1. Edilizia e urbanistica – Attività edilizia privata – Condono – Art. 32, co. 27, lettera d) D.L. n. 269/2003- In zona soggetta a vincolo paesaggistico – Condizioni
2. Edilizia e urbanistica – Attività edilizia privata – Condono – In zona soggetta a vincolo paesaggistico – Ove manchi il nullaosta dell’autorità competente – Silenzio assenso – Inconfigurabilità
3. Procedimento amministrativo – Provvedimento – Nomen iuris errato – Irrilevanza – Condizioni
4. Procedimento amministrativo – Partecipazione – Diniego di condono – Comunicazione ex art. 10-bis l.n. 241/1990 – Necessità – Omissione – Illegittimità – Annullabilità del provvedimento – Non sussiste ex art. 21-octies, co.2 – Condizioni
1. Ai sensi dell’art. 32, co.27, lett. d), D.L. n. 269/2003 convertito nella legge n. 326/2003, sono sanabili mediante condono edilizio le opere abusive in zona soggetta a vincolo paesaggistico (nonchè ambientale e idrogeologico) alle seguenti condizioni: che siano realizzati prima dell’imposizione del medesimo vincolo, che siano conformi alla prescrizioni urbanistiche pur se realizzate senza il (o in difformità dal) titolo, che siano definibili quali opere minori (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria), che vi sia il previo parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo (nella specie, il TAR, rigettando il ricorso, ha negato che potesse essere condonata un’opera di ampliamento di un trullo in zona soggetta a vincolo paesaggistico).
2. Non è suscettibile di accoglimento tramite silenzio assenso la domanda di condono riguardante un’opera realizzata in una zona soggetta a vincolo paesaggistico, ove non sia stato rilasciato il parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo. Infatti, ai sensi dell’art. 32, co.1, L.n. 47/1985, nel caso in cui la p.A. competente non renda il parere entro centottanta giorni dal ricevimento della richiesta, il ricorrente può impugnare il “silenzio rifiuto”.
3. La legittimità del provvedimento amministrativo deve essere valutata a prescindere dal nomen iuris indicato nel provvedimento medesimo ove non sussistano dubbi circa il potere esercitato e i presupposti di legge che ne sorreggono l’emanazione (nella specie, il provvedimento di rigetto dell’ istanza di condono era stato presentato come pronunzia di inammissibilità e improcedibilità della domanda, circostanza ritenuta irrilevante dal TAR in applicazione del suddetto principio).
4. Poichè il diniego di condono edilizio costituisce espressione di un provvedimento vincolato, l’eventuale omissione della comunicazione del preavviso di rigetto ex art. 10-bis L.n. 241/1990 e s.m.i., pur concretando un’ipotesi di illegittimità del diniego, non comporta che quest’ultimo possa essere annullato ove, in applicazione dell’art. 21-octies, co.2, prima parte, della stessa legge, emerga che il contenuto dispositivo del provvedimento impugnato non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
N. 01049/2012 REG.PROV.COLL.
N. 00112/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 112 del 2010, proposto da:
Riccardina Losito, rappresentata e difesa dall’avv. Felice Bacco, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Giuseppe Ferrara in Bari, via De Rossi, n. 15;
contro
Comune di Andria, in persona del Sindaco, legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti Giuseppe Di Bari e Giuseppe De Candia, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Alberto Bagnoli in Bari, via Dante, n. 25;
per l’annullamento,
previa sospensione dell’efficacia,
“del provvedimento con cui è stata dichiarata “…inammissibile e quindi improcedibile…” la domanda di condono “…n° 2002/000116/2004…presentata in data 08.04.2004…ai sensi della L. 326/03 e della L.R. 28/03 e s.m.i. dalla sig.ra Losito Riccardina..”, provvedimento comunicato a mezzo raccomandata a/r prot. n. 95114 del 12/11/2009, ricevuta in data 20/11/2009;
nonchè
di ogni atto ad esso presupposto, consequenziale o comunque connesso.”
