza” viene presentato come un argomento logico- formale, di stampo
“insiemistico”: la pronuncia non lede il principio della domanda perchè
l’effetto derivante dalla sentenza è compreso fra quelli che la domanda ha
chiesto. La maggiore quantità  di effetti sostanziali che si richiedono con la
domanda permette al giudice di selezionarli.
Il rapporto di continenza,
però, viene utilizzato in termini qualitativi, non quantitativi. La continenza[7] non è fondata sulla
circostanza che l’effetto è solo una parte di quelli che deriverebbero
dell’accoglimento della domanda. Essa è fondata su effetti diversi, in rapporto
logico- giuridico l’uno con l’altro: l’accertamento è il prius di ogni sentenza (sia essa costitutiva o di condanna), ma non
v’è progressione quantitativa fra una sentenza dichiarativa ed una di
annullamento; l’inefficacia del contratto è l’antecedente giuridico della
sanzione alternativa, ma quest’ultima produce effetti su situazioni giuridiche
soggettive che non sono una frazione della privazione di effetti del contratto.
La distinzione fra questi due
tipi di continenza si coglie in maniera più agevole in base al mezzo tramite il
quale il giudice può pronunciarsi sul “contenuto”, anzichè sulla “intera”
domanda.
In caso di continenza
quantitativa, è idonea una pronuncia di rigetto parziale: alla domanda di
risarcimento dei danni per equivalente, può corrispondere un parziale rigetto,
condannando il danneggiante alla corresponsione di una somma minore di quella
richiesta (ad esempio perchè non è stata fornita la prova circa la
quantificazione del danno per tutta la somma). L’effetto è passibile di
progressione quantitativa e il giudice può dimensionarlo grazie
all’accoglimento parziale.
Nell’altra ipotesi (continenza
qualitativa), non è possibile rigettare parzialmente la domanda, riducendo gli
effetti che sarebbero derivati dall’accoglimento: l’accoglimento parziale della
sentenza di annullamento non può produrre l’effetto di mero accertamento
dell’illegittimità [8].
Per far ciò è necessario convertire la domanda. Non perchè l’effetto di
annullamento non sia graduabile quantitativamente[9], ma perchè accertamento ed
annullamento producono effetti diversi,
non maggiori o minori.
Non si tratta di una continenza
“insiemistica”, ma di una continenza logico- giuridica, fondata sul rapporto di
antecedenza o di condizionalità  stabilito fra i diversi effetti. Il
ragionamento è di questo genere: se il giudice può annullare il provvedimento
impugnato e ogni annullamento comporta l’accertamento dell’illegittimità , il
giudice può limitarsi all’accertamento dell’illegittimità [10].
Questa struttura corrisponde a
quella dell’argumentum a maiori ad minus,
secondo la tesi di Kalinowski[11]. Tale ricostruzione della
forma argomentativa non merita condivisione: pur giungendo ad una formulazione
molto frequente, la costruisce come un argomento logico o quasi-logico, ossia
fondato su norme logiche.
àˆ stato, però, dimostrato che
gli argumenta a fortiori si basano
sull’estensione della ratio della
norma giuridica che si interpreta a classi di enti diverse da quella prevista[12]: la classe non considerata
dalla norma è più meritevole di quella contemplata, sicchè deve vigere o essere
valida una norma diversa che attribuisca quella qualificazione anche alla
classe non considerata[13].
L’argomento di continenza “disambiguato”,
allora, dovrebbe suonare così: ˜se il giudice, dinanzi alla domanda di
annullamento di un provvedimento amministrativo, può annullarlo, rispettando il
principio della domanda, a maggior ragione può accertarne soltanto
l’illegittimità , nel rispetto del principio della domanda’.
La validità  di un tale
argomento interpretativo estensivo[14] del potere cognitorio e
decisorio del giudice si fonda, dunque, sulla regola non logica che permette la
valutazione di meritevolezza. La questione è individuare questa regola, il warrant di questo passaggio[15]: la regola che permette
di affermare che a maggior ragione il giudice può meramente accertare
l’illegittimità  di un provvedimento, di cui era stato chiesto l’annullamento.

