ATI “sovrabbondanti” tra il silenzio del codice dei contratti pubblici, le segnalazioni dell’Autorità  garante della concorrenza e del mercato e la tassatività  della clausole di esclusione.

Le ATI “sovrabbondanti” tra il silenzio del codice dei contratti pubblici, le segnalazioni dell’Autorità  garante della concorrenza e del mercato e la tassatività  della clausole di esclusione.
TAR LAZIO – ROMA
SEZ. III QUATER, 27
ottobre 2011 n. 826
Pres. Riggio, Est.
Ferrari- Padana Everest Srl
(Avv.ti Coffrini, Sansone e Colarizi) c. Regione Lazio (Avv. ti Mazzei e Fusco)
e Servizi Italia Spa, (Avv. ti Colarizi e Coffrini ) e Sogesi Spa (Avv.ti
Brizzolari e Zanetti )
1. Contratti della P.A.
– Gara – Bando – Clausola che impedisce la partecipazione in Ati di società  in
possesso dei requisiti per partecipare singolarmente – Illegittimità  – Ragioni.
E’ illegittima la clausola di un
bando di gara per l’affidamento di un appalto di servizi che preclude la
partecipazione in Ati di società  in possesso dei requisiti per partecipare alla
gara stessa anche singolarmente; infatti è ammissibile la riunione in Ati di
imprese che anche da sole sono in possesso dei requisiti, non vigendo alcun
espresso divieto legale in tal senso.
* * *
N. 08267/2011
REG.PROV.COLL.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza Quater)
ha pronunciato la
presente
SENTENZA
ex artt. 60 e 74 cod.
proc. amm.;
sul ricorso numero di
registro generale 5756 del 2011, integrato da motivi aggiunti, proposto dalla
Padana Everest Srl,
rappresentata e difesa dagli avv.ti Ermes Coffrini, Paolo Sansone e Massimo Colarizi,
con domicilio eletto in Roma, via Panama, 12, presso l’avv. Massimo Colarizi;
contro
Regione Lazio,
rappresentata e difesa dagli avv.ti Rodolfo Mazzei e Fiammetta Fusco, con
domicilio eletto in Roma, via Marcantonio Colonna n.27, presso l’avv. Fiammetta
Fusco;
e con l’intervento di
ad adiuvandum:
dalla Servizi Italia
Spa, rappresentata e difesa dagli avv.ti Massimo Colarizi, e Ermes Coffrini,
con domicilio eletto in Roma, via Panama, 12, presso l’avv. Massimo Colarizi;
ad opponendum:
Sogesi Spa, rappresentata
e difesa dagli avv.ti Maurizio Brizzolari e Andrea Zanetti, con domicilio
eletto in Roma, via della Conciliazione, 44, presso l’avv. Maurizio Brizzolari;
per l’annullamento, previa sospensiva,
del bando di gara per
l’affidamento del servizio di lavanolo occorrente alle Aziende sanitarie della
Regione Lazio – (art. 120 c.p.a.)
Visti il ricorso, i
motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l’atto di
costituzione in giudizio di Regione Lazio;
Viste le memorie
difensive;
Visti tutti gli atti della
causa;
Relatore nella camera di
consiglio del giorno 26 ottobre 2011 il cons. Giulia Ferrari e uditi per le
parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti
ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;
Rilevato che nella
suddetta camera di consiglio il Collegio, chiamato a pronunciare sulla domanda
cautelare di sospensiva dell’atto impugnato, ha deciso di definire
immediatamente il giudizio nel merito con sentenza resa ai sensi dell’art. 60
c.p.a., e ne ha dato comunicazione ai difensori presenti delle parti in causa.
