1. Procedimento amministrativo – Partecipazione – Informazioni prefettizie – Avvio del procedimento – Comunicazione – Necessità  – Esclusione 


2. Contratti pubblici – Esecuzione – Informativa prefettizia – Art.10 D.P.R. n. 252/1998 – Contratto di appalto – Revoca – Legittimità  – Sussiste


3. Contratti pubblici – Esecuzione – Informativa prefettizia – Art.10 D.P.R. n. 252/1998 – Contenuto – Infiltrazione mafiosa –  Elementi indiziari – Sufficienza


4. Contratti pubblici – Esecuzione – Informativa prefettizia – Art.10 D.P.R. n. 252/1998 – Ipotesi di riciclaggio – Contratto di appalto – Recesso – Legittimità  – Sussiste

1. La p.A. non è obbligata ad inviare la comunicazione di avvio del procedimento nell’ipotesi di emissione di provvedimenti relativi ad informazioni prefettizie, attesi i caratteri di riservatezza ed urgenza che permeano la materia della tutela antimafia.


2. Le informazioni prefettizie da cui emergano elementi relativi alle infiltrazioni mafiose, rese ai sensi dell’art.10 del D.P.R. n. 525/1998, a differenza delle informazioni c.d. “atipiche” ex art.1-septies della legge n. 726/1982 che lasciano un margine di valutazione alla p.A., impongono alle Stazioni appaltanti di adottare i provvedimenti interdittivi della capacità  di contrattare con la p.A., residuando un margine per  non revocare l’appalto esclusivamente allorchè ricorrano situazioni tali da giustificare la continuazione del rapporto nell’interesse pubblico. 


3. La natura essenzialmente preventiva ed interdittiva dell’informativa antimafia prevista dall’art.10 del D.P.R. n. 252/1998 implica che sia sufficiente che essa si limiti ad indicare gli elementi indiziari del tentativo di infiltrazione mafiosa, senza che invece occorra la prova dei fatti di reato o dall’effettiva infiltrazione criminale nell’impresa. 


4. àˆ legittimo il provvedimento di recesso da un contratto di appalto pronunciato dalla Stazione appaltante sulla base di un’informativa prefettizia ex art.10 del D.P.R. n. 252/1998 per ipotesi di riciclaggio, in quanto la norma considera sufficiente l’emissione di misure cautelari, il giudizio o una condanna anche non definitiva per il predetto delitto per desumere un tentativo di infiltrazione mafiosa che osti alla prosecuzione del rapporto contrattuale con la p.A..

 
N. 01377/2013 REG.PROV.COLL.
N. 01718/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1718 del 2012, integrato da motivi aggiunti, proposto da: 
C.S. I. e L.T.E., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’avv. Giovanni Pesce, con domicilio eletto presso l’avv. Felice Eugenio Lorusso in Bari, via Amendola 166/5; 

contro
Università  degli Studi di Bari, in persona del Rettore pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Domenico Carbonara e Simona Sardone, con domicilio eletto presso quest’ultima in Bari, piazza Umberto I 1; 
U.T.G. – Prefettura di Roma, in persona del Prefetto pro tempore, rappresentata e difesa per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari, domiciliataria in Bari, via Melo, 97; 

nei confronti di
A.t.i. Multiservice di Valletta Filippo – Pulileader Servizi di Seimò Liliana; 

per l’annullamento
del provvedimento del 20 novembre 2012, successivamente conosciuto, con il quale l’Università  degli Studi di Bari ha comunicato di aver disposto il recesso con effetto immediato dal contratto di appalto dei servizi di pulizia presso gli immobili universitari, in seguito all’adozione di informativa prefettizia resa ai sensi dell’art. 10 del D.P.R. n. 252 del 1998;
della contestuale revoca della delibera del 4 ottobre 2012, di proroga del servizio fino al 31 dicembre 2012;
del provvedimento del 5 dicembre 2012, con il quale l’Università  ha disposto la cessazione del servizio ed ha indicato il nuovo affidatario;
dell’informativa del Prefetto di Roma n. 182061 del 25 ottobre 2012, di contenuto ignoto;
di ogni altro atto antecedente, presupposto, consequenziale e connesso ai precedenti.
 

