1. L’opposizione avverso il decreto ingiuntivo non costituisce azione d’impugnazione della validità del decreto stesso, ma introduce un ordinario giudizio di cognizione diretto ad accertare la fondatezza della pretesa fatta valere dal creditore opposto (che assume la posizione sostanziale di attore) e delle eccezioni e delle difese fatte valere dall’opponente (che assume la posizione sostanziale di convenuto). Sicchè, mentre l’opposto non può proporre domande diverse da quella fatta valere con l’ingiunzione, all’opponente è dato di proporre con l’atto di opposizione le eventuali domande riconvenzionali e di integrare la propria difesa, rispetto alla pretesa fatta valere dal creditore nello sviluppo del processo, proponendo eccezioni nuove fino alla rimessione della causa al collegio e perfino in appello.
2. Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, solo da un punto di vista formale l’opponente assume la posizione di attore e l’opposto quella di convenuto, perchè è il creditore ad avere veste sostanziale di attore ed a soggiacere ai conseguenti oneri probatori, mentre l’opponente è il convenuto cui compete di addurre e dimostrare eventuali fatti estintivi, impeditivi o modificativi del credito, di tal che le difese con le quali l’opponente miri ad evidenziare l’inesistenza, l’invalidità o comunque la non azionabilità del credito vantato ex adverso non si collocano sul versante della domanda – che resta quella prospettata dal creditore nel ricorso per ingiunzione – ma configurano altrettante eccezioni.
3. La decadenza del permesso di costruire per mancata osservanza del termine di inizio lavori opera di diritto e il provvedimento pronunciante la decadenza ha carattere meramente dichiarativo di un effetto verificatosi ex se, in via diretta, con l’infruttuoso decorso del termine fissato dalla legge.
4. Attesa la stretta connesione del contributo concessorio all’attività di trasformazione del territorio, ove tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo della causa dell’originaria obbligazione di dare, cosicchè l’importo versato dal privato deve essere restituito dalla p.A. Il diritto alla restituzione sorge, inoltre, anche nell’ipotesi in cui il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente, con diritto del titolare alla restituzione della quota di esso che è stata calcolata con riferimento alla porzione non realizzata.
5. Al titolare di concessione di costruzione che abbia corrisposto indebitamente contributi, spetta la restituzione della somma non dovuta con i relativi interessi e senza che sulla stessa sia applicata la rivalutazione monetaria.
6. Il G.A., al fine di calcolare l’ammontare dell’importo che un Comune dovrà corrispondere al privato in ipotesi di oneri concessori versati, da quest’ultimo, in misura maggiore rispetto al quantum dovuto, ben può ricorrere all’indicazione dei parametri di quantificazione del danno rimettendo alle parti la definizione dello stesso mediante accordo ( art. 34 comma 4 c.p.a.), qualora non vi sia prova, in atti, della “percentuale” di intervento effettivamente realizzata dal privato e qualora le parti assumano posizioni discordanti sul punto.
N. 00420/2015 REG.PROV.COLL.
N. 00020/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 20 del 2013, proposto da:
Comune di Cellamare, rappresentato e difeso dagli avv. Pasquale Palumbo e Domenico Emanuele Petronella, con domicilio eletto presso quest’ultimo, in Bari alla via Principe Amedeo n.165;
contro
Gruppo Nitti s.r.l., rappresentata e difesa dagli avv. Giacomo Olivieri e Vito Aurelio Pappalepore, presso il cui studio elett.te domicilia in Bari alla via Pizzoli n. 8;
Opposizione a decreto ingiuntivo: pagamento degli oneri concessori
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Gruppo Nitti S.r.l.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 febbraio 2015 la dott.ssa Viviana Lenzi e uditi per le parti i difensori Domenico Emanuele Petronella e Vito Aurelio Pappalepore;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
La società Gruppo Nitti a r.l. oppone il D. I. n. 50/2013 con il quale l’intestato Tribunale l’ha condannata a corrispondere al Comune di Cellammare la somma di euro 127.157,60 (maggiorata di interessi, rivalutazione, spese e sanzioni ex art. 42 lett. c del D.P.R. n. 380/2001) a titolo di saldo del contributo di costruzione e oneri per opere di urbanizzazione secondaria (per l’importo di euro 90.826,66, pari alle ultime due rate da versare). L’ingiunta espone di non essere tenuta al pagamento dal momento che il titolo legittimante, in via teorica, la richiesta di pagamento da parte del Comune di Cellammare, è il permesso di costruire n. 1191 del 3/3/2008, ormai decaduto per inutile decorso del termine di ultimazione dei lavori. Ne deriva l’infondatezza della domanda monitoria del Comune, nonchè l’obbligo per l’ente di restituire le somme versate in eccedenza (in considerazione della realizzazione solo parziale dell’intervento) dalla società a titolo di oneri concessori (per un importo pari ad euro 97.007,84), da ritenersi a questo punto detenute sine titulo e per le quali l’opponente spiega apposita domanda riconvenzione.