Ritenuta priva di pregio
l’eccezione di inammissibilità  del ricorso per non avere la ricorrente
presentato la domanda di partecipazione alla gara entro il termine, prorogato a
seguito della modifica della lex specialis di gara, del 20 settembre 2011, e
ciò in quanto i due motivi di gravame sono rivolti avverso clausole della lex
specialis che, secondo la sua prospettazione, impediscono alla ricorrente di
formulare l’offerta;
Ritenuto, quanto alla
seconda eccezione sollevata dall’Amministrazione resistente, che correttamente
il ricorso è stato notificato alla sola Regione Lazio avendo la stessa bandito
la gara oggetto del gravame;
Considerato, infatti,
che ai sensi dell’art. 1 del disciplinare di gara la Regione Lazio è stata delegata
all’indizione della gara, con la conseguenza che il ricorso avverso il bando,
la procedura ad evidenza pubblica e l’aggiudicazione possono, ma non devono
necessariamente, essere notificati anche alle Aziende sanitarie deleganti;
Considerato infatti che
nel caso in cui un soggetto deleghi altro soggetto ad indire una gara
d’appalto, il ricorso contro gli atti del procedimento di gara non deve essere
necessariamente notificato anche all’Ente delegante, ponendosi l’Ente
delegatario come centro di riferimento di tutta l’attività  posta in essere,
salva la facoltà  del delegante di intervenire in giudizio (Cons.St., sez. V, 25
luglio 2006, n. 4654; id., sez. IV, 25 febbraio 2003, n. 1024; Tar Salerno 26
marzo 1985, n. 107);
Ritenuto inammissibile
(così come comunicato alle parti presenti – e dato atto a verbale, ai sensi
dell’art. 73, comma 3, c.p.a.) l’atto di intervento volontario ad adiuvandum,
depositato il 4 ottobre 2011, della Servizi Italia s.p.a., la quale – in
considerazione del tenore della lex specialis di gara – afferma di non aver
potuto presentare l’offerta;
Considerato, infatti,
che l’intervento ad adiuvandum non può essere proposto dal titolare di una
posizione giuridica direttamente tutelabile con una propria impugnativa, e non
già  di una posizione dipendente da quella del ricorrente principale (Cons. St.,
sez. V, 20 giugno 2011, n. 3702), pena l’elusione del termine perentorio, e
quindi decadenziale legislativamente fissato per ricorrere;
Visto l’atto di motivi
aggiunti, notificato il 3 ottobre 2011 e depositato il successivo 14 ottobre,
con il quale è impugnato il bando di gara così come rettificato dalla stazione
appaltante con avviso del 22 luglio 2011;
Considerato che il bando
di gara è immediatamente impugnabile solo quando contiene clausole escludenti o
che impediscono la formulazione dell’offerta (Cons. St., A.P., 29 gennaio 2003,
n. 1; id. 4 dicembre 1998, n. 1; id., sez. V, 3 agosto 2011, n. 4625; id.14
luglio 2011, n. 4274);
Considerato infatti che,
come chiarito anche dalla più recente giurisprudenza, le clausole del bando o
della lettera di invito, che onerano l’interessato ad un’immediata
impugnazione, sono soltanto quelle che prescrivono in modo inequivoco requisiti
di ammissione o di partecipazione alla gara, in riferimento sia a requisiti
soggettivi che a situazioni di fatto, la carenza dei quali determina
immediatamente l’effetto escludente, configurandosi il successivo atto di
esclusione come meramente dichiarativo e ricognitivo di una lesione già
prodotta (Cons.St., sez. V, 5 ottobre 2011, n. 5454 e 19 settembre 2011, n.
5323);
Ritenuto assistito da
fumus boni juris il primo motivo dell’atto di motivi aggiunti (che reitera il
primo motivo di ricorso), con il quale si deduce l’illegittimità  dell’art. 12
del disciplinare di gara nella parte in cui preclude la partecipazione in Ati
di società  che avrebbero i requisiti per partecipare anche singolarmente;
Considerato infatti che
la è stata ritenuta ammissibile la riunione in Ati di imprese che anche da sole
sono in possesso dei requisiti, non vigendo alcun espresso divieto legale in
tal senso (Cons. St., sez. VI, 29 dicembre 2010, n. 9577; id. 20 febbraio 2008,
n. 588). Considerato, infatti, che è stato ritenuto irrilevante il parere
dell’Autorità  garante della concorrenza e del mercato 7 febbraio 2003 n. AS251,
nel quale si sottolinea il rischio che il modello del raggruppamento possa
evolvere a strumento di collaborazione restrittivo della concorrenza, attuale o
potenziale, in quanto detto parere è finalizzato a suggerire alle stazioni
appaltanti, «pur nel silenzio della legge», di «limitare la possibilità  di
associarsi in RTI da parte di due o più imprese, che singolarmente sarebbero in
grado di soddisfare i requisiti finanziari e tecnici per poter partecipare alla
gara». Non può peraltro non rilevarsi come nel diritto comunitario il