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Andria;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Vista l’ordinanza n. 118 del 12 febbraio 2010, di accoglimento dell’istanza incidentale di sospensione cautelare e di rinvio per il prosieguo alla camera di consiglio del giorno 13 maggio 2010;
Vista l’ordinanza n. 709 del 30 settembre 2010 di conferma della sospensione del provvedimento impugnato;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 aprile 2012 la dott.ssa Rosalba Giansante e uditi per le parti i difensori, gli avv.ti Felice Bacco e Giuseppe De Candia;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Espone in fatto la sig.ra Riccardina Losito di avere presentato al Comune di Andria, in data 26 gennaio 2004, apposita dichiarazione di interesse alla definizione degli illeciti edilizi, ai sensi della legge regionale n. 28 del 2003, avente ad oggetto: “- Realizzazione in attacco ad un preesistente trullo in pietra di un manufatto a piano terra della superficie di mq. 60 circa con annessa veranda di mq. 30 circa. – Realizzazione di una recinzione a giorno con due cancelli dell’intera area.”; che con istanze depositate al suddetto Comune in data 30 marzo e 8 aprile 2004 aveva chiesto la definizione degli illeciti edilizi, ai sensi della legge n. 326 del 2003, istanze poi integrate con documentazione prodotta in data 20 ottobre 2005.
Aggiunge che il Comune resistente, con raccomandata a/r del 18 dicembre 2007, aveva invitato essa ricorrente ad integrare la documentazione depositata chiedendo, in particolare, apposita “relazione paesaggistica redatta ai sensi del comma 5° dell’art. 146 del D.Lgs. 42/04”, richiesta evasa da essa stessa ricorrente in data 15 febbraio e 21 marzo 2008, mediante produzione della citata relazione paesaggistica e delle attestazioni di avvenuto versamento della oblazione a conguaglio e degli oneri di urbanizzazione e costo di costruzione.
Riferisce infine che, in data 20 novembre 2009, le veniva comunicata la inammissibilità ed improcedibilità della domanda di condono da essa prodotta e che, in data 29 dicembre 2009, aveva provveduto a presentare istanza di accesso agli atti in riferimento al relativo procedimento, pratica n. 116/2004.
La sig.ra Losito ha quindi proposto il presente ricorso, ritualmente notificato il 15 gennaio 2010 e depositato nella Segreteria del Tribunale il 25 gennaio 2010, con il quale ha chiesto l’annullamento del provvedimento prot. n. 95114 del 12 novembre 2009, ricevuto in data 20 novembre 2009, con il quale il Comune di Andria ha dichiarato “inammissibile e quindi improcedibile” la domanda di condono da essa ricorrente presentata in data 8 aprile 2004, ai sensi della legge n. 326 del 2003 e della legge regionale n. 28 del 2003.
A sostegno del gravame la ricorrente ha dedotto le seguenti censure: 1) violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990; 2) violazione dell’art 32, comma 37, del d.l. n. 269 del 2003 convertito nella legge n. 326 del 2003; 3) violazione dell’art 32, commi 32 e 35, e allegato 1, ultimo periodo del d.l. n. 269 del 2003 e dell’art. 1, comma 1 della legge regionale n. 28 del 2003, violazione dell’art. 1, comma 2, della legge n. 241 del 1990, eccesso di potere per contraddittorietà ; 4) violazione dell’art 3, comma 1, della legge n. 241 del 1990, eccesso di potere per omesso esame della documentazione acquisita; 5) violazione dell’art 32, commi 26 e 27 del d.l. n. 269 del 2003, eccesso di potere per difetto di istruttoria.
Si è costituito a resistere in giudizio il Comune di Andria deducendo l’infondatezza del ricorso e chiedendo il rigetto del gravame.
