1. Tutela dei beni culturali e del paesaggio – Potere di annullamento della Soprintendenza ex art.159 del D.Lgs. n. 42/2004 – Termine – Perentorietà  – Sussiste – Conseguenze


2. Processo amministrativo – Giudizio impugnatorio – Motivi aggiunti –  Connessione con il ricorso introduttivo – Necessità  –  Art. 43 c.p.a. – Conseguenze

1. àˆ illegittimo il decreto della Soprintendenza di annullamento del nullaosta paesaggistico ex art. 159 del D.Lgs. n. 42/2004 ove sia stato emanato dopo la scadenza del temine  perentorio  fissato dalla norma in esame in 60 giorni dal ricevimento del predetto nullaosta e della documentazione relativa all’attività  edilizia in esame  (nella specie la Sovrintendenza aveva anche chiesto, fuori termine,  un’integrazione documentale, assumendo  il provvedimento finale in violazione dell’ulteriore termine suppletivo di 30 giorni) 


2. Devono essere dichiarati inammissibili i motivi aggiunti che non abbiano alcuna connessione – soggettiva e/o oggettiva – con il ricorso introduttivo, posto che la simultaneità  del giudizio ex art. 43 del c.p.a.  è giustificata dalla sussistenza di  effettive esigenze di concentrazione della lite, mentre non è ammissibile  l’ampliamento indebito del thema decidendi del giudizio (nella specie, nell’ambito di un’impugnazione avverso l’annullamento del nullaosta paesaggistico e della conseguente  sospensione del permesso di costruire già  rilasciato dal Comune,  i ricorrenti avevano censurato con motivi aggiunti il sopravvenuto PUG, nella parte in cui avrebbe modificato i parametri edilizi nella zona dove avrebbe dovuto essere realizzata  la costruzione di loro interesse).

N. 01265/2013 REG.PROV.COLL.
N. 01579/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1579 del 2008, integrato da motivi aggiunti, proposto da: 
Teodoro Di Bari, Ottavia Stella, rappresentati e difesi dagli avv. Ignazio Lagrotta, Aldo Loiodice, con domicilio eletto presso Aldo Loiodice in Bari, via Nicolai, 29; 

contro
Ministero per i Beni e Le Attivita’ Culturali in Persona del Ministro, Soprintendenza Per i Beni Architettonici e Per il Paesaggio per la Puglia di Bari e Foggia, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Distr.le Stato Di Bari, domiciliata in Bari, via Melo, 97; Comune di Trani in Persona del Sindaco; Regione Puglia in Persona del Presidente, rappresentato e difeso dagli avv. Sabina Ornella Di Lecce, Anna Bucci, con domicilio eletto presso Sabina Ornella Di Lecce in Bari, via Dalmazia N.70; 

per l’annullamento
con il ricorso originario: del decreto 22.7.2008 prot. n. 3902 con cui il Soprintendente B.A.A.S. di Bari e Foggia ha annullato il nullaosta paesaggistico 30.3.2007 n. 223 rilasciato ai ricorrenti dal Comune di trani; della nota 22.7.2008 n. 29668 con cui il Dirigente della 4° Ripartizione del Comune di Trani ha disposto la sospensione del p.d.c. n. 57/2007 del 26.7.2007; di ogni altro atto connesso, ancorchè non conosciuto;
con motivi aggiunti:
– della deliberazione di Consiglio Comunale di Trani n. 8 del 31.03.2009;
– di tutti gli elaborati scritto – grafici elencati al punto 3 del dispositivo della predetta deliberazione n. 8/2009;
– della deliberazione di Giunta Regionale n. 184 del 17.02.2009;
– della deliberazione di Giunta Regionale n. 1480 del 01.08.2008;
– della determinazione della Conferenza di Servizi di adeguamento del PUG di Trani, nonchè tutti i verbali della predetta Conferenza di Servizi;
– di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale, ancorchè non conosciuto.
 