raggruppamento temporaneo di imprese sia considerato uno strumento
pro-competitivo, il cui utilizzo non è limitato alle imprese prive dei
requisiti individuali di qualificazione. La questione rientra piuttosto nella
discrezionalità  del legislatore per decidere se sia opportuno introdurre un
divieto di Ati per imprese che individualmente sono in possesso dei requisiti,
divieto che non è stato finora introdotto;
Considerato invece che è
venuto meno l’interesse a coltivare il secondo motivo di ricorso (e ciò a
prescindere dalla sua ammissibilità  in quanto proposto immediatamente in
occasione dell’impugnazione del bando), avendo la stazione appaltante
modificato il bando nella parte in cui richiedeva di dichiarare tutte le
condanne per qualsiasi reato, a prescindere che si tratti di condanne passate
in giudicato o riguardanti reati estinti;
Considerato che è
immediatamente censurabile l’art. 5 del disciplinare di gara (impugnato con il
terzo motivo di ricorso e la terza censura dell’atto di motivi aggiunti) perchè
impedirebbe la formulazione dell’offerta e dei relativi prezzi;
Considerato che tale
motivo è fondato atteso che l’art. 5 del disciplinare – lasciando alla stazione
appaltante la possibilità , nel periodo di vigenza del contratto, di estendere i
servizi appaltati a favore di nuovi centri di utilizzo o di sospendere o
ridurre i servizi appaltati presso i centri di utilizzo senza che tali
scostamenti, se contenuti entro il quinto dell’importo contrattuale – costringe
a formulare offerte soggette ad eccessivi margini di aleatorietà ;
Considerato invece che è
venuto meno l’interesse a coltivare il quarto motivo di ricorso, con il quale
si censura la previsione della scheda tecnica del Capitolato che richiede l’offerta
di divise di una marca individuata senza lasciare la possibilità  di offrire una
fornitura equivalente, avendo la stazione appaltante in parte qua modificato la
lex specialis di gara;
Ritenuto dunque che il
ricorso deve essere accolto ma che sussistono giusti motivi per disporre la
compensazione delle spese e degli onorari del giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale
Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Quater)
definitivamente
pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di
cui in motivazione e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati.
Compensa integralmente
tra le parti in causa le spese e gli onorari del giudizio.
Ordina che la presente
sentenza sia eseguita dall’autorità  amministrativa.
Così deciso in Roma nella
camera di consiglio del giorno 26 ottobre 2011 con l’intervento dei magistrati:
Italo Riggio, Presidente
Maria Luisa De Leoni,
Consigliere
Giulia Ferrari,
Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 27/10/2011

* * *
LE ATI “SOVRABBONDANTI” TRA IL SILENZIO DEL CODICE DEI
CONTRATTI PUBBLICI, LE SEGNALAZIONI DELL’AUTORITA’ GARANTE DELLA CONCORRENZA E
DEL MERCATO E LA TASSATIVITA’ DELLE CLAUSOLE DI ESCLUSIONE.
Con la decisione in
commento il TAR Lazio censura senza esitazioni – addirittura con sentenza in
forma semplificata – le clausole dei bandi di gara che precludono la
partecipazione in raggruppamento temporaneo a imprese che avrebbero i requisiti
per partecipare anche singolarmente.
Il TAR, rilevato che nell’ordinamento
non esiste alcun divieto in tal senso (Cons. St., sez. VI, 29 dicembre 2010, n.
9577; id. 20 febbraio 2008, n. 588), e che anzi “nel diritto comunitario il raggruppamento temporaneo di imprese sia
considerato uno strumento pro-competitivo, il cui utilizzo non è limitato alle
imprese prive dei requisiti individuali di qualificazione”, ha ritenuto irrilevante
“il parere dell’Autorità  garante della
concorrenza e del mercato 7 febbraio 2003 n. AS251, nel quale si sottolinea il
rischio che il modello del raggruppamento possa evolvere a strumento di
collaborazione restrittivo della concorrenza, attuale o potenziale, in quanto
detto parere è finalizzato a suggerire alle stazioni appaltanti, «pur nel
silenzio della legge», di «limitare la possibilità  di associarsi in RTI da
parte di due o più imprese, che singolarmente sarebbero in grado di soddisfare
i requisiti finanziari e tecnici per poter partecipare alla gara»”.
La sentenza esprime dunque
una posizione netta in favore dell’ammissibilità  delle ATI c.d. “sovrabbondanti”
nonostante la questione sia oggetto di un acceso dibattito – scaturente dall’oggettiva
tensione sul punto tra la normativa in materia di appalti e quella antitrust –
che solo pochi mesi fa aveva indotto il Consiglio
di Stato a chiedere l’intervento dell’Adunanza Plenaria[1].
