1. Procedimento amministrativo – Provvedimento – Istanza di autotutela – Illegittimità emersa in sede penale – Obbligo – Non sussiste – Ragioni
2. Procedimento amministrativo – Provvedimento – Provvedimento emesso nell’ambito della commissione di un reato – Vizi dell’atto – Annullabilità -Ragioni
3. Edilizia ed urbanistica – Attività edilizia privata – Titolo edilizio – Conformità allo strumento urbanistico – Casistica
1. Qualora emerga in sede penale l’illegittimità di un provvedimento, l’Amministrazione ha l’obbligo di esaminare le eventuali istanze di annullamento d’ufficio del predetto provvedimento, adottando sulle stesse una pronunzia esplicita, mentre non è punto tenuta a ritirarlo spontaneamente in autotutela, essendo l’autotutela istituto retto dal principio della facoltatività e discrezionalità amministrativa, in cui convergono e si contrappongono da un lato esigenze di certezza del diritto ed inoppugnabilità degli atti non tempestivamente impugnati, dall’altro il principio di legalità .
2. I provvedimenti amministrativi adottati nell’ambito della commissione di un reato restano afflitti dalla generale figura del vizio di legittimità per violazione di legge (per violazione di norme penali), sicchè la forma di invalidità resta da inquadrare nella generale categoria dell’illegittimità e non della nullità per interruzione del rapporto organico e di servizio.
3. La destinazione di un immobile ad “uffici finanziari” non è di per sè incompatibile con la tipizzazione del suolo ad “aree a servizio della residenza”. Tuttavia, non può considerarsi coerente con questa tipizzazione urbanistica l’avvenuta destinazione dell’edificio a uffici dell’Agenzia dell’Entrate, come tali privi di vocazione a servizio della residenza.
N. 00834/2014 REG.PROV.COLL.
N. 01129/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1129 del 2013, proposto da:
Procedura di Concordato Preventivo “I.E.A. S.p.a.”, rappresentata e difesa dall’avv. Michele Didonna, con domicilio eletto presso Michele Didonna in Bari, via Cognetti, n.58;
contro
Comune di Bari, rappresentato e difeso dagli avv. Chiara Lonero Baldassarra e Augusto Farnelli, con domicilio eletto presso Augusto Farnelli in Bari, c/o Avv. ra Comunale, via P.Amedeo n.26;
per l’annullamento
– della nota prot. n. 142387 del 14.6.2013, ricevuta a mezzo fax il 17.6.2013, con cui la Ripartizione Urbanistica ed Edilizia Privata del Comune di Bari ha negato l’annullamento in autotutela ex art. 21 octies, legge n. 241/1990 o il ritiro per nullità ex art. 21 septies l. cit., della concessione edilizia in variante n. 132 del 3.6.2003 e del permesso di costruire in variante n. 377 del 27.11.2003, richiesti dalla ricorrente con istanza dell’11.2.2013;
– di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale, comunque lesivo degli interessi della procedura di concordato preventive, ancorchè non conosciuto.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Bari;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 giugno 2014 la dott.ssa Desirèe Zonno e uditi per le parti i difensori MIchele Didonna, Augusto Farnelli e Chiara Lonero Baldassarra;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Espone in fatto l’odierna ricorrente, con allegazioni non contestate da controparte, che il complesso edilizio “Agorà “, sito in Bari alla v. Fanelli n.285, è stato costruito in virtù delle concessioni edilizie n.408/89 del 1°.10.90 e successive varianti nn. 475/91; 1869/96; 545/00 (quest’ultima in sanatoria).
Il complesso, composto dei lotti nn. 1 e 2, è stato inizialmente costruito con destinazione d’uso di “centro polifunzionale per la terza età “.
Con le successive varianti C.E. n. 132/03 e P.d.C. n.377/03, il lotto n.1 è stato oggetto di mutamento di destinazione d’uso da “centro polifunzionale per la terza età ” a “uffici finanziari”.