Il Comune opposto, ritualmente costituitosi, rappresenta le ragioni per le quali il permesso di costruire rilasciato all’opponente sarebbe ancora efficace, stante un’intervenuta proroga tacita, nonchè l’ulterore proroga ex legedisciplinata dall’art. 30 co. 3 l. 98/13, senza tralasciare di evidenziare che oltre il 50% dell’intervento assentito è stato effettivamente realizzato, con conseguente trasformazione territoriale. L’ente insiste, dunque, per il rigetto dell’opposizione, avanzando domanda riconvenzionale per la condanna della società Gruppo Nitti:
– al pagamento degli oneri di urbanizzazione primaria;
– all’esecuzione delle opere di urbanizzazione primaria o, in subordine, al pagamento del loro controvalore;
– al risarcimento del danno causato al Comune per il ritardo nel compimento dell’opera;
– al ripristino dello status quo ante, nel caso di dichiarata “scadenza” del titolo abilitativo.
All’udienza del 26/2/15 la causa è stata trattenuta per la decisione.
L’opposizione è fondata.
Giova premettere che “l’opposizione avverso il decreto ingiuntivo non è azione di impugnazione della solidità del decreto stesso (v. Cass., 15 maggio 2003, n. 7545; Cass., 19 maggio 2000, n. 6528. V. anche Cass., 4 aprile 2001, n. 4985; Cass., 27 giugno 2000, n. 8718; Cass., 17 novembre 1997, n. 11417; Cass., 28 gennaio 1995, n. 1052), ma introduce un ordinario giudizio di cognizione diretto ad accertare la fondatezza della pretesa fatta valere dall’ingiungente opposto (che assume la posizione sostanziale di attore) e delle eccezioni e delle difese fatte valere dall’opponente (che assume la posizione sostanziale di convenuto). Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo solo da un punto di vista formale l’opponente assume la posizione di attore e l’opposto quella di convenuto, perchè è il creditore ad avere veste sostanziale di attore ed a soggiacere ai conseguenti oneri probatori. La posizione sostanziale delle parti riverbera invero sul piano del regime probatorio e delle facoltà processuali (v., da ultimo, Cass., 29 marzo 2004, n. 6202; Cass., 27 gennaio 2003, n. 1185). Mentre l’opposto, in relazione alla sua qualità sostanziale di attore, non può proporre domande diverse da quella fatta valere con l’ingiunzione, da considerarsi nuove e inammissibili se l’opponente rifiuti il contraddittorio su di esse, l’opponente è il convenuto, cui compete di addurre e dimostrare eventuali fatti estintivi, impeditivi o modificativi del credito, sicchè le difese con le quali miri ad evidenziare l’inesistenza, l’invalidità o comunque la non azionabilità del credito vantato ex adverso non integrano una domanda ma configurano altrettante eccezioni (v. Cass., 22/4/2003, n. 6421). Ben può allora quest’ultimo con l’atto di opposizione proporre eventuali domande riconvenzionali, e, rispetto alla pretesa fatta valere dall’ingiungente, integrare le proprie difese nello sviluppo del processo, proponendo eccezioni nuove, ivi comprese quelle riconvenzionali” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 24815 del 2005) .