3. Segue. Le regole plausibilmente presupposte dall’argomento di continenza.
La regola presupposta da questa
forma argomentativa è ˜il giudice ha il potere officioso di “ridurre
qualitativamente” il thema decidendum’.
“Ridurre qualitativamente” è,
però, un ossimoro e, in quanto tale, va evitato e sostituito con un sintagma
equivalente. Sulla base del concetto di continenza qualitativa già  visto, si
può dire che “ridurre qualitativamente” significa “mutare l’effetto richiesto
in uno logicamente antecedente o condizionante”. Ciononostante, per comodità
espositiva, può essere utilizzato l’ossimoro.
Della ˜garanzia’ va verificata
la validità  attraverso il vaglio di correttezza (o, a sua volta, di validità )
del backing, il “sostegno” logico
della regola inferenziale. Esso consiste in una proposizione condivisa[16] dalla quale discende
logicamente il (o la validità  del) warrant[17].
Nella specie, questa forma argomentativa
potrebbe essere sorretta da due diverse proposizioni.
a) La prima ipotesi contempla
quale backing il principio della
domanda, nella sua accezione sostanziale di corrispondenza fra chiesto e
pronunciato[18]:ne eat iudex ultra petita, ossia ˜il
giudice non può ampliare il thema decidendum introdotto con la
domanda’. Da ciò segue logicamente, a
contrario, che ˜il giudice può ridurre in senso qualitativo il thema decidendum’ (warrant della struttura giustificativa che si sta analizzando).
In altre parole, il mutamento
del thema decidendum rispetta la
regola ˜ne eat iudex ultra petita’,
se rimane entro i limiti della domanda; pertanto, il warrant rimarrebbe fornito del backingdescritto.
b) Il backing sufficiente a sostenere che il giudice ha un potere di
riduzione qualitativa degli effetti sostanziali chiesti dalla domanda potrebbe
essere anche ˜il potere è previsto dalla legge’.
Così, in effetti, è almeno per
due dei tre casi in cui l’argomento è stato usato (per la conversione della
domanda e per l’irrogazione delle sanzioni alternative), ove, dunque, il backing potrebbe essere idoneo.

