Ammissibilità  dell’azione di accertamento del silenzio-assenso e tipicità  delle azioni

Ammissibilità  dell’azione di
accertamento del silenzio-assenso e tipicità  delle azioni. (TAR Puglia, Bari, sez. III, sentenza
18 aprile 2013 n. 588).
1. La sezione III del TAR barese era chiamata a decidere una
serie di domande proposte in cumulo alternativo subordinato circa:
l’accertamento della formazione del silenzio assenso su un’istanza di permesso
a costruire (una domanda di accertamento “atipica”); in subordine, la condanna
al rilascio del permesso di costruire (una domanda di adempimento); in
ulteriore subordine, l’accertamento dell’illegittimità  del silenzio serbato
dall’amministrazione sull’istanza (una domanda di accertamento “tipica”).
Il
TAR ritiene inammissibile la domanda di accertamento atipica, in quanto “non
ricompresa fra quelle previste dall’ordinamento processuale [¦] che non prevede
un’azione generale di accertamento, bensì solo ipotesi tipizzate e tassative”
(p.3).
In
verità , la soluzione del TAR si inserisce in un filone giurisprudenziale
risalente, contrario all’ammissibilità  dell’azione di accertamento del
silenzio-assenso (anche sull’istanza di permesso di costruire).
L’orientamento
in questione, retaggio di un differente clima dogmatico e normativo, potrebbe
essere rivisto, alla luce di talune evoluzioni.
 
2. Esso presuppone, in primo luogo, la tipicità  delle azioni
nel processo amministrativo, quantomeno di quelle di accertamento.
E,
invero, per esse si pone ad oggi con maggiore enfasi la questione della
tipicità /atipicità  dell’azione, alla luce della esplicitazione
dell’ammissibilità  dell’azione di condanna risarcitoria (già  nel biennio
1998-2000), dell’azione di adempimento per mezzo del secondo correttivo al
codice del processo amministrativo (art. 34, c.1, lett. c, c.p.a.) e di
un’azione di condanna atipica (ancora art. 34, c.1, lett. c, c.p.a.).
D’altro
canto, all’apertura verso l’atipicità  dell’azione del supremo consesso della
giurisdizione amministrativa, tanto di condanna (Cons. Stato, Ad. plen., n.
3/2011), quanto di accertamento (Cons. Stato, Ad. plen., n. 15/2011), fa ancora
eco contraria parte della dottrina (B.
Sassani, Arbor actionum.
L’articolazione della tutela nel codice del processo amministrativo, in Dir. proc., 2011, pp. 1365 e ss.) e
della giurisprudenza (fra cui la sentenza in esame).
La
tesi della tipicità , posto che per i diritti soggettivi non vi può che essere
un’unica forma di azione atipica, modellata sul diritto sostanziale, ritiene
che la presenza di un conflitto con un potere/funzione, facendo venir meno il
diritto soggettivo, giustifichi la chiusura del novero delle forme di tutela a
quelle previste dal legislatore.
Nella
sostanza, la presenza di un potere pubblicistico, connotato da autorità ,
sarebbe ragione sufficiente ad escludere azioni diverse da quelle espressamente
ammesse dal legislatore, onde evitare uno sconfinamento del potere giurisdizionale
nei confronti di quello esecutivo- amministrativo (per il principio di
corrispondenza fra chiesto e pronunciato, ad ogni azione ammessa deve
corrispondere il correlativo potere giurisdizionale)
Se,
però, si riflette sul fatto che l’atipicità  dell’azione civile è corollario
dell’art. 24, c.1, Cost., il ragionamento crolla. Questa disposizione accomuna
diritti soggettivi ed interessi legittimi, parificandone l’intensità  di tutela
(già  V. Bachelet, La giustizia amministrativa
nell’amministrazione, Milano, 1966). Ergo,
queste situazioni giuridiche soggettive non possono essere “discriminate”:
anche per l’interesse legittimo bisogna predicare una tutela “atipica” sagomata
sul diritto sostanziale.
Del
resto, se di tipicità  al fine di rispettare la legittimazione nella produzione
dell’effetto giuridico può parlarsi a proposito dell’azione costitutiva (M. Clarich, Tipicità  dell’azione e azione di adempimento nel processo
amministrativo, in Dir. proc. amm.,
2005, pp. 557 e ss.), il problema non può certamente porsi per quella di
accertamento (peraltro, già  ammessa come azione atipica prima del c.p.a.: Cons.
Stato, sez. V, 9 febbraio 2009 n. 717, a proposito dell’accertamento
dell’illegittimità  della, allora, DIA).
Mentre
nell’azione costitutiva il giudice si sostituisce nella (volontà  della)
produzione dell’effetto giuridico al legittimato in base al diritto sostanziale
(si pensi all’art. 2932 c.c. e, in senso “negativo”, all’azione di annullamento-
per questa ragione esclusa dalla legge abolitiva del contenzioso
amministrativo), l’accertamento risolve, invece, la disputa sul se l’effetto si
è prodotto (la distinzione potrebbe apparire formalistica, ma non lo è affatto:
gli effetti giuridici si producono spesso anche a prescindere dall’accertamento
giudiziale, quindi l’intervento del giudice può considerarsi meramente
ricognitivo di una realtà  giuridica preesistente). Nella specie, ad esempio,
non si chiedeva al giudice l’autorizzazione alla costruzione, ma di risolvere
la controversia sull’avvenuta produzione dell’effetto autorizzativo grazie al
decorso del termine di conclusione del procedimento o, se si vuole,
all’emanazione dell’atto autorizzativo implicito nel silenzio- assenso.
L’accertamento,
poi, è il passaggio essenziale di qualsivoglia pronuncia giurisdizionale, anche
solo di rito (come dimostra la sentenza in commento, che dichiara inammissibili
le due domande subordinate, in base proprio all’accertamento del silenzio
assenso).
La
tipicità  dell’azione in sè, allora, appare una riedizione del favor principis (costituzionalmente
inaccettabile). E, anche ammesso che tale privilegio per l’autorità  possa
esistere nel nostro ordinamento, non ha ragione d’essere per l’azione di
accertamento, incapace di ledere le sfere di attribuzione del potere esecutivo.
I
problemi dell’azione di accertamento nel processo amministrativo, anche di
quelle tipiche, sono altri: la giurisdizione, la legittimazione e l’interesse a
ricorrere.
Ed
essi sono facilmente superabili in caso di accertamento del silenzio-assenso:
v’è la giurisdizione esclusiva del g.a. (art. 133, c.1, lett. a-bis, c.p.a.),
legittimato è chi ha presentato l’istanza (o i suoi aventi causa), l’interesse
è quello di risolvere l’incertezza sull’iniziativa sottostante all’istanza.
 
