1. Espropriazione per pubblica utilità  – Occupazione sine titulo – Trasformazione del fondo  – Acquisizione della proprietà  da parte della p.a. – Esclusione – Domanda restitutoria – Fondatezza  
2. Espropriazione per pubblica utilità  – Occupazione sine titulo – Trasformazione del fondo  – Provvedimento di acquisizione in sanatoria – Liquidazione del danno da perdita della proprietà 
3. Risarcimento del danno – Occupazione sine titulo – Domanda – Liquidazione in misura forfettaria  – estensione analogica disciplina acquisizione sanante – Automaticità  – esclusione – prova del danno – Necessità     

1. In caso di occupazione sine titulo per tardività  del provvedimento di esproprio, ove il suolo sia stato trasformato a mezzo di opere anche irreversibili, la domanda restitutoria è fondata, in ossequio al principio secondo cui la proprietà  di un fondo, da espropriare per la realizzazione di un’opera pubblica, può trasferirsi in capo alla P.A. esclusivamente tramite i modi di acquisto previsti dalla legge, senza rilievo alcuno della mera detenzione di fatto e trasformazione del bene in assenza di un formale atto espropriativo (nella specie non è in dubbio che il decreto di esproprio emanato dopo cinque anni dall’occupazione d’utenza fosse tardivo  quindi illegittimo, determinando, pertanto, il consolidarsi un un’occupazione sine titulo). 
2. In caso di occupazione sine titulo per tardività  del provvedimento di esproprio, ove il suolo sia stato trasformato a mezzo di opere anche irreversibili, la proprietà  permane comunque in capo ai proprietari originari e ciò esclude concettualmente la risarcibilità  del danno da perdita della proprietà . L’Amministrazione può sanare tale situazione di fatto solo emanando un provvedimento di acquisizione postuma del bene, ai sensi dell’art. 42 bis d.P.R. n. 327/2001, che comporta per sua stessa natura la definitiva perdita della proprietà . Unicamente in tal caso la stessa P.a. si dovrà  preoccupare di liquidare il danno da perdita della proprietà  nella misura del valore venale del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità , ai sensi del comma 3 della citata disposizione.
3. In caso di occupazione sine titulo per tardività  del provvedimento di esproprio, la domanda ricarcitoria del danno patrimoniale e non patrimoniale subito dal proprietario deve essere provata nell’an e nel quantum, non potendosi estendere, in caso contrario, la disciplina della liquidazione forfettaria del danno di cui all’art. 42 bis del d.P.R. n. 327/2001, in quanto detta disposizione non stabilisce in via automatica l’esistenza del danno da fatto illecito. Peraltro, il criterio di quantificazione forfettario ivi previsto al comma 3 è di natura eccezionale e pertanto non suscettibile di applicazione estensiva in via analogica.

N. 00745/2015 REG.PROV.COLL.
N. 00980/2011 REG.RIC.
N. 00247/2013 REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 980 del 2011, proposto da Loiacono Chiara Maria, Mirizzi Vittoria, Mirizzi Amelia e Mirizzi Francesca, rappresentate e difese dagli avv.ti Alberto Maria De Giosa e Francesco De Robertis, con domicilio eletto presso il primo in Bari, corso Sonnino, 8;

contro
Città  Metropolitana di Bari (già  Amministrazione provinciale di Bari), rappresentata e difesa dall’avv. Giovanni Vittorio Nardelli, con domicilio eletto in Bari, via Melo da Bari, 166;



sul ricorso numero di registro generale 247 del 2013, proposto da Loiacono Chiara Maria, Mirizzi Vittoria, Mirizzi Amelia e Mirizzi Francesca, rappresentate e difese dagli avv.ti Alberto Maria De Giosa e Francesco De Robertis, con domicilio eletto presso il primo in Bari, corso Sonnino, 8;

contro
Città  Metropolitana di Bari (già  Amministrazione provinciale di Bari), rappresentata e difesa dall’avv. Giovanni Vittorio Nardelli, con domicilio eletto in Bari, via Melo da Bari, 166;
Comune di Bari, rappresentato e difeso dall’avv. Alessandro Labellarte, con domicilio eletto presso l’Avvocatura comunale in Bari, via Principe Amedeo, 26;

per la condanna,
quanto al ricorso n. 980 del 2011,
della Città  Metropolitana di Bari (già  Provincia di Bari) al risarcimento per equivalente dei danni derivanti dall’illegittima occupazione di aree di proprietà  delle ricorrenti e dal mancato godimento delle aree per tutto il periodo di occupazione illecita, oltre rivalutazione monetaria ed interessi dalla data del 22.11.2000 sino al soddisfo;
quanto al ricorso n. 247 del 2013,
