1. Sanità  e farmacie – Struttura sanitaria privata convenzionata o accreditata – Revoca autorizzazione all’esercizio dell’attività  sanitaria – Presupposti – Comunicazione di avvio del procedimento – Non occorre – Fattispecie


2. Sanità  e farmacie – Servizio sanitario – Struttura sanitaria privata convenzionata o accreditata – Revoca autorizzazione all’esercizio dell’attività  sanitaria – Competenza

1. Nel caso di conclamato accertamento di “situazione di pericolo per la salute dei cittadini”, non corre alcun obbligo per l’Amministrazione regionale di procedere alla comunicazione di avvio del procedimento di revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività  sanitaria in regime di ricovero (nel caso di specie, da una nota del Dipartimento di Prevenzione dell’ASL FG, era emerso che nella casa di cura gestita dalla società  ricorrente sussistevano serissimi deficit sia nel campo organizzativo che in quello strutturale: si spaziava dalla mancanza di adeguato personale medico nelle specialità  per cui la struttura è autorizzata; al difetto di agibilità  per i locali interrati adibiti a sale diagnostiche; alla mancanza di reparti suddivisi per specialità , risultando i pazienti distinti solo per sesso e per il resto assistiti in regime di assoluta promiscuità  patologica; per concludere con la pubblicità  ingannevole, perchè venivano proposte al pubblico prestazioni diagnostiche o terapeutiche che la struttura in realtà  non esegue).


2. Ai sensi del combinato disposto degli artt. 8, comma 3, e 15 della L.R. Puglia n. 8/04, in forza del principio del contrarius actus, per “autorità  competente” all’adozione del provvedimento di revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività  sanitaria deve intendersi quella competente all’adozione del provvedimento autorizzatorio, dunque l’Amministrazione regionale.

N. 00270/2014 REG.PROV.COLL.
N. 00990/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 990 del 2010, integrato da motivi aggiunti, proposto da: 
Daunia Medica S.r.l., rappresentata e difesa dagli avv. Giovanni Abbattista, Luigi Paccione, con domicilio eletto presso Luigi Paccione in Bari, via Q.Sella, n.120; 

contro
Regione Puglia, rappresentata e difesa dall’avv. Maria Scattaglia, con domicilio eletto presso Maria Scattaglia in Bari, c/o Settore Leg.G.R. via Dalmazia,n.70; 
Azienda Sanitaria Locale Foggia, rappresentata e difesa dall’avv. Giovanna Corrente, con domicilio eletto presso Giovanna Corrente in Bari, via M. Celentano, n.27; 

per l’annullamento
quanto al RICORSO INTRODUTTIVO:
della deliberazione di Giunta Regionale n. 1415 del 14.06.2010, recante il seguente oggetto: << Art. 15, comma 2, L.R. n. 8/04 e s.m.i. Revoca dell’autorizzazione all’esercizio di attività  sanitaria in regime di ricovero per acuti della C.d. C. “San Michele” in Manfredonia per le branche di Oncologia, Gastroenterologia, Pneumonologia»;
della nota prot. n A00 081/2868/Coord. del 15.06.2010, con la quale il Dirigente del Servizio PGS
ha trasmesso la detta deliberazione di G.R. n. 1415/2010, incaricando il Direttore Generale dell’ASL FG di provvedere al trasferimento immediato dei pazienti ricoverati presso la Casa di Cura “S. Michele” verso non meglio identificate strutture pubbliche di ricovero e cura;
della Relazione a firma del Direttore di Dipartimento di Prevenzione di Foggia di cui alla nota prot. n. 3376/DIP/1 del 09.06.2010;
di ogni altro atto presupposto, collegato e/o conseguenziale, ancorchè non conosciuto.
quanto al ricorso per MOTIVI AGGIUNTI depositato il 5 ottobre 2010:
– del Decreto del Presidente della Giunta regionale di Puglia n. 875 del 21 luglio 2010, avente ad oggetto: “art. 15, comma 2, L.R. 8/04 e s.m.i. Revoca dell’autorizzazione all’esercizio di attività  sanitarie in regime di ricovero per acuti della C.d.C. “San Michele” in Manfredonia per le branche di Oncologia, Gastroenterologia, Pneumonologia”;
– della Determinazione dirigenziale regionale -Assessorato alle Politiche della Salute- n. 302 del 4.8.2010, recante il seguente oggetto: <<Casa di Cura “San Michele” Manfredonia. Conclusione del procedimento relativo alla revoca dell’accreditamento provvisorio con il SSR>>, comunicato con nota prot. n.A00.081/3707/Coord. del 5.8.2010;
 

