1. Giurisdizione – Appalto di servizi ad esecuzione continuata – Revisione prezzi – Giurisdizione esclusiva – Sussistenza
2. Leggi decreti, regolamenti – Appalto di servizi – Esecuzione – Revisione prezzi – Codice dei contratti – Interpretazione della legge – Disciplina speciale – Prevalenza
3. Processo amministrativo – Giudizio sul silenzio – Accertamento pretese patrimoniali – Inammissibilità del ricorso
1. Ai sensi dell’art. 133 c.p.a., , comma 1, lett. e) n. 2, si devono ritenere devolute alla stessa autorità giurisdizionale amministrativa tutte le cause relative all’istituto della revisione prezzi negli appalti pubblici di servizi e forniture, ad esecuzione continuata o periodica, da quelle riguardanti l’an della pretesa a quelle attinenti al quantum dell’incremento spettante all’impresa appaltatrice, con conseguente potere del giudice amministrativo di conoscere sia della spettanza che della misura della revisione, con possibilità di emettere condanna al pagamento delle relative somme.
2. L’art.115 del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 detta una disciplina speciale circa il riconoscimento della revisione dei prezzi nei contratti stipulati dalla p.a. che prevale su quella generale di cui all’art 1664 del c.c., in quanto avente natura imperativa. Pertanto, si impone nelle pattuizioni private, integrandone e modificandone il contenuto contrastante con la stessa, attraverso il meccanismo di cui all’art. 1339 del c.c., con conseguente nullità parziale ex art. 1419 del c.c. delle clausole difformi.
3. àˆ da ritenere inammissibile l’impugnazione dell’istanza per la declaratoria di illegittimità del silenzio rifiuto serbato dall’ amministrazione, in quanto, presupponendo detto rimedio la sussistenza in in capo all’istante della titolarità di una situazione di interesse legittimo connessa all’esercizio di poteri autoritativi, il cui inadempimento si tratti di accertare, non risulta compatibile con le controversie che solo apparentemente hanno per oggetto un’inerzia dell’amministrazione, come nell’ipotesi di accertamento di pretese patrimoniali, quand’anche rientranti nelle materie affidate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, trattandosi di ricorsi soggetti agli ordinari termini di prescrizione.
N. 00837/2015 REG.PROV.COLL. N. 01396/2014 REG.RIC. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Prima) ha pronunciato la presente SENTENZA NON DEFINITIVA sul ricorso numero di registro generale 1396 del 2014, proposto da: La Lucente s.p.a., rappresentata e difesa dall’avv. Giacomo Valla, con domicilio eletto in Bari, Via Q. Sella, 36; contro Azienda Sanitaria Locale Foggia, rappresentata e difesa dall’avv. Nino Sebastiano Matassa, con domicilio eletto in Bari, Via Andrea Da Bari, 35; per l’accertamento del diritto alla revisione prezzi per l’appalto dei servizi di pulizia presidi sanitari. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l’atto di costituzione in giudizio di Azienda Sanitaria Locale Foggia; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore la dott.ssa Maria Grazia D’Alterio; Uditi nella camera di consiglio del giorno 25 marzo 2015 uditi per le parti i difensori avv.ti Libera Valla, per delega dell’avv. Giacomo Valla; Nino Sebastiano Matassa; Visto l’art. 36, co. 2, cod. proc. amm.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Con ricorso passato per la notifica il 13 novembre 2014 e depositato il successivo 14 novembre 2014, La Lucente s.p.a., impresa di pulizia e servizi integrati – multiservizi, ha chiesto accertarsi il suo diritto, e disporsi la condanna dell’ASL FG, al pagamento della somma di € 165.828,19 oltre accessori, a titolo di revisione prezzi, previa eventuale declaratoria dell’illegittimità del silenzio serbato dall’Amministrazione. Ha premesso in fatto la ricorrente, di essersi aggiudicata il servizio di pulizia, sanificazione e sanitizzazione dei presidi aziendali e degli altri immobili compresi nell’ambito territoriale dell’ex AUSL FG/1, e di aver stipulato in data 19 febbraio 1999 il relativo contratto d’appalto, di durata triennale, per il corrispettivo pari a lire 1.307.737.848, successivamente prorogato fino al 29 gennaio 2004 con delibera dell’AUSL Foggia del 29 gennaio 2003, n. 168, ex art. 27, comma 6, L. n. 488/99. Ritenendo nelle more essersi verificati significativi mutamenti delle voci di costo, la Lucente s.p.a. aveva emesso la fattura n. 5230 del 30.11.2006, per l’importo sopra specificato, richiesto a titolo di