della Città  Metropolitana di Bari (già  Provincia di Bari) e del Comune di Bari, in solido tra loro, al risarcimento per equivalente dei danni derivanti dall’illegittima occupazione di aree di proprietà  delle ricorrenti e dal mancato godimento delle aree per tutto il periodo di occupazione illecita, oltre rivalutazione monetaria ed interessi dalla data del 22.11.2000 sino al soddisfo;
e per la condanna della Città  Metropolitana di Bari (già  Provincia di Bari) e del Comune di Bari, in solido tra loro, al pagamento dell’indennizzo forfettariamente determinato dall’art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001 in misura pari al 10% del valore venale del bene;
in subordine, per la condanna degli Enti resistenti alla restituzione dei suoli ai proprietari, previo ripristino del loro stato;
 

Visti i ricorsi e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Bari, della Città  Metropolitana di Bari e del Comune di Bari;
Vista la domanda di manleva e l’istanza di chiamata in garanzia formulata dalla Provincia di Bari depositata in data 8.4.2013;
Vista la comparsa di costituzione in prosecuzione della Città  Metropolitana di Bari depositata in data 6.3.2015;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore il dott. Francesco Cocomile e uditi nell’udienza pubblica del giorno 11 marzo 2015 per le parti i difensori avv.ti Alberto Maria De Giosa, Francesco De Robertis, Giovanni Vittorio Nardelli e Augusto Farnelli, su delega dell’avv. Alessandro Labellarte;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
 

FATTO e DIRITTO
La presente controversia ha ad oggetto l’illegittima espropriazione di un fondo di proprietà  delle odierne ricorrenti, sito in Bari alla Contrada Barone (via Raffaele Bovio), censito in catasto al foglio 50, p.lle 105 (mq 2606) e 182 (mq 330), individuato dalla Provincia di Bari quale suolo idoneo per la costruzione di un Istituto Tecnico Commerciale di n. 25 aule e di un Liceo Scientifico di n. 46 aule.
Con deliberazioni nn. 2033 e 2034 del 29.7.1992 la Giunta Provinciale di Bari approvava il progetto esecutivo per la realizzazione dei due istituti scolastici summenzionati.
Prendendo atto della scadenza dei vincoli imposti dal PRG, il Consiglio Comunale, con la deliberazione n. 139 del 29.8.1994, provvedeva a riadottare, in variante al PRG, il progetto esecutivo, ai sensi dell’art. 37 legge Regione Puglia n. 27/1985.
Con deliberazione n. 1174 del 27.4.1995, la Regione Puglia approvava la variante.
Con deliberazione della Giunta Provinciale n. 1635 del 29.6.1995 venivano fissati i termini per i lavori e per le espropriazioni: in particolare, per questi ultimi, si prevedeva che dovessero trovare completamento entro quattro anni dalla data di esecutività  della deliberazione.
Con decreto n. 41/95 Rip.LL.PP./Sez. Espropriazioni del 17.10.1995, il Comune di Bari autorizzava l’occupazione temporanea d’urgenza delle aree necessarie per la costruzione dell’edificio scolastico di n. 46 aule da destinarsi a Liceo scientifico, tra le quali figurano anche quelle delle sigg.re Loiacono/Mirizzi (individuate nel decreto, all’art. 1, come ditta Mirizzi Pietro).
All’art. 4 del detto decreto n. 41/95 era previsto che l’occupazione d’urgenza dovesse avere inizio entro tre mesi dal 10.10.1995 (data di esecutività  della deliberazione di G.M. n. 4595 del 10.10.1995 con cui era stata autorizzata l’occupazione d’urgenza nonchè l’emissione del decreto di occupazione) e che non potesse protrarsi oltre cinque anni decorrenti dalla effettiva occupazione degli immobili.
L’immissione nel possesso avveniva in data 23.11.1995.
Nelle more, la Giunta Provinciale, dapprima con deliberazione n. 1192 del 13.6.1996, successivamente con deliberazione n. 195 del 25.2.1997, procedeva a prorogare i termini di inizio e compimento delle espropriazioni, prevedendo, da ultimo, che questi dovessero essere di quattro anni decorrenti dalla data di esecutività  della delibera n. 195/1997 (11.3.1997).
Per quanto specificamente riguarda le aree delle ricorrenti, l’opera pubblica veniva realizzata durante il periodo di occupazione di urgenza, senza che nel quinquennio fosse intervenuto il decreto di esproprio.
Con decreto n. 23 del 24.6.1998, veniva determinata l’indennità  provvisoria di espropriazione, ordinandosi di depositare, in favore delle interessate, la somma di £. 36.144.178 per la particella n. 105 e di £. 4.576.968 per la particella n. 182, per un totale complessivo di £. 40.721.146.