Al contrario, “l’opposto, rivestendo la qualità sostanziale di attore, non può proporre domanda diversa da quella fatta valere con l’ingiunzione, essendogli consentito solamente di modificarla nei limiti di quanto disposto dagli artt. 183 e 184 c.p.c., potendo quindi senz’altro domandare una somma minore di quella chiesta con l’ingiunzione – purchè non modifichi la “causa petendi” -, ma non già una somma maggiore, neppure se tale “causa petendi” lasci immutata, in tale ipotesi rimanendo altrimenti integrata la sostituzione di quella originaria con una nuova domanda” (Cass. sent. n. 6202/2004).
Ancora in punto di diritto, giova richiamare il disposto dell’art. 15 D.P.R. 380/2001:
“1. Nel permesso di costruire sono indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori.
2. Il termine per l’inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l’opera deve essere completata non può superare i tre anni dall’inizio dei lavori. Entrambi i termini possono essere prorogati, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza venga richiesta una proroga. La proroga può essere accordata, con provvedimento motivato, esclusivamente in considerazione della mole dell’opera da realizzare o delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari.
3. La realizzazione della parte dell’intervento non ultimata nel termine stabilito è subordinata al rilascio di nuovo permesso per le opere ancora da eseguire, salvo che le stesse non rientrino tra quelle realizzabili mediante denuncia di inizio attività ai sensi dell’articolo 22. Si procede altresì, ove necessario, al ricalcolo del contributo di costruzione (. . . )”.
Per quanto di rilievo in questa sede, si osserva che il dato normativo è inequivoco nel richiedere provvedimenti motivati (e dunque, necessariamente espressi e non taciti) sull’istanza di proroga dei termini di inizio e fine lavori e che “unanime giurisprudenza ha affermato che la decadenza della concessione edilizia per mancata osservanza del termine di inizio lavori opera di diritto e il provvedimento pronunciante la decadenza ha carattere meramente dichiarativo di un effetto verificatosi ex se, in via diretta, con l’infruttuoso decorso del termine fissato dalla legge” (T.A.R. Lombardia, Milano, sez. 2, sent. 4/2/15 n. 389).
Orbene, punto decisivo ai fini della decisione sulla domanda di condanna del Comune è, senza dubbio, quello attinente alla (in)efficacia del permesso di costruire.
Giova sinteticamente ribadire che:
– secondo la prospettazione del Comune:
a) il permesso di costruire sarebbe ancora efficace, siccome il suo termine di efficacia, originariamente fissato al 3/3/11, sarebbe stato, su istanza della ricorrente, tacitamente prorogato al 2/12/13, ovvero di dodici mesi rispetto alla scadenza dei tre anni (2/12/12) dalla data di comunicazione di avvio dei lavori (2/12/09);
b) il termine risulterebbe ulteriormente prorogato ex lege ai sensi dell’ art. 30 co. 3 l. 98/13, al 2/12/2015;
– secondo la prospettazione del Gruppo Nitti, invece:
a) i lavori hanno avuto effettivamente inizio il 3/4/2008 (come da nota depositata presso il Comune, in atti);
b) in data 2/12/2009 sono, invece, iniziate (previa comunicazione) le opere in cemento armato;
c) il termine per la conclusione dei lavori è il 3/3/2011 (come da PdC), non essendovi stato riscontro alcuno sulla richiesta di proroga inoltrata il 2-4/3/2011.
Compulsando gli atti di causa, emerge la fondatezza dell’assunto dell’odierna opponente, che in data 3/4/2008 (appena un mese dopo il rilascio del titolo edilizio e ben prima che maturasse il termine iniziale ivi previsto) ha comunicato l’inizio dei lavori di scavo, con contestuale indicazione della ditta incaricata e della relativa certificazione D.U.R.C; successivamente, il giorno prima della scadenza del termine per l’ultimazione fissato nel permesso di costruire, la società ha chiesto una proroga di dodici mesi su cui non risulta che il Comune si sia espressamente pronunciato. Per quanto innanzi evidenziato, il termine finale non può ritenersi prorogato, con conseguente intervenuta decadenza del titolo edilizio alla data del 3/3/11.