revisione prezzi, che, pur non espressamente contestata, rimaneva inevasa. Ha riferito, in particolare, la ricorrente di aver calcolato gli aumenti facendo riferimento, per la voce “manodopera” alle tabelle nazionali FISE, per il personale dipendente di imprese di servizi di pulizia; per i costi relativi a macchinari, attrezzature, prodotti e spese generali, all’indice ISTAT relativo alla variazione dei prezzi per le famiglie di operai e impiegati. Al fine di conseguire il pagamento di quanto invano richiesto, La Lucente aveva adito il Tribunale di Foggia che, tuttavia, con sentenza n. 710 del 14.5.2013 aveva declinato la propria giurisdizione, in favore del Giudice amministrativo. Si è costituita per resistere al ricorso l’A.S.L. di Foggia, contestando la sussistenza dei presupposti per conseguire la richiesta revisione, sia in relazione al contratto originario che in relazione alla sua proroga, eccependo, in via gradata la prescrizione per i periodi anteriori al mese di settembre 2001. Alla Camera di Consiglio del 25 marzo 2015 la causa è stata trattenuta per la decisione, limitatamente alla domanda, così come proposta dalla ricorrente, di accertamento dell’illegittimità del silenzio inadempimento dell’Amministrazione intimata. La questione contenziosa posta all’esame del Tribunale attiene alla necessità della previa impugnazione del silenzio serbato dall’Amministrazione, ove la domanda principale della parte ricorrente sia volta ad ottenere l’accertamento della spettanza del richiesto adeguamento, con condanna dell’Amministrazione al pagamento delle somme conseguentemente dovute. In via preliminare giova precisare che può ritenersi pacifico che le domande introdotte dalla società ricorrente sono state correttamente incardinate avanti a questo Tribunale, in quanto rientranti nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, così come disegnata dall’art. 133 c.p.a., , comma 1, lett. e) n. 2, (ma già precedentemente attribuite a detta giurisdizione esclusiva ai sensi dell’art. 244, terzo comma, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163). Risulta dunque superato in subiecta materia il tradizionale criterio di riparto basato sulla consistenza della posizione giuridica soggettiva dedotta in giudizio (diritto soggettivo / interesse legittimo) ai fini del radicamento della giurisdizione, dovendosi ritenere devolute alla stessa autorità giurisdizionale amministrativa tutte le cause relative all’istituto della revisione prezzi negli appalti pubblici di servizi e forniture, ad esecuzione continuata o periodica, da quelle riguardanti l’an della pretesa a quelle attinenti al quantum dell’incremento spettante all’impresa appaltatrice, con conseguente potere del giudice amministrativo di conoscere sia della spettanza che della misura della revisione, con possibilità di emettere condanna al pagamento delle relative somme. Il giudizio sulla revisione prezzi, dunque, finisce per riguardare funditus il rapporto tra le parti, estendendosi all’esame di ogni domanda, comunque formulata, quale: spettanza del compenso revisionale; accertamento della misura del canone; inadempimento delle obbligazioni; contestazioni della clausola revisionale e della sua efficacia. Il Collegio non ignora che secondo un orientamento giurisprudenziale, pur alla luce delle richiamate novità in punto di giurisdizione esclusiva, la domanda giudiziale deve essere definita secondo un’indagine di tipo bifasico, ossia prima volta all’accertamento dei presupposti per il riconoscimento del compenso revisionale – aspetto per il quale è consentito il giudizio impugnatorio riferito all’atto autoritativo della P.A. ed al suo surrogato costituito dal silenzio rifiuto – e poi alla verifica del “quantum debeatur” secondo meccanismi propri della tutela delle posizioni di diritto soggettivo (cfr., in tal senso “ex multis”, TAR Lazio, Sez. Seconda Quater, 13 aprile 2015, n. 5360; Sez. III, 15 giugno 2012 n.5505), tuttavia si ritiene che il citato orientamento possa essere rimeditato alla luce delle seguenti osservazioni. Giova premettere che già in ordine alla qualificazione della natura della posizione giuridica soggettiva, è stato osservato (cfr. Tar Sicilia, Palermo, sez. III, 09/03/2015, n. 638) che “secondo un primo orientamento giurisprudenziale, più risalente nel tempo, nelle controversie in materia di revisione prezzi un vero e proprio diritto alla revisione sarebbe configurabile solo ove l’Amministrazione lo abbia formalmente e positivamente