4.Principio della domanda,
imparzialità  e terzietà  del giudice.
Entrambi questi backings non garantiscono la correttezza
dell’argomento.
Il primo è confutato da una
corretta ricostruzione del principio di corrispondenza fra chiesto e
pronunciato.
Esso, infatti, vieta tanto
l’ultrapetizione, cioè che il giudice decida su qualcosa di più di quanto è
chiesto dalla parte, quanto l’extrapetizione:
il giudice non può pronunciare su qualcosa di diverso (anche se in meno) da
quanto chiesto dalla parte[19]. Posto che la continenza
qualitativa si risolve in una diversità  di effetti sostanziali, anche se la
pronuncia richiesta dalla domanda richiede determinati passaggi logico-
giuridici, il giudice non può accordare gli effetti di questi antecedenti,
perchè essi sono diversi da quelli
richiesti dal ricorrente[20].
Attribuire effetti diversi da
quelli domandati presuppone un potere sostitutivo o suppletivo del giudice
nella determinazione del thema decidendum,
incompatibile con questa articolazione del principio della domanda. Almeno per
sostenere che l’accertamento con effetti conformativi rispetti il principio in
questione, l’argomento di continenza non è corretto. Per le altre due tesi,
infatti, potrebbe soccorrere il secondo backingimmaginato.
Esso presuppone, a sua volta[21], che il legislatore sia
libero di attribuire al giudice poteri officiosi decisori, idonei a mutare il thema decidendum. L’argomento di
continenza, in questa formulazione, mira a rendere irrilevante il principio
della domanda, piuttosto che affermare che esso non viene violato dalla
conversione della domanda e dall’irrogazione delle sanzioni alternative.
Il principio della domanda, in
tutte le sue articolazioni, è posto, però, a garanzia del giusto processo (art.
111 Cost.).
Per quanto qui rileva, il
divieto di pronunciare extra sive ultra
petita, di sostituirsi alle parti nella delimitazione del thema decidendum, è funzionale al
mantenimento della posizione di imparzialità  e terzietà  del giudice.
Un collegio composto da
soggetti non ricusabili, “istituzionalmente terzo”, non è garanzia sufficiente
di questi valori, essenza stessa della giurisdizione[22].
Il giudice deve essere terzo e
imparziale nell’esercizio della funzione:
non deve, per così dire, “scendere dallo scranno”.
Non può e non deve, cioè,
sostituirsi alle parti nel compimento delle attività  ad esse riservate per
esigenze psicologiche e di giustizia sostanziale, quale la determinazione del thema decidendi.
Sotto il primo profilo, è
significativo che la relazione del Guardasigilli al codice di procedura civile affermi
che “il domandare è psicologicamente incompatibile col giudicare”[23]. Con la domanda si
dichiara la volontà  di certi effetti processuali, proponendo un giudizio al
giudicante per ottenere determinati effetti sostanziali. Il giudice soltanto
potrà  accordare gli effetti sostanziali, tramite la sentenza. Ma se chi propone
il giudizio è anche chi giudica, il giudizio è precostituito[24]. La sostituzione del
giudice all’istante comporta una lesione gravissima alla terzietà  ed
all’imparzialità  del giudice, valori garantiti a livello costituzionale (art.
111, c.2, Cost.), internazionale, come diritto umano (art. 10 della
Dichiarazione sui Diritti dell’Uomo di New York- 1948; art. 6, c.1, CEDU) e
comunitario (art. 47, c.2, della Carta di Nizza).
Un giudice parziale o non
terzo, poi, rende ingiusta la sentenza, a prescindere dalla giustezza
intrinseca della decisione, come ci insegnava già  Seneca nella Medea, non solo
perchè la giustizia di una decisione si misura tanto sulla sua giustezza (richtigkeit) quanto sulla giustizia
procedurale[25],
ma perchè quest’ultima è condizione della giustizia sostanziale[26].
I principi del giusto processo
e, fra di essi, il principio di imparzialità  e terzietà  del giudice, sono necessari
alla giustizia: sono “prescrizioni” tecniche, funzionali al principio
categorico di giustizia[27], tanto da aver acquisito
uno spessore assiologico autonomo[28].
Il principio della domanda,
allora, è baluardo di imparzialità  e terzietà  del giudice[29] e, per loro tramite, di
giustizia.
Se questa è la dimensione
normativa ed assiologica dell’imparzialità  e della terzietà  del giudice e del
principio della domanda, il legislatore non è affatto libero di attribuire
poteri sostituivi della domanda al giudice, come presuppone l’argomento di
continenza. Che, dunque, erra anche in questa sua seconda formulazione e induce
ragionevolmente a dubitare della legittimità  costituzionale dei due poteri
officiosi che mira a giustificare, oltre che della loro conformità  ai principi
comunitari e internazionali sul giusto processo[30].
Un argomento del genere
tradisce, in maniera probabilmente più allarmante, l’insofferenza del giudice
amministrativo nei confronti del principio dispositivo e la difficoltà  di
superare, nelle azioni e non solo nelle affermazioni di principio, la
giurisdizione oggettiva, nonostante l’ampia condivisione che su questi concetti
si riscontra[31].

* Intervento al Convegno
annuale dell’Associazione Italiana dei Professori di Diritto Amministrativo
(Trento, 5-6 ottobre 2012), sul tema “Principio della domanda e poteri
d’ufficio del giudice amministrativo”.
[1]In questo scritto il termine “argomento” verrà  utilizzato nella sua accezione
logica, ossia “qualsiasi gruppo di proposizioni una delle quali (conclusione)
segue dalle altre (premesse) presentate a sostegno della sua verità ” (I. M. Copi- C. Cohen, Introduction to Logic, Boston, 1998, III
ed., trad. it. a cura di G. Lolli, Introduzione alla logica, Bologna, 1999,
p. 672 – glossario – ; pp. 23 e s. per l’esposizione).

[2]Cons. Stato, sez. V, 29 febbraio 2012 n. 1189, in www.giustizia-amministrativa.it, p. 11.