Gli uffici in questione sono stati in concreto destinati ad ospitare l’articolazione regionale dell’Agenzia delle Entrate.
La sentenza della Corte di Cassazione, sez. pen. III, n. 33897 del 20.9.10 (resa su ricorso R.G. 32150/2008) che si è occupata della vicenda in sede penale, ha confermato la sentenza del 4.2.2008 del Tribunale di Bari di assoluzione degli imputati (l’amministratore unico della società ; il tecnico dell’Ufficio comunale della ripartizione e qualità edilizia, nonchè responsabile del procedimento ed, infine, il caposettore) per difetto dell’elemento psicologico, ritenendo configurabile l’errore scusabile, pur confermando la configurabilità dell’elemento oggettivo dei reati di abuso edilizio per totale difformità (artt. 31 e 44 lett. b DPR 380/01) e lottizzazione abusiva (artt. 30 e 44 lett. c DPR cit).
Sotto il profilo oggettivo ha, in particolar modo e per la parte che rileva ai fini della presente decisione, ritenuto che la lottizzazione abusiva si fosse realizzata perchè le NTA consentivano la realizzazione, nella zona interessata, destinata ad “aree per i servizi della residenza” , di interventi edilizi destinati a soddisfare esigenze della comunità residenziale.
Ciò anche attraverso la realizzazione di edifici destinati all’esercizio di pubblici servizi, purchè, tuttavia, vi fosse un collegamento con le esigenze residenziali.
Nel caso di specie, la destinazione a uffici finanziari non denunciava nessuna incompatibilità , in linea di principio, con la destinazione urbanistica, tuttavia, la destinazione ad uffici regionali dell’Agenzia delle entrate denotava il difetto del requisito della residenzialità , sicchè era in tale specifica destinazione che si manifestava il reato contestato (v. pagg 6 – 7 della sentenza depositata in atti, all. 6 al ricorso introduttivo).
La pronuncia penale, peraltro, affermava anche la sussistenza del reato di abuso edilizio, “essendo state le concessioni edilizie rilasciate in aperto contrasto con la disciplina urbanistica” (v. pag. 7 sent. cit. quintultimo rigo).
Ritenuta, per ciò, la illegittimità dei titoli in variante C.E. n. 132/03 e P.d.C. n.377/03, gli organi della procedura di concordato preventivo, hanno richiesto la rimozione in autotutela degli stessi, in virtù dei rilievi del Giudice penale.
Dopo l’iniziale inerzia dell’amministrazione intimata sull’istanza de qua – ed a seguito dell’instaurazione di apposito giudizio volto ad ottenere la pronuncia giudiziale dell’obbligo di provvedere in merito- il Comune di Bari ha adottato la nota in oggetto indicata, impugnata in questa sede, con cui ha negato il ritiro in autotutela, esponendone le ragioni.
Il Comune ha, in particolare ritenuto, che il dictum della sentenza della Corte di Cass. citata dalla stessa istante, non imponesse la rimozione dei titoli edilizi in questione, atteso che essi sancivano il cambio di destinazione genericamente in “uffici finanziari” e questa destinazione, in quanto tale, non si poneva in contrasto con la disciplina di cui agli artt. 40, 43,52 delle NTA del PRG (“aree per la residenza”), nascendo, invece, il contrasto dal particolare uso in concreto che la proprietà ne aveva fatto, affidando i locali all’Agenzia dell’Entrate per svolgervi servizi che nessun connotato di collegamento con la popolazione residente possedevano.
Pertanto, era da ritenersi che non il titolo edilizio in astratto, bensì l’uso specifico in concreto impresso dalla proprietà , contrastasse con la disciplina urbanistica, con la conseguenza che, laddove la proprietà avesse inteso “riportare” la destinazione d’uso a quella originaria (cioè “centro polifunzionale per la terza età “, come da originari titoli edilizi, destinati a reviviscenza in ipotesi di ritiro in autotutela), avrebbe potuto e dovuto proporre nuova istanza di cambio di destinazione d’uso (che l’amministrazione si dichiarava sin da allora disponibile ad esaminare), comunicando altresì, ai fini di una soluzione di ogni problematica in merito, di aver indetto un tavolo di concertazione per il giorno 18.6.13.
