Pubblica sicurezza – Istituto vigilanza – Provvedimento interdittivo prefettizio antimafia – Prova infiltrazioni mafiose in impresa – Non necessità  – Indicazione tentativo infiltrazoni anche mediante valutazione legami famigliari e frequentazioni dipendenti con soggetti mafiosi – Sufficienza

Ai fini dell’applicazione della misura interdittiva prefettizia antimafia, non occorre nè la prova dei fatti di reato, nè la prova della effettiva infiltrazione mafiosa nell’impresa, nè del reale condizionamento delle scelte dell’impresa da parte di associazioni o soggetti mafiosi, essendo sufficiente che l’informativa antimafia indichi il tentativo di infiltrazioni aventi lo scopo di condizionare le scelte dell’impresa, anche se tale scopo non si sia in concreto realizzato (nella specie è stata ritenuta legittima la revoca della comunicazione antimafia da parte del Prefetto, adottata nei confronti di un istituto di vigilanza, per l’assunzione di dipendenti sottratti alla verifica di condotta di cui al T.U.L.P.S., tutti vantanti legami famigliari e rapporti di frequentazione con noti sodalizi crminali presenti nel territorio).

N. 01175/2014 REG.PROV.COLL.
N. 00422/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 422 del 2014, integrato da motivi aggiunti, proposto da: 
-OMISSIS-, in proprio e quale legale rappresentante della -OMISSIS- s.r.l., rappresentato e difeso dagli avv.ti Stefania Miccoli e Massimo Malena, con domicilio eletto presso lo studio Malena & Associati in Bari, via Amendola, 170/5; 
contro
IPZS – Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, U.T.G. – Prefettura di Foggia, Ministero dell’Interno, Questura di Foggia, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, tutti rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari, presso la quale domiciliano in Bari, via Melo, 97; 
e con l’intervento di
ad opponendum:
-OMISSIS-, in proprio e quale legale rappresentante della -OMISSIS- s.r.l., rappresentato e difeso dagli avv.ti Gennaro Rocco Notarnicola e Andrea Petito, con domicilio eletto presso il primo in Bari, via Piccinni, 150; 
per l’annullamento
previa sospensione degli effetti
– della nota prot. 0015691 del 26.3.2014 con la quale l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato ha comunicato la risoluzione del contratto per il servizio di vigilanza effettuato da -OMISSIS- s.r.l.;
– dell’atto della Prefettura di Foggia, datato 6.3.2014, con il quale è stata revocata la comunicazione antimafia prot. 8156/12.B.7/Area 1^ del 18.6.2013;
– dell’esplicita “sottrazione” dell’informativa al diritto di accesso agli atti amministrativi che fanno parte del procedimento de quo – da intendersi quale rifiuto di accesso agli atti – che si rinviene nella parte dispositiva del provvedimento;
– ove occorra della nota snp Div. PASI del 28.1.2013 con la quale la Questura di Foggia riferiva alla Prefettura l’esito di alcuni accertamenti;
– ove occorra della nota Cat. 16/a del 14.1.2014 della Questura, alla quale sono allegate le note della Squadra mobile 3 del 13.4.2013 e 5.12.2013;
– ove occorra della circolare Ministero Interno – Ufficio di Gabinetto prot. n. 11001/119/208(8) Uff. II- Ord. Sic. Pub. del 24.1.2014, ancorchè sconosciuta alla ricorrente;
– di ogni provvedimento consequenziale, presupposto e connesso ai precedenti, ancorchè sconosciuti al ricorrente;
e per il risarcimento del danno personale e della società  da determinarsi in corso di causa;
e con Motivi Aggiunti depositati in data 12 Maggio 2014:
– della determina n. 103 del 26.3.2014 (conosciuta a seguito del deposito del 19.4.2014 effettuato dall’Avvocatura dello Stato);
– ove occorra della nota prot. 7901/12-B7/Area I^ del 7.3.2014;
– nonchè di tutti gli atti già  impugnati con il ricorso principale;
e per il risarcimento del danno personale e della società  da determinarsi in corso di causa;
 