Con ordinanza n. 351 del
18 gennaio 2011 la Sesta Sezione del Consiglio di Stato aveva infatti rimesso alla
Plenaria di valutare, in relazione ad ATI costituite tra imprese che singolarmente possiedono i requisiti
tecnici ed economici per partecipare da sole
ad una gara,”se sia il caso di pervenire ad un divieto
generalizzato, pur in difetto di espressa previsione nell’art. 38 codice
appalti, ovvero di riconoscere in capo alla stazione appaltante il potere di
escludere dalla gara un’a.t.i. sovrabbondante che costituisca un palese
artificio in danno della concorrenza eventualmente previa espressa previsione
in tal senso nel bando di gara”.
L’Adunanza Plenaria, con sentenza n. 4 del
7 aprile 2011, non si è però pronunciata sul punto essendo la questione rimasta
assorbita nella fattispecie.
Come detto, il tema è
caratterizzato da una tensione tra principi e norme di natura diversa e  operanti a livelli distinti: da un lato, la
normativa appalti, che non prevede alcun espresso divieto, e anzi, favorisce, sotto
la spinta del diritto comunitario, l’utilizzo di questa forma di aggregazione
(così, ad es., Cons. St., sez. VI, 20 febbraio 2008 n. 588) in ragione della sua
funzione antimonopolistica che consente un ampliamento della dinamica
concorrenziale e favorisce l’ingresso sul mercato di imprese di minori
dimensioni o specializzate in particolari settori produttivi; dall’altro lato,
la normativa antitrust, alla luce della quale lo strumento dell’ATI è
considerato, a determinate condizioni, potenzialmente idoneo a ledere la concorrenza.
L’AGCM ritiene infatti che la costituzione di un raggruppamento in assenza di
esigenze oggettive rispetto ai requisiti di partecipazione manifesti – o possa
manifestare – un’intesa restrittiva della concorrenza (art. 2 l. 287/90)[2].
Più in particolare l’AGCM
ritiene tradizionalmente che:
i) se le singole imprese
partecipanti in ATI non possiedono singolarmente i requisiti dimensionali previsti
dal bando di gara o non sono in grado di svolgere tutti i
lavori/servizi/forniture richiesti dalla stazione appaltante, l’ATI è compatibile con le norme antitrust;
ii) se le singole imprese
possiedono i requisiti dimensionali e tecnici richiesti per l’ammissione
alla gara, l’ATI è incompatibile con le
norme antitrust;
iii) se un’impresa è in
possesso singolarmente dei necessari requisiti mentre l’altra impresa non è in grado
di partecipare autonomamente alla gara, l’ATI
è incompatibilecon le norme antitrust, solose
quest’ultima impresa possa diventare un operatore concorrente della prima impresa,
aggregandosi con altre società  presenti sul mercato, a loro volta non in possesso dei requisiti
richiesti. Viceversa, l’ATI è compatibile
con le norme antitrust se l’unica possibilità  di partecipare alla gara da parte
dell’impresa di minori dimensioni è l’associazione con una impresa in grado di
partecipare da sola alla gara.
Sulla base di tali
considerazioni l’AGCM è intervenuta in materia con una serie di segnalazioni (a
partire dalla ben nota AS251/2003[3])
volte ad escludere la possibilità  di associarsi in ATI da parte di due o
più imprese che singolarmente sarebbero in grado di soddisfare i
requisiti finanziari e tecnici per partecipare alla gara.
L’AGCM suggerisce alle
stazioni appaltanti di inserire nei bandi di gara clausole di esclusione delle
ATI “sovrabbondanti”. Tali raggruppamenti, infatti, pur non dimostrando di per
sè l’esistenza di un’intesa restrittiva della concorrenza, costituiscono un
indizio della possibile volontà  collusiva delle imprese partecipanti al
raggruppamento. Nell’ottica dell’Autorità , dunque, queste clausole hanno una
funzione di prevenzione e di anticipazione della tutela, per evitare il rischio
di comportamenti collusivi che potrebbero ripercuotersi, in definitiva, sui
risultati della gara.
