1. Processo amministrativo – Risarcimento del danno – Giudizio di condanna – Accertamento incidentale illegittimità del provvedimento – Autonomia – Applicabilità anche alle questioni pendenti prima dell’entrata del c.p.a. – Conseguenze
2. Commercio, Industria, Turismo – Ingresso in Italia di merce proveniente dall’estero – Controlli – Conseguenze – Fattispecie
3. Risarcimento del danno – Domanda – Illegittimità del provvedimento – Illecito aquiliano – Prova dei presupposti – Necessità
1. La disciplina del c.p.a. di cui agli artt. 30 e 34 sull’assenza di una pregiudizialità processuale tra rimedio impugnatorio e azione risarcitoria è applicabile anche ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore del codice stesso (CdS, Ad plen. 23 marzo 2011, n. 3), con l’effetto che ferma restando l’autonomia delle due domande, l’indagine sulla illegittimità dell’atto impugnato assume rilevanza in quanto strumentale alla domanda risarcitoria.
2. E’ illegittimo per eccesso di potere un provvedimento che abbia ordinato la distruzione di una partita di un prodotto (nella specie carne equina) proveniente da Paesi esteri che non sia stata sottoposta, preliminarmente, ai dovuti controlli per impossibilità , da parte delle strutture amministrative competenti, di effettuare i controlli imposti dall’allerta comunitaria al fine di scongiurare la commercializzazione di prodotti nocivi: nel caso di specie, infatti, l’art. 7 comma 1 del d. lgs. 30 gennaio 1993 n. 28 subordina la possibilità di disporre la distruzione della partita, alla constatata presenza di agenti patogeni, (constatazione non verificatasi per colpa della p.A).
3. In materia di risarcimento del danno, l’applicazione del principio dispositivo di cui agli artt. 2697 e 115 c.p.c. implica che l’accoglimento della domanda sia subordinato alla prova, sotto il profilo oggettivo del danno e del nesso causale tra questo e l’illecito che lo avrebbe determinato, sotto il profilo soggettivo, della colpa della p.A. (da accertarsi in senso oggettivo), non potendosi dedurre quest’ultima dalla mera illegittimità dell’atto stesso.
N. 01540/2014 REG.PROV.COLL.
N. 01448/2007 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1448 del 2007, proposto da:
Sice Società Italiana Carni Equine Srl, rappresentata e difesa dagli avv. Maria Maddalena Iuspa, Antonella Buzzerio, con domicilio eletto presso Leonardo Minervini in Bari, Via Alessandro Calefati, n. 269;
contro
Ministero della Salute, Uvac – Ufficio Veterinario Adempimenti Cee – della Puglia, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari, presso i cui uffici, siti in Bari, alla v. Melo, n. 97, sono domiciliati ex lege;
Azienda Sanitaria Locale Bat, rappresentata e difesa dall’avv. Alessandro Delle Donne, con domicilio eletto presso Gianluca Angelini in Bari, Via Abate Gimma, n.257;
per l’annullamento
– del verbale di ispezione stabilimento CE n. 47/07 del 30.07.2007, a firma degli operatori del Servizio Igiene ed Assistenza Veterinaria della A.U.S.L. BAT/1 di Andria; – del verbale di prelevamento di campioni di carne equina n. 32/2007 del 30.07.2007, a firma degli operatori del Servizio Veterinario della A.U.SL. BAT/1;- del verbale di assegnazione in custodia di carne equina sotto vincolo sanitario prot. n. 241/SIAV B del 30.07.2007, a firma degli operatori del Nucleo Operativo di Vigilanza ed Ispezione della A.U.S.L. BAT/1;- del verbale di rimozione sigilli e successiva riapposizione per prelievo campioni prot. n. 245/SIAV B del 02.08.2007, a firma degli operatori del Servizio Veterinario della A.U.S.L. BAT/1; – del verbale di prelevamento di campioni di carne equina n. 33/2007 del 02.08.2007, a firma degli operatori del Servizio Veterinario della A.U.SL. BAT/1; – del verbale di invio a distruzione carni equine in vincolo sanitario prot. n. 273/SIAV B del 10.08.2007, a firma degli operatori Servizio Veterinario della A.U.S.L. BAT/1; nonchè per la condanna di tutte le autorità suindicate al risarcimento dei danni;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero della Salute e di Uvac – Ufficio Veterinario Adempimenti Cee – della Puglia e di Azienda Sanitaria Locale Bat;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 novembre 2014 la dott.ssa Viviana Lenzi e uditi per le parti i difensori Andrea Caputo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con ricorso notificato il 3/10/2007 e depositato il 19/10/2007, la Società Italiana Carne Equine s.r.l. (d’ora in poi, per brevità , solo S.I.C.E.) ha chiesto la condanna delle Amministrazioni in epigrafe indicate al pagamento della somma di euro 66.677, 94 a titolo di risarcimento del danno patito in seguito alla distruzione di una partita di carne equina acquistata da essa ricorrente e destinata al mercato, previo annullamento del relativo provvedimento emesso dal Ministero della Salute (prot. 1793 del 9/8/07) e di tutti gli atti presupposti.