Da ultimo, ben oltre il termine di scadenza dell’occupazione d’urgenza (22.11.2000) ed il termine di scadenza della dichiarazione di pubblica utilità  (11.3.2001), in data 7.9.2001, il Comune di Bari procedeva ad adottare il decreto di esproprio n. 338/2001.
A seguito delle richieste della concessionaria Ing. Orfeo Mazzitelli, alla quale era stata affidata in concessione l’esecuzione dell’opera pubblica, con decreto n. 57 del 18.9.1996, il Comune di Bari aveva autorizzato l’occupazione di ulteriori e diverse particelle, che nulla hanno a che fare con i suoli per cui oggi è causa di proprietà  delle ricorrenti.
Le sigg.re Loiacono/Mirizzi all’indomani della scadenza del periodo di occupazione d’urgenza, senza che fosse ancora intervenuto il decreto di esproprio, proponevano giudizio innanzi al Tribunale civile di Bari per sentire accogliere le seguenti conclusioni:
«1) accertare e dichiarare l’intervenuto trasferimento in favore della Provincia di Bari, del suolo di proprietà  delle attrici di cui in narrativa;
2) accertare e dichiarare la illegittimità  di tale acquisto della proprietà  predetta e condannare quindi la Provincia a risarcire il danno conseguitone alle attrici, pari al valore di mercato del suolo e delle opere ivi insistenti, nonchè il danno derivato dalla mancata disponibilità  del suolo, dalla data di occupazione sino alla ablazione;
3) in via del tutto subordinata, e salvo gravame, determinare le indennità  di espropriazione ed occupazione dovute dalla Provincia di Bari in favore delle deducenti per entrambi i fondi espropriati, ivi comprendendo la valutazione della recinzione insistente sui predetti suoli; il tutto oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dall’occupazione sino all’effettivo soddisfo;
4) condannare la convenuta al pagamento delle spese di lite.».
Il relativo giudizio era rubricato con il numero di r.g. n. 3051/01.
In detto giudizio il Tribunale civile di Bari, Sez. III, con sentenza n. 3059 del 23.11.2010, comunicata alle parti in data 3.12.2010, accogliendo le preliminari eccezioni sollevate in quella sede dalla convenuta Provincia di Bari, da un lato, dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore del giudice amministrativo in relazione alle domande 1) e 2) dell’atto di citazione, come meglio sopra indicate, e, dall’altro, si dichiarava incompetente funzionalmente sulla domanda 3) dell’atto di citazione.
Pertanto, con riferimento alla domanda risarcitoria per la quale il Tribunale ordinario si dichiarava sfornito di giurisdizione, con atto di ricorso in riassunzione r.g. n. 980/2011 del 18.5.2011 le ricorrenti adivano questo T.A.R. al fine di sentire condannare la Provincia di Bari al risarcimento per equivalente monetario del pregiudizio derivante dall’illegittima occupazione dei suoli di proprietà , in misura pari al valore venale degli stessi, come conseguenza della realizzazione sui detti suoli dell’opera pubblica (scuola), nonchè al risarcimento derivante del danno derivante dal mancato godimento delle aree di proprietà  per il periodo di occupazione illecita.
Nel corso del giudizio r.g. n. 980/2011 il Tribunale con ordinanza n. 1207/2012 del 19.6.2012, disponeva CTU ed il consulente nominato da ultimo provvedeva a depositare l’elaborato peritale in data 29.1.2013.
Con ricorso r.g. n. 247/2013 le istanti proponevano identica domanda nei confronti del Comune di Bari e della Provincia di Bari, chiedendone la condanna in solido al risarcimento dei danni patiti (sub specie di danno da perdita della proprietà , danno da mancato godimento per il periodo di illecita occupazione e pregiudizio non patrimoniale), invocando, in subordine, la restituzione dei suoli previo ripristino del loro stato.
Con atto di costituzione e controricorso depositato in data 8 aprile 2013 nell’ambito del giudizio r.g. n. 247/2013 la Provincia di Bari proponeva domanda di manleva e istanza di chiamata in garanzia al fine di far accertare che la causazione dei danni è ascrivibile, in tutto o in parte, alla condotta del Comune di Bari e, per, l’effetto condannare il Comune di Bari a rifondere direttamente alle ricorrenti le somme eventualmente individuate a tale titolo dal Tribunale e per le quali la stessa Provincia di Bari dovesse essere condannata.