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Regione Puglia e di Azienda Sanitaria Locale Foggia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 gennaio 2014 la dott.ssa Desirèe Zonno e uditi per le parti i difensori Luigi Paccione, Giovanna Corrente e Adriana Shiroka;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 

FATTO e DIRITTO
La società  ricorrente, titolare di autorizzazione all’erogazione di prestazioni sanitarie, nonchè di provvedimento di accreditamento presso la Regione Puglia, impugna, con il ricorso principale,
la deliberazione di Giunta Regionale n. 1415 del 14.06.2010, recante il seguente oggetto: “Art. 15, comma 2, L.R. n. 8/04 e s.m.i. Revoca dell’autorizzazione all’esercizio di attività  sanitaria in regime di ricovero per acuti della C.d. C. “San Michele” in Manfredonia per le branche di Oncologia, Gastroenterologia, Pneumologia”.
Con il ricorso per motivi aggiunti impugna, invece, il successivo decreto del Presidente della Giunta regionale pugliese n. 875 del 21.6.2010, avente ad oggetto: “art. 15, comma 2, L.R. 8/04 e s.m.i. Revoca dell’autorizzazione all’esercizio di attività  sanitarie in regime di ricovero per acuti della C.d.C. “San Michele” in Manfredonia per le branche di Oncologia, Gastroenterologia, Pneumologia”, nonchè la determinazione dirigenziale regionale -Assessorato alle Politiche della Salute- n. 302 del 4.8.2010, recante il seguente oggetto: “Casa di Cura “San Michele” Manfredonia. Conclusione del procedimento relativo alla revoca dell’accreditamento provvisorio con il SSR”, comunicato con nota prot. n.A00.081/3707/Coord. del 5.8.2010.
Negata la tutela cautelare collegiale, la causa è stata trattenuta in decisione all’udienza del 23.1.2014.
Va preliminarmente dichiarata la sopravvenuta improcedibilità  del ricorso principale, atteso che l’iniziale provvedimento di revoca dell’autorizzazione è stato successivamente sostituito da quello, avente analogo oggetto, impugnato con motivi aggiunti, sicchè l’interesse alla decisione si appunta esclusivamente su quest’ultimo, nonchè sull’atto di revoca dell’accreditamento parimenti impugnato con il ricorso per motivi aggiunti.
Tanto premesso, può procedersi all’esame delle censure formulate con il ricorso per motivi aggiunti, da indicare con la necessaria e doverosa sintesi.
Con una prima censura rubricata sub 34.a.a), la società  ricorrente censura il decreto presidenziale n. 875/2010 (di revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività  sanitaria), prospettando – in via eventuale e salva la qualificazione giuridica operata dal giudicante- la sua natura di atto di convalida del precedente decreto giuntale n.1415/2010 (già  impugnato con il ricorso principale), adottato all’evidente fine di superare la doglianza di incompetenza, formulata nel ricorso principale.
Sul punto, evidenzia il Collegio che tale qualificazione giuridica (prospettata per la verità , come già  chiarito, per tuziorismo difensivo) non può essere condivisa, in quanto il decreto in questione, in primo luogo, non reca alcun riferimento testuale alla natura di atto di convalida.
Peraltro, non propone neppure una efficacia retroattiva rispetto alla sua adozione, sicchè non sussiste elemento per seguire tale prospettazione.
La censura va, pertanto, respinta.
Con la seconda doglianza si lamenta la violazione delle garanzie partecipative, per non essere stato l’atto di revoca (dell’autorizzazione) preceduto da alcuna comunicazione di avvio del procedimento, in aperto contrasto, peraltro, non solo con le disposizioni della legge sul procedimento amministrativo (l. n. 241/90), ma anche con l’art. 16 L.R. n.8/2004 che contempla, per il destinatario del provvedimento, la possibilità  di far pervenire alla Regione, i propri scritti difensivi relativi alla contestazione di specifici addebiti, “salvo accertata situazione di pericolo per la salute dei cittadini”.
La ricorrente deduce che nessuna situazione di pericolo per la salute pubblica si sarebbe verificata nel caso di specie, atteso che da un lato la struttura non era mai stata oggetto di rilievi, dall’altro esisteva un precedente atto del 20.3.2006, del Dipartimento di Prevenzione dell’ASL FG che escludeva l’esistenza di alcuna carenza strutturale od organizzativa.