Più specificamente, la S.I.C.E. ha esposto:
– di aver notificato al Ministero della Salute ed al Servizio veterinario AUSL BAT 1 l’arrivo (previsto per il 30/7/2007) di una partita di carne equina proveniente da stabilimento polacco;
– che con note n. 1738 e 1738 bis del 28/7/2007, il Ministero aveva disposto l’assoggettamento a controlli della carne in arrivo, stante la sospetta presenza di cadmio e fenilbutazone, come da allerta comunitaria diramata il 2 – 11 luglio 2007;
– che, prelevati i necessari campioni, in data 3/8/07 l’ UVAC Bari comunicava al competente ufficio AUSL che i laboratori preposti non disponevano di una “metodica analitica valida per la ricerca del farmaco fenilbutazone nella matrice muscolo equino”, rendendosi, pertanto, inevitabile la rispedizione della partita sospetta al Paese d’origine, previa acquisizione del prescritto nulla osta;
– che in data 9/8/2007, l’Ambasciata della Polonia comunicava la revoca del nulla osta già rilasciato, di talchè l’UVAC Bari disponeva la distruzione della partita di carne.
Tanto premesso in fatto, la ricorrente lamenta l’eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti e disparità di trattamento, nonchè violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 14 reg. CEE 178/2002, insistendo per l’accoglimento delle richieste innanzi riportate.
Le Amministrazioni hanno resistito alla domanda.
All’udienza del 26/11/2014 la causa è stata trattenuta in decisione.
In via preliminare va rammentato che “il cod. proc. amm. (v. articoli 30 e 34) ha consacrato la regola della reciproca autonomia processuale fra tutela caducatoria e tutela risarcitoria, abbandonando la regola del carattere pregiudiziale della azione annullatoria rispetto alla azione di danno. La disciplina del c.p.a. sulla assenza di una (stretta) pregiudizialità processuale tra rimedio impugnatorio e azione risarcitoria è estensibile anche a situazioni anteriori alla entrata in vigore del c.p.a. in quanto ricognitiva di princìpi ricavabili anche dal quadro normativo vigente prima della entrata in vigore del c. p. a. e pertanto è da ritenersi applicabile anche per azioni di risarcimento dei danni promosse prima della entrata in vigore del codice stesso (v. Ad. plen. , n. 3/11, p. 4)” , così CGARS, sez. giur., sent. 14/3/14 n. 136.
Tanto doverosamente premesso, il Collegio rileva che, già all’epoca dell’instaurazione del presente giudizio, l’interesse della ricorrente all’annullamento dei gravati atti amministrativi era evidentemente strumentale alla spiegata domanda risarcitoria, dal momento che gli atti impugnati avevano ormai tutti esaurito i propri effetti, di talchè una pronunzia demolitoria non avrebbe arrecato alcuna utilità pratica alla S.I.C.E. Ne deriva che l’accertamento delle denunciate illegittimità , alla luce delle censure proposte, deve essere condotto unicamente ai fini della disamina dell’azione risarcitoria proposta.