A ben vedere, il principio
non è affermato in maniera generale e granitica; spesso l’AGCM si esprime nel
senso di invitare la stazione appaltante ad una valutazione concreta del
settore di riferimento. Così, ad esempio, nella segnalazione n. AS754 del 2010,
concernente il bando di gara per un servizio di brokeraggio assicurativo,
l’AGCM afferma che: “Nel caso in esame, il Comune deve pertanto valutare le
effettive caratteristiche competitive del mercato che, ad una prima analisi,
appare caratterizzato dalla presenza di vari operatori, con diverse
caratteristiche dimensionali e di gamma di servizi offerti, come tale da non
giustificare l’aggregazione di una RTI tra società  dotate e non dotate dei
necessari requisiti per la partecipazione alla gara”.
La giurisprudenza ha in
più occasioni avallato la posizione dell’AGCM. Anche in questo caso, peraltro, l’esclusione
delle ATI “sovrabbondanti” viene ritenuta legittima non in termini generali, ma
in relazione alla concreta fattispecie.
Si precisa, di volta in
volta, che l’inserimento della clausola sia un’opzione della stazione
appaltante “da esercitare in relazione alle specifiche caratteristiche del
mercato oggetto della procedura” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 19/6/2009 n.
4145[4]),
ovvero che “in ragione della tipologia del servizio richiesto, o di
particolari determinazioni finalizzate a favorire una più ampia partecipazione
alla gara”, la stazione appaltante
“non può limitarsi ad individuare, nel bando, una generica causa di
esclusione, ma deve prevedere specifiche clausole che limitino la
partecipazione dei raggruppamenti ai casi in cui essi effettivamente risultino
necessari per accrescere, e non per ridurre, il numero delle imprese
partecipanti” (TAR Sicilia Palermo – sez. I 7/3/2007 n. 750), o
ancora, che è necessario indicare la necessità  di una specifica motivazione da
esplicarsi al momento dell’adozione dell’atto di indizione della gara (TAR
Lazio Roma, Sez. II ter, 1 giugno 2007, n. 5083).
L’AGCM è intervenuta di
nuovo in materia, nel novembre 2011, con la segnalazione AS880[5],
ribadendo l’invito alle stazioni appaltanti di inserire nei bandi di gara “clausole di esclusione dei raggruppamenti
costituiti da due o più imprese che già  singolarmente posseggono i requisiti
finanziari e tecnici per partecipare alla gara”.
In realtà  l’intervento
dell’AGCM trova spunto concreto nella opportunità  di valutare simili clausole
alla luce del nuovo comma 1-bis dell’art. 46 d.lgs. 163/2006 (introdotto dal
c.d. “Decreto Sviluppo”) che ha previsto il principio di tassatività  delle
clausole di esclusione.
L’AGCM sostiene che la clausola
di esclusione delle ATI sovrabbondanti – pur non essendo prevista nè dal codice
appalti nè dal relativo regolamento di attuazione – potrebbe essere ritenuta
legittima sulla base di quella parte del comma 1-bis che fa riferimento al
mancato adempimento da parte del concorrente di “prescrizioni previste ¦ da altre disposizioni di legge”. A detta
dell’Authority: “La possibilità  per la
stazione appaltante di escludere un raggruppamento che, nel concreto, presenti
connotazioni tali da potersi ritenere “macroscopicamente” anticoncorrenziale è
da ricondursi all’applicazione diretta dell’art. 101 del Trattato sul
Funzionamento dell’Unione Europea che (al pari dell’art. 2 della legge n.
287/1990) vieta le intese aventi per oggetto o per effetto quello di falsare
e/o restringere la concorrenza. Di sicuro, pertanto, la previsione del
Trattato, al pari delle altre norme a tutela della concorrenza (comunitarie e
nazionali), può considerarsi una tra le “disposizioni
di legge vigente” (peraltro di rango superiore) richiamate dalla norma
del Decreto Sviluppo e la cui violazione può determinare l’esclusione dalla
gara”.
Le disposizioni
comunitarie e nazionali che stabiliscono il divieto di intese restrittive della
concorrenza rientrerebbero dunque tra quelle “altre disposizioni di legge” che, ai sensi dell’art. 46, comma 1-bis,
d.lgs. 163/2006, legittimano la comminatoria dell’esclusione.
Pur non essendo questa
la sede per una ricognizione della portata del nuovo principio della tassatività
delle clausole di esclusione, ad avviso di chi scrive la questione non è posta
correttamente.