La doglianza è infondata.
Occorre premettere in punto di fatto, che l’atto di revoca è stato originato da una nota del Dipartimento di Prevenzione dell’ASL FG del 9.6.2010 (adottata all’esito degli accertamenti scaturiti da un’istanza di parte tesa ad ottenere l’aumento dei posti letto autorizzati).
Tale nota dà  atto che nella casa di cura gestita dalla società  ricorrente sussistono serissimi deficit sia nel campo organizzativo che in quello strutturale: si spazia dalla mancanza di adeguato personale medico nelle specialità  per cui la struttura è autorizzata; al difetto di agibilità  per i locali interrati adibiti a sale diagnostiche; alla mancanza di reparti suddivisi per specialità , risultando i pazienti distinti solo per sesso e per il resto assistiti in regime di assoluta promiscuità  patologica, per concludere con la pubblicità  ingannevole, perchè vengono proposte al pubblico prestazioni diagnostiche o terapeutiche che la struttura in realtà  non esegue (la lettura della nota in questione risulta davvero illuminante ed indispensabile per comprendere esattamente le gravissime carenze strutturali e organizzative riscontrate).
A fronte delle lacune riscontrate, risulta estremamente arduo sostenere che non sussista il ritenuto pericolo per la salute pubblica: la casa di cura in questione è del tutto inadeguata all’erogazione delle prestazioni sanitarie per cui è autorizzata.
Nè convincono gli argomenti proposti dalla difesa per escludere tale ipotesi: da un lato è del tutto irrilevante che non siano stati mai formulati rilievi a carico della struttura. Ciò è, infatti, ben spiegabile con la circostanza che questi, in pregresso non siano stati adeguatamente attivati, ma soprattutto privo di pregio è il riferimento alla precedente nota del 2006 che, invece, ha rilevato la regolarità  della struttura.
Il lasso di tempo intercorso tra i due accertamenti (circa 4 anni), infatti, è ben compatibile con un radicale peggioramento della struttura (si pensi, infatti, alla rilevata mancanza di personale medico specializzato: la circostanza è giustificabile con il progressivo ridimensionamento delle assunzioni ed il progressivo licenziamento di medici assunti con adeguato contratto).
Tanto chiarito, dunque, non può che concludersi che, nel caso di specie, ricorre pienamente l’ipotesi cui la normativa di settore riconduce l’esonero dalle garanzie partecipative.
D’altro canto, di tale circostanza si dà  esplicitamente atto nel provvedimento in questione, laddove testualmente si afferma che “l’adozione del presente provvedimento rappresenta atto dovuto e vincolato nonchè ineludibile ed improrogabile stante l’urgenza di tutelare nelle forme più assolute il diritto alla tutela della salute dei pazienti e degli operatori della casa di cura all’esame”.
Deve, per ciò concludersi, per la necessaria deroga alle garanzie partecipative.
Peraltro, la società  ricorrente non indica in concreto quali apporti partecipativi idonei a modificare l’esito del procedimento avrebbe potuto fare valere, nè contesta il punto nodale della questione all’esame del Collegio: l’esistenza cioè, di gravi carenze strutturali ed organizzative.
In altri termini, non è stato portato in giudizio alcun elemento di prova idoneo a dimostrare che le carenze riscontrate sono in realtà  frutto di erronee valutazioni.
La reclamata partecipazione si svuota, per ciò di reale significato, per divenire simulacro di pretesa ed ingiustificata tutela di posizioni giuridiche che, in realtà , non la meritano nella sostanza.
Parimenti infondata è la censura di incompetenza con cui si reclama l’adozione del provvedimento di revoca dell’autorizzazione da parte del Sindaco.
A norma dell’art. 8, co 3, L.R. n. 8/2004, alla Regione compete l’adozione del provvedimento di autorizzazione all’esercizio di strutture sanitarie di cui all’art. 5, co 1, lett. b) n. 1.1. (tutte le strutture per cui è richiesta l’autorizzazione alla realizzazione, tra cui rientrano le strutture che erogano prestazioni in regime di ricovero).