Procedendo, quindi, nella disamina dei motivi di ricorso, ai fini di cui sopra, si osserva che compulsando la copiosa documentazione versata in atti, non può sfuggire l’illegittimità dell’azione amministrativa sfociata nel provvedimento con cui è stata disposta la distruzione della partita di carne oggetto di causa, basandosi tale provvedimento, sulla impossibilità (rectius: incapacità ) da parte delle strutture competenti di effettuare i controlli imposti dall’allerta comunitaria al fine di scongiurare la commercializzazione di prodotti alimentari potenzialmente nocivi.
Tanto premesso, non è, quindi, ravvisabile, nella fattispecie in esame, il presupposto cui l’art. 7, co. 1, d. lvo 28/93 subordina la possibilità di disporre la distruzione della partita, ovvero la constatata presenza di agenti generatori di una malattia.
D’altronde, la propedeuticità dei controlli al fine dell’eventuale distruzione di prodotti pericolosi emerge chiaramente dalla nota del Ministero della Salute del 1/9/2007 (all. 43 al rapporto del Ministero depositato in data 29/1/08) in cui, proprio sulla scorta della vicenda in esame, l’Amministrazione ha evidenziato il rischio che, in assenza di metodiche analitiche per la ricerca del fenilbutazone nella matrice muscolo equino, tutte le successive partite di carne provenienti dallo stabilimento di cui all’allerta comunitaria 460/2007 “rischiano di essere distrutte o rispedite al paese d’origine senza una motivazione oggettiva sulla loro non conformità con conseguenti possibili contenziosi legali a livello nazionale o internazionale”.
L’omissione dei prescritti controlli rende, poi, prive di rilievo le ulteriori circostanze su cui si sono appuntate le difese delle parti, relative alle (sia pur ambigue) comunicazioni provenienti dall’Ambasciata polacca ed alla esatta individuazione della partita di carne “sospetta”.
Va affermata, in definitiva, l’illegittimità del provvedimento con cui la P.A. ha disposto la distruzione della partita di merce oggetto di causa.
Il riconoscimento della pretesa risarcitoria non può prescindere, però, anche dall’accertamento delle condizioni contemplate dall’art. 2043 c.c., che deve essere compiuto secondo le regole ordinarie di distribuzione dell’onere della prova, atteso che il giudizio per il risarcimento dei danni attivato innanzi al giudice amministrativo si atteggia come giudizio sul rapporto e non sull’atto, con applicazione piena del principio dispositivo di cui agli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c. (T.A.R. Campania – Napoli, Sez. I, n. 3705/2009).
Occorre, in altri termini, che siano provati, sotto il profilo oggettivo, il danno (che parte ricorrente riferisce al costo sostenuto per l’acquisto della partita di carne, alle spese per la sua distruzione e al mancato guadagno derivante dalla impossibilità di commercializzare il prodotto nonchè dal mancato utilizzo della cella frigo sottoposta a vincolo sanitario) ed il nesso causale tra l’illecito e il danno che ne è derivato, nonchè sotto il profilo soggettivo la colpa della P.A.
Partendo da quest’ultimo elemento, “occorre stabilire se la condotta amministrativa, a prescindere dall’elemento estrinseco rappresentato dall’illegittimità degli atti che, di per sè solo, non è sufficiente a determinare l’imputabilità all’Amministrazione della responsabilità per le conseguenze dannose della propria azione, è stata caratterizzata da un atteggiamento soggettivo doloso o colposo, tale, quindi, da fare apprezzare la presenza di un danno risarcibile.
La colpa dell’Amministrazione deve essere accertata in senso oggettivo, tenendo conto dei vizi che hanno determinato l’illegittimità dell’azione, della gravità delle violazioni commesse, dei precedenti giurisprudenziali, dell’univocità o meno del dato normativo, delle condizioni concrete e dell’eventuale apporto dei soggetti destinatari dell’atto (C.G.A.S., n. 246/2011). Spetterà all’Amministrazione dimostrare che si è trattato di un errore scusabile, configurabile in caso di contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di rilevante complessità del fatto, di influenza determinante di comportamenti di altri soggetti, di illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata (C.d.S., Sez. VI, n. 1114/2007)”, così Tar Bari, sez. 2, sent. 1/4/14 n. 407.