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero Per i Beni e Le Attivita’ Culturali in Persona del Ministro e di Soprintendenza Per i Beni Architettonici e Per il Paesaggio per la Puglia di Bari e Foggia e di Regione Puglia in Persona del Presidente;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 giugno 2013 il dott. Antonio Pasca e uditi per le parti i difensori Marco Sabino Loiodice, Giuseppe Zuccaro e Anna Bucci;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 

FATTO
Con il ricorso in epigrafe i sig.ri Di Bari Teodoro e Stella Ottavia impugnano il decreto prot. 3902/2008, con il quale la Soprintendenza per i beni architettonici, artistici e storici di Bari e Foggia ha annullato il nullaosta paesaggistico per la realizzazione di una villa unifamiliare – assentita con permesso di costruire n. 57/2007 – in precedenza rilasciato agli odierni ricorrenti dal Comune di Trani con autorizzazione n. 223/2007.
In via consequenziale, censurano altresì l’illegittimità  derivata della determinazione del predetto ente comunale n. 29668/08, che ha sospeso il summenzionato titolo edilizio.
In particolare, con il predetto gravame gli istanti eccepiscono:
1) violazione e falsa applicazione di legge – violazione del d.lgs. n. 42/2004 – violazione dell’art. 159 del D.lgs. 42/2004 – violazione del termine decadenziale di 60 giorni previsto dalla normativa di riferimento per l’annullamento del nullaosta rilasciato dal comune;
2) violazione e falsa applicazione di legge – violazione dell’art. 7 L. 241/1990 – violazione del D.lgs. 42/2004 – omessa comunicazione di avvio del procedimento;
3) violazione e falsa applicazione di legge – violazione del D.lgs. 42/2004 – violazione dell’art. 159 del D.lgs. 42/2004 – violazione dell’art. 3 L. 241/1990 – difetto di motivazione – eccesso di potere per sviamento – illegittimità  propria e derivata;
4) violazione e falsa applicazione di legge – violazione del D.lgs. 42/2004 – violazione dell’art. 159 del D.lgs. 42/2004 – violazione dell’art. 3 L. 241/1990 – difetto di motivazione – eccesso di potere per sviamento – illegittimità  propria e derivata.
Con atto depositato in data 13.11.2008 si costituiscono nel presente giudizio il Ministero per i beni e le attività  culturali e la Soprintendenza per i beni architettonici, artistici e storici di Bari e Foggia, instando per la reiezione delle avverse richieste.
Successivamente, con ricorso per motivi aggiunti notificato in data 30.05.2009, gli odierni ricorrenti denunciano l’illegittimità  della successiva attività  pianificatoria afferente all’approvazione del nuovo PUG di Trani, così come posta in essere medio tempore dal suddetto ente comunale con l’intervento – asseritamente indebito – della Regione Puglia.
Più specificamente, essi deducono i seguenti motivi di censura:
5) illegittimità  propria della delibera di C. C. n. 8/2009 ed illegittimità  derivata della deliberazione di G. R. 1480/2008 che vizia per derivazione tutti gli atti successivi e conseguenti del procedimento di approvazione del nuovo PUG – incompetenza della Regione Puglia – violazione dell’art. 11 c. 7 L. R. 20/2001 – eccesso di potere – genericità  ed arbitrarietà  della motivazione;
6) illegittimità  propria della delibera di C. C. n. 8/2009 ed illegittimità  derivata dei verbali della Conferenza di Servizi – eccesso di potere – difetto di motivazione – illogicità  ed ingiustizia manifesta – violazione della L. R. 20/2001.
Con atto depositato in data 20.07.2010 si costituisce in giudizio la Regione Puglia, contestando le avverse deduzioni e chiedendo il rigetto del ricorso.
All’udienza del 06.06.2013 il ricorso è introitato per la decisione.
DIRITTO
Con il ricorso introduttivo del presente giudizio, i sig.ri Di Bari Teodoro e Stella Ottavia lamentano l’illegittimità  del decreto della Soprintendenza B.A.A.S di annullamento del nullaosta paesaggistico rilasciato dal Comune di Trani per la costruzione di una villa unifamiliare regolarmente assentita, denominata “Villa Erika”, in via S.S. 16 Trani – Bisceglie (Fg. 26/B p.lla 1000).
In particolare, con la prima censura i ricorrenti deducono che, al momento dell’adozione dell’impugnato decreto, era ampiamente decorso il termine perentorio di 60 giorni previsto dall’art. 159 del d.lgs. n. 42/2004 ai fini del valido esercizio del potere di annullamento riservato alla Soprintendenza per i beni ambientali, architettonici, artistici e storici in materia di autorizzazione paesaggistica.