In base al disposto di cui all’art. 15, L.R. cit, per autorità  competente alla revoca non può che intendersi quella competente all’adozione del provvedimento autorizzatorio, secondo il principio del contrarius actus.
Infondata è anche la censura rubricata sub 34.b.d.) con cui la società  ricorrente deduce che, stante la prevista gradualità  delle sanzioni contemplate dall’art. 15 L.R. n.8/2004, la struttura avrebbe meritato la sola diffida all’adeguamento.
La doglianza non merita seguito, in quanto come già  si è rilevato in motivazione in ordine alla prima censura esaminata, il verbale di accertamento del Dipartimento di prevenzione dell’ASL FG, indica una molteplicità  di carenze sotto il profilo non solo strutturale ma anche organizzativo (esemplare è il regime di ricovero in totale promiscuità  tra le varie patologie, con gravissimo rischio per la salute pubblica, in quanto il pericolo di contagio viene così esaltato, invece, che ridotto) che assurgono al livello di gravità  richiesto dalla normativa di settore perchè venga irrogata la misura della revoca dell’autorizzazione, nonchè della immediata chiusura, in ossequio al principio di proporzionalità .
Non può trovare accoglimento neppure la censura con cui si contesta il provvedimento di revoca dell’autorizzazione in relazione al riscontrato difetto di autorizzazione per l’esercizio di prestazioni ambulatoriali.
La relazione del 2010 del Dipartimento di Prevenzione ha, infatti, evidenziato che la struttura – autorizzata all’esercizio di attività  sanitaria in solo regime di ricovero – erogava anche prestazioni ambulatoriali.
La circostanza non è contestata in fatto. La difesa di parte ricorrente allega, tuttavia, da un lato la strumentalità  di tali prestazioni a quelle eseguite in regime di ricovero, dall’altro lo svolgimento di tali attività  da epoca precedente all’entrata in vigore della normativa di settore che prescrive il rilascio dell’autorizzazione comunale.
La tesi non può essere condivisa, in quanto il combinato disposto degli artt. 5, co 1 lett. b, e 8, co 4 L.R. 8/2004 non prevede deroga alcuna alla richiesta autorizzazione.
Infine, non può trovare accoglimento neppure la censura con cui si contesta la lacunosità  degli accertamenti istruttori svolti dal Dipartimento Prevenzione.
Con la doglianza, infatti, la società  ricorrente, ben lungi dallo smentire con prova contraria tutti gli esiti istruttori (che sono, dunque, di fatto confermati), si limita a protestare l’assunta conformità  dell’organizzazione aziendale ai requisiti di legge.
Basta, tuttavia, ricordare che dall’esame dei turni di servizio (cioè dalla stessa documentazione in possesso della struttura) la dotazione di personale medico non garantisce la continuità  assistenziale dei pazienti (per le indicazioni di dettaglio, vedansi pagg. 5 e 6 del provvedimento di revoca), per superare la contestazione.
Il ricorso, dunque, è nel suo complesso del tutto infondato.
La reiezione di tutte le doglianze avverso il provvedimento di revoca dell’autorizzazione determina, quale precipitato logico, la sopravvivenza del provvedimento di revoca dell’accreditamento, atto vincolato al venir meno dell’autorizzazione all’esercizio di attività  sanitaria.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, dichiara improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse il ricorso principale e rigetta quello per motivi aggiunti.
Condanna la società  ricorrente alla rifusione delle spese processuali che liquida, in favore di ciascuna parte costituita, in euro 2.500 per diritti ed onorari, oltre IVA, CAP e spese generali.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità  amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 23 gennaio 2014 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Sergio Conti, Presidente
Desirèe Zonno, Primo Referendario, Estensore
Rosalba Giansante, Primo Referendario
 
 
 
 

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 19/02/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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