Con ordinanza n. 1414 del 18.10.2013 questo Tribunale disponeva la riunione dei ricorsi r.g. n. 980/2011 e n. 247/2013 (per ragioni di evidente connessione oggettiva e soggettiva, avendo ad oggetto la stessa pretesa risarcitoria) ed ordinava integrazione della CTU da svolgersi in contraddittorio con la Provincia di Bari e con il Comune di Bari, quest’ultimo costituitosi nel giudizio di cui al ricorso n. 247/2013.
In data 30.4.2014 il consulente tecnico depositava la relazione finale.
Con comparsa di costituzione in prosecuzione depositata in data 6.3.2015 nell’ambito dei giudizi r.g. n. 980/2011 e r.g. n. 247/2013 si costituiva la Città  Metropolitana di Bari subentrata alla Provincia di Bari a norma dell’art. 1, comma 16 legge n. 56/2014.
Ai fini della completa ricostruzione della vicenda in punto di fatto, peraltro, va evidenziato che all’indomani dell’emanazione del decreto di esproprio n. 338 del 7.9.2001, le ricorrenti si erano attivate per impugnare tempestivamente detto provvedimento dinanzi a questo T.A.R.
Il relativo giudizio veniva rubricato con il n. di r.g. 1881/2001.
Detto ultimo giudizio veniva deciso dalla Sez. I di questo T.A.R. con sentenza n. 1015 del 24.5.2012, non impugnata e passata in giudicato, che annullava il decreto di esproprio del Comune di Bari n. 338 del 7.9.2001, in quanto adottato quando erano ormai decorsi sia il termine di scadenza dell’occupazione di urgenza, che quello di scadenza della successiva proroga.
Il suolo di proprietà  delle ricorrenti risulta, inoltre, irreversibilmente trasformato per l’avvenuta realizzazione dell’opera pubblica.
Ciò premesso in punto di fatto, ritiene questo Collegio che i due ricorsi riuniti siano parzialmente fondati, nei limiti di seguito precisati.
Il decreto di esproprio n. 338 del 7.9.2001 (annullato con sentenza n. 1015/2012) è stato, come visto, adottato ben oltre la data del 22.11.2000 entro cui si è concluso il quinquennio di occupazione di urgenza.
Tale occupazione, alla scadenza del termine quinquennale, cioè in data 22.11.2000, in assenza della tempestiva adozione del decreto di espropriazione, risulta, pertanto, priva di alcun titolo legittimante.
Va, dunque, considerata sine titulo.
Indubbi sono, pertanto, nella fattispecie oggetto del presente giudizio la sussistenza, sul piano oggettivo, del fatto illecito ex art. 2043 cod. civ. posto in essere dagli Enti evocati in giudizio ed il nesso di causalità  con il danno da occupazione illecita delle particelle oggetto di causa.
Altrettanto chiara è la sussistenza dell’elemento soggettivo dell’illecito aquiliano in capo alle Amministrazioni, valutato alla stregua dei criteri elaborati dalla giurisprudenza per il giudizio sulla colpa della P.A.
Secondo l’orientamento prevalente, al privato non è chiesto un particolare sforzo probatorio, potendo invocare l’illegittimità  del provvedimento quale presunzione (semplice) della colpa.
Spetta a tal punto all’Amministrazione dimostrare che si è trattato di un errore scusabile, configurabile, ad esempio, in caso di contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di rilevante complessità  del fatto, d’influenza determinante di comportamenti di altri soggetti, d’illegittimità  derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità  della norma applicata (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 12 febbraio 2013, n. 798; Cons. Stato, Sez. V, 19 novembre 2012, n. 5846; Cons. Stato, Sez. V, 14 settembre 2012, n. 4894; T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, 18 marzo 2015, n. 422).
In concreto, nessuna perplessità  suscita la circostanza della adozione tardiva del decreto di esproprio.
Ricorre, quindi, nel caso concreto quell’inescusabilità  dell’errore amministrativo che integra la fattispecie risarcibile. Nè parte resistente ha dedotto alcun elemento a propria discolpa.
La domanda restitutoria (pur se formulata in via subordinata nell’ambito del giudizio successivamente riunito r.g. n. 247/2013) è fondata, essendo escluso che la trasformazione del fondo (anche con opere irreversibili) possa – alla luce della più recente giurisprudenza (ex multis Corte Cost., 4 ottobre 2010, n. 293; Cons. Stato, Sez. IV, 3 ottobre 2012, n. 5189; T.A.R. Puglia, Bari, Sez. II, 30 gennaio 2014, n. 142; T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III, 24 febbraio 2015, n. 350; T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III, 9 aprile 2015, n. 563) – determinare la perdita di proprietà  in capo al privato e l’acquisto in favore della mano pubblica.
