1. Le evidenze paesaggistiche oggetto di tutela nella regione Puglia sono di competenza della Giunta
2. I limiti dell’interesse e della legittimazione ad agire del privato rispetto agli atti di pianificazione paesaggistica
3. Il giudicato CEDU non è impermeabile alle sopravvenienze giuridiche e materiali
1. Nella Regione Puglia la competenza alla pianificazione paesaggistica del territorio per mezzo di atti amministrativi generali o misti, ivi compresa quella ad approvare il piano paesaggistico territoriale, appartiene alla Giunta ai sensi dell’art. 44, comma 4, dello Statuto regionale; infatti, al Consiglio regionale, quale organo di governo della Regione a carattere assembleare, appartiene la potestà legislativa nelle materie indicate dall’art. 117 Cost. nonché l’esercizio delle altre funzioni conferite dalla Costituzione e dalle leggi.
2. La violazione degli obblighi di concertazione istituzionale e di partecipazione degli enti locali di cui all’art. 144 del d.lgs. n. 42/2004, specificati dall’art. 2, comma 1, della legge regione Puglia n. 20 del 2009 può essere dedotta – quale vizio di legittimità – esclusivamente da uno degli enti locali da coinvolgere nel procedimento di approvazione dello strumento di pianificazione paesaggistica per la ipotetica lesione del principio di leale collaborazione istituzionale. Parimenti il privato non vanta legittimazione ad eccepire l’illegittimità di un piano di pianificazione paesaggistica territoriale predisposto sulla base di una non corretta conduzione della valutazione ambientale strategica, escludendo, dunque, anche la tutela di un interesse strumentale, cioè teso ad ottenere la integrazione e/o la modifica, anche parziale, della specifica determinazione che si inserisce nel relativo procedimento.
3. L’approvazione di uno strumento di pianificazione paesaggistica territoriale regionale non è incompatibile con il giudicato della Corte EDU afferente ad alcune aree regolamentate atteso che esso può comunque comportare un regime edificatorio limitativo di un’area di proprietà privata corrispondente ad un mutamento della realtà fattuale e giuridica in conformità al principio per cui il giudicato non è impermeabile alle sopravvenienze materiali e giuridiche.
Una sentenza di constatazione di violazione dei diritti della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo comporta per lo Stato coinvolto l’obbligo giuridico di porre fine alla violazione e di rimuoverne le conseguenze così da ripristinare, nei limiti del possibile, la situazione a questa precedente; tuttavia, tale obbligo non comprime la potestà dello stesso Stato contraente di scegliere i mezzi di cui avvalersi per conformarsi alla decisione della Corte sovranazionale, in quanto risulta osservato l’obbligo fondamentale garantire il rispetto dei diritti e delle libertà sanciti imposto dall’art. 1 dalla Convenzione stessa: pertanto, qualora la natura della violazione consente una restitutio in integrum, spetta allo Stato convenuto provvedervi; nell’ipotesi inversa, l’art. 41 della Convenzione autorizza la CEDU a concedere, ove ritenuto, alla parte lesa una soddisfazione appropriata.
Francesco Netti