Osservano, altresì, che l’ente resistente avrebbe dilazionato i tempi inutilmente e strumentalmente, senza alcuna concreta necessità  di supplemento istruttorio, al sol fine di ovviare alla intervenuta decadenza dal potere di riesame suindicato.
Il rilievo è fondato.
L’art. 159, comma 3, del d.lgs. n. 42/2004 prevede che l’esercizio della potestà  statale di annullamento avvenga entro 60 giorni dalla ricezione dell’assenso paesaggistico e della relativa documentazione. E’ fatta salva la facoltà , sancita dall’art. 6, comma 6 bis, del D.M. 13/6/1994, n.495, di chiedere chiarimenti o elementi integrativi di giudizio, oppure di compiere accertamenti di tipo tecnico, nel qual caso il termine di conclusione del procedimento è interrotto per una sola volta e per non oltre 30 giorni.
Secondo la costante giurisprudenza, tale norma va intesa nel senso che attribuisce all’Amministrazione statale un termine perentorio di sessanta giorni per l’esercizio del potere di annullamento, decorrente dalla completa ricezione, da parte della Soprintendenza, dell’autorizzazione rilasciata e della documentazione tecnico-amministrativa, sulla cui base il provvedimento è stato adottato (tra le tante, Cons. Stato, Sez. VI, 1 dicembre 2010, n. 8379; Sez. IV, 4 settembre 2007, n. 4632; T.A.R. Campania,
Napoli, Sez. VIII, 2 luglio 2010, n. 16564; T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. I, 12 gennaio 2010, n. 98; T.A.R. Umbria, 20 agosto 2009, n. 496).
Ciò chiarito, appare opportuna una ricostruzione cronologica della vicenda per cui è causa, così come risultante dai documenti depositati nel presente giudizio dalla difesa erariale in data 19.02.2009.
Nel caso di specie la Soprintendenza ha ricevuto dal Comune di Trani tutta la documentazione relativa all’attività  edilizia in esame, comprensiva del progetto con tutti i gli elaborati e della relazione paesaggistica con l’annessa autorizzazione comunale, in data 09.05.2007 (documentazione protocollata in data 11.05.2007).
Con nota datata 09.07.2007 (ma pervenuta all’ente comunale in data 26.07.2007), la Soprintendenza ha chiesto al Comune la trasmissione di documentazione integrativa.
Nondimeno, sempre in data 26.07.2007, il Comune ha rilasciato il richiesto permesso di costruire prendendo atto della scadenza del succitato termine (decorrente dal 09.05.2007 o dalla successiva data dell’11.05.2007).
In un secondo momento, dopo aver ricevuto i documenti richiesti in data 06.05.2008, l’ente statale ha lasciato decorrere anche il termine suppletivo di 30 giorni previsto dall’anzidetto combinato disposto degli artt. 159 c. 3 D.lgs. 42/2004 e 6 c. 6 – bis D. M. 495/1994, determinandosi all’adozione del gravato decreto di annullamento soltanto in data 10.06.2008 (provvedimento pervenuto al Comune in data 18.06.2008).
Orbene, come si evince chiaramente dall’esposta ricostruzione temporale della vicenda in oggetto, il termine perentorio sancito dalla cennata disciplina normativa per il valido esercizio del potere statale di controllo appariva già  spirato al momento della richiesta di integrazione documentale: quest’ultima è stata infatti inoltrata in un momento successivo all’inutile decorso del lasso di 60 giorni calcolato a partire dalla data di ricezione della prescritta documentazione (09.05.2007).
A ciò si aggiunga che, qualora si consideri, ai fini dell’infruttuoso decorso del predetto termine, la diversa data di registrazione al protocollo (11.05.2007), la Soprintendenza avrebbe dovuto comunque concludere il procedimento entro il 10.07.2007, mentre la surriferita istanza di documentazione suppletiva – pur recando la data liminale del 09.07.2007 – è pervenuta al Comune soltanto il 26.07.2007.
Del resto, in disparte ogni considerazione circa l’inconferenza e/o l’utilità  degli ulteriori documenti richiesti, quand’anche si consideri la domanda di integrazione istruttoria tempestiva ed idonea a prolungare i termini per la conclusione del procedimento, non vi è chi non veda come sia inutilmente decorso anche il secondo ed ulteriore termine di 30 giorni previsto per il valido esercizio del potere di annullamento.