Visti il ricorso, i motivi aggiunti ed i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’IPZS – Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, dell’U.T.G. – Prefettura di Foggia, del Ministero dell’Interno e di Questura di Foggia, nonchè del sig. -OMISSIS-;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 52 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, commi 1 e 2;
Relatore nell’Udienza Pubblica del giorno 26 giugno 2014 la dott.ssa Paola Patatini e uditi per le parti i difensori, avv.ti Massimo Malena e Stefania Miccoli, per il ricorrente, avv. dello Stato Giovanni Cassano, per le Amministrazioni Statali, avv. Giuseppe D. -OMISSIS-, su delega dell’avv. Gennaro R. Notarnicola, e avv. Teresa Totaro, quest’ultima su delega dell’avv. Andrea Petito, per l’interventore ad opponendum;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 
FATTO e DIRITTO
Il sig. -OMISSIS-, in proprio e quale legale rappresentante dell’istituto di vigilanza -OMISSIS- s.r.l., ha adito questo Tribunale per chiedere l’annullamento, previa sospensione degli effetti e richiesta di misure cautelari monocratiche, della nota e degli altri atti meglio indicati in epigrafe, con cui gli è stata comunicata la risoluzione del contratto di servizi di vigilanza, stipulato con l’IPZS, a seguito della revoca della comunicazione antimafia emessa sul presupposto della sussistenza del pericolo di infiltrazioni mafiose all’interno dell’istituto di vigilanza, con effetti interdittivi dei rapporti con la P.A..
Premette in fatto la parte di essere risultata aggiudicataria dell’appalto indetto dall’IPZS per l’affidamento del servizio di vigilanza (15.2.2013).
Tuttavia l’istituto appaltante ha proceduto solo tempo dopo alla stipulazione del contratto (29.11.2013), in quanto, come emerso da un accesso agli atti effettuato dallo stesso -OMISSIS-, l’IPZS attendeva sia il rilascio dell’informativa antimafia chiesto alla Prefettura di Foggia, sia l’esito della definizione di un procedimento di revoca della licenza di vigilanza, avviato a carico del ricorrente in data 15.2.2013 e conosciuto frattanto dall’Amministrazione appaltante a seguito del ricevimento di un plico anonimo.
La Prefettura, più volte sollecitata al rilascio di chiarimenti ed informazioni sullo stato del procedimento di revoca e dell’informativa antimafia, in data 18.6.2013, rilasciava la nota prot. 8156 recante la comunicazione antimafia sull’assenza di tentativi di infiltrazioni mafiose e di altre cause di divieto, decadenza e sospensione, nei confronti della ditta e del -OMISSIS- stesso.
Il contratto veniva pertanto successivamente sottoscritto con l’IPZS.
Tuttavia, in data 31.1.2014, al ricorrente veniva notificato il provvedimento di revoca della licenza allo svolgimento dell’attività  di vigilanza, sul presupposto della sussistenza di un condizionamento ambientale all’interno della -OMISSIS-, dovuto alla presenza, nell’organico aziendale, di personale avente rapporti di parentela e frequentazioni con la criminalità  locale.
Tale atto veniva impugnato dal -OMISSIS- innanzi questa Sezione col ricorso n. RG 220/14.
Nel corso del giudizio così avviato, lo stesso apprendeva, grazie ad un deposito documentale effettuato dalla difesa erariale, dell’esistenza di un provvedimento prefettizio, datato 6.3.2014, che revocava la certificazione antimafia rilasciata precedentemente in suo favore.
Il -OMISSIS- impugnava tempestivamente il suddetto provvedimento proponendo ricorso per motivi aggiunti, con richiesta di misure cautelari anche inaudita altera parte.
Il Presidente della Sezione respingeva però la richiesta presentata ai sensi dell’art. 56 c.p.a., e rinviava alla Camera di Consiglio del 10.4.2014 la trattazione collegiale.
A seguito dell’informativa antimafia interdittiva adottata in data 6.3.2014, il Poligrafico con la nota qui impugnata, comunicava alla -OMISSIS- la determinazione di risoluzione del contratto in essere, relativo al servizio di vigilanza presso la sede IPZS di Foggia.
