1. Processo amministrativo – Azione di accertamento – Diritto soggettivo – Onere della prova – Applicazione art. 2697 c.c..


2. Pubblico impiego – Militari – Trasferimento d’autorità  – Benefici ex L. n. 86/2011 – Operazioni svolte all’estero – Periodo prefissato e temporalmente limitato – Non sussiste. 


3. Pubblico impiego – Militari – Trasferimento d’autorità  – Sede di lavoro estero –  Individuazione – Rientro inItalia – Effetti


4. Pubblico impiego – Militari – Trasferimento d’autorità  – Benefici ex L. n. 86/2011 – Missioni di cooperazione e difesa della pace – Trasferimento senza stabilità  – Non spetta indennità 

1. Nelle azioni di accertamento di un diritto soggettivo, ai fini dell’onere della prova, vale il principio codificato dall’art. 2697 c.c..


2. Il trasferimento d’autorità  del militare, rilevante ai fini della concessione dei benefici ex L. n. 86/2011, presuppone che sia stata disposta una effettiva modificazione dell’ordinaria sede di lavoro e tale condizione non è riscontrabile nelle operazioni svolte all’estero per un periodo prefissato e temporalmente limitato.


3. La sede di lavoro nello Stato straniero non rappresenta la nuova e definitiva sede di servizio del dipendente, bensì va considerata soltanto come il luogo ove l’istante svolge funzioni a esso temporaneamente assegnate; nei casi di invio temporaneo all’estero la struttura logico-concettuale del “trasferimento”, pertanto, difetta e il rientro in Italia non può essere inteso come un ulteriore mutamento della sede, bensì rappresenta la mera, preventivabile e anche obbligata conseguenza della cessazione dell’obbligo di svolgere le prestazioni in luogo diverso da quello della propria sede di servizio.


4. La concessione dei benefici ex L. n. 86/2011 non spetta ai militari inviati in missione all’estero per la partecipazione a operazioni di cooperazione e difesa della pace, difettando nel trasferimento il carattere della stabilità  della nuova sede di servizio. 

N. 01180/2014 REG.PROV.COLL.
N. 01625/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1625 del 2007, proposto da: 
Colella Raffaele, rappresentato e difeso dall’avv. Claudio Romanazzi, con domicilio eletto presso il suo studio in Bari, C.so Vittorio Emanuele II, 142; 
contro
Ministero dell’Interno, Questura di Bari, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, entrambi rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari, presso la quale domiciliano in Bari, Via Melo, 97; 
per il riconoscimento
del diritto all’indennità  di trasferimento prevista dall’art. 1, L. 29 marzo 2001, n. 86;
 
