1. Edilizia ed urbanistica – Attività  edilizia privata – Accertamento di conformità  –  Opere non destinate alla residenza – Criterio del completamento funzionale


2. Edilizia ed urbanistica – Attività  edilizia privata – Accertamento di conformità  –  Onere della prova – Dichiarazione sostitutiva dell’atto notorio – Insufficienza


3. Edilizia ed urbanistica – Attività  edilizia privata – Ordine di demolizione delle opere abusive – Decorso del tempo – Lesione del legittimo affidamento – Non sussiste


4. Edilizia ed urbanistica –  Attività  edilizia privata – Abuso – Pluralità  di opere – Valutazione


5. Edilizia ed urbanistica – Attività  edilizia privata – Nozione di costruzione – Necessità  di idoneo titolo edilizio – Impianti per attività  produttive – Aree adibite a deposito


6. Edilizia ed urbanistica – Attività  edilizia privata – Ordine di demolizione delle opere abusive – Motivazione

1. In materia di sanatoria di opere abusive, per quelle non destinate alla residenza, ai fini della sanatoria ex art. 31 L. 28/02/1985, n. 47, vale il criterio del completamento funzionale, da intendersi come sussistenza delle opere indispensabili a rendere effettivamente possibile l’uso per il quale sono state realizzate indipendentemente dalla loro ultimazione effettiva.


2. àˆ onere del richiedente il condono edilizio provare che l’opera sia stata completata entro la data utile fissata dalla legge, non essendo a tal fine sufficiente la sola dichiarazione sostitutiva dell’atto notorio, che deve essere supportata da ulteriori riscontri documentali, eventualmente indiziari, purchè altamente probanti.


3. La misura repressivo-ripristinatoria consistente nella demolizione delle opere abusive costituisce atto dovuto e rigorosamente vincolato affrancato dalla ponderazione discrezionale del configgente interesse al mantenimento in loco della res. Il mero decorso del tempo rispetto all’esercizio del potere di controllo edilizio da parte della p.a. non è suscettibile di ingenerare alcun affidamento sulla legittimità  dell’opera e/o sul consolidamento dell’interesse del privato alla sua conservazione. Infatti, da una parte, l’interesse pubblico al ripristino dell’assetto del territorio preesistente all’abuso risiede in re ipsa nella riparazione ed è tipizzato come prevalente dallo stesso legislatore; dall’altra, il potere di irrogare sanzioni in materia edilizia non è sottoposto dalla legge ad alcun termine (nè di prescrizione nè di decadenza) e, stante il carattere permanente dell’illecito, può essere esercitato in ogni momento.


4. Nel vagliare il carattere abusivo o meno di un intervento edilizio consistente in una pluralità  di opere deve effettuarsi una valutazione globale delle stesse, atteso che la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprendere l’effettiva portata dell’abusività  dell’intervento edilizio. 


5. Rientrano nella nozione giuridica di “costruzione” per la quale occorre munirsi di idoneo titolo edilizio tutti quei manufatti che, anche se non necessariamente infissi al suolo e pur semplicemente aderenti a questo, alterino lo stato dei luoghi in modo stabile, non irrilevante e meramente occasionale. Necessitano, dunque, del rilascio del permesso di costruire sia gli impianti per attività  produttive all’aperto, ove comportanti l’esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo in edificato, sia le aree adibite a deposito, qualora l’entità  del deposito dei materiali e la stabilità  dell’utilizzazione dell’area siano tali da comportare una trasformazione permanente dell’assetto edilizio del territorio.


6. Nella motivazione dell’ordine di demolizione è necessaria e sufficiente l’analitica definizione delle opere abusivamente realizzate, in modo da consentire al destinatario della sanzione di rimuoverle spontaneamente; non è, invece, necessaria la descrizione precisa della superficie occupata e dell’area di sedime destinata ad essere gratuitamente acquisita al patrimonio comunale in caso di inottemperanza alla predetta ingiunzione, potendo la specificazione intervenire nella successiva fase dell’accertamento della medesima inottemperanza. Ne consegue che l’erronea indicazione della superficie non integra un vizio dell’ordinanza di demolizione.