[3]“Quando, nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non
risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità
dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori”.
La tesi che l’art. 34, c.3,
c.p.a. sia una tipizzazione della conversione della domanda, ai sensi dell’art.
32, c.2, c.p.a. è sostenuta da M. Lipari,Articolo 32, in F. Caringella- M. Protto (a cura di), Codice del nuovo processo amministrativo,
2010, p. 390.

[4]Cons. Stato, sez. V, 12 maggio 2011 n. 2817, in www.giustizia-amministrativa.it, p. 8.
Per un tentativo di
comporre la conversione dell’azione con il principio della domanda, sia
consentito rinviare a F. Follieri, Qualificazione e conversione dell’azione
alla prova del principio della domanda, in corso di pubblicazione su Dir. proc. amm., ove, però, si conclude
affermando che la conversione della domanda provoca un irrisolvibile contrasto
con il principio della domanda.

[5]Cons. Stato, sez. VI, 10 maggio 2011 n. 2755, in www.giustizia-amministrativa.it.

[6] F. Caringella, Il sistema delle tutele dell’interesse
legittimo alla luce del codice e del decreto correttivo, in Urb. e app., 2012, p. 19.

[7]La dottrina processualista non si è interessata a questo concetto, se non in
relazione alla continenza di cause, quale ragione derogatoria della competenza
(cfr., per tutti, G. Franchi, Difetto di giurisdizione, incompetenza,
litispendenza , in E. Allorio (diretto
da), Commentario del codice di procedura
civile, Torino, 1973, I*, pp. 394 e ss.). Allorquando il giudice compie
operazioni simili a quelle descritte nel testo, la dottrina processual-
civilista preferisce parlare di domande implicite proposte in cumulo
alternativo: cfr. A. Carratta, Art. 112, in A. Carratta- M. Taruffo, I
poteri del giudice, in S. Chiarloni (a
cura di), Commentario del codice di
procedura civile, Bologna, 2011, pp.139 e ss., che ammette il potere del
giudice in questo senso, quale attività  interpretativa della domanda. Sulla
differenza fra questo fenomeno e quello della conversione della domanda, sia
consentito rinviare nuovamente a F.
Follieri, op. cit., par. 9. Le
argomentazioni ivi spese possono essere facilmente adattate anche alle altre
due ipotesi di continenza qui affrontate.
La continenza è fenomeno
indagato funditus nel diritto penale,
quale discrimine fra l’abolitio criminis(cui si applica l’art. 2, c.2, c.p.: “Nessuno può essere punito per un fatto
che, secondo la legge posteriore, non costituisce reato; e se vi è stata
condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali”) e la successione di
leggi penali (disciplinata dall’art. 2, c.4, c.p.: “Se la legge del tempo in
cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui
disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata
sentenza irrevocabile”). Questo tipo di continenza è, però, strutturale. Si
fonda, infatti, sull’estensione delle fattispecie incriminatrici, sebbene
rimanga dubbio se vi rientrino solo i casi di rapporto genere- specie o anche
di ampliamento della norma precedente più specifica. Sul punto, cfr. G. Fiandaca- E. Musco, Diritto penale. Parte generale, Roma,
2009, VI ed., pp. 89 e ss. e la dottrina ivi richiamata.
àˆ evidente la differenza
fra la continenza di cui si discute in questa sede e quella discussa in ambito
penalistico: la prima è una continenza di effetti,
la seconda di fattispecie. Detto
altrimenti, la continenza di cui parla il g.a. è una continenza effettuale,
quella di cui discute la dottrina penalista è “strutturale” (G. Fiandaca- E. Musco, op. ult. cit., p. 89: “un rapporto
strutturale tra le fattispecie astrattamente considerate”).

[8]Come, invece, ritiene Cons. Stato, sez. VI, n. 2755/11, cit..

[9]L’effetto (anzi, gli effetti) di annullamento possono essere disposti
parzialmente, annullando solo parte dell’atto gravato.

[10]D’ora in avanti, per semplificare l’esposizione, si utilizzerà  come esempio
l’accertamento di illegittimità  a soli fini conformativi. Le considerazioni,
però, valgono anche per le altre due ipotesi indicate nel par. 1.