Il ricorrente, allora, proponeva il presente ricorso autonomo, iscritto al ruolo con n. 422/2014, impugnando sia la comunicazione sopradetta del Poligrafico, sia il provvedimento, di estremi sconosciuti, acquisito con il deposito documentale nel ricorso n. 220/2014, recante la revoca della precedente comunicazione antimafia e l’interdizione dei rapporti con la P.A.
Contestualmente, depositava nel ricorso n. 220/2014 atto di rinuncia ai motivi aggiunti e alla Camera di Consiglio fissata per la loro trattazione.
Con l’odierno giudizio, parte ricorrente solleva numerose quanto articolate censure, riconducibili tanto all’eccesso di potere sotto diversi profili, quanto alla violazione della normativa sulle interdittive antimafia, riproponendo altresì i motivi di doglianza già  formulati nel ricorso n. 220/2014 avverso il provvedimento di revoca della licenza, per la parte in cui quest’ultimo è asseritamente identico a quello di revoca della certificazione antimafia, oggetto del presente gravame.
Con Decreto n. 181 del 28.3.2014, il Presidente di questa Sezione ha accolto l’istanza di misure cautelari monocratiche e fissato per la trattazione collegiale la Camera di Consiglio del 23.4.2014.
Per resistere al gravame, si sono costituite tutte le Amministrazioni intimate e con atto di intervento ad opponendum, si è costituto anche il sig. -OMISSIS-, in proprio e quale legale rappresentante della -OMISSIS- s.r.l – ditta collocatasi al secondo posto nella gara per l’affidamento dell’appalto di servizi di vigilanza presso l’IPZS.
In vista dell’udienza camerale, le parti hanno depositato memorie e documenti.
All’esito della Camera di Consiglio del 23.4.2014, il Collegio ha accolto l’istanza cautelare, in considerazione della revoca del provvedimento di risoluzione del contratto, disposta dal Poligrafico in data 28.3.2014 in ottemperanza a quanto stabilito dal Tar in sede cautelare (con Decreto n. 181/2014, nonchè con Ord. n. 174 del 27.3.2014, resa da questa Sezione nel ricorso n. 220/14), ritenendo altresì opportuno mantenere l’integrità  dello stutus quo ante fino alla definizione del merito, fissato al 26.6.2014, congiuntamente a quello previsto per il ricorso n. 220/14, attese le evidenti connessioni.
Con atto di motivi aggiunti del 12.5.2014, parte ricorrente ha impugnato inoltre nuova documentazione – di cui era venuta a conoscenza col deposito documentale effettuato dall’Avvocatura dello Stato in vista dell’udienza camerale – chiedendo contestualmente l’abbreviazione dei termini, in considerazione della trattazione del merito fissata a breve per il 26.6.2014.
L’istanza è stata accolta col Decreto presidenziale n. 123 del 14.5.2014.
In prossimità  della trattazione del merito, le parti hanno effettuato depositi nei termini di legge, insistendo per l’accoglimento delle loro argomentazioni.
All’esito dell’Udienza Pubblica del 26.6.2014, dopo approfondita discussione delle parti, la causa è passata in decisione.
Il ricorso è infondato.
In via preliminare, il Collegio ritiene di disattendere le eccezioni di rito sollevate dalle parti, tanto con riferimento al difetto di legittimazione in capo all’interventore ad opponendum, quanto con riferimento alla violazione del ne bis in idem.
Il Collegio non ravvisa invero alcuna carenza di interesse ad agire in capo al sig. Annarelli, in quanto la circostanza dell’irregolarità  contributiva e previdenziale in capo alla -OMISSIS- che l’escluderebbe dalle partecipazioni alle gare pubbliche è irrilevante in tale sede e non incide sul concreto e attuale interesse di fatto della stessa ditta – svolgente attività  e servizi di vigilanza armata entro il territorio foggiano, lo stesso in cui è operativo l’istituto ricorrente – la quale trarrebbe un evidente vantaggio indiretto e riflesso dal rigetto del presente ricorso.
L’intervento va quindi ritenuto ammissibile.