N. 00943/2014 REG.PROV.COLL.
N. 00397/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 397 del 2007, integrato da motivi aggiunti, proposto da: 
Bratta Maria, rappresentata e difesa dagli avv. Raffaele Gargano, Giovanna Corrente, con domicilio eletto presso Raffaele Gargano in Bari, via P.Amedeo n. 190; 

contro
Comune di Acquaviva delle Fonti, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Giovanni Paolo Castellaneta, con domicilio eletto presso Fabrizio Lofoco in Bari, via Pasquale Fiore, 14; 

per l’annullamento
quanto al ricorso introduttivo:
del provvedimento prot. n.527 del 9 gennaio 2007 con il quale è stata respinta l’istanza di concessione in sanatoria relativa ai “fabbricati a destinazione d’uso in parte commerciale ed in parte deposito, il tutto allo stato rustico” di proprietà  della sig.ra Bratta;
di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale, ivi compresi, ed ove occorra, la nota prot. n.23185 del 15 dicembre 2006 di comunicazione dei motivi ostativi l’accoglimento della istanza ai sensi dell’art. 10 bis l. 241/90 (e s.m.i.);
nonchè per l’accertamento
della sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge per la sanatoria delle opere abusivamente realizzate;
quanto al ricorso per motivi aggiunti depositato il 15 ottobre 2010:
della ordinanza di demolizione n. 23 del 12 luglio 2010 con la quale il Dirigente del Comune di Acquaviva delle Fonti ha disposto la demolizione dei manufatti realizzati sul suolo di proprietà  della ricorrente in catasto al fg. 36 p.lle 88-90-91 ed il successivo ripristino della originaria destinazione agricola dei luoghi ed ha preannunciato, in caso di omessa demolizione l’acquisizione dell’intera area al patrimonio del Comune.
 

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Acquaviva delle Fonti;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 giugno 2014 la dott.ssa Viviana Lenzi e uditi per le parti i difensori Raffaele Gargano, Paolo Giovanni Castellaneta;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 