Del tutto infondate si rivelano, pertanto, le deduzioni del Comune di Cellammare in ordine a presunte proroghe tacite e/o ex lege. Solo per completezza va, comunque, osservato che l’invocato (da parte del Comune) art. 30 co. 3 l. 98/13 recita: “Salva la diversa disciplina regionale, previa comunicazione del soggetto interessato, sono prorogati di due anni i termini di inizio e di ultimazione dei lavori di cui all’articolo 15 del d.P.R. del 6 giugno 2001, n. 380, come indicati nei titoli abilitativi rilasciati o comunque formatisi antecedentemente all’entrata in vigore del presente decreto, purchè i suddetti termini non siano già decorsi al momento della comunicazione dell’interessato e sempre che i titoli abilitativi non risultino in contrasto, al momento della comunicazione dell’interessato, con nuovi strumenti urbanistici approvati o adottati. E’ altresì prorogato di tre anni il termine delle autorizzazioni paesaggistiche in corso di efficacia alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”.
àˆ di palmare evidenza che nel caso in esame (in mancanza della prescritta comunicazione dell’interessato e, comunque, essendo già scaduto il termine finale all’epoca dell’entrata in vigore della suddetta norma) nessuna proroga può ritenersi operante.
Tanto premesso in punto di fatto, reputa il Collegio che “non sussistono ragioni per discostarsi dal principio, ripetutamente affermato dalla giurisprudenza amministrativa, secondo cui, qualora il privato rinunci o non utilizzi il permesso di costruire ovvero anche quando sia intervenuta la decadenza del titolo edilizio, sorge in capo all’amministrazione, ex art. 2033 Cod. Civ., l’obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione e conseguentemente il diritto del privato a pretenderne la restituzione. Il contributo concessorio è, infatti, strettamente connesso all’attività di trasformazione del territorio e quindi, ove tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo della causa dell’originaria obbligazione di dare, cosicchè l’importo versato va restituito; il diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 2.2.1988 n. 105; id. 12.6.1995 n. 894 e 23.6.2003 n. 3714; TAR Sicilia, Catania, Sez. I, 18.1.2013; TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 24.3.2010 n. 728; TAR Lazio, Roma, Sez. I-bis, 12.3.2008 n. 2294; TAR Abruzzo 15.12.2006 n. 890; TAR Parma 7.4.1998 n. 149)” – da ultimo TAR Marche, sez. 1, sent. 6/2/15 n. 114.
Acclarata l’intervenuta decadenza del titolo edilizio, va conseguentemente rigettata la domanda del Comune di Cellammare, che non ha diritto ad esigere le restanti rate del contributo di costruzione e degli oneri concessori in atti specificati, nonchè le relative sanzioni.
Va, invece, accolta la domanda riconvenzionale di restituzione di quanto già versato a tale titolo dal Gruppo Nitti.
“Al riguardo va ricordato che l’avvalimento solo parziale delle facoltà edificatorie consentite da un permesso di costruire comporta il sorgere, in capo al titolare, del diritto alla rideterminazione del contributo ed alla restituzione della quota di esso che è stata calcolata con riferimento alla porzione non realizzata (cfr. TAR Lombardia, n. 728/2010 cit.)”, come statuito da TAR Marche cit.
Oltre al capitale saranno dovuti gli interessi legali con decorrenza, dovendosi presumere la buona fede, non dalla data della corresponsione delle somme, ma da quella della domanda, vale a dire dalla data in cui la notificazione dell’opposizione con domanda riconvenzionale si è perfezionata nei confronti del Comune.