L’art. 46, comma 1-bis,
d.lgs. 163/2006 (“La stazione appaltante
esclude i candidati o i concorrenti in caso di mancato adempimento alle
prescrizioni previste dal presente codice e dal regolamento e da altre
disposizioni di legge vigenti¦ ; i bandi e le lettere di invito non possono
contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione. Dette prescrizioni sono
comunque nulle”) è volto a contrastare la deprecabile prassi della c.d.
“caccia all’errore” e testualmente si riferisce alle “prescrizioni”, ossia alla
mancata ottemperanza a precisi obblighi o oneri rilevanti per la partecipazione
alla gara.
Il novellato articolo 46
del codice dei contratti pubblici, ispirandosi al principio del favor partecipationis, vieta dunque che
siano aggiunte prescrizioni – nel senso sopra indicato – ulteriori rispetto a
quelle previste dalla legge, allo scopo di limitare il numero di esclusioni
fondate su elementi di carattere formale. L’intento è pertanto quello di
tutelare in modo sostanziale e concreto il principio di derivazione comunitaria
della concorrenza nonchè quello, più squisitamente politico-economico-sociale,
di ridurre il contenzioso in materia di appalti[6].
In prima battuta, ed in
attesa del consolidamento di un indirizzo interpretativo sul punto, si dubita allora
che l’art. 46, comma 1-bis, d.lgs. 163/2006, possa incidere sulla possibilità
per le stazioni appaltanti di inserire la clausola di esclusione delle ATI “sovrabbondanti”.
In altri termini, non pare configurarsi un contrasto tra la clausola in
questione e il divieto introdotto dal “Decreto Sviluppo”. Non si pone infatti
in questo caso un problema di esclusione per ragioni formali, ma di legittimità
di una previsione di gara concernente, a ben vedere, i requisiti di
partecipazione alla luce della normativa, italiana e comunitaria, che considera
illecite le intese restrittive della concorrenza.
D’altro lato i requisiti
di partecipazione sono considerati dalle prime interpretazioni del citato comma
1 bis dell’art. 46[7],
estranei al divieto, rimanendo gli stessi nell’area di discrezionalità  della
stazione appaltante, con il tradizionale limite del rispetto del principio di proporzionalità
in relazione all’oggetto della gara. In tale prospettiva non si può non
rilevare come i requisiti di partecipazione siano legati a strette maglie con
il tema delle ATI “sovrabbondanti”, così come risulta anche dai provvedimenti
dell’AGCM e dalla giurisprudenza in materia[8].
Sgombrato il campo dalle
suggestioni legate al principio di tassatività  delle clausole di esclusione, va
rilevato che correttamente l’AGCM, nella segnalazione AS880, fa presente che l’art.
4, comma 1, lett. d) del D.L. 13 agosto 2011 n. 138 (convertito in legge 15 settembre
2011 n. 148, in GU n° 216 del 16 settembre 2011[9])
consente alle stazioni appaltanti, in tema di servizi pubblici locali, di
escludere le “forme di aggregazione o di collaborazione tra soggetti che
possiedono singolarmente i requisiti tecnici ed economici di partecipazione
alla gara, qualora, in relazione alla prestazione oggetto del servizio,
l’aggregazione o la collaborazione sia idonea a produrre effetti restrittivi
della concorrenza sulla base di un’oggettiva e motivata analisi che tenga conto
di struttura, dimensione e numero degli operatori del mercato di riferimento”.
Secondo l’AGCM, benchè
tale disposizione sia stata proposta per i soli servizi pubblici locali, la
mancata estensione della ratio ad essa sottesa a tutti gli appalti
pubblici sarebbe contraria ai principi dell’ordinamento, e, in particolare, a
quelli derivanti dall’appartenenza all’Unione Europea.
Al di là  della
condivisibilità  o meno dell’argomento sistematico (ubi lex dixit¦)[10],
la norma dettata per i servizi pubblici locali rileva, ai fini che interessano,
nella misura in cui non legittima la previsione del divieto di partecipazione
per le ATI “sovrabbondanti”, ma si limita a conferire alle stazioni appaltanti la
facoltà  di escludere simili raggruppamenti a determinate condizioni.