riconosciuto e, quindi, si controverta unicamente in relazione al quantum delle somme dovute (così Cons. Stato, sez. V 3 agosto 2012, n. 4444). Viceversa, laddove la pretesa abbia ad oggetto la stessa spettanza della revisione prezzi, il suo riconoscimento costituirebbe facoltà discrezionale dell’Amministrazione, sicchè la situazione vantata dal privato avrebbe consistenza di interesse legittimo (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 12 maggio 2008 n. 2191; Sez. V, 16 novembre 2007 n. 5831; Cassazione, Sez. Unite, 13 settembre 2005, n. 18126 e 24 aprile 2002, n. 6034). ¦ Secondo un diverso orientamento, l’art. 115 del codice degli appalti, che riprende la previsione di cui all’art. 6, comma 4, l. 537 del 1993, avrebbe stabilito una sequenza che vede come obbligatoria non soltanto l’indicazione nel contratto della clausola di revisione (ovvero, in mancanza, l’inserzione automatica della clausola di revisione) ma anche la sua applicazione. Secondo tale diversa opzione ermeneutica, la revisione deve essere sempre operata, non essendovi alcuna discrezionalità dell’amministrazione in ordine all’an debeatur (così, C.G.A. 8 aprile 2014, n. 181; T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. III, 13 settembre 2013, n. 1926)”. A questo secondo orientamento il Collegio intende aderire, con le ulteriori conseguenze che si vanno ad esporre in relazione alla questione problematica di cui in premessa. La pretesa azionata con il ricorso in esame si fonda sulle disposizioni di cui all’art. 115 del decreto legislativo n. 163 del 2006, per cui “Tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo. La revisione viene operata sulla base di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell’acquisizione di beni e servizi sulla base dei dati di cui all’articolo 7, comma 4, lettera c) e comma 5”. Nella giurisprudenza amministrativa è ormai costante l’affermazione secondo cui la predetta norma (che riprende la formulazione già contenuta nell’art. 6 della legge 24 dicembre 1993 n. 537) ha carattere imperativo, in quanto attinente all’ordine pubblico-economico, sicchè la stessa si sostituisce di diritto ad eventuali pattuizioni contrarie (o mancanti) nei contratti pubblici di appalti di servizi e forniture ad esecuzione periodica o continuativa (cfr., “ex multis”, Consiglio Stato, Sez. V, 20 agosto 2008 n. 3994, 16 giugno 2003 n. 3373, 19 febbraio 2003 n. 916 e 8 maggio 2002 n. 2461). La ratio della normativa in esame è stata rinvenuta nell’esigenza di munire i contratti di forniture e servizi di un meccanismo che, a cadenze determinate, comportasse la definizione di un “nuovo” corrispettivo per le prestazioni oggetto del contratto riferito alla dinamica dei prezzi registrata in un dato arco temporale di riferimento, con beneficio di entrambi i contraenti, poichè l’appaltatore vede ridotta, anche se non eliminata, l’alea propria dei contratti di durata, e la stazione appaltante vede diminuito il pericolo di un peggioramento di una prestazione divenuta onerosa o, addirittura, di un rifiuto dell’appaltatore a proseguire nel rapporto, con inevitabile compromissione degli interessi pubblici (Cons. St., Sez. III, 9.4.2014 n. 1697). Nel caso di specie l’art. 11 del contratto d’appalto stipulato tra le parti in causa, prevedeva testualmente “Ai prezzi di contratto potranno essere applicate le norme stabilite dall’art. 44, comma 4 e 6 della L. 23 dicembre 1994 n. 724 o previste da leggi successive”. Sebbene il riconoscimento del diritto alla revisione prezzi sia posto in termini di mera eventualità dal contratto di appalto in esame, l’articolato in questione va letto alla luce del richiamato consolidato orientamento, per cui l’articolo 6 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, ora art. 115 del d.lgs. n. 163/06, detta una disciplina speciale circa il riconoscimento della revisione prezzi nei contratti stipulati dalla p.a. che prevale su quella generale di cui all’articolo 1664 del codice civile, in quanto avente natura imperativa, imponendosi, pertanto, nelle pattuizioni private, integrandone e modificandone il contenuto contrastante con la stessa, attraverso il meccanismo di cui all’articolo 1339 del codice civile, con conseguente nullità parziale ex art. 1419 del codice civile delle clausole difformi (Cons. di St., sez. V, 24 gennaio 2013, n. 465; TAR Puglia, Lecce, sez. II, 3 giugno 2013, n. 1293 e sez. III, 13 dicembre 2010, n. 2826; T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. II, 