In altri termini – ed in questo il fulcro delle difese espresse anche in giudizio- non sarebbero i titoli edilizi in variante a concretare il contrasto con la disciplina urbanistica, essendo questi astrattamente compatibili con la destinazione a strutture per pubblici servizi (connessi alla residenza), bensì il concreto uso impresso dalla proprietà , destinando i locali in questione (quelli del lotto n.1) ad uffici finanziari del tutto privi del requisito della funzionalità al soddisfacimento di esigenze dei residenti (al servizio della popolazione residente, come imposto dalle NTA).
Contro tale provvedimento insorge la società ricorrente, reclamando l’obbligo del Comune di annullare in autotutela i titoli già indicati e denunciando, in estrema e doverosa sintesi, l’illegittimità del provvedimento impugnato per contrarietà con l’art. 27 t.u.edil (DPR n.380/01) e con l’art. 97 cost.
Il rifiuto di annullare i titoli che hanno consentito la trasformazione della destinazione d’uso in “uffici finanziari” violerebbe il generale dovere di repressione degli abusi edilizi imposto dall’art. 27 cit, posto che tali titoli avrebbero determinato la lottizzazione abusiva accertata dal Giudice penale.
Inoltre, l’azione amministrativa sarebbe connotata, nell’adozione del provvedimento impugnato, dalla violazione del principio di legalità , posto che risulterebbe ormai incontrovertibile l’illegittimità dei titoli in questione ed addirittura la loro illiceità penale.
La tesi di parte ricorrente non convince.
In primo luogo è necessario sgomberare il campo dalla suggestiva tesi proposta sia con il ricorso, sia con la memoria depositata il 17.5.2014, secondo cui la giurisprudenza avrebbe ormai affermato l’esistenza di un preciso dovere dell’amministrazione di provvedere in autotutela (in modo, per così dire, vincolato) al ritiro di titoli e provvedimenti di cui risulti accertata l’illegittimità (per giunta per contrarietà alle norme penali), così superando il consolidato e , fino ad ora, condiviso orientamento secondo cui l’annullamento in autotutela costituisce una mera facoltà dell’amministrazione e non un obbligo.
La difesa di parte ricorrente cita, a tal fine, due sentenze: la n.536/12 del TAR Calabria, Reggio Calabria e la n. 5266/13 del Cons. di Stato, resa su appello alla suddetta sentenza di I grado.
La integrale lettura delle sentenze in questione (di cui quella di appello ha riformato in parte quella di primo grado) rende chiaramente edotti che il principio di diritto che ne emerge principalmente è affatto diverso.
La sentenza del Con. di Stato n. 5266/13, infatti, non afferma il principio secondo cui l’amministrazione ha l’obbligo di ritirare in autotutela i provvedimenti di cui si accerti l’illegittimità (eventualmente a seguito di giudicato penale, nel caso di specie non formatosi in quanto il processo penale si era concluso con l’estinzione dei reati per prescrizione), bensì che ha l’obbligo di esaminare le istanze a tal fine rivolte, adottando sulle stesse un provvedimento esplicito.
La decisione giunge ad affermare chiaramente, peraltro, che i provvedimenti adottati nell’ambito della commissione di un reato restano afflitti dalla generale figura del vizio di legittimità per violazione di legge (per violazione di norme penali), sicchè la forma di invalidità resta da inquadrare nella generale categoria dell’illegittimità e non della nullità (per interruzione del rapporto organico e di servizio come, invece, aveva ritenuto di poter fare il Giudice di prime cure).