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Università  degli Studi di Bari e dell’U.T.G. – Prefettura di Roma;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore la dott.ssa Francesca Petrucciani;
Uditi per le parti nell’udienza pubblica del giorno 3 luglio 2013 i difensori avv.ti Giovanni Pesce, Domenico Carbonara e Lucrezia Principio;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 

FATTO e DIRITTO
Con il ricorso in epigrafe il C .I. e la società  L.T.E. hanno impugnato il provvedimento con il quale l’Università  degli Studi di Bari ha disposto il recesso con effetto immediato dal contratto di appalto dei servizi di pulizia presso gli immobili universitari, in seguito all’adozione di informativa prefettizia resa ai sensi dell’art. 10 del D.P.R. n. 252 del 1998, la contestuale revoca della delibera del 4 ottobre 2012, di proroga del servizio fino al 31 dicembre 2012, e i conseguenti atti con cui è stata disposta la cessazione del servizio ed indicato il nuovo affidatario.
Le ricorrenti hanno esposto di operare da oltre trenta anni nel settore degli appalti pubblici, senza che nessuno dei loro amministratori e rappresentanti fosse mai stato coinvolto in indagini relative alla delinquenza di stampo mafioso; hanno dedotto che nel 2011 il C. I. aveva ottenuto dall’Università  di Bari l’affidamento del servizio di pulizia dei plessi universitari, servizio poi ceduto per la parte operativa alla società  L.T.E.; con i provvedimenti impugnati l’Università  aveva disposto il recesso immediato dal contratto, fissando la data di fine servizio al 10 dicembre 2012, a seguito di informativa redatta dal Prefetto di Roma dalla quale sarebbero emersi tentativi di infiltrazione mafiosa a carico del C. I..
A sostegno del ricorso sono state formulate le seguenti censure:
1. difetto di motivazione, violazione dell’art. 10, comma 7, e 11, comma 2, D.P.R. 252/98, non avendo l’Amministrazione comunicato l’avvio del procedimento nè la delibera che ha disposto il recesso dal contratto e l’informativa prefettizia che ne costituisce il presupposto;
2. difetto di motivazione, violazione dell’art. 10, comma 7, D.P.R. 252/98, sotto altro profilo, dovendo l’Amministrazione autonomamente valutare, a fronte di informativa di carattere “atipico” del Prefetto, quale quella in esame, l’effettiva sussistenza di condizioni ostative alla prosecuzione del rapporto;
3. illegittimità  del provvedimento dell’Università  e delle stesse informazioni prefettizie, illogicità  manifesta, contraddittorietà  e difetto di motivazione, in quanto prima della stipula del contratto l’Università  aveva richiesto informazioni al Prefetto, che non aveva segnalato impedimenti;
4. illegittimità  dell’informativa del 25 ottobre 2012 del Prefetto di Roma, in quanto dalle certificazioni antimafia delle società  ricorrenti risultava che le stesse non erano state destinatarie di alcuna misura antimafia;
5. illegittimità  derivata del provvedimento dell’Università , difetto di motivazione, eccesso di potere, violazione dell’art. 4, comma 6, D.Lgs. 490/94 e dell’art. 11, commi 2 e 3, del D.P.R. 252/98.
Si sono costituite le Amministrazioni intimate chiedendo il rigetto del ricorso.
Con decreto inaudita altera parte e con la successiva ordinanza n. 935 del 20 dicembre 2012 questo Tribunale ha accolto l’istanza cautelare fino alla camera di consiglio del 23 gennaio 2013, ordinando al contempo alla Prefettura di Roma di depositare in giudizio entro quindici giorni dalla pubblicazione dell˜ordinanza copia del verbale del Gruppo Ispettivo Antimafia in data 11 ottobre 2012 onde verificare la sussistenza di situazioni idonee a dal luogo ad infiltrazioni mafiose nella gestione delle imprese interessate; con la successiva ordinanza n. 53 del 24 gennaio 2013 il Tribunale ha respinto l’istanza di sospensione dei provvedimenti impugnati, rilevando che le società  consorziate E. e L.T.E., gestite di fatto da D. P. G., sono state utilizzate per operazioni di riciclaggio, come risultante dalla sentenza della Corte di Cassazione n. ……, che ha confermato il sequestro preventivo disposto dal Tribunale di Roma.
I ricorrenti hanno poi depositato motivi integrativi a seguito del deposito del verbale del Gruppo Ispettivo Antimafia dell’11 ottobre 2012 prodotto dalla Prefettura di Roma, deducendo:
1. eccesso di potere, violazione dell’art. 10, commi 7 e 8, D.P.R. 252/98, in quanto la pronuncia citata della Cassazione aveva ad oggetto unicamente le misure cautelari;
2. eccesso di potere, violazione dell’art. 10, commi 7 e 8, D.P.R. 252/98 sotto altro profilo;
3. violazione del principio di tipicità  degli atti amministrativi, in relazione all’art. 10, comma 7, lett. c) del D.P.R. 252/98;
