1. Risarcimento del danno – Prova del danno – Annullamento giurisdizionale del provvedimento illegittimo – Insufficienza – Elementi costitutivi ex art. 2043 c.c. – Necessità 


2. Risarcimento del danno  – Da attività  provvedimentale – Colpa della p.A. – Onere della prova  – Inversione – Ragioni 


3. Risarcimento del danno – Colpa della p.A. – Errore scusabile – Disposizioni suscettibili di univoca comprensione – Da parte di soggetto a elevata professionalità  – Non sussiste


4. Risarcimento del danno – Qualificazione – Lucro cessante –   Quantificazione   – Valutazione  equitativa – Ragioni


5. Risarcimento del danno – Qualificazione   – Perdita di chance –  Prova – Criterio probabilistico – Applicazione 


6. Risarcimento del danno – Qualificazione – Danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. – Lesione di valori costituzionali primari – Criterio dinamico – Limiti 
 

1. Innanzi al giudice amministrativo la domanda di risarcimento dei danni è regolata dal principio dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c.; il risarcimento non è, infatti, una conseguenza automatica dell’annullamento giurisdizionale del provvedimento illegittimo, richiedendosi che venga allegata e provata dal danneggiato la sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria per fatto illecito ex art. 2043 c.c..


2. Nel caso di “risarcimento del danno da attività  provvedimentale” (o da mancato esercizio di quella obbligatoria), l’accertamento dell’illegittimità  dell’atto  (o del silenzio) determina un’inversione dell’onere della prova, sollecitando la p.A. convenuta a dimostrare l’assenza di colpa nonostante l’accertata illegittimità  della condotta; in tal senso, l’art. 30 c.p.a. ha di fatto dettato un nuovo statuto sostanziale della fattispecie, individuando il presupposto fondante dell’azione risarcitoria per danni da attività  provvedimentale nella sola illegittimità  dell’atto (comma 2 dell’art. 30) e non anche nell’elemento soggettivo dell’illecito (dolo o colpa) cui, invece, si riferisce il comma 3 a proposito dei soli criteri di quantificazione del danno.


3. Ai fini della rilevabilità  dell’errore scusabile, che escluderebbe l’elemento soggettivo dell’illecito, soccorre la nozione di “giurista di medio livello che applica professionalmente le norme amministrative” mercè la quale si limita la possibilità  di un’erronea interpretazione incolpevole alla sola ipotesi in cui il testo normativo sia insuscettibile di univoca comprensione; nella specie, non ricorre l’errore scusabile in quanto le disposizioni del bando di concorso erano ragionevolmente chiare e sono state interpretate da soggetto ad elevata professionalità  (commissione di concorso composta da professori universitari).
 
4. Il risarcimento del danno patrimoniale da mancata assunzione (cd. lucro cessante) non può essere commisurato all’intero ammontare delle retribuzioni non percepite in quanto ciò comporterebbe una vera e propria restitutio in integrum sul modello della responsabilità  contrattuale; deve, dunque, operarsi una quantificazione del danno in via equitativa, in applicazione del combinato disposto degli artt. 2056, commi 1 e 2, e 1226 c.c., con detrazione del 20% dell’ammontare complessivo già  decurtato di quanto a qualsiasi titolo percepito e con obbligo a carico dell’Amministrazione di regolarizzare la posizione contributiva e previdenziale.
 
5. Il risarcimento del danno patrimoniale da perdita di chance (cd. danno emergente) è subordinato alla prova circa la ragionevole probabilità  della verificazione del danno; l’interessato è, pertanto, tenuto a provare la realizzazione in concreto almeno di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e a suo dire  impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile deve essere conseguenza immediata e diretta.
 
6. Il risarcimento del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. è ristorabile non solo nei casi contemplati da specifiche disposizioni di legge ma anche in caso di lesione di valori costituzionali primari, non confinabili in un numerus clausus ma ricavabili dalla clausola aperta di cui all’art. 2 della Costituzione, sulla base di un criterio dinamico legato all’emersione nella realtà  sociale di nuovi interessi di rango costituzionale; la sua ricorrenza è, tuttavia, compensata dal limite ontologico della serietà  e gravità  dell’offesa che superi la soglia della tollerabilità  (danno evento), nonchè dall’onere incombente sul danneggiato di provare la sussistenza di significative ripercussioni pregiudizievoli nella propria sfera personale (danno conseguenza).
 