Infatti, come in precedenza anticipato, ai sensi dell’art. 159, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004 che richiama l’art. 6-bis D. M. n. 495 del 1994 (come modificato con il decreto ministeriale n. 165 del 2002) e della relativa interpretazione accolta in giurisprudenza, la richiesta di documentazione integrativa comporta il prolungamento di ulteriori trenta giorni dell’originario termine di sessanta giorni.
Da ciò consegue che il tempo, decorrente dall’originario ricevimento degli atti fino alla richiesta istruttoria, sommato a quello successivo, che va dal ricevimento della documentazione integrativa fino all’adozione del provvedimento di annullamento, non deve esser complessivamente superiore a novanta giorni, al netto del periodo che intercorre tra la comunicazione della richiesta di integrazione ed il ricevimento degli atti.
In applicazione di quanto sopra, nella specie il provvedimento impugnato avrebbe dovuto essere adottato entro 30 giorni a decorrere dal 06.05.2008, data in cui la Soprintendenza ha ricevuto dal Comune la succitata documentazione integrativa, e non, come al contrario avvenuto, in un momento successivo, ben oltre il termine prescritto dalla normativa vigente (cioè soltanto in data 10.06.2008).
Le considerazioni che precedono, ad avviso del Collegio, consentono l’accoglimento del ricorso in parte qua, con consequenziale annullamento del decreto impugnato.
Da ciò consegue, altresì, l’annullamento del gravato provvedimento comunale di sospensione del permesso di costruire, fondato esclusivamente sull’atto soprintendenti zio e destinato, pertanto, ad essere travolto, in via derivata, dalla caducazione di quest’ultimo.
L’accoglimento del primo motivo di doglianza rende superfluo lo scrutinio delle altre censure proposte dai ricorrenti.
Invero, secondo il costante orientamento giurisprudenziale, la natura perentoria del termine comporta, in deroga alla regola generale sull’esercizio del’attività  amministrativa, la consumazione del potere riservato all’autorità  statale dall’art. 159 c. 3 D.lgs. 42/2004.
Tale soluzione appare anche conforme alla giurisprudenza (specie nel passato) formatasi in tema di atti di controllo, orientata a ritenere che il mancato rispetto del termine perentorio per l’esercizio del controllo determina la consumazione del potere in capo all’organo tutorio, con conseguente illegittimità  del provvedimento di annullamento (o di non approvazione) dell’atto sottoposto al sindacato di legittimità  (in termini Cons. Stato, Sez. V, 8 luglio 1995, n. 1034; T.A.R. Umbria, 31 maggio 2011, n. 154 ).
A questo riguardo, non può trascurarsi di considerare che anche il (sub)procedimento delineato dal D.lgs. n. 42 del 2004 costituisce un procedimento di controllo (di legittimità ) su di un provvedimento (di primo grado) di autorizzazione paesaggistica; tanto che la giurisprudenza da tempo ha posto in rilievo che l’inutile decorso del termine perentorio di 60 giorni per l’esercizio del potere di annullamento consente il definitivo consolidamento degli effetti giuridici prodottisi con il provvedimento autorizzatorio dell’ente locale competente (così, tra le tante, Cons. Stato, Sez. VI, 12 maggio 1994, n. 772).
In conclusione, il ricorso introduttivo va accolto, restando assorbite le censure non esaminate.
Da rigettare è, invece, la proposta azione risarcitoria stante la genericità  della formulazione in ordine agli elementi costitutivi della stessa e il mancato assolvimento dell’onere probatorio.
Quanto al ricorso per motivi aggiunti, lo stesso va dichiarato anzitutto inammissibile, prima che infondato.
Ed invero, con successivo atto di gravame i ricorrenti hanno impugnato il nuovo PUG di Trani, nella parte in cui ha modificato i parametri edilizi dei suoli inclusi nella zona ove avrebbe dovuto essere realizzata la villa unifamiliare assentita con il permesso di costruire successivamente sospeso.
Infatti, nella specie risulta radicalmente carente il presupposto costitutivo per la valida proposizione di domande nuove nel processo già  instaurato mediante la presentazione di motivi aggiunti, rappresentato dall’esistenza di una connessione tra le istanze originariamente avanzate e i nova successivamente introdotti.
Invero, come noto, lo strumento dei motivi aggiunti, nella accezione introdotta (sulla base di una prassi giurisprudenziale già  instauratasi presso qualche T.A.R.) dalla legge n. 205/2000, si può definire, in buona sostanza, come una forma di riunione ex lege di giudizi connessi, a tutto vantaggio della concentrazione e della speditezza della funzione giudicante.