In proposito, la Sezione condivide il principio secondo cui la proprietà  di un fondo da espropriare per la realizzazione di un’opera pubblica può trasferirsi in capo alla P.A. esclusivamente tramite i modi di acquisto previsti dalla legge, senza rilievo alcuno della mera detenzione di fatto e trasformazione del bene in assenza di un formale atto espropriativo.
Del resto in tal senso depone la costante giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (v. Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, sentenza del 6 marzo 2007, caso Scordino n. 3 c. Italia: “¦ In tutti i casi in cui un terreno è già  stato oggetto d’occupazione senza titolo ed è stato trasformato pur in mancanza di un decreto d’espropriazione, la Corte ritiene che lo Stato convenuto dovrebbe eliminare gli ostacoli giuridici che impediscono sistematicamente e per principio la restituzione del terreno. ¦”).
Qualora il terreno sia detenuto (ed eventualmente trasformato, come nel caso di specie) in assenza dell’atto ablativo, l’Amministrazione può sanare tale situazione di fatto solo emanando un provvedimento di acquisizione postuma del bene, attualmente ai sensi dell’art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001, introdotto dall’art. 34, comma 1 decreto legge n. 98/2011, convertito, con modificazioni, nella legge n. 111/2011, dopo la declaratoria di incostituzionalità  per eccesso di delega (con sentenza n. 293/2010) del previgente art. 43 d.p.r. n. 327/2001.
Per questi motivi la domanda di cui al ricorso r.g. n. 247/2013 finalizzata alla restituzione del bene, previo ripristino dei luoghi, va accolta.
L’accoglimento della suddetta domanda restitutoria, pur se formulata in via subordinata nell’ambito del giudizio r.g. n. 247/2013, implica che non debba comunque procedersi all’esame della richiesta di risarcimento del danno da perdita della proprietà  formulata a pag. 13 dell’atto introduttivo sempre del giudizio r.g. n. 247/2013 (cfr. T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, 3 maggio 2013, n. 684; T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III, 24 febbraio 2015, n. 350).
In definitiva, la constatazione della permanenza della proprietà  in capo agli originari proprietari in uno all’accoglimento della domanda restitutoria fa sì che non vi sia mai stata ab origine una perdita della proprietà  e quindi esclude concettualmente la risarcibilità  del danno da perdita della proprietà .
Unicamente nel caso in cui l’Amministrazione adotti il provvedimento di esproprio in sanatoria di cui all’art. 42bis (provvedimento che comporta per sua stessa natura la definitiva perdita della proprietà ), la stessa P.A. si dovrà  preoccupare di liquidare il danno da perdita della proprietà  nella misura determinata dal comma 3 della disposizione (i.e. valore venale del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità ).
In merito alla ulteriore domanda di risarcimento del danno patrimoniale conseguente al mancato godimento del fondo nel periodo in cui è stato occupato illegittimamente (cioè dalla data di scadenza dell’occupazione di urgenza, avvenuta il 22.11.2000) ed al danno non patrimoniale, va osservato quanto segue.
In linea con l’orientamento di questo Tribunale (cfr. T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III, 24 febbraio 2015, n. 350; T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III, 9 aprile 2015, n. 563) e del Consiglio di Stato (Cons. Stato, Sez. IV, 9 gennaio 2013, n. 76; Cons. Stato, Sez. IV, 20 dicembre 2013, n. 6164) si deve ritenere che non sussista alcun automatismo tra il criterio di liquidazione dell'”indennizzo” di cui all’art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001 (che dovrà  utilizzare l’Amministrazione laddove decida di adottare il provvedimento di esproprio in sanatoria / acquisizione sanante) ed il risarcimento del danno invocato in questa sede dalle ricorrenti, a fronte di un illecito aquiliano posto in essere dalla P.A., stante anche la diversità  ontologica esistente tra il pregiudizio di cui all’art. 42 bis ed il danno da illecito aquiliano.
Come evidenziato da T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III, 24 febbraio 2015, n. 350 e da T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III, 9 aprile 2015, n. 563 l’impossibilità  dell'”automatismo risarcitorio” deriva dalla peculiarità  dell’istituto di cui all’art. 42 bis avente chiara natura eccezionale e, quindi, non suscettibile di estensione analogica.
Ne consegue che ciò che la disposizione in commento stabilisce in via forfettaria è la liquidazione (quantum), cioè la misura dell’indennizzo, ma non l’esistenza del danno da fatto illecito.
In una controversia nell’ambito della quale la ricorrente aveva omesso di dimostrare il danno subito (danno patrimoniale conseguente al mancato godimento del fondo nel periodo in cui è stato occupato illegittimamente e danno non patrimoniale), questo Tribunale (cfr. T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III, 24 febbraio 2015, n. 350; T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III, 9 aprile 2015, n. 563) ha quindi evidenziato:
«Per tale ragione, in assenza della dimostrazione, sia pure in via presuntiva ¦, del danno patito, non potrà  procedersi ad alcuna liquidazione forfettaria».