Alla camera di consiglio dell’11 febbraio 2010, con ordinanza n. 118, è stata accolta la domanda incidentale di sospensione cautelare ed è stata ordinata la trasmissione degli atti all’Autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico e, all’esito, il deposito dell’atto conclusivo del procedimento presso la Segreteria di questo T.A.R. nei successivi 30 giorni; con la medesima ordinanza è stato altresì disposto il rinvio per il prosieguo alla camera di consiglio del giorno 13 maggio 2010.
In data 12 maggio 2010 parte resistente ha depositato una memoria nella quale ha rappresentato di avere trasmesso gli atti relativi alla pratica di condono per cui è causa alla competente Soprintendenza per i Beni Ambientali e Paesaggistici, con nota prot. n. 18159 del 1° marzo 2010, in esecuzione della suddetta ordinanza di questo Tribunale, ma di non aver avuto riscontro.
Alla camera di consiglio del 13 maggio 2010 è stato disposto il rinvio alla camera di consiglio del 29 settembre 2010.
Con memoria depositata in data 28 settembre 2010 il Comune di Andria ha rappresentato che la citata Soprintendenza, con nota prot. n. 40800 del 17 maggio 2010, versata in atti, aveva inoltrato un quesito all’Avvocatura Distrettuale dello Stato in ordine alla corretta procedura da seguire.
Alla camera di consiglio del 29 settembre 2010, con ordinanza n. 709 del 30 settembre 2010, è stata confermata la sospensione del provvedimento impugnato.
Entrambe le parti hanno prodotto documentazione ed hanno presentato una memoria per l’udienza di discussione.
Alla udienza pubblica del 19 aprile 2012 la causa è stata chiamata e assunta in decisione.
Il ricorso è infondato e deve, pertanto, essere respinto.
Con cinque motivi di ricorso la sig.ra Losito ha dedotto le seguenti censure: 1) violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990 per il mancato invio da parte del Comune di Andria della comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza.
2) Violazione dell’art 32, comma 37, del d.l. n. 269 del 2003, convertito nella legge n. 326 del 2003 in quanto sulla istanza da essa prodotta si sarebbe formato il silenzio assenso; la ricorrente lamenta che il Comune resistente non avrebbe adottato alcun provvedimento di annullamento d’ufficio del silenzio formatosi e che, pertanto, l’ente locale stesso non avrebbe potuto adottare il provvedimento negativo oggetto di gravame.
3) Violazione dell’art 32, commi 32 e 35, e allegato 1, ultimo periodo del d.l. n. 269 del 2003 e dell’art. 1, comma 1, della legge regionale n. 28 del 2003, violazione dell’art. 1, comma 2, della legge n. 241 del 1990, eccesso di potere per contraddittorietà ; sig.ra Losito lamenta l’illegittimità del provvedimento impugnato per avere parte resistente ritenuto che l’assoggettamento alla tutela paesaggistica comportasse una pronuncia di inammissibilità e improcedibilità della domanda di condono, mentre avrebbe dovuto adottare un provvedimento di rigetto comunque, anche a voler considerare il suddetto vincolo determinante una pronuncia di inammissibilità , allora non si spiegherebbe, ad avviso di parte ricorrente, perchè l’istanza non sia stata dichiarata immediatamente inammissibile ed improcedibile, considerato che già nella dichiarazione di interesse alla definizione degli illeciti edilizi sarebbe emerso che la zona di cui alla domanda di condono era classificata E3 sottoposta a vincolo paesaggistico.
4) Violazione dell’art 3, comma 1, della legge n. 241 del 1990, eccesso di potere per omesso esame della documentazione acquisita in quanto non sarebbe stata verificata in concreto la compatibilità paesaggistico-ambientale del manufatto per cui è causa, anche in considerazione della circostanza dell’avvenuto deposito della relazione paesaggistica richiesta.