Tale elemento ricorre nel caso in esame, essendo emerso, per ammissione dell’Amministrazione stessa, che essa non sia dotata di risorse umane/strumentali idonee a garantire una efficace ed efficiente gestione del servizio che, per legge, è chiamata ad assicurare mediante gli UVAC. Nè paiono aver inciso sulle determinazioni dell’Amministrazione le contraddittorie note provenienti dall’Ambasciata polacca, trattandosi di carteggio successivo alla presa d’atto da parte del Ministero dell’impossibilità di effettuare i necessari controlli. Di talchè la spedizione – prima – e la distruzione della partita – poi – sono state disposte senza acquisire la certezza della presenza nella carne importata dell’agente nocivo e, in definitiva, della pericolosità del prodotto per la salute dell’uomo.
àˆ certa, poi, la verificazione del danno lamentato dalla ricorrente, da qualificarsi come non iure, siccome derivante da provvedimenti illegittimi e come contra ius, ovvero lesivo di interessi giuridicamente rilevanti, quali quello all’integrità del patrimonio della ricorrente. Nè può fondatamente dubitarsi dell’esistenza di un nesso eziologico tra l’agere dell’Amministrazione e tale danno.
Passando, poi, alla quantificazione di quest’ultimo, va certamente riconosciuto alla S.I.C.E. il danno emergente consistente nel costo sostenuto per l’acquisto della partita poi andata distrutta (euro 37.260,00, importo computato al tasso di cambio nell’anno 2007 – come da fattura in atti) e di quello per la sua distruzione (euro 6.917,94).
Quanto al lucro cessante derivante dalla mancata commercializzazione della carne, ritiene il Collegio che il relativo importo non spetti alla SICE, in quanto non vi è certezza alcuna che i controlli, ove effettuati, avrebbero avuto esito positivo consentendo, così, la commercializzazione della stessa. Nè rilevano in senso contrario le missive intercorse tra il Ministero della Salute e l’ambasciata polacca relative a partita di carne proveniente dal medesimo stabilimento di cui ai fatti di causa e ritenute commercializzabili appena un mese dopo gli eventi di cui si è innanzi dato conto, dal momento che, dalla documentazione prodotta, emerge che i soli controlli effettuati con esito positivo sulla nuova partita siano stati quelli relativi alla sola presenza di cadmio.
Nè spetta, infine, alcun ristoro per il danno asseritamente derivato dal mancato utilizzo della cella “occupata” dalla carne sottoposta al vincolo sanitario, essendo imputabile alla S.I.C.E. l’assenza di altra cella idonea alla conservazione della merce.
Il danno risarcibile ammonta, dunque, ad euro 44.177,44, oltre interessi legali dalla domanda all’effettivo soddisfo.
Non spettano ulteriori accessori, quali la rivalutazione, trattandosi, in ultima analisi, di debito di valuta (benchè, riferibile ad una posta risarcitoria).
In conclusione, previa declaratoria di illegittimità degli atti impugnati, va accolta la domanda risarcitoria nei termini di cui sopra.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, accertata l’illegittimità degli atti impugnati, accoglie la domanda risarcitoria e, per l’effetto, condanna le Amministrazioni resistenti in solido a corrispondere in favore della ricorrente l’importo di € 44.177,44, oltre interessi legali dalla domanda all’effettivo soddisfo.
Condanna in solido i resistenti a rifondere in favore di Società Italiana Carni Equine s.r.l., in persona del leg. rapp.te p.t., le spese processuali, che liquida in complessivi € 1.500,00, oltre al rimborso del contributo unificato e agli altri accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 26 novembre 2014 con l’intervento dei magistrati:
Desirèe Zonno, Presidente FF
Viviana Lenzi, Referendario, Estensore
Maria Colagrande, Referendario
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/12/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)