Visti il ricorso ed i relativi allegati;
Visti l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno e della Questura di Bari;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’Udienza Pubblica del giorno 10 luglio 2014 la dott.ssa Paola Patatini e uditi per le parti i difensori, avv. Claudio Romanazzi e avv. dello Stato Giovanni Cassano;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 
FATTO
Il ricorrente, Ispettore Capo della Polizia di Stato in servizio presso la Squadra Mobile della Questura di Bari, ha presentato domanda all’Amministrazione dell’Interno per la corresponsione dell’indennità  di trasferimento prevista dall’art.1, l. n. 86/2001, relativamente al periodo decorrente dal 1°.07.2005 – data del suo rientro in Italia dall’Albania – sino al 4.01.2006 – data del suo trasferimento presso la sede richiesta in Bari.
A fronte del diniego espresso in merito dall’Amministrazione, parte ricorrente ha adito il presente Tribunale per l’accertamento del proprio diritto alla corresponsione della suddetta indennità .
Premette in fatto di essere stato inviato, previa assunzione presso il Servizio di Cooperazione Internazionale di Polizia, in missione all’estero presso l’Ufficio di Collegamento Italiano Interforza di Polizia in Albania, e di essere poi stato trasferito d’autorità , al termine del relativo mandato, alla Direzione Centrale della Polizia Criminale – Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia di Roma (1.07.2005), e infine, in data 4.01.2006, di essere stato riassegnato presso la Questura di Bari, sede richiesta dallo stesso all’atto del rientro in Italia.
Con atto di costituzione formale, si sono costituite le Amministrazioni intimate, chiedendo il rigetto della domanda avversa.
In vista della trattazione del merito, parte ricorrente ha prodotto memoria, insistendo sul riconoscimento dell’obbligo dell’Amministrazione a corrispondere il trattamento di trasferimento, comprensivo degli interessi legali.
All’esito dell’Udienza Pubblica del 10.07.2014, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Il ricorso è infondato e come tale va respinto.
In disparte infatti ogni considerazione sulla genericità  dell’atto introduttivo, sia sotto il profilo delle doglianze – non essendo stata articolata nel ricorso alcuna specifica censura – sia sotto il profilo probatorio – non essendo stata dimostrata dalla parte, pur trattandosi di azione di accertamento di un diritto soggettivo rimessa alla giurisdizione esclusiva del g.a. per la quale vale il principio codificato all’art.2697 c.c., la ricorrenza delle condizioni di applicabilità  e delle circostanze di fatto che determinerebbero l’insorgenza del diritto a percepire i benefici economici reclamati (i.e., se l’interessato abbia o meno fruito dell’alloggio di servizio, se abbia subito ulteriori oneri e disagi connessi alla sede lavorativa), nella specie difetta comunque il fondamentale presupposto del trasferimento d’autorità , cioè della modificazione permanente delle sede di servizio.
L’art.1, l. n. 86/01, prevede invero che “Al personale volontario coniugato e al personale in servizio permanente delle Forze armate, delle Forze di polizia ad ordinamento militare e civile, agli ufficiali e sottufficiali piloti di complemento in ferma dodecennale di cui alla legge 19 maggio 1986, n. 224, e, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 28, comma 1, del decreto legislativo 19 maggio 2000, n. 139, al personale appartenente alla carriera prefettizia, trasferiti d’autorità  ad altra sede di servizio sita in un comune diverso da quello di provenienza, compete una indennità  mensile pari a trenta diarie di missione in misura intera per i primi dodici mesi di permanenza ed in misura ridotta del 30 per cento per i secondi dodici mesi”.
Il successivo comma 4, nel testo vigente prima della modifica apportata con L. n. 183/11 e in vigore al momento della proposizione dell’istanza del ricorrente, disponeva infine che “l’indennità  di cui al comma 1 del presente articolo compete anche al personale in servizio all’estero ai sensi delle leggi 8 luglio 1961, n. 642, 27 luglio 1962, n. 1114, e 27 dicembre 1973, n. 838, e successive modificazioni, all’atto del rientro in Italia”.
Invero, come si ricava dalla documentazione prodotta, il ricorrente è stato inviato in Albania nel quadro delle missioni di pace all’estero.
Risulta inoltre – dalla nota prot. 123 del 22.06.2005 a firma del Direttore Centrale della Polizia Criminale – che il personale inviato in Albania, tra cui l’odierno ricorrente, era comunque in forza al Servizio per la Cooperazione di Polizia della Direzione centrale delle Polizia Criminale di Roma, e che, come anche previsto dalla nota del Ministero dell’Interno, prot. 559 del 13.08.2004, avente ad oggetto “procedure concernenti l’avvio del personale della polizia di stato in missioni di pace all’estero”, “al termine delle missioni i dipendenti faranno rientro, a domanda, agli uffici di appartenenza.”
Se ne desume quindi che il ricorrente risultasse temporaneamente distaccato presso gli uffici in Albania per tutta la durata della missione di pace, al termine della quale, egli sarebbe dovuto rientrare in Italia, con la facoltà  di chiedere la rassegnazione alla sede di provenienza.
Per giurisprudenza costante, il trasferimento d’autorità , rilevante ai fini della concessione dei benefici ex l. n. 86/11, presuppone che sia stata disposta una effettiva modificazione dell’ordinaria sede di lavoro e tale condizione non è riscontrabile nelle operazioni svolte all’estero per un periodo prefissato e temporalmente limitato, “posto che la sede di lavoro nello Stato straniero non rappresenta la nuova e definitiva sede di servizio del dipendente, bensì va considerata soltanto come il luogo ove l’istante svolge funzioni ad esso temporaneamente assegnate; nei casi di invio temporaneo all’estero la struttura logico-concettuale del “trasferimento”, pertanto, difetta ed il rientro in Italia non può essere inteso come un ulteriore mutamento della sede, bensì rappresenta la mera, preventivabile ed anche obbligata conseguenza della cessazione dell’obbligo di svolgere le prestazioni in luogo diverso da quello della propria sede di servizio” (in tali termini, Tar Lazio, I ter, n.710 del 20.1.2014).
Il Collegio ritiene infatti di aderire ad un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il beneficio in parola non spetta ai militari inviati in missione all’estero per la partecipazione ad operazioni di cooperazione e difesa della pace, come quella di specie, difettando nel trasferimento il carattere della stabilità  della nuova sede di servizio.
Dal che deriva che l’ordine di rientro in Italia – che il ricorrente qualifica come trasferimento disposto d’autorità  e quindi come condizione sufficiente per il riconoscimento dell’indennità  in parola – non può invece qualificarsi come tale.
Ciò trova ulteriore conferma sul piano normativo dalla circostanza che la legge citata, al comma 4 dell’art.1 circoscrive il suo ambito applicativo esclusivamente all’impiego all’estero disposto sulla base delle norme ivi indicate (Tar Lazio, I bis, 2414 del 28.2.2014), non potendo al contrario attribuirsi alla norma carattere meramente esemplificativo; quindi la stessa non può applicarsi alla missione all’estero in questione che, in mancanza di prova sul punto, il Collegio non reputa rientrare tra quelle espressamente richiamate.
Alla luce delle considerazioni sopra svolte, il ricorso va dunque respinto.
Sussistono tuttavia giustificati motivi per compensare le spese di lite tra le parti, atteso il comportamento processuale delle Amministrazioni, limitato ad una mera costituzione formale.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Bari, Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità  amministrativa.
Così deciso in Bari nella Camera di Consiglio del giorno 10 luglio 2014 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Antonio Pasca, Presidente
Giacinta Serlenga, Primo Referendario
Paola Patatini, Referendario, Estensore
 
 
 
 

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10/10/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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