Relativamente all’inammissibilità  del gravame per violazione del ne bis in idem, censurata tanto dall’Amministrazione quanto dallo stesso interventore, pur essendo evidenti le connessioni di questo ricorso con quello iscritto al ruolo con n. 220/2014 e pur essendo stato depositato il presente gravame in data antecedente l’atto di rinuncia ai motivi aggiunti con cui la parte aveva già  impugnato la revoca della comunicazione antimafia, se pur per tale breve lasso temporale si è eventualmente realizzata un’ipotesi di litispendenza, con la rinuncia ai motivi aggiunti si è di fatto impedito che si arrivasse ad una doppia pronuncia sullo stesso punto (impugnazione interdittiva antimafia).
Pertanto non sussiste la violazione del ne bis in idem, risultando scongiurata qualsivoglia mera possibilità  di potenziale conflitto di provvedimenti decisori.
Passando ora al merito della questione, non si ravvisano nella specie i profili di illegittimità  censurati dalla parte, nè sotto il profilo dell’eccesso di potere, nè sotto quello della violazione della normativa antimafia.
L’esame del Collegio può invero limitarsi all’accertamento della legittimità , o meno, del provvedimento di revoca della comunicazione antimafia, in quanto l’atto di risoluzione adottato dal Poligrafico, oggetto anch’esso del presente giudizio – seppur revocato in via temporanea in ottemperanza a quanto statuito dal Collegio in sede cautelare – è consequenziale a quello prefettizio, rappresentando un atto dovuto della stazione appaltante.
Pertanto, dall’accertamento della legittimità  del primo deriverebbe la legittimità  del secondo.
La Prefettura di Foggia dunque ha revocato la precedente comunicazione antimafia in considerazione di quanto è emerso all’esito dell’attività  istruttoria e degli accertamenti condotti nel procedimento avviato per la revoca dell’autorizzazione allo svolgimento dell’attività  di vigilanza.
Se è pur vero che gli elementi risultati da tale procedimento sono stati ritenuti dall’Amministrazione – legittimamente, come riconosciuto da questo Collegio in sede giurisdizionale – idonei a giustificare l’adozione della revoca del titolo di polizia, ciò non esclude che gli stessi possano essere inoltre indice della più grave presenza di infiltrazioni mafiose, e non solo di condizionamenti ambientali, all’interno dell’istituto.
In altre parole, dagli accertamenti svolti, sono emerse circostanze tali da delineare un serio quadro indiziario da cui è emerso non solo il pericolo di condizionamento ambientale, che ha giustificato l’ineluttabile emissione della revoca del titolo di polizia, ma anche il pericolo di infiltrazioni mafiose che ha fatto quindi ritenere doveroso da parte del Prefetto revocare il proprio precedente provvedimento e adottare contestualmente l’interdittiva antimafia ai sensi dell’art.91 D.lgs. 159/2011.
Parte ricorrente censura la falsa applicazione della normativa sull’informativa antimafia, con particolare riferimento agli artt. 84, 85, 91, 93 e 94, ritenendo che, conformemente a tali norme, la verifica antimafia avrebbe dovuto essere effettuata solo sul -OMISSIS- in base a circostanze nuove sopravvenute, al più estensibile ai suoi rapporti di parentela e frequentazioni, mentre nella specie non risulterebbero nuove informative modificative di quella emessa in sede di rilascio del precedente certificato, nè l’avvio di una nuova istruttoria sulla base dei poteri d’accesso riconosciuti dall’art.93 del D.Lgs. 191.
Pertanto, asserisce la parte, gli elementi in base ai quali è stata disposta l’informativa impugnata sarebbero gli stessi della revoca della licenza, relativi a rapporti di parentela dei dipendenti e non del -OMISSIS-, e comunque inidonei a comprovare in concreto l’interferenza mafiosa.
Il punto nodale della controversia dunque si focalizza evidentemente sulla congruità  degli elementi posti a sostegno dell’informativa prefettizia.