5) Violazione dell’art 32, commi 26 e 27 del d.l. n. 269 del 2003, eccesso di potere per difetto di istruttoria in quanto il vincolo paesaggistico determinerebbe solo una inedificabilità relativa e, pertanto, l’abuso sarebbe sanabile previo parere favorevole dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo stesso.
Premesso che nella fattispecie oggetto di gravame non è oggetto di contestazione che gli interventi realizzati di cui alla domanda di condono per cui è causa insistono su un sito sottoposto a vincolo paesaggistico, il Collegio ritiene utile, preliminarmente, focalizzare la regola di diritto da applicare alla fattispecie in esame.
L’art. 32, comma 27 lettera d) del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito dalla legge 24 novembre 2003, n. 326 dispone: “Fermo restando quanto previsto dagli articoli 32 e 33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria, qualora: ¦. d) siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonchè dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici;”.
Come ha riconosciuto la Corte costituzionale (sentenza n. 196 del 2004), l’oggetto fondamentale dell’art. 32, commi 25-27, del d.l. n. 269 del 2003, convertito nella legge n. 326 del 2003, è la previsione e la disciplina di un nuovo condono edilizio esteso all’intero territorio nazionale, di carattere temporaneo ed eccezionale rispetto all’istituto a carattere generale e permanente del “permesso di costruire in sanatoria”, disciplinato dagli artt. 36 e 45 del d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), ancorato a presupposti in parte diversi e comunque sottoposto a condizioni assai più restrittive.
Si tratta, peraltro, di un condono che si ricollega sotto molteplici aspetti ai precedenti condoni edilizi che si sono succeduti dall’inizio degli anni ottanta: ciò è reso del tutto palese dai molteplici rinvii contenuti nell’art. 32 alle norme concernenti i precedenti condoni, ma soprattutto dal comma 25 dell’art. 32, il quale espressamente rinvia alle disposizioni dei “capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e successive modificazioni e integrazioni, come ulteriormente modificate dall’art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e successive modificazioni e integrazioni”, disponendo che tale normativa, come ulteriormente modificata dal medesimo art. 32, si applica “alle opere abusive” cui la nuova legislazione appunto si riferisce. Attraverso questa tecnica normativa, consistente nel rinvio alle disposizioni dell’istituto del condono edilizio come configurato in precedenza, si ha una saldatura fra il nuovo condono ed il testo risultante dai due precedenti condoni edilizi di tipo straordinario, cui si apportano peraltro alcune innovazioni.
La giurisprudenza ordinaria e amministrativa ormai consolidata, già fatta propria anche da questa Sezione e dalla quale il Collegio non ha motivo di discostarsi, (ex multis, Cass. Penale, Sezione III, n. 24647 del 2009 e Consiglio di Stato, Sezione VI, n. 1200 del 2010, T.A.R. Puglia, Bari, Sezione III, n. 805/2011 e n. 1884/2011), ha riconosciuto che, ai sensi del suddetto art. 32, comma 27, lettera d), sono sanabili le opere abusive realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli (tra cui quello idrogeologico, ambientale e paesistico) purchè ricorrano “congiuntamente” determinate condizioni:
– che si tratti di opere realizzate prima dell’imposizione del vincolo; in proposito la Corte Costituzionale (ordinanza n. 150 del 2009) ha negato che debba trattarsi solo dei vincoli che comportino l’inedificabilità assoluta;
– che, pur realizzate in assenza o in difformità del titolo edilizio, siano conformi alle prescrizioni urbanistiche;
– che siano opere di minore rilevanza, corrispondenti alle tipologie di illecito di cui ai nn. 4, 5 e 6 dell’allegato 1 del d.l. n. 269 del 2003 (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria) senza quindi aumento di superficie;
– che vi sia il previo parere favorevole dell’autorità preposta al vincolo.