[11] G. Kalinowski, Introduction à  la logique juridique,
Paris, 1965, trad. it. a cura di M.
Corsale, Introduzione alla logica
giuridica, Milano, 1971, pp. 228 e ss.. La dimostrazione della struttura di
questo ragionamento è fornita tramite calcoli di logica proposizionale (qui
irrilevanti), ma può essere così sintetizzato ed esplicitato: se tutte le X
possono fare A e ogni A è B, dunque tutte le X possono fare B.

[12] C. Perelman, Logique juridique, Paris, 1976, trad. it. a cura di G. Crifò, Logica giuridica nuova retorica, Milano, 1979, pp. 99 e s. dimostra
che l’argomento non è formalizzabile, sulla base dell’esempio di una legge
belga: la norma prevede che è lecito commercializzare bevande alcoliche, purchè
ogni vendita abbia ad oggetto almeno due litri di dette bevande. Tramite
l’argomento a maiori formalizzato,
non si dovrebbe escludere la liceità  della vendita di quantità  inferiori.
Tuttavia, un tale argomento interpretativo non è mai stato ritenuto valido, in
considerazione del fatto che la ratio della
norma era di impedire ai salariati di spendere il proprio stipendio settimanale
in bevande alcoliche: il prezzo di due litri di bevande era, infatti, maggiore
del salario settimanale. Ciò dimostra che l’argomento a fortiori si basa sull’estensione della ratio della norma interpretata e non su norme logiche.

[13] G. Tarello, L’interpretazione della legge, in Trattato di diritto civile e commerciale Cicu- Messineo, Milano,
1980, pp. 355 e s.. L’A. inquadra questo argomento fra le strutture
motivazionali dell’interpretazione.

[14]Per la natura dell’argomento a fortiori,G. Tarello, op. ult. cit., p. 355, con il quale concorda C. Perelman, op. cit., pp. 98 e s.

[15]Il riferimento è alla tesi di S. E.
Toulmin, The Uses of Argument,
Cambridge, 1968, pp. 97 e ss., ripresa con qualche modifica da J. Habermas, Wahrheitstheorien, in H.
Fanrenbach, Wirklichkeit und
Reflexion. Festschrift fà¼r W. Schulz, Pfullingen, 1973, pp. 240 e ss., ed
estesa all’argomentazione giuridica da R.
Alexy, Theorie der juristischen
Argumentation. Die Theorie des rationalen Diskurses als Theorie der
juristischen Begrà¼ndung, Frankfurt am Main, 1978, II ed., trad. it. a cura
di M. La Torre, Teoria dell’argomentazione giuridica. La
teoria del discorso razionale come teoria della motivazione giuridica,
Milano, 1998, passim, (che costruisce
su questa base una teoria prescrittiva del discorso pratico- razionale e di
quello giuridico quale sua specie). Nelle linee essenziali, questa teoria
dell’argomentazione pratica è la seguente. L’argomentazione morale (e quella
giuridica), cioè il discorso che mira ad una conclusione munita della pretesa
di correttezza (cioè di condivisione), è condotta tramite inferenze valutative,
non fondate su premesse evidenti, ma condivise. Essa necessita, dunque, di
regole inferenziali che giustifichino la validità  della deduzione di una
conclusione (claim) da una situazione
fattuale (datum). Questa regola
inferenziale è costituita da una garanzia (warrant).
E se essa viene messa in dubbio va fatto ricorso al fondamento della sua
validità  (backing). Sul punto anche G. Corso, Prova. VII) Diritto amministrativo, in Enc. giur., Roma, XXV, 1999, p. 2.