* * *
Vedi Cons. di Stato, Sez. V, udienza pubblica 10 febbraio 2015, ric n. 3436 – 2012.Sentenza 4 marzo 2015, n. 1099 – 2015


 
* * *

N. 00479/2012 REG.PROV.COLL.
N. 00790/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 790 del 2010, proposto da: 
Rosanna Mallamaci, rappresentata e difesa dall’avv. Maurizio Di Cagno, con domicilio eletto presso il suo studio in Bari, alla via Nicolai n.43; 

contro
Università  degli Studi di Bari, in persona del Rettore p.t., rappresentata e difesa ope legisdall’Avvocatura Distrettuale dello Stato e presso la stessa domiciliata in Bari, alla via Melo n.97; 

per l’accertamento del diritto
della ricorrente al risarcimento dei danni ingiusti, patrimoniali e non patrimoniali, patiti in relazione alla ritardata assunzione quale ricercatore presso la Facoltà  di Farmacia, come specificati in ricorso;
nonchè per la condanna
dell’Università  degli Studi di Bari al pagamento di quanto a tal titolo dovuto, oltre interessi e rivalutazione monetaria come per legge;
 

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Università  degli Studi di Bari;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 dicembre 2011 la dott.ssa Giacinta Serlenga e uditi per le parti i difensori avv. M. Di Cagno e avv. dello Stato I. Sisto;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue;
 