4. sotto altro profilo, difetto di motivazione e violazione dell’art. 11 D.P.R. 252/98.
Alla pubblica udienza del 3 luglio 2013 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Il ricorso deve essere respinto in quanto infondato.
In primo luogo, va disattesa la prima censura, afferente la violazione dell’art. 7 della L. n. 241 del 1990 e il difetto di partecipazione procedimentale. Sul punto è sufficiente richiamare il pacifico indirizzo giurisprudenziale, dal quale non si ravvisano ragioni per discostarsi, secondo cui non è configurabile alcuna necessità  del previo intervento della comunicazione di avvio del procedimento in occasione dell’emissione di provvedimenti relativi alle informative prefettizie, poichè nella specie si tratta di procedimenti in materia di tutela antimafia, come tali caratterizzati intrinsecamente da riservatezza ed urgenza (cfr. T.A.R. Campania, Sez. I, 4.2.2013, n. 703 e 7.3.2012, n. 1153; Consiglio di Stato, Sez. VI, 29.2.2008, n. 756; Consiglio di Stato, Sez. V, 12.6.2007, n. 3126 e 28.2.2006, n. 851).
Si palesano infondate anche le doglianze con le quali sono stati dedotti, con il secondo motivo, i vizi di difetto di istruttoria e di motivazione nei confronti dell’operato della stazione appaltante.
Come chiarito dalla giurisprudenza, l’informativa dalla quale emergano elementi relativi ad infiltrazioni mafiose, resa in base all’art. 4 del D. Lgs. n. 490 del 1994 ed all’art. 10 del D.P.R. n. 252 del 1998 – come nel caso di specie – ha carattere vincolante per le stazioni appaltanti ed automatica efficacia interdittiva in ordine alla capacità  della pubblica amministrazione a negoziare con il soggetto interessato, a differenza dell’informativa c.d. atipica (emessa ex art. 1septies del d. l. n. 629 del 6 settembre 1982, convertito nella legge 12 ottobre 1982, n. 726, aggiunto dall’art. 2 della legge 15 novembre 1988, n. 486), in cui invece l’amministrazione destinataria conserva la potestà  discrezionale di valutare autonomamente le informazioni ricevute. Infatti, in presenza di un’informativa cd. tipica, il sistema normativo non offre alle stazioni appaltanti strumenti e capacità  per apprezzare la correttezza e la rilevanza “antimafia” degli elementi e delle indicazioni fornite dalla Prefettura, alla quale spettano le funzioni connesse alla classificazione, analisi, elaborazione e valutazione delle notizie e dei dati specificamente attinenti ai fenomeni di tipo mafioso (T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 4 febbraio 2013, n. 703).
Ne consegue che l’effettivo ambito della discrezionalità  riservata alle amministrazioni destinatarie dell’interdittiva antimafia ne esce sostanzialmente depotenziato per quanto riguarda i contenuti delle suddette informative, di tal che i provvedimenti delle stazioni appaltanti trovano adeguato supporto motivazionale nel riferimento all’informativa prefettizia e alle circostanze ivi contenute che, se fondate, sono normalmente sufficienti a giustificare la risoluzione del contratto.
Deve aggiungersi che la possibilità , prevista nell’art. 11, comma 3, del d.P.R. n. 252 del 1998, di non revocare l’appalto, pur sussistendo controindicazioni antimafia, è esercitabile solo in presenza di peculiari situazioni che inducano comunque ad instaurare o proseguire il rapporto contrattuale o concessorio al fine di tutelare l’interesse pubblico attraverso una valutazione di convenienza, che nel caso di specie non sono state evidenziate.
Venendo all’esame del terzo motivo, relativo proprio all’informativa prefettizia prevista dall’art. 10 del D.P.R. n. 252 del 1998, deve rilevarsi che la stessa costituisce una tipica misura cautelare di polizia, preventiva ed interdittiva, che si aggiunge alle misure di prevenzione antimafia di natura giurisdizionale e che prescinde dall’accertamento in sede penale di uno o più reati connessi all’associazione di tipo mafioso. In particolare l’informativa antimafia inerisce ad un ambito diverso rispetto all’accertamento penale, in quanto non mira all’affermazione di responsabilità , ma si concretizza come la forma di massima anticipazione dell’azione di prevenzione, inerente alla funzione di polizia e di sicurezza, rispetto alla quale assumono rilievo fatti e vicende solo sintomatici ed indiziari.
Non è, pertanto, necessario che l’informativa del Prefetto fornisca la prova dei fatti di reato o dell’effettiva infiltrazione mafiosa nell’impresa, nè la prova del reale condizionamento delle scelte dell’impresa da parte di associazioni o soggetti mafiosi, essendo sufficiente l’indicazione degli elementi dai quali è deducibile il tentativo di ingerenza.