Al riguardo è opportuno precisare, in punto di fatto, che la misura interdittiva poggia essenzialmente sulle seguenti circostanze, ritenute significative del pericolo di infiltrazioni mafiose:
a) l’istituto di vigilanza ha assunto, anche in qualifiche sottratte alla verifica dei requisiti di condotta di cui al TULPS, persone quali Spiritoso Roberta, Spiritoso Francesco, Antoniello Caterina, D’Ascanio Antonello, Di Sibbio Francesco, Caione Gianluca, tutti vantanti legami familiari e rapporti di frequentazione con famosi sodalizi criminali presenti nel foggiano;
b) sono pervenuti diversi esposti anonimi, denuncianti una diffusa situazione di intimidazione dei dipendenti dell’istituto e dei committenti della zona in cui esso opera;
c) l’istituto ha richiesto il rilascio del porto d’arma e del titolo di guardia giurata in favore di altre persone con frequentazioni riferibili ai pregiudicati della criminalità  organizzata locale.
Dalla lettura del provvedimento impugnato ed in considerazione delle circostanze di fatto riportate, il Collegio ritiene giustificata l’adozione nella fattispecie delle misura in esame.
A tal fine, reputa opportuno richiamare sinteticamente i tratti caratterizzanti l’istituto dell’informativa prefettizia, come delineati dalla giurisprudenza che si è occupata della materia:
– si tratta di una tipica misura cautelare di polizia, preventiva e interdittiva, che si aggiunge alle misure di prevenzione antimafia di natura giurisdizionale e che prescinde dall’accertamento in sede penale di uno o più reati connessi all’associazione di tipo mafioso, per cui non occorre nè la prova di fatti di reato, nè la prova dell’effettiva infiltrazione mafiosa nell’impresa, nè del reale condizionamento delle scelte dell’impresa da parte di associazioni o soggetti mafiosi;
– è sufficiente il “tentativo di infiltrazione” avente lo scopo di condizionare le scelte dell’impresa, anche se tale scopo non si è in concreto realizzato;
– tale scelta è coerente con le caratteristiche fattuali e sociologiche del fenomeno mafioso, che non necessariamente si concreta in fatti univocamente illeciti, potendo fermarsi alla soglia dell’intimidazione, dell’influenza e del condizionamento latente di attività  economiche formalmente lecite;
– gli elementi raccolti non vanno riguardati in modo atomistico ma unitario, sì che la valutazione deve essere effettuata in relazione al complessivo quadro indiziario, nel quale ogni elemento acquista valenza nella sua connessione con gli altri;
– la formulazione generica, più sociologica che giuridica, del tentativo di infiltrazione mafiosa rilevante ai fini del diritto comporta l’attribuzione al Prefetto di un ampio margine di accertamento e di apprezzamento, sindacabile in sede giurisdizionale solo in caso di manifesti vizi di eccesso di potere per illogicità , irragionevolezza e travisamento dei fatti.
Muovendo da tali necessarie premesse, il Collegio non ravvisa alcun profilo di illegittimità  nell’operato dell’Amministrazione.
Sia consentito, a tal fine, rinviare alle considerazioni già  svolte nella decisione adottata nella medesima Camera di Consiglio sul parallelo ricorso n. 220/14.
In quella sede, il Collegio ha invero ritenuto: “è emerso dalla documentazione prodotta, e quindi dall’istruttoria condotta accuratamente dall’Amministrazione, che accanto a questo rapporto (di parentela) ci fossero frequentazioni ancora in essere – si pensi ad esempio al Caione Gianluca, rimasto ferito nell’agguato teso al cognato pregiudicato, Moretti Pasquale, mentre lo accompagnava in auto accanto ad un altro noto pregiudicato, oppure alla Antoniello Caterina, imputata per resistenza a pubblico ufficiale, in concorso col padre ed il coniuge, entrambi noti pregiudicati, elementi tutti che fanno ritenere che accanto alla semplice parentela, vi sia anche un rapporto di contiguità  e frequentazioni con la malavita locale.