Inoltre, Cons. Stato, Sez. IV, 9 gennaio 2013, n. 76 ha rimarcato, con specifico riferimento al “pregiudizio non patrimoniale”, come la disposizione di cui all’art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001 si rivolga non già  al giudice del risarcimento (i.e. il giudice amministrativo nel caso di specie), bensì alla P.A. e precisamente alla “autorità  che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico”.
Sarà  detta Autorità  amministrativa a dover liquidare l’indennizzo per le voci indicate dall’art. 42 bis, potendo il giudice amministrativo solo in via successiva ed eventuale valutare la legittimità  dell’attività  posta in essere su ricorso della parte che si ritiene lesa.
Pertanto, anche il Consiglio di Stato, nella menzionata decisione, esclude alcuna automatica attribuzione di una somma dovuta a titolo di risarcimento del pregiudizio non patrimoniale, dovendo in ogni caso accertarsi la sussistenza e la natura di detto pregiudizio, nonchè la sussistenza di un nesso di causalità  che consenta di attribuire il detto pregiudizio all’attività  e/o ai comportamenti della pubblica amministrazione (detto principio di diritto è stato ribadito da Cons. Stato, Sez. IV, 20 dicembre 2013, n. 6164).
Conclude, condivisibilmente, il Consiglio di Stato nel senso di escludere una immediata operatività  dei criteri di cui all’art. 42 bis, con particolare riferimento al criterio di liquidazione del pregiudizio non patrimoniale, relativamente al giudizio risarcitorio e quindi nel senso della necessità  di una domanda di parte, supportata da idonea prova, al fine di conseguire in detto giudizio il risarcimento.
Il ragionamento operato dal Consiglio di Stato (Cons. Stato, Sez. IV, 9 gennaio 2013, n. 76; Cons. Stato, Sez. IV, 20 dicembre 2013, n. 6164), in relazione al pregiudizio non patrimoniale, di cui al comma 1 dell’art. 42 bis, è chiaramente estensibile, per identità  di ratio, anche al danno da occupazione senza titolo, il cui criterio di quantificazione forfettaria è codificato dal comma 3, secondo periodo.
L’esclusione dell’automatismo si giustifica anche in considerazione della necessità  di evitare inammissibili duplicazioni nella liquidazione del pregiudizio patito (in particolare le due voci del danno patrimoniale conseguente al mancato godimento del fondo nel periodo in cui è stato occupato illegittimamente e del danno non patrimoniale) una prima volta ad opera del giudice amministrativo investito della controversia risarcitoria, e successivamente da parte della Amministrazione che adotti il provvedimento di cui all’art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001.
Pertanto, si devono applicare nell’ambito del giudizio risarcitorio i principi generali in tema di onere probatorio (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 8 agosto 2014, n. 4248: “Ai sensi dell’art. 64, commi 1 e 3 cod. proc. amm. nel processo amministrativo avente ad oggetto il risarcimento dei danni, che l’impresa partecipante a gara pubblica assume di aver subito per colpa della stazione appaltante, spetta ad essa offrire la prova della percentuale di utile che avrebbe conseguito, qualora fosse risultata aggiudicataria dell’appalto, poichè nell’azione di responsabilità  per danni il principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento; quest’ultimo, infatti, in tanto si giustifica in quanto sussista la necessità  di equilibrare l’asimmetria informativa tra amministrazione e privato la quale contraddistingue l’esercizio del pubblico potere ed il correlato rimedio dell’azione di impugnazione, mentre non si riscontra in quella consequenziale di risarcimento dei danni, in relazione alla quale il criterio della cd. vicinanza della prova determina il riespandersi del predetto principio dispositivo sancito in generale dall’art. 2697 comma 1, c.c.”).
Nella fattispecie per cui è causa non è possibile quindi riconoscere il danno da mancato godimento ed il danno non patrimoniale invocati a pag. 13 del ricorso r.g. n. 247/2013 in modo automatico e nella misura forfettaria individuata dall’art. 42 bis,bensì in base alla prova concretamente fornita dalle ricorrenti.
In concreto tale domanda risulta solo parzialmente provata limitatamente al danno da mancato godimento del fondo.
Invero, parte ricorrente produce in giudizio un contratto di locazione, regolarmente registrato in data 14 novembre 1989, ad uso parcheggio dei fondi per cui è causa, intercorso tra Pietro Mirizzi (dante causa delle odierne ricorrenti) e le Case di Cura Riunite s.r.l.