Applicando tale giurisprudenza, che richiede la sussistenza congiunta di tutte le citate condizioni per escludere l’applicabilità del condono in riferimento alle opere realizzate in zone vincolate, il Collegio deve evidenziare che nella fattispecie per cui è causa l’intervento oggetto della richiesta di sanatoria comprende sostanzialmente un ampliamento del trullo preesistente, come risulta dagli atti depositati in giudizio e come peraltro dichiarato dalla stessa ricorrente già nell’apposita dichiarazione di interesse alla definizione degli illeciti edilizi presentata ai sensi della legge regionale n. 28 del 2003, avente proprio ad oggetto: “- Realizzazione in attacco ad un preesistente trullo in pietra di un manufatto a piano terra della superficie di mq. 60 circa con annessa veranda di mq. 30 circa. – Realizzazione di una recinzione a giorno con due cancelli dell’intera area.” e come esposto nel ricorso stesso.
Tale ampliamento costituisce la circostanza risolutiva per ritenere che l’intervento realizzato non possa rientrare tra le tipologie di abusi di cui ai nn. 4, 5 e 6 dell’allegato 1 del d.l. n. 269 del 2003, soprarichiamati (cfr. in proposito anche Corte Costituzionale sentenza del 6 novembre 2009, n. 290), ma sia da inquadrare nell’ambito della tipologia di abusi n. 1, come legittimamente ed espressamente ritenuto dal Comune di Andria nel provvedimento prot. n. 95114 del 12 novembre 2009, oggetto di gravame.
Alla luce di quanto sopra ed in particolare in riferimento alla condizione necessaria del previo parere favorevole dell’autorità preposta al vincolo, deve innanzitutto ritenersi infondato il secondo motivo di ricorso nella parte in cui parte ricorrente lamenta l’avvenuta formazione del silenzio assenso.
La giurisprudenza amministrativa, condivisa del Collegio, ritiene che il rilascio della concessione in sanatoria in zone vincolate presuppone necessariamente il parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo prescritto dall’art. 32 della legge n. 47 del 1985, anche ai fini della formazione del silenzio assenso (cfr. Consiglio di Stato, Sezione VI, n. 528/2006, T.A.R. Campania, Napoli, Sezione IV, n. 1483/2009); inoltre è l’art. 35 della legge n. 47 del 1985 ad indicare che, nelle ipotesi previste dal precedente art. 32, il termine per la formazione del silenzio assenso decorre dalla emissione del parere di detta autorità (cfr. Consiglio di Stato Sezione IV, n. 3116/2011); ciò in virtù del richiamato espresso rinvio del comma 25 dell’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003 alle disposizioni dei “capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e successive modificazioni e integrazioni, come ulteriormente modificate dall’art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e successive modificazioni e integrazioni” e del successivo comma 27 che prevede: “Fermo restando quanto previsto dagli articoli 32 e 33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47¦.”
Deve altresì evidenziarsi che, comunque, il comma 1 dell’art. 32 della legge n. 47 del 1985 dopo aver disposto che “il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria per opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso” prevede espressamente la possibilità per il richiedente di impugnare il silenzio-rifiuto qualora tale parere non venga formulato dall’amministrazione entro centottanta giorni dalla data di ricevimento della richiesta di parere stesso.
Sono inoltre prive di pregio le censure di cui al terzo, quarto e quinto motivo di ricorso.
In riferimento al terzo motivo di ricorso si ritiene di dover precisare che non rileva la qualificazione del provvedimento quale provvedimento di inammissibilità ed improcedibilità della domanda di condono proposta ai fini della legittimità del medesimo; ciò in quanto il Collegio ritiene che, in disparte il nomen iuris indicato nel provvedimento stesso, l’Amministrazione abbia adottato un provvedimento di rigetto.
Allorquando, infatti, la P.A. erra nel qualificare un provvedimento, ma non vi sono dubbi sul potere esercitato e sul presupposto valutato e posto alla base del provvedimento, come nella presente fattispecie, il provvedimento medesimo può considerarsi legittimamente emanato (cfr. T.A.R. Puglia, Bari, Sezione III, n. 981/2009).