FATTO
La dott.ssa Mallamaci partecipava nel 1998 al concorso bandito l’anno precedente per la copertura di un posto di ricercatore presso la facoltà  di Farmacia dell’Università  degli studi di Bari, settore scientifico disciplinare EO4A (fisiologia generale), unitamente ad altra candidata, la dott.ssa Stipani.
Quest’ultima risultava prima in graduatoria con punteggio pari a 50,4, seguita dalla ricorrente con punteggio pari a 47.
A seguito dell’approvazione di tale risultato si apriva un’annosa vicenda giudiziaria conclusasi soltanto nel 2004, vittoriosamente per l’odierna ricorrente, finalmente immessa in servizio con decorrenza 1° ottobre, giusta decreto del Rettore n.10553 del 29.9.2006.
La dott.ssa Mallamaci aveva invero lamentato per un verso l’attribuzione in favore della contro interessata di tre punti a titolo di “frequenza a dottorato di ricerca”; per altro verso, la mancata considerazione di alcuni titoli dalla stessa posseduti, tra i quali la tesi di dottorato di ricerca e la borsa di post-dottorato.
All’esito del primo giudizio, definito in primo grado con la sentenza di questo Tar n.1726/2002, era già  risultata vittoriosa su tutta la linea; veniva infatti ritenuta illegittima sia l’attribuzione del predetto punteggio alla dott.ssa Stipani, per non essersi ancora concluso il dottorato con l’acquisizione del titolo, sia la mancata valutazione dei titoli della ricorrente. E siffatta decisione veniva confermata dal Consiglio di Stato con pronunzia della sesta Sezione n.1101/03.
Pertanto la Commissione, appositamente riconvocata, procedeva alla sottrazione dei punti illegittimamente attribuiti alla dott.sa Stipani; confermava tuttavia la non valutabilità  dei titoli pretermessi dell’odierna ricorrente specificando che dovessero essere ritenuti estranei al settore scientifico disciplinare oggetto del concorso.
Il risultato fu di lasciare sostanzialmente immutato l’esito originario: prima classificata la dott.ssa Stipani , sebbene con punti ridotti a 47,4/100; seconda classificata la dott.ssa Mallamaci con punteggio elevato a 47/100.
Questa si vedeva pertanto costretta a proporre nuovo ricorso; e ancora una volta il giudizio si concludeva vittoriosamente per la stessa, sia in primo che in secondo grado. La Commissione allora, nuovamente riconvocata per la valutazione dei titoli, nella seduta del 28 luglio 2006 procedeva finalmente ad assegnare all’odierna ricorrente punteggio ulteriore; in verità  un solo punto per la borsa di post-dottorato. Riconfermava invece l’estraneità  della tesi di dottorato alla disciplina messa a concorso.
L’attribuzione del punto aggiuntivo risultava tuttavia sufficiente a far proclamare vincitrice del concorso la dott.ssa Mallamaci in qualità  di prima classificata (con punteggio pari a 48/100 a fronte dei 47,4 punti della dott.ssa Stipani). La stessa veniva dunque nominata in servizio con il richiamato decreto del Rettore del settembre 2006; ben otto anni dopo l’espletamento della procedura concorsuale.
Con il gravame in epigrafe, notificato il 26.5.2010 e depositato il giorno successivo, la dott.ssa Mallamaci chiede pertanto di essere risarcita dei danni ingiusti, patrimoniali e non, subiti per effetto della ritardata assunzione quale ricercatrice, oltre interessi e rivalutazione.
Costituitasi in giudizio l’Università  degli studi di Bari ha chiesto la reiezione del gravame.
All’udienza del 14 dicembre 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
Il ricorso è fondato.
La domanda volta ad ottenere il riconoscimento del diritto della ricorrente al risarcimento del danno subito in conseguenza della tardiva assunzione merita accoglimento, sebbene nei limiti di seguito precisati.
1.- In via preliminare, osserva il Collegio che anche innanzi al giudice amministrativo la domanda di risarcimento dei danni è regolata dal principio dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c., in base al quale chi vuole far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Il risarcimento non è, infatti, una conseguenza automatica dell’annullamento giurisdizionale del provvedimento illegittimo, richiedendosi che venga allegata e provata dal danneggiato, oltre alla lesione della situazione soggettiva di interesse tutelata dall’ordinamento, la sussistenza di un danno ingiusto, del nesso causale tra condotta ed evento nonchè la colpa o il dolo dell’Amministrazione, trattandosi di fattispecie risarcitoria per fatto illecito ex art. 2043 c.c..