[16]La condivisione quale parametro di correttezza o di giustezza (richtigkeit) per le premesse e, di
conseguenza, per l’esito del discorso pratico razionale ha, come necessario
antecedente filosofico, la teoria della verità  comunicazionale di J. Habermas, Erkenntnis und Interess, Frankfurt am Main, 1968, trad. it. a cura
di G. E. Rusconi, Conoscenza e interesse, Bari, 1973, pp.
390 e ss.. La tesi che il discorso giuridico possa legittimamente vantare una
pretesa di correttezza è stata messa in dubbio da N. Luhmann, Gerechtigkeit
in den Rechtssystemen der modernen Gesellschaft, in Rechtstheorie,
1973, p. 144, nota 33, per il quale tentativi come quelli di Habermas e Alexy
di costruire una teoria del discorso sono destinati a fallire: “nelle attuali
condizioni: in un mondo davvero ricco di possibilità “, il problema della
giustizia va separato dalle questioni sulla verità  e sulla giustificabilità  e
riformulato come questione della “adeguata complessità  del sistema giuridico”.
Grazie alla “teoria dei sistemi” è possibile, sempre per Luhmann, comprendere
meglio le affermazioni ed individuarsi i limiti di rendimento di un qualsiasi
sistema discorsivo e mostrare le possibilità  di incrementi di rendimento
attraverso organizzazioni alternative dei discorsi (N. Luhmann, Systemtheorische
Argumentationen. Eine Entegnung auf J. Habermas, in J.
Habermas- N. Luhmann, Theorie der
Gesellschaft oder Sozialtechnologie – Was leistet die Systemforschung?,
Frankfurt am Main, 1971, pp. 328 e ss.). In sintesi, sarebbe sbagliato
imputare alle norme ed alle proposizioni sulle norme la pretesa di correttezza.
A queste critiche è possibile rispondere con le condivisibili ed attualissime
parole di R. Alexy, op. cit., p. 100. Sebbene sia
“concepibile che la formula dell’adeguata complessità  indichi una condizione
necessaria per la decisione giusta”, non si può dubitare “che ˜oggi’ alle norme
non sia più connessa la pretesa di correttezza o di giustificabilità “. La
rinuncia a questa pretesa “presupporrebbe la creazione di un altro «modo di
socializzazione», «slegato da norme che necessitano di giustificazione»”
(citando R. Dreier, Zur Luhmanns systemtheoritischer
Neuformulierung des Gerechtigkeitsproblems, in Rechtstheorie, 1974, pp. 199 e s.). Tale diverso modo di
socializzazione, in primo luogo, potrebbe non essere possibile. “In ogni caso
uno sguardo alla prassi delle discussioni politico- giuridiche, delle
deliberazioni giudiziarie, delle discussioni della scienza giuridica come anche
dei ragionamenti quotidiani mostra che ci sono ragioni per ritenere che questo
modo perlomeno non si è ancora affermato”.

[17]Così da fugare i dubbi sulla correttezza dell’argomento, ove esso sia stato
formulato in termini esatti (scilicet,
condivisi). In realtà , S.E. Toulmin, op. loc. cit., ritiene che il warrant possa essere sostenuto da un backing o da una forma argomentativa di
secondo livello, di cui il warrant di
primo livello è la conclusione, il suo backingil datum e la regola inferenziale
fra i due sia una garanzia (che Toulmin, ritiene non più giustificabile, ma
solo condivisibile). Lo svolgimento dell’argomento nelle tesi richiamate non
raggiunge l’esaustività  richiesta da questo modello discorsivo, dunque è
possibile utilizzare la prima o la seconda forma di giustificazione. Chi scrive
ha ritenuto di ipotizzarla tramite la prima forma (il solo backing), in quanto è possibile credere che i backing individuati siano il punto di (asserita) forte condivisione
su cui le tesi hanno tentato la fondazione dell’argomento.

[18]In senso formale, il principio della domanda impone che nessuna sentenza possa
essere emessa senza una previa richiesta di un soggetto a lui terzo (nemo iudex sine actore): M. Nigro, Domanda (principio della). II) Diritto processuale amministrativo ,
in Enc. giur., Roma, XII, 1989, p. 1;G. Verde, Domanda (principio della). I) Diritto processuale civile, ivi, p.2; C. Mandrioli, Diritto
processuale civile, Torino, 2006, XVIII ed., pp. 91 e s.; E. T. Liebman, Manuale di diritto processuale civile, Milano, 2007, VII ed., p.
135; C. Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile,
I, Padova, 2008, pp. 101 e ss.. Ad esso corrisponde l’art. 99 c.p.c..
Il principio della domanda
in senso sostanziale, invece, si invera nell’art. 112 c.p.c., cioè nel
principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato: M. Nigro, op. loc.
cit.; G. Verde, op. loc. cit..
Detto altrimenti, l’art. 99
considera il principio della domanda dal punto di vista della parte,
individuando un onere; il secondo dal punto di vista del giudice, a cui impone
di limitare la propria pronuncia alla domanda e all’eccezione. Il maggior
contenuto dell’art. 112 c.p.c. trova la sua ragione nel principio del
contraddittorio: V. Andrioli, Lezioni di diritto processuale civile,
Napoli, 1961, II ed., vol. I, pp. 159 e ss.; nonchè A. Proto Pisani, Art.
99, in E. Allorio (diretto
da), Commentario, cit., I**, pp. 1046
e ss.