FATTO
BRATTA MARIA, in qualità  di proprietaria dei terreni agricoli siti in Acquaviva delle Fonti – fg. 36 p.lle 88, 90 e 91 – in data 10/12/2004 avanzava domanda di condono edilizio ex lege n. 326/2003 in relazione al mutamento della destinazione d’uso di due fabbricati ivi realizzati, da agricolo a commerciale/deposito.
Sulla scorta della documentazione prodotta dall’odierna ricorrente (anche a seguito della richiesta di integrazione avanzata dal competente ufficio), il Comune resistente rigettava l’istanza con provvedimento prot. n. 527 del 9/1/07, deducendo che “i fabbricati oggetto di sanatoria, in relazione alla destinazione commerciale attribuita agli stessi, risultavano non completati funzionalmente” neppure alla data del 30/1/2004. La ricorrente, pertanto, adiva l’intestato Tribunale chiedendo l’annullamento del diniego per violazione e falsa applicazione dell’art. 32 co. 25 e ss. l. 326/2003, nonchè dell’art. 31 l. 47/85 e per eccesso di potere.
In data 12/7/2010, pendente il presente giudizio, il Comune notificava alla ricorrente ordinanza di demolizione di tutti i manufatti esistenti sull’area (e, segnatamente, di tre nuove strutture realizzate in aggiunta a quelle “sub judice”), preannunciando, in caso contrario, l’acquisizione gratuita dell’intera area al patrimonio del Comune.
Con ricorso per motivi aggiunti, la BRATTA impugnava anche tale provvedimento, lamentando:
– l’illegittimità  derivata dello stesso, conseguenza della asserita illegittimità  del diniego già  impugnato,
– la lesione del principio dell’affidamento per essere tale ordine di demolizione intervenuto oltre tre anni dopo il diniego del permesso di costruire in sanatoria.
Quanto alla parte del provvedimento relativa alle ulteriori opere realizzate, la ricorrente ne denunciava l’illegittimità  per violazione e falsa applicazione degli artt. 31 e 3 co. 1 DPR 380/01, nonchè per violazione del principio di proporzionalità  della sanzione e per eccesso di potere.
Le domande cautelari incidentalmente avanzate dalla BRATTA sono state respinte da questo Tribunale con ordinanza dell’11/11/2010 in atti.
DIRITTO
Nel giudizio in esame si controverte – in primis – della legittimità  del provvedimento con cui il Comune di Acquaviva delle Fonti ha rigettato la domanda di condono inoltrata dalla ricorrente in relazione a due fabbricati destinati ad uso in parte commerciale in parte deposito, rilevando che le opere oggetto di condono non erano state “completate funzionalmente” per l’uso dichiarato neppure nel gennaio 2004 e, dunque, in data di gran lunga successiva rispetto a quella prevista dalla normativa sul condono (31/3/2003). In particolare, “i due locali erano costituiti da murature perimetrali in elementi di tufo e copertura in pannelli di lamiera grecata poggiati sulle murature e vincolati da blocchi di tufo” e “gli stessi erano totalmente privi sia degli infissi esterni che di tutte le opere di finitura: intonaci, impianti, pavimenti”.
Orbene, giova ricordare che in base all’art. 31 legge n. 47/85, richiamato dall’art. 39 della legge n. 724/94 e poi dalla legge n. 326/2003, ai fini dell’applicazione delle regole sul condono, “si intendono ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura, ovvero, quanto alle opere interne agli edifici già  esistenti e a quelle non destinate alla residenza, quando esse siano state completate funzionalmente”.
Dunque, la norma, ai fini della sanatoria, distingue tra edifici destinati “alla residenza”, rispetto ai quali si considera sufficiente che di essi sia stato eseguito il rustico e completata la copertura e opere “non destinate alla residenza”, per le quali si considera sufficiente l’intervenuto completamento funzionale.
Il criterio del “completamento funzionale” anticipa la data di ultimazione delle opere ai fini dell’ammissione al condono, per cui un intervento non ancora completato può tuttavia essere giudicato sanabile dal punto di vista funzionale se la costruzione è idonea alle funzioni cui l’opera è destinata (cfr. Consiglio di Stato, sez. V – 21.6.2007 n. 3315).
In particolare, detto completamento funzionale va inteso nel senso come sussistenza delle opere indispensabili a rendere effettivamente possibile l’uso per il quale sono state realizzate (o l’uso diverso da quello a suo tempo assentito o incompatibile con l’originaria destinazione d’uso, nel caso di mutamento di quest’ultimo).