3. Ma anche a voler ritenere che sia necessario quantomeno un
indice normativo per ammettere una speciesdi azione di accertamento, l’azione di accertamento del silenzio-assenso ne
uscirebbe intatta nella sua ammissibilità . In ciò viene in soccorso proprio la
previsione della giurisdizione esclusiva in materia.
Secondo
l’art. 133, c.1, lett. a-bis), c.p.a., infatti, sono devolute alla
giurisdizione esclusiva del g.a. “le controversie relative all’applicazione
dell’art. 20 della legge 7 agosto 1990 n. 241”, scilicet, relative alla formazione del silenzio-assenso.
Orbene,
la formazione del silenzio-assenso può rilevare in giudizio in tre ipotesi:
a)
per l’impugnazione del diniego intervenuto oltre il termine di conclusione del
procedimento;
b)
per l’impugnazione di un provvedimento di secondo grado sul silenzio assenso;
c)
come oggetto di un’azione di accertamento mero (accertamento, comunque,
implicato e pregiudiziale nelle prime due ipotesi).
Se
per le prime due ipotesi non v’è dubbio che dinanzi ai provvedimenti gravati vi
sia un interesse legittimo, nell’ultima si tratta di accertare un diritto
soggettivo (l’accertamento, in quanto dichiarazione dell’operatività  di una
norma giuridica nel caso concreto, riguarda sempre la norma- eventualmente un
atto giuridico-, i suoi effetti e le situazioni giuridiche soggettive che ne
costituiscono la dimensione soggettiva).
Il
silenzio- assenso comporta la produzione dell’effetto ampliativo richiesto, una
volta decorso il termine per provvedere, come se il provvedimento di assenso
fosse stato rilasciato. E l’effetto giuridico fa acquisire il bene della vita
alla sfera giuridica del richiedente, che potrà  esercitare direttamente (cioè
senza l’intermediazione del potere amministrativo) i poteri e le facoltà 
connesse all’utilità  accordatagli. Ossia l’effetto ampliativo costituisce (o
almeno “libera”) un diritto soggettivo.
Nella
specie, accertare la produzione dell’effetto autorizzativo del permesso di
costruire significa accertare l’esistenza e la titolarità  dello ius aedificandi (o che i limiti al suo
esercizio sono stati rimossi).
Sicchè
l’interesse legittimo che fronteggia i poteri (ed i provvedimenti) di diniego
“tardivo” (ipotesi a) e di autotutela (ipotesi b) è di tipo oppositivo a che l’utilità 
acquisita mediante silenzio- assenso non venga illegittimamente ablata
dall’amministrazione (in questi casi, infatti, è misura cautelare adeguata la
sospensione dei provvedimenti).
Ma
se ne trae anche che la giurisdizione amministrativa esclusiva ha ragion
d’essere solo per la terza ipotesi (l’accertamento del silenzio- assenso).
Solo
in questo caso, infatti, v’è il “nodo gordiano” fra interesse legittimo e
diritto soggettivo, dinanzi ad un potere pubblicistico (elementi necessari per
la legittimità  costituzionale dell’attribuzione della giurisdizione esclusiva
al g.a.- C. cost., n. 204/2004): l’accoglimento dell’azione di accertamento dichiara
la sussistenza di un diritto soggettivo, quella di rigetto per infondatezza
l’accertamento di un interesse legittimo pretensivo (per effetto
dell’accertamento negativo di un diritto soggettivo, combinato all’accertamento
di fatto della produzione di un’istanza).
L’unicaratio della norma, dunque, è quella
di permettere la cognizione al g.a. delle domande di accertamento del
silenzio-assenso.
 