Tale contratto prevedeva alla clausola sub 2) il prezzo della locazione nella misura di £. 36.000.000 (pari ad € 18.592,45) annui ed alla clausola sub 3) l’aggiornamento del suddetto canone in relazione alla variazione del potere di acquisto della lira secondo gli indici ISTAT.
La durata del contratto era prevista in sei anni con inizio il giorno 1° novembre 1989 sino al 31 ottobre 1995 e con automatico rinnovamento per uguale periodo, salvo disdetta.
Risulta dagli atti che l’immissione in possesso è avvenuta in data 23 novembre 1995.
Si deve quindi ritenere, in mancanza di elementi in senso contrario, che alla data del 1° novembre 1995 il contratto di locazione si sia automaticamente rinnovato di altri sei anni fino al 31 ottobre 2001.
Essendo l’occupazione divenuta illegittima a partire dal 22 novembre 2000, può quindi essere riconosciuto, in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 cod. civ. (a fronte di un danno provato nei limiti indicati nell’an, ma di difficile dimostrazione nel suo preciso ammontare), il risarcimento del danno da occupazione illegittima per il periodo che va dal 23 novembre 2000 sino al 31 ottobre 2001, dovendosi ritenere in via presuntiva che in quell’arco temporale, se non vi fosse stata l’occupazione illegittima, il contratto di locazione sarebbe stato ancora efficace.
Viceversa, non può riconoscersi alcun danno con riferimento al periodo precedente, posto che in relazione a detto arco temporale l’occupazione non era illegittima e le ricorrenti hanno comunque potuto fruire dell’indennizzo da occupazione legittima.
Il danno da mancato godimento va quindi quantificato nella misura di una annualità  del canone di locazione aggiornato all’indice ISTAT relativamente all’anno di riferimento (2000/2001) secondo i criteri di cui alle clausolesub 2) e 3) del menzionato contratto di locazione registrato in data 14 novembre 1989.
Ciò premesso, la complessiva somma come sopra determinata riconosciuta alle ricorrenti a titolo di risarcimento del danno da illecito aquiliano della P.A., trattandosi di debito di valore, va rivalutata anno per anno secondo gli indici ISTAT con decorrenza dalla data dell’illecito (i.e. momento storico [22 novembre 2000] di perdita di efficacia del decreto di occupazione d’urgenza), oltre interessi legali sulla somma non rivalutata, oltre gli interessi legali sugli importi annui della svalutazione, dalla relativa maturazione (cioè dalla scadenza di ogni anno successivo alla consumazione dell’illecito secondo il cosiddetto criterio “a scalare” individuato dalla Suprema Corte con la sentenza a Sezioni Unite n. 1712/1995).
Sul punto Cass. civ., Sez. I, 4 febbraio 2010, n. 2602 ha riaffermato la permanente validità  del principio del riconoscimento d’ufficio della rivalutazione monetaria nonchè degli interessi legali sulla somma rivalutata e dei criteri enunciati dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 1712 del 1995 in tema di computo di rivalutazione ed interessi nelle obbligazioni di valore quali quelle derivanti – come nel caso di specie – da fatto illecito: “Il credito da occupazione appropriativa, trovando origine in un fatto illecito della p.a. ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., costituisce una obbligazione di valore su cui devono riconoscersi d’ufficio la rivalutazione monetaria nonchè gli interessi legali sulla somma rivalutata, da calcolarsi secondo i criteri enunciati dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 1712 del 1995.”.
Le somme eventualmente già  erogate alle ricorrenti a titolo di risarcimento del danno da mancato godimento del fondo relativamente al periodo di occupazione illecita devono essere detratte da quelle dovute in forza della presente sentenza.
L’effettiva determinazione del quantum debeatur, secondo gli enunciati parametri, dovrà  essere effettuata dalla Città  Metropolitana di Bari (subentrata alla Provincia di Bari per effetto della legge n. 56/2014) e dal Comune di Bari, in solido tra loro, che dovranno provvedere, ai sensi dell’art. 34, comma 4, primo inciso cod. proc. amm., entro il termine di sessanta giorni (decorrente dalla notificazione o comunicazione in via amministrativa della presente decisione, ove anteriore), a formulare una proposta alle ricorrenti, indicante l’ammontare complessivo del dovuto; solo in caso di mancato accordo si provvederà  alla liquidazione in via giudiziale secondo quanto stabilito dallo stesso art. 34, comma 4, seconda parte cod. proc. amm.
La solidarietà  dei due Enti si giustifica in considerazione dell’istituto della delega della Provincia di Bari nei confronti del Comune (ente che ha adottato l’illegittimo decreto di esproprio n. 338 del 7 settembre 2001).