Posto poi che la distinzione tra ultimazione a rustico e completamento funzionale deve essere eseguita in concreto e non in astratto, non essendo sufficiente la qualificazione della parte a determinare oggettivamente il contenuto dei lavori eseguiti (cfr. Consiglio di Stato, sez. V 18 dicembre 2002, n. 702l), sempre ai fini del condono edilizio, è stato sottolineato che è onere del richiedente il condono edilizio provare che l’opera sia stata completata entro la data utile fissata della legge, non essendo a tal fine sufficiente la sola dichiarazione sostitutiva dell’atto notorio, che deve essere supportata da ulteriori riscontri documentali, eventualmente indiziari, purchè altamente probanti (cfr. Consiglio di Stato Sez. V , 3 giugno 2013, n. 3034, sez. IV, 6 giugno 2001, n. 3067; sez. V, 14 marzo 2007, n. 1249).
Ciò premesso, necessita verificare se i fabbricati oggetto di causa risultavano completati funzionalmente entro il termine perentorio del 31/03/2003.
Di tale circostanza non vi è prova in atti, non essendo all’uopo dirimenti le fotografie trasmesse dalla ricorrente all’Amministrazione solo nell’ottobre 2005 e, pertanto, inidonee a documentare uno stato di fatto precedente di oltre due anni. Nè, allo stesso fine, appaiono decisive le fatture relative all’acquisto di beni e servizi versate in atti.
Ritenuta la legittimità  del diniego del permesso di costruire in sanatoria, resta assorbito il motivo di impugnazione dell’ordine di demolizione per illegittimità  derivata in relazione alle medesime opere.
La ricorrente si duole, altresì, della lesione del legittimo affidamento ingenerato dalla P.A. che ha provveduto ad ingiungere la demolizione delle opere oltre tre anni dopo il diniego del permesso di costruire. La censura non coglie nel segno: ed invero, “la gravata misura repressivo-ripristinatoria costituisce – per ius receptum – atto dovuto e rigorosamente vincolato, affrancato dalla ponderazione discrezionale del confliggente interesse al mantenimento in loco della res, dove l’interesse pubblico risiede in re ipsa nella riparazione (tramite ripristino dello stato dei luoghi) dell’illecito edilizio e, stante il carattere permanente di quest’ultimo, non viene meno per il mero decorso del tempo, insuscettibile di ingenerare affidamenti nel soggetto trasgressore (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 31 agosto 2010, n. 3955; sez. V, 11 gennaio 2011, n. 79; sez. IV, 4 maggio 2012, n. 2592; TAR Campania, sez. VI, 6 settembre 2010, n. 17306; sez. VII, 3 novembre 2010, n. 22291; sez. VIII, 5 gennaio 2001, n. 4; 6 aprile 2011, n. 1945; TAR Puglia, Lecce, sez. III, 10 settembre 2010, n. 1962; 9 novembre 2010, n. 2631; TAR Piemonte, Torino, sez. I, 19 novembre 2010, n. 4164; TAR Lazio, Roma, sez. II, 6 dicembre 2010, n. 35404; TAR Liguria, Genova, sez. I, 21 marzo 2011, n. 432; TAR Campania., Napoli, sez. VIII, 24 luglio 2013, n. 3810).
Ed ancora: “Il mero decorso del tempo non è sufficiente a far insorgere un affidamento sulla legittimità  dell’opera o comunque sul consolidamento dell’interesse del privato alla sua conservazione, nè, per conseguenza, ad imporre la necessità  di una specifica motivazione in ordine all’esistenza di un interesse pubblico prevalente. Infatti, l’unico interesse, la cui tutela è rimessa dal Legislatore alla sanzione demolitoria, è l’interesse al ripristino dell’assetto del territorio preesistente all’abuso, tipizzato come prevalente dallo stesso Legislatore. In definitiva, il potere di irrogare delle sanzioni in materia edilizia ed urbanistica può essere esercitato in ogni tempo, posto che la legge non lo sottopone a termini di prescrizione, nè di decadenza, e che riguarda una situazione di illiceità  permanente, ossia una situazione di fatto attualmente contra ius. Esso, inoltre, non necessita di specifica motivazione in relazione alla sussistenza dell’interesse pubblico ad irrogare la sanzione, neppure quando l’abuso sia stato commesso parecchi anni prima, non essendo configurabile nessun legittimo affidamento del contravventore a vedere conservata una situazione di fatto che, in disparte l’idoneità  o meno del tempo a consolidarla, rimane contra ius” (TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 8 novembre 2007, sentenza n. 6200, Cons. Stato, VI, 11 maggio 2011, n. 2781; C.d.S., VI, 5 aprile 2012, n. 2038).