Tuttavia, l’accertata illegittimità  dell’azione amministrativa, che -come detto- integra soltanto uno degli elementi costitutivi del fatto illecito ex art. 2043 c.c., produce effetti riflessi anche sulla distribuzione dell’onere della prova; nel senso che sollecita l’Amministrazione convenuta a sottoporre al giudice del risarcimento concreti elementi di giudizio atti a dimostrare l’assenza di colpa, nonostante l’accertata illegittimità  della propria condotta (in tal senso Cons. Stato, Sez. VI, 13 febbraio 2009, n. 775).
In tale direzione si muove anche l’art. 30 del nuovo Codice del processo Amministrativo che, non limitandosi ad una disciplina puramente processuale dell’azione risarcitoria, ha di fatto dettato un nuovo statuto sostanziale della fattispecie “risarcimento del danno da attività  provvedimentale”, in particolare con riferimento all’elemento soggettivo dell’illecito. Ha invero individuato, quale presupposto del rimedio avverso i danni da attività  provvedimentale (o da mancato esercizio di quella obbligatoria), la sola illegittimità  dell’atto (o del silenzio) ex art. 30, comma 2; non anche l’elemento psicologico, al quale fa invece riferimento nella seconda parte del comma 3, a proposito dei criteri di quantificazione dei danni stessi.
In buona sostanza la scelta del legislatore sembra essere stata quella di ridurre la portata concreta dell’elemento soggettivo facendo assumere carattere prevalente alla concreta adozione di atti illegittimi (in senso conforme Tar Sardegna Cagliari, Sez.II, 31.3.2011, n.290).
2.- Orbene, nel caso di specie, nulla quaestio sull’esistenza del danno ingiusto patito dalla dott.ssa Mallamaci in conseguenza del ritardo con cui è stata disposta la sua assunzione in data 1° ottobre 2006 a fronte della procedura concorsuale espletata ben otto anni prima, nel 1998, per addivenire alla quale si sono resi necessari ben quattro giudizi.
Nè alcun dubbio può sussistere circa la configurabilità  del nesso causale tra il danno stesso e l’illegittimo comportamento dell’amministrazione (rectius: della Commissione).
Maggiore approfondimento richiede invece la verifica della sussistenza dell’elemento soggettivo, perchè specificamente contestato dalla difesa dell’Amministrazione.
Sostiene infatti la difesa erariale che non sia ravvisabile nella fattispecie un comportamento colpevole dell’Amministrazione resistente e che, comunque, ricorrerebbe l’errore scusabile.
Più precisamente, quanto all’indebita attribuzione di punteggio alla dott.ssa Stipani per il dottorato non concluso, ritiene in primis che la questione non sia dirimente poichè la sottrazione dei tre punti a seguito di ricorso della dott.ssa Mallamaci non si è rivelata decisiva a capovolgere l’esito del concorso; in ogni caso, richiamandosi ad un passaggio della seconda sentenza pronunziata dal Consiglio di Stato in relazione alla questione che ci occupa (la n.2738/2005), la quale ha escluso lo sviamento rilevato dal giudice di primo grado, ne fa discendere sic et simpliciter l’assenza dell’elemento psicologico.
Con riferimento invece all’altra questione, quella della mancata valutazione dei titoli conclusasi con l’attribuzione di un solo punto alla borsa di post dottorato, che ritiene viceversa rilevante ai fini della valutazione della colpa dell’Amministrazione, invoca l’errore scusabile adducendo che soltanto con la richiamata sentenza del Consiglio di Stato n.2738 sarebbe stato acclarato, senza possibilità  di ulteriori dubbi, che la borsa di studi conseguita dalla ricorrente avrebbe dovuto essere valutata indipendentemente dalla sua attinenza al settore disciplinare per il quale era stato bandito il concorso; e questo si ricaverebbe proprio da talune considerazioni svolte dallo stesso Consiglio di Stato nella sentenza n.2738.
Le riportate argomentazioni non appaiono tuttavia convincenti.
Quanto al primo punto, deve osservarsi che la circostanza che il Consiglio di Stato abbia ritenuto di escludere lo sviamento equivale a negare la sussistenza di un comportamento doloso e non già  anche di una condotta colposa; e che a fronte di inequivocabili disposizioni del bando, il quale prevedeva -all’art.4- l’assegnazione di 10 punti espressamente non frazionabili per il titolo di dottore di ricerca, l’aver attribuito un punteggio proporzionale in relazione alla frequenza annuale concreta una grave inescusabile negligenza, a maggior ragione poichè imputabile ad organo connotato da elevata professionalità , quale la Commissione di concorso composta da professori universitari.
Alla stregua di analoghe considerazioni deve escludersi la scusabilità  dell’errore rispetto alla valutazione incredibilmente tardiva della borsa di post dottorato, per la quale sono stati necessari addirittura quattro giudizi a fronte di criteri -peraltro posti dalla stessa Commissione nella seduta del 28 settembre 1998- di immediata percezione. La “pertinenza” al settore messo a concorso era stata invero inequivocabilmente collegata in via esclusiva alle pubblicazioni; liddove -con altrettanta chiarezza- per gli “altri titoli” era stata prevista sic et simpliciter la valutabilità  di “borse di studio o soggiorni di studio all’estero”.
Nè può condividersi che dal tenore delle prime due pronunzie (Tar n.1726/2002 e C.d.S. n.11 01/2003) non emergesse con chiarezza la necessità  di procedere alla valutazione della borsa di post dottorato. Basti riportare un passaggio della sentenza di secondo grado: “Ne consegue che va confermato il capo della sentenza gravata, che ha annullato per difetto di motivazione gli atti della commissione, nella parte in cui non hanno valutato la tesi di dottorato e di specializzazione prodotte dalla originaria ricorrente” (cfr. par.6, ult. cpv.); come sia stato possibile ignorare una così chiara statuizione non è dato comprendere. Tant’è che il Tar nuovamente adito, con la successiva sentenza n.1/2004 ha dichiarato inammissibile il ricorso incidentale proposto dalla controinteressata dott.ssa Stipani “perchè, dopo la pronuncia di annullamento del Consiglio di Stato, la valutabilità  della borsa di studio ottenuta dall’odierna ricorrente deve intendersi coperta da giudicato”. E non solo. Ha anche stigmatizzato il comportamento della Commissione che si era riservata di valutare la pertinenza soltanto delle pubblicazioni ed ha quindi introdotto nel rinnovato procedimento un quid novi.
Proprio di recente, la seconda Sezione del Tar Lazio-Roma ha lucidamente delineato i confini entro i quali può essere ammessa la scusabilità  dell’errore ai fini della definizione della colpa nell’ambito dell’azione risarcitoria. Ha all’uopo evocato la nozione di “giurista di medio livello che applica professionalmente norme amministrative” e limitato la possibilità  di un’erronea interpretazione incolpevole all’ipotesi in cui il testo normativo sia insuscettibile di univoca comprensione ( cfr. decisione del 7.2.2011 n.1125).
Nel caso di specie, le disposizioni del bando erano ragionevolmente chiare e sono state interpretate da soggetto ad elevata professionalità  (la Commissione di concorso); sicchè non può dubitarsi che -a tacer d’altro- si sia in presenza di un’ipotesi di vera e propria negligenza. Certamente non risultano osservati i canoni del buon andamento; nè può ritenersi che l’amministrazione regionale evocata in giudizio abbia fornito la prova liberatoria dell’assenza di colpa.
Ricorrono dunque nel caso in esame tutti gli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria.
3.- Ciò premesso vanno analizzate le singole voci di danno -asseritamente- originate dalla condotta illecita posta in essere dalla P.A. resistente e oggetto di istanza risarcitoria.
3.1.- Viene in considerazione prioritariamente la richiesta di risarcimento del danno derivato alla ricorrente dalla mancata assunzione (cd. lucro cessante); circostanza che ha evidentemente causato alla stessa un grave pregiudizio materiale collegato alla mancata apprensione della relativa retribuzione.
Il pregiudizio non può tuttavia essere commisurato -secondo l’originaria richiesta della ricorrente- all’intero ammontare delle retribuzioni non percepite a partire dalla data della mancata assunzione a quella dell’effettivo collocamento in servizio con correlativa contribuzione; ciò comporterebbe una vera e propria restitutio in integrum sul modello della responsabilità  contrattuale, estranea al presente giudizio.
Diversamente, come costantemente statuito dalla giurisprudenza che questo Collegio ritiene di condividere e come riconosciuto dalla stessa difesa ricorrente nell’ultima memoria, sul predetto importo va operata una detrazione rapportata alla circostanza che la parte danneggiata non ha impegnato le proprie energie lavorative in favore della p.A. resistente, pervenendosi ad una quantificazione del danno in via equitativa , in applicazione del combinato disposto degli atti artt. 2056, commi 1 e 2, e 1226 c.c..
Il Consiglio di Stato ha da ultimo individuato la misura di tale detrazione nel 20% dell’ammontare complessivo già  decurtato di quanto a qualsiasi titolo percepito nel medesimo periodo per attività  lavorative; con l’obbligo a carico dell’Amministrazione stessa di regolarizzare anche la posizione contributiva e previdenziale, negli stessi limiti appena precisati (cfr. Sez.V, n.3934 del 30.6.2011 e n.2750 del 10.5.2010; in termini Sez.VI, n.5042 del 17.10.2008).
Alla luce di tali indicazioni, la puntuale quantificazione del danno patrimoniale subito a tale titolo dalla dott.ssa Mallamaci è rimessa all’amministrazione resistente ai sensi e per gli effetti dell’art.34, comma 4, c.p.a., anche avuto riguardo ai conteggi prodotti in giudizio dall’interessata. La somma ottenuta (sottraendo -si ribadisce- dagli importi che l’interessata avrebbe percepito se fosse stata assunta tempestivamente la somma effettivamente percepita anno per anno per attività  lavorative nello stesso periodo di riferimento, con decurtazione del 20%) dovrà  quindi essere rivalutata annualmente secondo gli indici ISTAT a partire dalla data dell’illecito (e quindi dalla data della mancata assunzione che deve farsi coincidere con la data di assunzione della dott.ssa Stipani) fino alla pubblicazione della presente decisione. Trattandosi di debito di valore è infatti necessario che l’importo venga attualizzato al momento della decisione per essere adeguato al mutato potere di acquisto della moneta. Sulla somma rivalutata andranno poi calcolati gli interessi legali, secondo il criterio (cd. scalare) individuato dalla nota decisione 1712/1995 delle Sezioni Unite di recente confermata dalla prima Sezione (cfr. Cass. Civ., Sez.I, 4.2.2010 n.2602) poichè rivalutazione monetaria ed interessi hanno finalità  diverse: la prima mira a ripristinare la situazione patrimoniale del danneggiato quale era anteriormente al fatto generatore del danno; i secondi hanno invece funzione compensativa del mancato godimento della somma liquidata. Infine andranno riconosciuti gli interessi legali sulla somma così determinata fino al soddisfo.
2.2.- Restando nell’ambito del danno patrimoniale, non può invece trovare accoglimento la richiesta di risarcimento per l’asserita perdita di chance.
Ed invero, secondo consolidati principi giurisprudenziali che il Collegio non ritiene di disattendere, la risarcibilità  della cd. perdita di chance è subordinata alla prova, che il ricorrente deve fornire almeno in via presuntiva, delle circostanze di fatto certe e puntualmente allegate da cui si ricavi la ragionevole probabilità  della verificazione del danno; in buona sostanza l’interessato è tenuto a provare la realizzazione in concreto almeno di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e -asseritamente- impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile deve essere conseguenza immediata e diretta (cfr. in senso conforme per tutte C.d.S., VI, 3.11.2010, n.7744).
La ricorrente non ha invece in concreto provato che il comportamento illecito della p.A. abbia compromesso la possibilità  di conseguire un vantaggio, non avendo fornito neanche un principio di prova in ordine ad effettive e concrete occasioni favorevoli perse a causa della ritardata assunzione.
Si è limitata ad allegare un generico “rallentamento” alla carriera universitaria che, sebbene astrattamente intuibile, non è stato supportato neppure dalla mera indicazione dei concorsi medio tempore banditi ai quali l’interessata non ha potuto partecipare; o, comunque, delle opportunità  concrete di cui non ha potuto beneficiare a causa della mancata tempestiva assunzione. Prova che era certamente nella sua disponibilità .
Nè alle carenze probatorie di parte può sopperirsi attraverso la liquidazione equitativa che è invece funzionale alla mera quantificazione del danno.
2.3.- Veniamo, quindi, alla richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale evidentemente ancorata alle previsioni dell’art.2059 c.c..
In linea generale deve osservarsi che la più recente giurisprudenza ha privilegiato un approccio ermeneutico che legge in senso elastico la tipicità  del danno non patrimoniale risarcibile, consentendone il ristoro non solo nei casi contemplati da specifiche disposizioni di legge ma anche in caso di lesione di valori costituzionali primari, oltretutto non confinabili in un numerus clausus ma ricavabili dalla clausola aperta di cui all’art. 2 della Costituzione, sulla base di un criterio dinamico che consente di apprezzare l’emersione, nella realtà  sociale, di nuovi interessi aventi rango costituzionale in quanto attinenti a posizioni inviolabili della persona ( in tal senso da ultimo Cass. Civ., Sez.Un., 19 agosto 2009, n.18356 e C.d.S., Sez. V, 28 maggio 2010, n. 3397).
L’ampliamento della categoria del danno non patrimoniale, categoria unitaria non scindibile in sottocategorie strutturalmente autonome, è stata tuttavia compensata dall’introduzione di un limite ontologico e di un onere probatorio. Quanto al primo, in un quadro interpretativo attento al contemperamento tra i principi costituzionali di solidarietà  e di tolleranza, il risarcimento del danno non patrimoniale costituzionalmente qualificato viene ammesso nei soli casi in cui la lesione del diritto costituzionale sia connotata dalla serietà  dell’offesa e dalla gravità  delle conseguenze nella sfera personale. Quanto al secondo aspetto la prevalente giurisprudenza, superando la teoria del danno evento, esige che il danneggiato fornisca la prova non solo dell’evento dato dalla sussistenza di una lesione del diritto costituzionalmente primario che superi la soglia della tollerabilità , ma anche della ricorrenza di significative ripercussioni pregiudizievoli sotto il profilo del danno conseguenza. Peraltro, come sottolineato ancora una volta dalla Cassazione civile, a Sezioni unite, l’onere di allegazione della prova in ipotesi di pregiudizio non patrimoniale diverso dal danno biologico è attenuato dalla riconosciuta possibilità  di far ricorso a presunzioni ( cfr. sent. n.26972 dell’11 novembre 2008).
Nel caso di specie non può dubitarsi che l’azione amministrativa, posta in essere dall’Università , pervicacemente e reiteratamente illegittima (culminata nella mancata doverosa esecuzione di molteplici pronunzie giurisdizionali) abbia inciso negativamente su un diritto costituzionalmente tutelato della dott.ssa Mallamaci quale il diritto al lavoro (art. 4 Cost.), alla reputazione ed all’immagine (riconducibili, questi ultimi, entro l’alveo dei diritti inviolabili dell’uomo di cui all’art. 2 Cost.), con una lesione di carattere non patrimoniale che si connota in termini di ingiustizia ex art. 2043 c.c., serietà  dell’offesa e gravità  delle conseguenze che ne sono derivate nella sfera personale della stessa ben oltre la soglia della normale tollerabilità . La mancata tempestiva assunzione ha comportato invero un peggioramento della qualità  della vita dell’interessata a causa della forzata rinuncia ad un’attività  che, oltre ad essere più remunerativa di quella svolta, sarebbe stata anche fonte di miglioramento professionale, con intuibili ripercussioni relazionali di segno negativo tali da modificare in peiusl’esistenza della danneggiata.
Venendo quindi al profilo del quantum del danno non patrimoniale sofferto dalla ricorrente, si ritiene di far ricorso al criterio equitativo di cui all’art. 1226 c.c. stante l’estrema difficoltà  di quantificazione dello stesso, riconoscendosi la somma di € 10.000,00 (diecimila/00) da porre a carico dell’Università . La somma in parola viene liquidata all’attualità  con riferimento all’intero arco temporale considerato; sicchè sulla stessa spetteranno soltanto gli interessi legali dalla data di pubblicazione della presente decisione al soddisfo.
3.- In sintesi il ricorso viene accolto quanto alla richiesta di risarcimento del danno patrimoniale da mancata assunzione e del danno non patrimoniale, nei limiti indicati. Nel primo caso rimettendone la più puntuale quantificazione all’Amministrazione secondo gli indicati criteri (differenza tra quanto avrebbe percepito la danneggiata se fosse stata assunta tempestivamente e somma effettivamente percepita nello stesso periodo per attività  lavorative, decurtata del 20%, oltre rivalutazione ed interessi fino al soddisfo); nel secondo caso liquidandolo in €10.000,00 (diecimila/00) oltre interessi dalla data di pubblicazione della presente sentenza al soddisfo.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia-Bari (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto:
1) condanna l’Università  degli studi di Bari a corrispondere alla ricorrente dott.ssa Mallamaci a titolo di risarcimento del danno patrimoniale la somma da determinarsi alla luce dei criteri specificati in motivazione, ai sensi e per gli effetti dell’art.34, 4° comma, c.p.a., previo accordo con la ricorrente stessa da conseguirsi nel termine di giorni 90 (novanta) dalla comunicazione e/o notificazione della presente sentenza;
2)condanna l’Università  degli studi di Bari altresì al pagamento in favore della ricorrente stessa a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale della somma di € 10.000,00, oltre interessi dalla data di pubblicazione della presente sentenza al soddisfo;
3) condanna infine l’Università  stessa al pagamento, in favore della ricorrente delle spese del presente giudizio, che liquida in euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00) oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità  amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 14 dicembre 2011 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Sabato Guadagno, Presidente
Antonio Pasca, Consigliere
Giacinta Serlenga, Referendario, Estensore
 
 
 
 

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 01/03/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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