[19]In tal senso,  E. Grasso, La pronunzia d’ufficio, Milano, 1967, vol. I, p. 145; Id.,Art. 112, in E. Allorio(diretto da), Commentario, cit., I**,
p. 1264; G. Verde, op. cit., p. 9; L. P. Comoglio, in L.
P. Comoglio- C. Ferri – M. Taruffo, Lezioni
sul processo civile, Bologna, 2006, IV ed., I, p. 233; C. Mandrioli, op. cit., I, p. 91; A. Proto
Pisani, Lezioni di diritto
processuale civile, Napoli, 2006, p. 199; G.
Balena, Istituzioni di diritto
processuale civile, Bari, 2009, I, p. 77; A.
Carratta, op. cit., pp. 176 e
s., per la dottrina estera, e pp. 194 e ss..

[20]Un paragone può aiutare a comprendere quanto sia assurdo ritenere che il
principio della corrispondenza fra chiesto e pronunciato comporti solo il
divieto di ultrapetizione. Il giudice amministrativo si comporta come un
gelataio che serve un frullato di uova, latte e zucchero al cliente che gli
aveva chiesto un gelato alla crema: gli ingredienti sono gli stessi, ma
evidentemente non è la stessa cosa. Così è quando il giudice pronuncia
l’accertamento, anzichè l’annullamento. Il punto nodale, però, non è la
“soddisfazione” della parte, ma il ruolo del giudice, come si vedrà  nel par. 4.

[21]Secondo l’argomentazione di secondo livello già  ricordata, come warrant di livello superiore.

[22] F. Carnelutti, Teoria generale del diritto, Roma, 1951,
III ed., pp. 58 e ss.; M. Cappelletti, La pregiudizialità  costituzionale,
Milano, 1957, pp. 145 e s.; V. Andrioli, op. cit., vol. I, pp. 27 e ss.. Non
del tutto concorde, invece, E. Fazzalari,La giurisdizione volontaria,
Padova, 1953, p. 159. In senso contrario, E.
Grasso, La pronunzia d’ufficio, cit.,
vol. I, p. 206, secondo il quale, stante la formulazione dell’art. 2907 c.c., è
da “negare che il principio della domanda sia connaturato al processo e
all’atto decisorio, essendo certo solo che quel principio ha finora prevalso
nella storicità  degli ordinamenti”.

[23]N. 13 della relazione. L’affermazione è frutto dell’influenza di P. Calamandrei, Istituzioni di diritto processuale civile, Padova, 1943, II ed., p.
183.

[24]Si vuole, cioè, evitare il condizionamento della c.d. “forza di prevenzione”,
insita (anche inconsciamente o, comunque, non dichiarata) nella natura umana:
la resistenza che si oppone a rivedere il proprio giudizio. Cfr. N. Trocker, Il valore costituzionale del “giusto processo”, in M. G. Civinini- C. M. Verardi (a cura
di) Il nuovo articolo 111 della
Costituzione e il giusto processo civile (Atti del Convegno dell’Elba, 9- 10
giugno 2000), p. 46; nonchè G. Corso, Il nuovo art. 111 Cost. e il processo
amministrativo. Profili generali, in Il
giusto processo. Atti del Convegno
presso l’Accademia nazionale dei Lincei del 28-29 marzo 2002, Roma, 2003,
pp. 57 e s.. Si rifletta che in ogni caso di azione “pubblica”, anche quando il
giudice era munito di un ruolo fortemente inquisitorio (come nel processo
penale previgente), la domanda è esercitata da un altro organo: il pubblico
ministero (nel processo civile, cfr. art. 2907 c.c.).