4. Nè all’ammissibilità  di tale azione può opporsi il divieto
di pronuncia su poteri amministrativi non ancora esercitati (art. 34, c.2,
c.p.a.). L’accoglimento della domanda, infatti, non ha l’esito di indirizzare
un emanando provvedimento amministrativo, ma di accertare che il decorso del
termine per la conclusione del procedimento ha prodotto l’effetto ampliativo o,
se si ritiene, che il potere ampliativo è già  stato esercitato implicitamente
in via positiva.
Una
sentenza del genere, poi, non comporterebbe alcun vincolo nemmeno alla
successiva attività  di autotutela sul silenzio-assenso. Per accertarne la
sussistenza, infatti, non deve indagarsi la presenza dei requisiti previsti
dalla legge per il rilascio del provvedimento richiesto, nè valutarne l’opportunità 
rispetto all’interesse pubblico concreto: il sindacato del giudice si limita
alla verifica dell’applicabilità  dell’art. 20 della l. n. 241/1990 (cioè
dell’insussistenza delle eccezioni al silenzio- assenso) e del decorso termine ex art. 2 l. n. 241/1990 (che è l’unico
elemento della fattispecie del silenzio-assenso).
La
sentenza di accertamento del silenzio-assenso, cioè, non involge la “spettanza”
(giacchè il profilo è assente nella fattispecie descritta dall’art. 20, l. n.
241/1990).
Qualche
problema si pone in relazione all’identificazione dei controinteressati,
ancorata dall’art. 41, c.2, c.p.a. al provvedimento. Ma esso può essere
facilmente risolto grazie all’apprezzamento nel concreto da parte del giudice,
eventualmente facendo uso del potere di integrazione del contraddittorio ex art. 49 c.p.a. (sebbene nei soli casi
in cui la posizione di controinteresse non fosse ragionevolmente ricavabile
dagli atti procedimentali o dai fatti noti al ricorrente: nella controversia
risolta dal TAR il ricorrente ha citato sette controinteressati, probabilmente
i proprietari di terreni circostanti all’area dell’intervento edilizio
richiesto).
Che
vi si giunga tramite il principio di atipicità  dell’azione ricavato dall’art.
24, c.1, Cost. o l’interpretazione dell’art. 133, c.1, lett. a-bis), c.p.a. con
il c.d. argomento economico (per il quale ogni disposizione deve essere
interpretata in modo da conferirle efficacia e ragion d’essere all’interno
dell’ordinamento), non sembra, dunque, possibile dubitare dell’ammissibilità  di
un’azione di accertamento del silenzio-assenso.
Un’azione
che risponderebbe alla pressante esigenza di certezza giuridica da parte degli
operatori economici, soprattutto nei rapporti con i finanziatori abituati,
nella cultura nostrana, al titolo “burocratizzato” per l’esercizio di
un’attività .

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