Inoltre, nell’attuale assetto normativo, caratterizzato dal progressivo spostamento del baricentro della valutazione giudiziale dal singolo provvedimento impugnato al sotteso rapporto tra privato e P.A., i motivi aggiunti si configurano come il rimedio processuale a disposizione delle parti per sottoporre al giudice la vicenda amministrativa nella sua interezza, pur quando essa si presenti in una sequenza di atti e fatti dotati di autonoma rilevanza ed efficacia lesiva.
Tuttavia, ciò non toglie che, a mente dell’art. 43 c.p.a., ai fini del corretto ampliamento del thema decidendicristallizzato nel ricorso introduttivo del giudizio, sia necessaria la sussistenza di un collegamento – soggettivo e/o oggettivo – con la fattispecie sub iudice.
In caso contrario, si verificherebbe un vero e proprio snaturamento della ratio dell’istituto processuale in esame. Esso, infatti, non apparirebbe più idoneo a conferire unitarietà  alla decisione giudiziale, estendendone l’ambito anche ad atti diversi da quello oggetto del ricorso originario ma a quest’ultimo collegati in quanto incidenti a vario titolo sulla medesima pretesa sostanziale azionata nel processo; al contrario, l’adozione dello strumento processuale in rassegna pur in assenza di una significativa connessione con l’oggetto del giudizio finirebbe per veicolare nel medesimo processo domande prive di qualsivoglia collegamento – ancorchè lato – al rapporto amministrativo originariamente censurato, accomunate dalla mera eventualità  dell’identità  del soggetto proponente (l’originario ricorrente).
Inoltre, siffatta conclusione esegetica, laddove idonea ad introdurre nel medesimo giudizio un coacervo di pretese e domande soggettivamente e oggettivamente diverse, appare tra l’altro estranea ai principi di celerità  e speditezza sottesi al modello del simultaneus processus – con riunione di azioni connesse ed ampliamento dell’ambito originario – adottato dal legislatore processuale, determinando un inopinato e defatigante slittamento dell’attenzione processuale da un rapporto amministrativo ad un altro instaurato tra parti parzialmente divergenti.
A ciò si aggiunga che siffatta soluzione pone non pochi problemi sul piano della corretta instaurazione del contraddittorio rispetto ai soggetti evocati in giudizio in momento soltanto successivo all’incardinazione della originaria controversia, con particolare riferimento ai controinteressati sopravvenuti.
E ciò soprattutto alla luce delle recenti modifiche normative, volte ad estendere l’operatività  dei motivi aggiunti, non più circoscritta da quella perfetta coincidenza tra i soggetti parti della prima come della seconda impugnazione suggerita dalla restrittiva locuzione utilizzata dall’art. 21 della previgente legge Tar.
Infatti, se è pacifico che nel nuovo art. 43 del c.p.a. il riferimento alle “stesse parti” è venuto meno – sicchè è ora anche testualmente confermato che sia consentita l’impugnazione di un provvedimento nuovo con la proposizione dei motivi aggiunti, anche nei casi in cui le parti della nuova impugnazione non coincidano del tutto con quelle del ricorso iniziale – è anche vero che la predetta necessità  di salvaguardare il contraddittorio si pone adesso in termini ancor più stringenti e problematici.
Del resto, l’esposta interpretazione restrittiva – che il Collegio condivide – appare implicitamente confermata dalla disciplina normativa.
Infatti, il nuovo ordinamento processuale da un lato tende a favorire la simultaneità  del giudizio qualora essa sia rispondente ad effettive esigenze di concentrazione (di tal che se i nuovi atti vengono impugnati non mediante motivi aggiunti, bensì mediante un ricorso separato, non si determina alcuna inammissibilità  ma vi è semmai la facoltà , se non il dovere, di procedere alla riunione d’ufficio ai sensi dell’art. 43 c. 3 c.p.a.); dall’altro lato nulla dispone circa l’ipotesi inversa (proposizione di motivi aggiunti laddove si doveva proporre un ricorso separato).
Invero, siffatto silenzio del legislatore appare significativamente idoneo a stigmatizzare condotte processuali aventi natura pretestuosa, dilatoria e strumentale, se e in quanto volte ad ampliare indebitamente e irragionevolmente ilthema decidendi del giudizio.