Dall’informativa prefettizia e dal verbale del Gruppo Ispettivo Antimafia, prodotto dall’Amministrazione resistente a seguito dell’ordinanza n. 935/2012, si evince che, come riportato anche nella sentenza della Corte di cassazione n. 514 del 6 aprile 2011, “le società  E. e L.T.E. (consorziate del C.S. I.), gestite di fatto da D. P. G., indicato quale capo di un’associazione criminale che gestiva numerose società  utilizzate per realizzare reati di evasione fiscale e truffe ai danni di enti pubblici, sono state segnalate per operazioni sospette, riguardanti movimentazioni di ingenti somme di denaro provenienti dalle società  stesse, facenti parte del gruppo gestito da G. D. P.. Con decreto del G.i.p. del Tribunale di Roma in data 27.11.2008 era stato disposto il sequestro preventivo delle somme, ritenute provento di appropriazione indebita, giacenti sui conti correnti intestati ai figli di quest’ultimo, nei quali confluivano le somme di denaro provenienti dalle società  in argomento, considerate prodotto del reato di riciclaggio. Si è ritenuto che il denaro affluito nei conti correnti dei fratelli D. P. fosse da ricondurre alle attività  illecite dell’associazione diretta da G. D. P. e l’operazione di intestazione di beni ai figli serviva a occultare i proventi illeciti, lasciandoli comunque nella sua piena disponibilità . Tali movimentazioni sui conti correnti intestati ai figli rappresentavano lo svuotamento programmato di alcune società  del gruppo D. P. che in questo modo si sarebbe appropriato indebitamente di cospicue somme di denaro, mediante riciclaggio e intestazioni fittizie”.
Tali elementi risultano idonei a fondare l’informativa prefettizia e il conseguente provvedimento di recesso emesso dall’Amministrazione appaltante, impugnato in questa sede.
In merito va ribadito, peraltro, che l’ipotesi di riciclaggio – evidenziata nell’informativa – è una di quelle espressamente prese in esame dall’art. 10 del D.P.R. 252/98, secondo cui le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa sono desunte dai provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna anche non definitiva per taluno dei delitti di cui agli articoli 629, 644, 648 bis, e 648 ter del codice penale.
Allo stesso modo, e con riferimento alla doglianza contenuta nei motivi integrativi, è espressamente prevista dal D.P.R. 252/98 la possibilità  che gli indizi di infiltrazione mafiosa siano desunti da provvedimenti che dispongono una misura cautelare, quale, nel caso di specie, il decreto del G.I.P. del Tribunale di Roma e la succitata sentenza della Cassazione che ha confermato le misure cautelari applicate.
Il potere di informativa e le conseguenti determinazioni dell’Amministrazione sono stati, quindi, esercitati nel rispetto dei presupposti individuati dal legislatore.
Nè può sostenersi, come affermato dai ricorrenti, che l’istruttoria espletata dall’Università  avesse già  dato esito negativo circa il rischio di infiltrazioni mafiose, in quanto l’Università  ha provveduto solo a richiedere con la nota del 3 maggio 2012 le relative informazioni, e tale richiesta è stata riscontrata dalla Prefettura con l’informativa del 25.10.2012, qui impugnata.
Alla luce di quanto sopra esposto, deve ritenersi che la segnalazione sia supportata da congrui elementi di controindicazione, che danno conto delle operazioni illecite compiute anche per mezzo delle società  consorziate del C. I. a fini di riciclaggio di proventi di reati collegati alla criminalità  organizzata.
Tali circostanze sono idonee ad evidenziare la possibilità  che l’attività  imprenditoriale agevoli, anche in maniera indiretta, le attività  criminali o ne sia in qualche modo condizionata.
Sulla base di tali considerazioni devono essere disattesi anche il quarto e il quinto motivo di ricorso e i motivi aggiunti.
In conclusione, resistendo gli atti impugnati alle censure prospettate, il ricorso e i motivi aggiunti devono essere respinti.
Sussistono, peraltro, giusti e particolari motivi, in virtù della delicatezza e della complessità  della vicenda contenziosa, per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sede di Bari (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li respinge.
Compensa le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità  amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 3 luglio 2013 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Corrado Allegretta, Presidente
Giacinta Serlenga, Primo Referendario
Francesca Petrucciani, Primo Referendario, Estensore
 
 
 
 

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/10/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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