Infatti, come evidenziato dal Consiglio di Stato, sussiste una responsabilità  anche dell’ente delegante che ha, come nel caso di specie, omesso di esercitare i propri poteri di controllo e di stimolo al corretto esercizio del potere (cfr Cons. Stato, Sez. IV. 14 luglio 2014, n. 3655; Cons. Stato, Sez. IV, 21 agosto 2013, n. 4229).
Deve pertanto essere respinta, sulla base delle considerazioni espresse in precedenza, la domanda di manleva formulata dall’Amministrazione Provinciale di Bari con atto notificato nell’ambito del giudizio r.g. n. 247/2013.
Inoltre, deve essere respinta la domanda risarcitoria, azionata dalle ricorrenti, per il danno non patrimoniale, in difetto di qualsivoglia prova sul punto e non potendosi applicare, come già  detto in precedenza (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 9 gennaio 2013, n. 76; Cons. Stato, Sez. IV, 20 dicembre 2013, n. 6164), i criteri automatici e forfettari di cui all’art. 42 bis, comma 1.
I ricorsi riuniti, conclusivamente, vanno in parte accolti ed in parte respinti.
Pertanto, si deve disporre a carico della Città  Metropolitana di Bari e del Comune di Bari ed in favore dei ricorrenti la restituzione del suolo individuato in catasto al foglio 50, p.lle 105 (mq. 2606) e 182 (mq 330) (la cui esatta ubicazione è stata individuata nella relazione del c.t.u. depositata in data 30 aprile 2014), previa riduzione in pristino, fatto salvo il potere della Amministrazione di adottare il provvedimento di cui all’art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001 (disposizione la cui conformità  a Costituzione è stata recentemente riconosciuta da Corte cost., 30 aprile 2015, n. 71).
La Città  Metropolitana di Bari ed il Comune di Bari sono condannati, in solido tra loro, a pagare alle ricorrenti il risarcimento del danno subito a seguito dell’illegittima occupazione dei suoli, computato con le modalità  e nei limiti in precedenza esposti.
Ogni altra domanda è respinta.
La parziale soccombenza sulle domande spiegate giustifica la compensazione delle spese di giudizio.
Deve, infine, essere liquidato, in conformità  al decreto presidenziale n. 44/2015, al consulente tecnico d’ufficio incaricato ing. Vincenzo Sassanelli il compenso nella misura forfetaria complessiva di € 5.518,91, oltre accessori come per legge, da cui vanno sottratti € 1.000,00, ove già  corrisposti a titolo di anticipo.
Il pagamento del compenso è posto definitivamente a carico della Città  Metropolitana di Bari e del Comune di Bari, in solido tra loro.
Paventandosi un danno erariale, il Collegio reputa doveroso disporre la trasmissione degli atti del giudizio alla Procura Regionale della Corte dei Conti per quanto di competenza.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sede di Bari, Sez. I, definitivamente pronunciando sui ricorsi r.g. n. 980/2011 e r.g. n. 247/2013 come in epigrafe proposti, così provvede:
1) dispone a carico della Città  Metropolitana di Bari e del Comune di Bari ed in favore dei ricorrenti la restituzione del suolo individuato in catasto al foglio 50, p.lle 105 (mq. 2606) e 182 (mq 330) (la cui esatta ubicazione è stata individuata nella relazione del c.t.u. depositata in data 30 aprile 2014), previa riduzione in pristino, fatto salvo il potere della Amministrazione di adottare il provvedimento di cui all’art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001;
2) condanna la Città  Metropolitana di Bari ed il Comune di Bari, in solido tra loro, a pagare alle ricorrenti il risarcimento del danno subito a seguito dell’illegittima occupazione dei suoli computato con le modalità  e nei limiti di cui in motivazione;
3) respinge ogni altra domanda.
Spese compensate.
Liquida, in conformità  al decreto presidenziale n. 44/2015, al consulente tecnico d’ufficio incaricato ing. Vincenzo Sassanelli il compenso nella misura forfetaria complessiva di € 5.518,91, oltre accessori come per legge, da cui vanno sottratti € 1.000,00, ove già  corrisposti a titolo di anticipo.
Pone il pagamento del compenso definitivamente a carico della Città  Metropolitana di Bari e del Comune di Bari, in solido tra loro.
Dispone, altresì, la trasmissione, a cura della Segreteria, di copia del fascicolo d’ufficio e della presente sentenza alla Procura Regionale della Corte dei Conti in Bari per quanto di competenza.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità  amministrativa.
Manda alla Segreteria per gli adempimenti e le comunicazioni di rito.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 11 marzo 2015 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Corrado Allegretta, Presidente
Francesco Cocomile, Primo Referendario, Estensore
Maria Grazia D’Alterio, Referendario
 
 
 
 

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 19/05/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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