Chiarito, dunque, che gli arresti citati (di cui, peraltro, deve porsi in rilievo solo quello di II grado, stante la intervenuta riforma parziale della sentenza di I grado) si limitano ad affermare l’obbligo di provvedere sulle istanze in autotutela (il che, peraltro, rappresenta una novità nell’ambito dei tradizionali principi comunemente affermati dalla comunità scientifica) e non di rimuovere in autotutela gli atti illegittimi, può procedersi ad esaminare la questione posta dall’odierna ricorrente.
Il punto nodale della decisione risiede evidentemente, nella individuazione o meno di un obbligo per l’amministrazione di ritiro in autotutela di atti di cui sia riconosciuta l’illegittimità a seguito di sentenza penale dotata di autorità di giudicato.
Emerge chiaramente da quanto sin qui esposto, nonchè dalle difese della stessa ricorrente che è principio pacifico in giurisprudenza e dottrina che tale obbligo non sussiste, essendo l’autotutela istituto retto dal principio della facoltatività e discrezionalità amministrativa, in cui convergono e si contrappongono da un lato esigenze di certezza del diritto ed inoppugnabilità degli atti non tempestivamente impugnati, dall’altro il principio di legalità .
Proprio la contrapposizione di tali opposti e parigrado principi (quello di stretta legalità da un lato e quello di certezza del diritto dall’altro) giustificano la natura pacificamente discrezionale dell’istituto che trova la sua giustificazione e ragion d’essere nella necessità di demandare all’amministrazione di valutare in concreto quale dei principi in esame risulti prevalente nel caso di specie.
Sono queste le ragioni che inducono ad escludere una deroga ai principi generali finora affermati in tema di autotutela anche nell’ipotesi, tutt’altro che piana, sottoposta al Collegio.
La sussistenza di un illecito penale o dell’intangibile principio di repressione degli abusi edilizi, idonei di per sè a imporre il ripristino della legalità violata, trovano un insuperabile contrappeso – che ne impone il bilanciamento e l’individuazione di un punto di equilibrio – nel parigrado principio di stabilità e certezza degli atti amministrativi.
Nè vale invocare, nel caso di specie, l’effetto conformativo del giudicato penale.
La sentenza in questione, infatti, per quanto attiene il reato di lottizzazione abusiva, è esplicita nell’indicarne la commissione a causa dell’adibizione dell’edificio a uffici dell’Agenzia dell’Entrate, come tali privi di vocazione residenziale, escludendo che la mera destinazione ad uffici finanziari (come si legge nei titoli edilizi in variante) evidenziasse la contrarietà alla destinazione di zona.
Dunque, è proprio l’iter motivazionale della pronuncia penale a confortare l’amministrazione nella motivazione adottata a sostegno del diniego di ritiro in autotutela.
E’ ben vero che, nella stessa sentenza si afferma la contrarietà delle concessioni edilizie con la disciplina urbanistica, ma tale passaggio motivazionale stride irrimediabilmente con quanto affermato nella parte precedente della stessa motivazione, laddove si sostiene che “non vi fosse alcuna incompatibilità , in linea di principio, con la destinazione dell’immobile ad uffici finanziari. Era necessario, però, che tali uffici fossero destinati al servizio della popolazione residente”.
Infatti, da tanto sembrerebbe desumersi, come ha ritenuto l’ente comunale, che (quantomeno) le varianti del 2003 fossero in sè legittime, relativamente alla modifica della destinazione d’uso, risultando il reato di lottizzazione abusiva consumato in virtù del concreto uso impresso dalla proprietà (utilizzo cioè, per quel particolare tipo di uffici finanziari).
Conclusivamente, ribaditi i principi generali in tema di autotutela, deve escludersi che ricorrano, nel caso di specie, ragioni per ipotizzare la invocata deroga agli stessi.
Per le ragioni appena esposte, il ricorso non trova accoglimento.
Le spese contravvengono alla soccombenza, in ragione della novità della questione esaminata in materia di sussistenza di principi che impongano la deroga ai principi relativi all’istituto dell’autotutela.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 18 giugno 2014 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Conti, Presidente
Desirèe Zonno, Primo Referendario, Estensore
Maria Colagrande, Referendario
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 01/07/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)