Resta da vagliare la tenuta dell’ordine di demolizione per la parte concernente gli ulteriori abusi riscontrati; ed invero, l’eventuale illegittimità  del provvedimento di diniego di sanatoria può travolgere solo l’ordine di demolizione per la parte relativa alle opere oggetto dell’istanza, ma non può, per converso, investire opere diverse e distinte rispetto a quelle, di cui sia stata separatamente accertata l’abusività .
Nel caso in esame, il dirigente del Comune resistente – sulla scorta di una comunicazione proveniente dalla GdF – ha riscontrato la presenza di ulteriori manufatti abusivi di cui ha ordinato la demolizione e specificamente:
1) un locale deposito materiali (costituito da una tettoia realizzata con pilastri centrali poggiati al suolo, paletti di sostegno metallici fissati in parte al pre-esistente muro perimetrale e copertura con lastre in metallo);
2) una struttura box destinata a locale ufficio;
3) una struttura adibita a deposito materiali edili, costituita da due cassoni autoveicoli laterali e copertura di travi e lastre metalliche.
Va preliminarmente evidenziato che è del tutto fuorviante la considerazione atomistica dei singoli manufatti operata dalla ricorrente. Ed invero, “Nel vagliare un intervento edilizio consistente in una pluralità  di opere, come qui accaduto, deve piuttosto effettuarsi una valutazione globale delle stesse, atteso che “la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprendere l’effettiva portata dell’operazione” (cfr. in tali sensi, T.A.R. Campania Napoli, sez. VI, 03 dicembre 2010 , n. 26787; Tar Campania, Napoli, sezione sesta, 16 aprile 2010, n. 1993; 25 febbraio 2010, n. 1155; 9 novembre 2009, n. 7053; Tar Lombardia, Milano, sezione seconda, 11 marzo 2010, n. 584)” – così, da ultimo, TAR Campania, Napoli, sez. VI, 22 gennaio 2014 n. 824.
Nel caso di specie, in considerazione dell’entità  complessiva di quanto realizzato sia pure in tempi diversi, nonchè delle dimensioni dei depositi di materiali e della stabilità  dell’utilizzazione dell’area come deposito (protrattasi almeno fino al luglio 2010, epoca dell’accertamento da parte della GdF), è da ritenersi certamente realizzata una trasformazione permanente dell’assetto edilizio del territorio, necessitante del rilascio di permesso di costruire ai sensi dell’art. 3, lett. e7), d.P.R. n. 380/2001 (che fa riferimento alle ipotesi di “realizzazione di depositi di merci o di materiali” e di “realizzazione di impianti per attività  produttive all’aperto ove comportino l’esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo in edificato”).
In altri termini, gli interventi ulteriori colpiti dal provvedimento sanzionatorio non possono non ripetere le caratteristiche di illegittimità  delle opere originarie, da ritenersi abusive per effetto del diniego del permesso di costruire in sanatoria.
Ritiene inoltre il Collegio che erri parte ricorrente laddove sostiene che i predetti manufatti non sarebbero annoverabili tra le opere necessitanti di permesso di costruire, siccome aventi carattere pertinenziale (la tettoia) e sostanzialmente precario (la struttura box e i due “cassoni autoveicoli”). Ed invero, rientrano nella nozione giuridica di “costruzione” per la quale occorre munirsi di idoneo titolo edilizio, tutti quei manufatti che, anche se non necessariamente infissi al suolo e pur semplicemente aderenti a questo, alterino lo stato dei luoghi in modo stabile, non irrilevante e non meramente occasionale, come impianti per attività  produttive all’aperto, ove comportanti l’esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo in edificato (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 26.09.2013 n. 2210).
Proprio in relazione ad aree adibite a deposito, la giurisprudenza amministrativa ha costantemente affermato che, qualora l’entità  del deposito dei materiali e la stabilità  dell’utilizzazione dell’area emergano con una certa evidenza, è da ritenersi realizzata una trasformazione permanente dell’assetto edilizio del territorio, necessitante di concessione edilizia (TAR Milano sez. IV, 20.12.2011, n. 3307 e sez. II, 11.03.2011, n. 583).