Nella specie, non è revocabile in dubbio che le censure avanzate dai ricorrenti con i motivi aggiunti siano radicalmente prive di qualsiasi nesso – se non un lato collegamento soggettivo – con l’oggetto del ricorso introduttivo, essendo dirette verso una diversa attività  amministrativa di natura pianificatoria, ascrivibile anche ad un soggetto (la Regione Puglia) del tutto estraneo al rapporto amministrativo posto a base delle originarie doglianze e dell’originaria impugnazione.
Pertanto, i vizi da cui sarebbe asseritamente inficiato il procedimento di approvazione dell’impugnato PUG di Trani avrebbero dovuto essere più correttamente denunciati con un ricorso autonomo, in assenza di connessione (finanche meramente <<parziale>>, come affermato dagli stessi ricorrenti) con l’originario ambito oggettivo e soggettivo del presente giudizio.
Da ciò consegue l’inammissibilità  del ricorso per motivi aggiunti.
Inoltre, quand’anche non si presti adesione alla suggerita opzione esegetica in tema di inammissibilità  dei motivi aggiunti, si osserva che il ricorso sopravvenuto appare altresì infondato.
Infatti, con i motivi di doglianza i ricorrenti lamentano l’indebita ingerenza dell’ente regionale nell’adozione delle scelte pianificatorie del Comune di Trani.
Più specificamente, secondo la prospettazione degli istanti, siffatta “invasione di campo” avrebbe determinato uno stravolgimento dello strumento urbanistico rispetto alle decisioni precedentemente assunte, influenzando anche le determinazioni della Conferenza di Servizi.
Orbene, osserva il Collegio che, nella specie, i rilievi effettuati dalla Giunta Regionale non hanno travalicato i limiti entro i quali la L. R. 20/01 ammette oggi il controllo della Regione e della Provincia sul contenuto del Piano Urbanistico Generale, controllo che deve essere effettuato con riferimento, rispettivamente, agli strumenti di pianificazione regionale e provinciale.
Difatti, è di tutta evidenza che, sottolineando l’esigenza di tutelare e valorizzare il bene paesaggistico “costa”, la Regione non abbia affatto travalicato i limiti del sindacato che oggi essa può compiere sul PUG in itinere in base a quanto prevede la L. R. Puglia 20/01: infatti il paesaggio costituisce un bene di rilevanza e di interesse sovra comunale, affidato alla tutela regionale, attenendo a valori che non sono riferibili esclusivamente al territorio della singola comunità  locale.
Da qui la necessità  di armonizzare i criteri di determinazione della densità  edilizia con le specificità  del territorio interessato – non ultima la sua prossimità  alla litoranea- , in coerenza con l’obiettivo di rendere compatibile il PUG adottato al PUTT/P.
Da ciò consegue che la Conferenza di Servizi si è coerentemente limitata, nella specie, ad esplicitare e confermare le indicazioni della Regione Puglia in merito a tale esigenza, prevedendo il ridimensionamento del carico insediativo originariamente disposto.
Le doglianze in esame sono dunque infondate in quanto il sindacato effettuato dalla Regione prima e dalla Conferenza di Servizi dopo si è ragionevolmente ed adeguatamente mantenuto nei limiti del controllo di compatibilità  che la L. R. 20/01 affida alla Regione Puglia.
In conclusione, per tutte le ragioni qui esposte, il ricorso per motivi aggiunti, oltre che inammissibile, è anche infondato.
Ricorrono ragioni equitative che inducono il Collegio a dichiarare compensate tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Bari Sezione Terza definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, integrato da motivi aggiunti, come in epigrafe proposto:
a) in parte accoglie la proposta azione impugnatoria relativamente all’originario ricorso e, per l’effetto annulla il decreto 10/06/2008 prot. n. 3902 del Soprintendente per i beni ambientali, architettonici, artistici e storici di Bari e Foggia e la nota 22/07/2008 n. 29668 del dirigente della 4 ^ Ripartizione del Comune di Trani;
b) dichiara inammissibile il ricorso per motivi aggiunti;
c) rigetta la proposta azione risarcitoria.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità  amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 6 giugno 2013 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Sergio Conti, Presidente
Antonio Pasca, Consigliere, Estensore
Rosalba Giansante, Primo Referendario
 
 
 
 

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 27/08/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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