10 aprile 2013, n. 405). La giurisprudenza, ha anche chiarito che, poichè la disciplina legale dettata dall’articolo 6, commi 4 e 6 cit., non è mai stata attuata nella parte in cui prevede l’elaborazione, da parte dell’I.S.T.A.T., di particolari indici concernenti il miglior prezzo di mercato desunto dal complesso delle aggiudicazioni di appalti di beni e servizi, rilevate su base semestrale, la lacuna può essere colmata mediante il ricorso all’indice F.O.I. (indice di variazione dei prezzi per le famiglie di operai e impiegati), mensilmente pubblicato dall’ISTAT. L’utilizzo di tale parametro non esime, tuttavia, la stazione appaltante dal dovere di istruire il procedimento tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto al fine di esprimere la propria determinazione tecnico-discrezionale, ma segna il limite massimo oltre il quale, salvo circostanze eccezionali che devono essere provate dall’impresa, non può spingersi nella determinazione del compenso revisionale (T.A.R. Lazio, Latina, sez. I, 11 marzo 2013, n. 215; T.A.R. Puglia, Bari, sez. I, 2 febbraio 2012, n. 272; T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 2 marzo 2010, n. 3247; Cons. di St., sez. VI, 15 maggio 2009, n. 3003; sez. V, 9 giugno 2009 n. 3569 e 20 agosto 2008 n. 3994). Pertanto, eccettuato il tipo di indice da applicare, quanto al resto riprendere vigore la disciplina vincolistica di legge; non residuando spazio per la libertà negoziale. E’ stato perspicuamente osservato che la revisione non è discrezionale nell’an pur se lo sia nel quomodo (Cons. di St. VI, 27 novembre 2012, n. 5997). Nel caso di specie, benchè la revisione prezzi sia posta in contratto come mera eventualità , non può negarsi che la speciale disciplina di settore prevalga sul regime generale di cui all’art. 1664 c.c. (TAR Lazio, n. 4996/2009) e si imponga con forza cogente e valore eterointegrativo sulla disciplina contrattuale concordata tra le parti. Ne consegue, per quanto in questa fase rileva, che la controversia finisce per involgere anzitutto questioni di diritto soggettivo, afferenti a pretese di natura patrimoniale, trattandosi di appurare se in concreto possano dirsi inverati i presupposti, già determinati ex lege (ma la cui ricorrenza è tuttavia contestata dall’Amministrazione) in presenza dei quali va senz’altro riconosciuto il diritto al compenso revisionale. Va da sè che non v’è ragione per ritenere necessario procedere alla preliminare pronuncia in ordine al silenzio serbato dall’Amministrazione sull’istanza della ricorrente. Del resto, secondo pacifici principi giurisprudenziali, l’impugnazione del silenzio – rifiuto, presupponendo in capo all’istante la titolarità di una situazione di interesse legittimo connessa all’esercizio di poteri autoritativi, il cui inadempimento si tratti di accertare (ex multis, C.d.S., sez. IV, 20 luglio 2005, n. 3909; 8 maggio 2003, n. 2421; 17 giugno 2003, n. 3408), non risulta compatibile con le controversie che solo apparentemente hanno per oggetto un’inerzia dell’amministrazione, come nell’ipotesi di accertamento di pretese patrimoniali, quand’anche rientranti nelle materie affidate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, trattandosi di ricorsi soggetti agli ordinari termini di prescrizione (C.d.S., sez. IV 22 maggio 2006, n. 3009; sez. VI, 22 settembre 2002, n. 4824; 7 maggio 2003, n. 2412; 10 giugno 2003, n. 3279). Alla luce di tale premessa, tenuto conto delle singolarità della fattispecie all’esame del Collegio, va dichiarata inammissibile l’istanza per la declaratoria dell’illegittimità del silenzio – rifiuto serbato dall’Amministrazione, così come formulata dalla ricorrente. Deve inoltre disporsi il mutamento del rito ai fini dell’esame, con il rito ordinario, delle ulteriori domande proposte. La decisione sulle spese può essere demandata alla sentenza definitiva. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Prima), non definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, dichiara inammissibile l’istanza per la declaratoria dell’illegittimità del silenzio serbato dall’Amministrazione. Dispone la prosecuzione della causa con il rito ordinario per l’esame delle ulteriori domande. Spese al definitivo. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 25 marzo 2015 con l’intervento dei magistrati: Corrado Allegretta, Presidente Francesco Cocomile, Primo Referendario Maria Grazia D’Alterio, Referendario, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA |