Pubblica sicurezza – Extracomunitari – Permesso di soggiorno – Istanza – Commissione di reati con arresto in flagranza –  Condanna penale – Presunzione legislativa di pericolosità  sociale – Sussiste 

àˆ legittimo il provvedimento di rigetto della richiesta di permesso di soggiorno, in presenza di una condanna anche non definitiva per i reati per i quali l’art. 380 c.p.c. prevede l’arresto in flagranza, in applicazione degli artt. 4 e 5 del d.lgs 25 luglio 1998, n. 286. Ed invero, il legislatore fa discendere dal compimento di tali reati, il giudizio presunto di pericolosità  sociale e di minaccia per l’ordine pubblico, in considerazione della gravità  degli stessi anche sul piano penale o in relazione al particolare allarme sociale che provocano nella comunità , tale per cui può ritenersi ragionevole l’automatismo esplusivo. (Nella specie l’istante aveva patteggiato la pena, ex art. 444 c.p.p. per tentata rapina, lesioni personali e danneggiamento).

N. 00763/2015 REG.PROV.COLL.
N. 00722/2010 REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 722 del 2010, proposto da: 
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avv. Uljana Gazidede, con domicilio eletto presso il suo studio in Bari, Via Calefati, 269; 
contro
Questura di Bari, Ministero dell’Interno, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari, domiciliataria in Bari, Via Melo, 97; 
per l’annullamento
– del provvedimento Cat. A.11/2010/Imm. n. 23/P.S. del Questore di Bari adottato il 26.03.2010 e notificato il 29.04.2010, con cui è stato rifiutato al ricorrente il rilascio del permesso di soggiorno;
– di ogni altro atto ad esso presupposto, connesso e consequenziale.
 

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Questura di Bari e del Ministero dell’Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 52 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, commi 1 e 2;
Relatore nell’Udienza Pubblica del giorno 19 marzo 2015 la dott.ssa Paola Patatini e udito per le Amministrazioni il difensore avv. dello Stato Giovanni Cassano;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 

FATTO
Col presente gravame, il ricorrente ha chiesto l’annullamento del diniego al rilascio in suo favore del permesso di soggiorno per lavoro subordinato, emesso dal Questore di Bari in considerazione della condanna riportata dallo stesso per i reati di tentata rapina, lesioni personali e danneggiamento, in concorso tra loro, con patteggiamento di pena ex art.444 c.p.p.
Avverso il provvedimento suddetto, la parte ha dedotto: violazione dell’art.4, DLgs 286/98; eccesso di potere per difetto di istruttoria e carenza di motivazione; sospetta incostituzionalità  dell’art.4, co. 3, Dlgs. 286/98; violazione art.10bis, l n. 241/90; violazione art.5, commi 5 e 9, D.lgs. 286/98.
Si sono costitute in giudizio le Amministrazioni intimate, chiedendo il rigetto della domanda proposta, previa reiezione dell’istanza cautelare incidentalmente avanzata col ricorso.
Con Ordinanza n.384 del 4.6.2010, la Sezione ha respinto la domanda di sospensione, non ravvisando la fondatezza del gravame.
Alla Pubblica Udienza del 19.3.2015, la causa è passata in decisione.
DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Il combinato disposto degli artt. 4 e 5 del D.lgs n. 286 del 1998 dispone che il rilascio del permesso di soggiorno sia rifiutato quando manchino i requisiti richiesti per l’ingresso ed il soggiorno nel territorio dello Stato, ossia quando lo straniero risulti, tra l’altro, “condannato, anche con sentenza non definitiva compresa quella adottata a seguito di applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell’art.444 c.p.p., per reati previsti dall’art.380, commi 1 e 2, c.p.p.”, ovvero quelli per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza di reato.
àˆ stato osservato (Cons. St., III Sezione, 1024/2015) che per tali reati, il giudizio di pericolosità  sociale e di minaccia per l’ordine pubblico è stato presunto dal legislatore, in considerazione della gravità  degli stessi anche sul piano penale o in relazione al particolare allarme sociale che provocano nella comunità .
Tale presunzione legislativa è stata inoltre ritenuta legittima dalla Corte Costituzionale, che, nella sentenza n. 148 del 2008, ha escluso che possa ritenersi manifestamente irragionevole condizionare l’ingresso e la permanenza dello straniero nel territorio nazionale alla circostanza della mancata commissione di reati di non scarso rilievo in quanto: ” La condanna per un delitto punito con la pena detentiva, la cui configurazione è diretta a tutelare beni giuridici di rilevante valore sociale – quali sono le fattispecie incriminatrici prese in considerazione dalla normativa censurata – non può, di per sè, essere considerata circostanza ininfluente ai fini di cui trattasi, al punto di far ritenere manifestamente irragionevole la disciplina legislativa che siffatta condanna assume come circostanza ostativa all’accettazione dello straniero nel territorio dello Stato. Si deve, inoltre, osservare che il rifiuto del rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno, previsto dalle disposizioni in oggetto, non costituisce sanzione penale, sicchè il legislatore ben può stabilirlo per fatti che, sotto il profilo penale, hanno una diversa gravità , valutandolo misura idonea alla realizzazione dell’interesse pubblico alla sicurezza e tranquillità , anche se ai fini penali i fatti stessi hanno ricevuto una diversa valutazione”.
La ragionevolezza dell'”automatismo espulsivo”, come riconosciuta dalla Corte Costituzionale nella sentenza 148/2008 e ribadita nella successiva pronuncia n.172/2012, rende dunque manifestamente infondato il profilo di illegittimità  costituzionale dell’art. 4, co. 3, del D.lgs. 286, sollevato dalla parte con riferimento agli artt. 3 e 27 della Cost.; nè può ritenersi rilevante la giurisprudenza citata dalla difesa ricorrente a sostegno della censura, essendo tutta antecedente l’intervento legislativo del 2009 (che ha invero integrato il disposto della norma in questione, prevedendo la condanna con “sentenza anche non definitiva”) nonchè le pronunce sopra citate della Corte.
Invero, l’orientamento giurisprudenziale consolidatosi sul punto è nel senso che le ipotesi di cui all’art.4, co. 3 precludano tassativamente il rilascio del permesso di soggiorno in favore del cittadino extracomunitario che sia incorso nei reati ivi previsti (ex plurimis, Cons. Stato, Sez. III, 112/2015).
Nel caso di specie il ricorrente, arrestato in flagranza di reato due settimane dopo il suo ingresso in Italia, è stato condannato, a seguito di patteggiamento, a due anni di reclusione e 800,00 euro di multa per i reati di tentata rapina, lesioni personali e danneggiamento, in concorso, con Sentenza n.187/2010 della Seconda Sezione Penale del Tribunale di Bari.
La rapina è uno di quei reati ostativi all’ingresso e permanenza in Italia, in quanto rientrante nella previsione dell’art.380, co.2, lett. f) c.p.p.
Ne deriva che l’Amministrazione non aveva alcuna discrezionalità  nell’adozione del provvedimento di rifiuto, nè poteva valutare ulteriori circostanze relative alla condotta successiva del condannato. La giurisprudenza si è infatti già  espressa nel senso che, nelle ipotesi in questione, le valutazioni circa gli elementi sopravvenuti di cui all’articolo 5, co. 5 del d.lgs. 286, possano riguardare unicamente fatti successivi relativi alla condanna riportata, quali dunque una sentenza di appello o di cassazione o di revisione, che faccia venir meno la condanna ostativa (Cons. Stato, III Sezione, 3996/2011), ipotesi tuttavia non verificatesi nella fattispecie.
Anche il richiamo alla particolare “clausola di salvaguardia” sulla necessità  di una valutazione circa la natura e l’effettività  dei vincoli famigliari dell’interessato e sociali col suo Paese, in sede di adozione del provvedimento di rifiuto, non appare rilevante, in quanto totalmente sfornito di elementi che possano invero provare l’eventuale ricorrenza di legami famigliari del ricorrente nel territorio nazionale o circostanze particolari in relazione al suo Stato di origine.
La doverosità  dell’atto impugnato, nei termini sopra esposti, rende infine infondata anche la censura sulla carenza di motivazione e la violazione dell’art.10bis, attesa, come vista, l’assoluta mancanza di margini di discrezionalità  in capo all’Autorità  di Pubblica Sicurezza.
Alla luce di quanto sopra esposto, il ricorso va dunque respinto.
Le spese seguono la soccombenza, da liquidarsi in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Bari, Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna il ricorrente al pagamento in favore delle Amministrazioni resistenti, delle spese processuali che liquida in euro 1500,00, oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità  amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti e della dignità  della parte interessata, per procedere all’oscuramento delle generalità  e degli altri dati identificativi del ricorrente, manda alla Segreteria di procedere all’annotazione di cui ai commi 1 e 2 della medesima disposizione, nei termini indicati.
Così deciso in Bari nella Camera di Consiglio del giorno 19 marzo 2015 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Antonio Pasca, Presidente
Giacinta Serlenga, Primo Referendario
Paola Patatini, Referendario, Estensore
 
 
 
 

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 21/05/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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