In riferimento poi alle censure di cui al quarto e quinto motivo di ricorso, il provvedimento impugnato indica in modo chiaro i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche (inquadramento nell’ambito della tipologia di abusi n. 1 dell’allegato 1 del d.l. n. 269 del 2003) che hanno determinato la decisione dell’Amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria, come prescrive l’art. 3 della legge n. 241 del 1990.
Occorre infine valutare la censura di cui al primo motivo di ricorso relativa al dedotto vizio formale concernente la violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990, per il mancato invio da parte del Comune di Andria della comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza.
Al riguardo il Collegio aderisce alla giurisprudenza amministrativa, già fatta propria da questa Sezione, alla luce della quale, a seguito delle modifiche introdotte dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15, l’istituto del preavviso di rigetto di cui all’art. 10-bis della legge n. 241 del 1990 – Comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza – introdotto dall’art. 6 della prima legge menzionata, stante la sua portata generale, trova applicazione anche nei procedimenti di sanatoria o di condono edilizio (cfr. T.A.R. Bari, Sezione III, 22 settembre 2011, n. 1383, T.A.R. Liguria Genova, Sez. I, 22 aprile 2011, n. 666). Deve, conseguentemente, ritenersi illegittimo il provvedimento di diniego dell’istanza di permesso in sanatoria che non sia stato preceduto dall’invio della comunicazione di cui al citato art. 10 bis in quanto preclusivo per il soggetto interessato della piena partecipazione al procedimento e dunque della possibilità di un suo apporto collaborativo, capace di condurre ad una diversa conclusione della vicenda (cfr. T.A.R. Campania Napoli, Sez. VIII, 07 marzo 2011, n. 1318).
Nondimeno, occorre considerare che tali omissioni non determinano comunque l’annullabilità del provvedimento, qualora trovi applicazione il disposto dell’art. 21-octies, comma 2, prima parte della legge n. 241 del 1990, a tenore del quale “non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.
Orbene, non vi è alcun dubbio che il provvedimento di diniego di condono edilizio costituisce espressione di potere vincolato rispetto ai presupposti normativi richiesti e dei quali deve farsi applicazione (negli stessi termini T.A.R. Liguria Genova, Sez. I, 22 aprile 2011, n. 666, cit. e la giurisprudenza ivi richiamata: Consiglio di Stato, IV, 14.4.2010, n. 2105; T.A.R. Lombardia-Milano, II, 22.7.2010, n. 3253).
Analizzando sulla base di dette coordinate la fattispecie concreta oggetto di gravame, il Collegio ritiene che l’amministrazione comunale, nel rigettare l’istanza di condono prodotta dalla ricorrente ai sensi del d.l. n. 269 del 2003, convertito dalla legge n. 326 del 2003, sia incorsa nella violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990, non risultando che il Comune di Andria abbia inviato il preavviso della propria futura determinazione negativa. Tuttavia nella fattispecie oggetto di gravame può trovare applicazione il disposto del comma 2, prima parte, dell’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990 sopra riportato ed invocato da parte resistente nei propri scritti difensivi, considerato che è palese che il contenuto dispositivo del provvedimento impugnato non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, alla luce di quanto sopra esposto in riferimento alla infondatezza dei motivi di ricorso sopra esaminati (cfr. T.A.R. Bari, Sezione III, n. 676/2012).
Conclusivamente, per i suesposti motivi, il ricorso deve essere respinto.
Quanto alle spese si ritiene che, alla luce del mutato orientamento di questa Sezione in merito, sussistono giusti motivi per compensare integralmente le spese tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 19 aprile 2012 con l’intervento dei magistrati:
Pietro Morea, Presidente
Giuseppina Adamo, Consigliere
Rosalba Giansante, Referendario, Estensore
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 25/05/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)