Nè appare fondata la censura della ricorrente relativa alla possibilità  di rimozione (piuttosto che di demolizione) almeno di parte di quanto realizzato, non essendo revocabile in dubbio che il fine ultimo dell’impugnato provvedimento sia il ripristino della originaria destinazione agricola dei luoghi (come palesato nella parte prescrittiva del provvedimento), ovviamente realizzabile a mezzo di “mera” rimozione con riguardo alle strutture amovibili.
Quanto al piazzale, giova ricordare che ai sensi dell’art. 10,1° co. del T.U. n.380/2001, l’intervento in esame costituisce senza dubbio un intervento di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio subordinata a permesso di costruire, in quanto rientra tra gli “interventi di nuova costruzione” di cui all’art. 3, comma 1° lett. e.7) che, per l’appunto, ricomprende senza distinzioni “¦ la realizzazione di depositi di merci o di materiali, la realizzazione di impianti per attività  produttive all’aperto ove comportino l’esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo in edificato¦”.
L’intervento effettuato dalla ricorrente appare, infatti, come “funzionale ad un permanente utilizzo commerciale dell’area (e non ad uno scopo contingente, temporaneo o occasionale) che, in quanto tale, contraddice ed impedisce definitivamente la vocazione agricola impressa dallo strumento urbanistico e implica un notevole incremento nella zona del carico urbanistico (da ultimo, Consiglio Stato, sez. IV, 23/2/2012 n. 976, ma anche Consiglio Stato, sez. V, 30 aprile 2009, n. 2768; Cons. Stato, sez. V, 31 dicembre 2008, n. 6756; Consiglio Stato, sez. IV, 01 ottobre 2007, n. 5035; Cons. Stato, sez. IV, 22 dicembre 2005, n. 7343; Consiglio Stato, sez. V, 11 novembre 2004, n. 7324; Consiglio Stato, sez. V, 15 giugno 2000, n. 3320; Cassazione Penale III, 9/6/1982), necessitante, pertanto di permesso di costruire.
Infondata, infine, si palesa la doglianza relativa alla preannunciata acquisizione – in caso di inottemperanza all’ordine demolizione nel termine di gg. 90 – dell’intera area ricadente nelle particelle nn. 88/90/91 del fg. 36. La ricorrente rileva, infatti, che tale area risulta avere l’estensione di 9.000 mq, mentre la superficie occupata da tutti i manufatti abusivi risulta di appena 250 mq. (dati entrambi non contestati dalla controparte), cosicchè la preannunciata acquisizione sarebbe illegittima per contrasto con quanto previsto dall’art. 31 co. 3 DPR n. 380/2001: “Se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione, il bene e l’area di sedime, nonchè quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del Comune. L’area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita”.
Ed invero, “Nella motivazione dell’ordine di demolizione è necessaria e sufficiente l’analitica definizione delle opere abusivamente realizzate, in modo da consentire al destinatario della sanzione di rimuoverle spontaneamente, mentre non è necessaria la descrizione precisa della superficie occupata e dell’area di sedime destinata ad essere gratuitamente acquisita al patrimonio comunale in caso di inottemperanza alla predetta ingiunzione, potendo la specificazione intervenire nella successiva fase dell’accertamento della medesima inottemperanza. L’eventuale erroneità  dell’indicazione, pertanto, non costituisce vizio dell’ordinanza di demolizione nella quale peraltro sono precisamente indicate le opere abusive in modo da non consentire equivoci sull’individuazione del’area, che, all’esito della procedura e in caso di inottemperanza, potrebbe essere acquisita al patrimonio del Comune” (TAR Campania, Napoli, sez. VI, sent. 4/12/2013 n. 5519).
Per le suesposte ragioni il ricorso non merita accoglimento.
Sussitono giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza)
definitivamente pronunciando, respinge il ricorso.
Compensa le spese di lite tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità  amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 18 giugno 2014 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Sergio Conti, Presidente
Desirèe Zonno, Primo Referendario
Viviana Lenzi, Referendario, Estensore
 
 
 
 

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 17/07/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Share on facebook
Facebook
Share on twitter
Twitter
Share on linkedin
LinkedIn
Share on whatsapp
WhatsApp

Tag

Ultimi aggiornamenti

Galleria