[25] P. Ferrua, L. cost. n. 2/1999, in Aa.
Vv., Leggi costituzionali e di
revisione costituzionale (1994-2005), in G.
Branca- A. Pizzorusso, Commentario
della Costituzione, Bologna- Roma, 2006, p. 89, ad esempio, ritiene che una
singola decisione ingiusta sia socialmente accettabile, perchè “è un evento
singolo, un fatto occasionale”, mentre un processo strutturalmente ingiusto è
molto più dannoso, dato che “ha carattere durevole”.

[26] G. Fabbrini, Potere del giudice (diritto processuale civile), in Enc. dir., Milano, XXXIV, 1985, p. 722; M. Taruffo, Idee per una teoria della decisione giusta, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1997, p. 319; Id., Legalità  e
giustificazione della creazione giudiziaria del diritto, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2001, pp.
19 e ss.; A. Falzea, Giusto processo. Presentazione al convegno,
in Il giusto processo, cit., p. 10; L.P. Comoglio, Il “giusto processo” civile nella dimensione comparatistica, ivi, pp. 227 e s..

[27]Sulla differenza cfr. G. Gometz, Le regole tecniche. Una guida refutabile,
Pisa, 2008, pp. 23 e ss. e 67 e ss.: la regola tecnica è funzionale ad una
finalità  ad essa esterna, mentre la regola categorica non necessita di
giustificazione esterna, ma è fondata ex
se deontologicamente e assiologicamente.

[28]Sulla carica assiologica autonoma dei principi del giusto processo, cfr., per
tutti, P. Ferrua, op. cit., p. 102: “contraddittorio,
condizioni di parità , giudice terzo ed imparziale [¦] sono valori primari di giustizia” (corsivo originale).

[29] M. Nigro, op. cit., p. 1; G. Verde, op. cit., p. 1; E. T. Liebman, Fondamento
del principio dispositivo. Problemi del processo civile, Napoli, 1962, pp.
11 e ss.; E. Fazzalari, La imparzialità  del giudice, in Studi Furno, Milano, 1973, p. 337; L. Montesano- F. De Santis- G. Arieta, Corso base di diritto processuale civile,
Padova, 2005, p. 263.

[30]In ordine alle sanzioni alternative, si veda M.
P. Chiti, I nuovi poteri del
giudice amministrativo: i casi problematici delle sanzioni alternative e delle astreintes,
in G. Greco (a cura di), La giustizia amministrativa negli appalti
pubblici in Europa. Atti del Convegno 20 maggio 2011- Università  degli Studi di
Milano, Milano, 2012, pp. 14 e ss.. Per una più ampia argomentazione e per maggiori
riferimenti, con riguardo alla conversione della domanda, si rinvia a F. Follieri, op. cit., par. 15.
Sulla rilevanza delle Carte
dei diritti (CEDU e Carte dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea) anche
oltre le materie di competenza dell’Unione, di recente, M. Ramajoli, Il
giudice nazionale e la CEDU: disapplicazione diffusa o dichiarazione
d’illegittimità  costituzionale della norma interna contrastante con la
Convenzione?, in Dir. proc. amm.,
pp. 845 e s.. L’A. chiama in causa proprio la disciplina del processo
amministrativo, quale ambito di applicabilità  (diretto o meno) della CEDU e della
Carta di Nizza, in forza dell’art. 1 c.p.a. (“La giurisdizione amministrativa
assicura una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e
del diritto europeo”).

[31]Nel solco che riconduce la natura soggettiva del processo amministrativo ai
precetti costituzionali (art. 24 e 103 Cost.), su cui già  V. Bachelet, La giustizia amministrativa nella Costituzione italiana, Milano,
1966, ora in Id., Scritti giuridici, Milano, 1981, II,
part. pp. 472 e ss..
Sull’ampia condivisione di
questo concetto nella dottrina recente si veda, per tutti, V. Domenichelli, La parità  delle parti nel processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 2001, p. 859.

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