Tali circostanze di fatto, determinate e constatabili, si aggiungono agli esposti anonimi che denunciano l’esistenza di una situazione poco serena all’interno dell’azienda, comprovata anche dalle note di diverse sigle sindacali che lamentano il mancato pagamento di alcune mensilità , dal che l’Amministrazione ha tratto, secondo l’id quod plerumque accidit, anche in considerazione dell’alto tasso di criminalità  operante nel territorio – rilevato pure dal ricorrente – e delle modalità  operative delle stesse associazioni criminose, un quadro preoccupante ed una situazione di turbolenza in grado di incidere negativamente sull’ordine e la sicurezza nel territorio provinciale, nonchè il serio pericolo di condizionamenti criminali all’interno dell’istituto stesso.”
E’ chiaro che l’emersione di un quadro siffatto abbia reso doverosa la verifica dei presupposti e delle condizioni che avevano portato in precedenza al rilascio della comunicazione antimafia, emessa, come da più parti rilevato, quando l’istruttoria per la revoca del titolo di polizia era ancora in corso e gli accertamenti non ancora terminati.
Solo a chiusura di tale iter, la Prefettura – che, a tutela delle condizioni di sicurezza e di ordine pubblico nel delicato settore degli appalti pubblici, gode, come visto, della più ampia sfera di discrezionalità  nel selezionare e valorizzare fatti, circostanze ed accadimenti, fra cui anche i contatti e le frequentazioni con pregiudicati o soggetti in rapporto di contiguità  alla criminalità  organizzata, cui possa ricondursi in via presuntiva il pericolo di infiltrazioni mafiose – ha potuto così valutare tutti gli elementi emersi, e ritenere plausibile che i fatti e le vicende riportate fossero sintomatici del pericolo di un qualsivoglia collegamento tra l’impresa e la criminalità  organizzata.
Nei limiti del sindacato lasciato al giudice in tale materia, non emergono dunque nella scelta di tutela del Prefetto elementi di manifesta illogicità  o di travisamento dei presupposti istruttori.
Il predetto organo invero, nel libero apprezzamento del tessuto probatorio acquisito, ha dato rilievo a fatti inerenti alla vita di relazione di alcuni dipendenti che di per sè assumono significativo valore indiziario dell’esposizione al pericolo di condizionamento mafioso proprio all’interno dell’organizzazione aziendale, anche in considerazione del concorso di altri ed ulteriori elementi, quali gli esposti anonimi e le gravi e reiterate irregolarità  e violazioni delle disposizioni disciplinanti il settore della vigilanza privata, che fanno tutti presumere l’esistenza di un concreto pregiudizio per le condizioni di sicurezza che devono invece essere sempre garantite nei rapporti intercorrenti tra la P.A. e l’impresa interessata all’esecuzione di appalti pubblici.
In definitiva, gli elementi acquisiti e valutati dall’Amministrazione, nella loro pluralità  e univocità , sono sufficienti a far ritenere immune dalle denunciate illegittimità  l’informativa prefettizia e conseguentemente doverosa l’adozione della risoluzione del contratto da parte del Poligrafico, esonerando il Collegio dall’esame delle altre censure ritenute comunque assorbite e non idonee ad inficiare la legittimità  dell’operato amministrativo.
Ne segue infine l’infondatezza della domanda risarcitoria, attesa la mancanza dei presupposti oggettivi e soggettivi all’accoglimento della stessa.
Il ricorso va pertanto respinto.
Le spese seguono la soccombenza, da liquidarsi in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Bari, Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna il ricorrente al pagamento in favore delle Amministrazioni resistenti della somma pari a euro 1500,00 (millecinquecento/00) a titolo di spese processuali, oltre ad accessori come per legge. Compensa le spese di lite con l’interventore ad opponendum.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità  amministrativa.
Ritenuto che sussistono i presupposti di cui all’art. 52, commi 1 e 2 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, manda alla Segreteria di procedere, in caso di diffusione del provvedimento, all’annotazione di cui ai commi 1,2 e 5 della medesima disposizione.
Così deciso in Bari nella Camera di Consiglio del giorno 26 giugno 2014 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Antonio Pasca, Presidente
Giacinta Serlenga, Primo Referendario
Paola Patatini, Referendario, Estensore
 
 
 
 

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10/10/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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