Nulla è invece dovuto dal Comune a titolo di rivalutazione monetaria, dato che “l’indebito oggettivo genera la sola obbligazione di restituzione con gli interessi a norma dell’art. 2033 c.c., ma non la rivalutazione monetaria riconducibile alla diversa ipotesi di inadempimento dell’obbligazione pecuniaria (cfr. TAR Lombardia, Milano, II, 18 settembre 2013, n. 2172; id., IV, 16 luglio 2013, n. 1872; T.A.R. Sicilia – Catania, I, 28 giugno 2013, n. 1921; T.A.R. Lombardia, Brescia, I, 2.11.2010 n. 4519 e, inoltre, Corte Cass. Civ., SS. UU., 5.7.1991, n. 7436; C.d.S., V, 16.3.1987, n. 198; id., 27.12.1988, n. 852; id., 7.4.1989, n. 195; id., 16.5.1989, n. 291; id., 3.5.1991, n. 728; id., 31.10.1992, n. 1145 e 24.11.1993 n. 799; TAR Abruzzo, Pescara, 31.1.1994, n. 10; TAR Toscana, II, 22.6.1994, n. 225; TAR Molise, 20.12.1995, n. 284; TAR Marche, 22.2.1996, n. 259; TAR Lombardia, Milano, 4.7.1996, n. 1063), così TAR Friuli, sez. 1 , sent. 4/6/14 n. 252.
Passando alla quantificazione dell’importo dovuto, non essendovi prova in atti della “percentuale” di intervento effettivamente realizzata e assumendo, anzi, le parti posizioni discordanti sul punto, il Collegio, piuttosto che procedere a supplemento istruttorio a mezzo di verificazione (contrario al principio di concentrazione e giusto processo in ragione di esigenze di celerità nella definizione del presente contenzioso), ritiene di ricorrere allo strumento previsto dall’art. 34 comma 4 c.p.a., ai sensi del quale “In caso di condanna pecuniaria, il giudice può, in mancanza di opposizione delle parti, stabilire i criteri in base ai quali il debitore deve proporre a favore del creditore il pagamento di una somma entro un congruo termine. Se le parti non giungono ad un accordo, ovvero non adempiono agli obblighi derivanti dall’accordo concluso, con il ricorso previsto dal Titolo I del Libro IV, possono essere chiesti la determinazione della somma dovuta ovvero l’adempimento degli obblighi ineseguiti” .
A tal fine si dispone che nel termine di gg. 90 dalla notificazione/comunicazione della presente sentenza, il Comune proponga al Gruppo Nitti l’importo da corrispondere per le causali di cui sopra e tenuto conto dell’entità dell’intervento edilizio non realizzato, maggiorato degli interessi legali, con la decorrenza innanzi precisata.
Qualora l’Amministrazione e la società non raggiungano entro i successivi 30 giorni alcun accordo e, comunque, l’ente non emani alcun atto formale finalizzato alla corresponsione del dovuto, l’opponente potrà chiedere al TAR l’esecuzione della presente decisione, per la conseguente adozione delle misure necessarie, mediante la nomina di un Commissario ad acta che provveda in luogo dell’Amministrazione inadempiente e con l’ineludibile trasmissione degli atti alla Corte dei Conti, per le valutazioni di competenza.
Per le ragioni innanzi esposte vanno, infine, dichiarate inammissibili le domande riconvenzionali spiegate dal Comune di Cellammare, che resta comunque titolare del potere di ordinare il ripristino integrale dello stato dei luoghi, qualora accerti che il mantenimento di quanto realizzato rimanga privo di titolo per effetto della decadenza del permesso di costruire.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,
– accoglie l’opposizione e per l’effetto revoca il decreto ingiuntivo opposto;
– accoglie la domanda riconvenzionale di Gruppo Nitti s.r.l. e condanna il Comune di Cellammare ai sensi dell’art.34 comma 4, del codice del processo amministrativo a quanto meglio in motivazione precisato, nella misura, con le modalità e i criteri ivi stabiliti;
– dichiara inammissibili le domande riconvenzionali del Comune di Cellammare;
– condanna il Comune di Cellammare, in persona del Sindaco p.t., al pagamento delle spese di giudizio in favore della ricorrente che si liquidano in complessivi € 3.000,00 (euro tremila) oltre IVA, CPA e spese generali.
Contributo unificato rifuso ex art. 13 c 6-bis.1 D.P.R. 30.5.2002 n. 115.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 26 febbraio 2015 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Conti, Presidente
Desirèe Zonno, Primo Referendario
Viviana Lenzi, Referendario, Estensore
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 17/03/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)