Tale approccio viene
ripreso dall’AGCM nella predetta segnalazione AS880 che – nonostante la
petizione di principio sul divieto delle ATI sovrabbondanti – si conclude con
il suggerimento, sulla scorta dell’esperienza maturata e delle recenti
modifiche normative, di adottare un “approccio
più dinamico rispetto a quanto già  suggerito in passato alle stazioni
appaltanti”: tale approccio consiste nella previsione della “possibilità  di escludere i raggruppamenti
temporanei a seguito di un’analisi che tenga conto della struttura e delle
dinamiche caratterizzanti il mercato interessato, nonchè di qualsiasi altro
elemento da cui possa desumersi una precisa volontà  anticoncorrenziale delle
imprese coinvolte”.
La stessa AGCM quindi
riconosce che non sarebbe legittima l’introduzione di un divieto generalizzato
di partecipazione per le ATI “sovrabbondanti” in quanto le stesse non sono di
per sè illecite, pur potendo costituire l’occasione – tutta da verificare – per
porre in essere un’intesa restrittiva della concorrenza (ovvero essere la
manifestazione della stessa)[11].
Il nuovo approccio “dinamico”
dell’AGCM è in linea di principio condivisibile e, in tal senso, potrebbe
costituire un punto di equilibrio tra le tensioni interne al bene giuridico che
si intende tutelare – la concorrenza – nello specifico settore degli appalti
pubblici. Nella salvaguardia del medesimo bene giuridico, infatti, un divieto
basato su un semplice indizio (il possibile uso distorto dello strumento) non
può che essere recessivo rispetto all’ampliamento – certo –  del panorama dei concorrenti garantito dallo
strumento del raggruppamento[12].
Se ciò è corretto, si
ritiene allora che un corretto modo di procedere della stazione appaltante
dovrebbe comportare (i) un’istruttoria preliminare volta a verificare se nello
specifico settore, considerata anche la concreta articolazione dell’appalto (divisione
in lotti, loro consistenza, ecc.[13])
vi siano i presupposti per inserire, nella lex
concorsualis, la possibilità  di escludere raggruppamenti aventi determinate
caratteristiche; (ii) un’adeguata motivazione dell’inserimento di una simile
clausola, da esplicitarsi nella delibera di indizione della gara; (iii) la
verifica, dopo la ricezione delle offerte, se l’ATI “sovrabbondante”
costituisca la manifestazione di una “precisa
volontà  anticoncorrenziale” sulla base di apposita istruttoria; (iv) un
adeguato supporto motivazionale dell’eventuale provvedimento espulsivo.
Si dubita però che le
stazioni appaltanti abbiano la struttura, le risorse e soprattutto le
competenze per effettuare simili indagini e valutazioni. E’ vero che la
stazione appaltante ben potrà /dovrà  chiedere un parere all’AGCM, ma ciò
determinerebbe un aggravio procedimentale di non poco momento ed una
dilatazione dei tempi di gara, probabilmente non sostenibili.
Inoltre l’esclusione
dell’ATI “sovrabbondante” dovrebbe avvenire – secondo le parole della stessa
AGCM – qualora la stessa sia la manifestazione di “una precisa volontà  anticoncorrenziale delle imprese coinvolte”, il
che significa  che è richiesto l’accertamento
di un’intesa restrittiva della concorrenza.
Si giungerebbe così a
conferire alle stazioni appaltanti una competenza propria dell’AGCM, ivi
compresa quella di comminare la sanzione (“atipica”, per l’illecito antitrust)
dell’esclusione. Ci si deve interrogare poi se in questo caso rilevi o meno
l’elemento soggettivo (la segnalazione sembra affermarne la necessità ) e che
rapporto debba esistere tra il provvedimento della stazione appaltante e quello
eventualmente adottato dall’AGCM per il medesimo fatto.
Soprattutto, anche
laddove le determinazioni della stazione appaltante fossero assunte sulla base
di pareri dell’AGCM, si prospetta una possibile lesione del diritto di difesa delle
imprese. L’accertamento di un’intesa restrittiva della concorrenza presuppone
infatti, come noto, l’avvio di un procedimento munito di precise garanzie di
contraddittorio e di difesa per il soggetto nei confronti del quale è
ipotizzato l’illecito. Nel caso delle ATI “sovrabbondanti”, invece,
l’accertamento avverrebbe in assenza di tali garanzie. Peraltro, nella maggior
parte delle ipotesi, l’illiceità  sotto il profilo antitrust del raggruppamento
è desumibile da fatti e circostanze estranei rispetto alla singola procedura di
gara[14],
e di cui – evidentemente – la stazione appaltante non è a conoscenza (e di cui
non potrebbe tenere conto).
Il nuovo approccio “dinamico”
dell’AGCM è quindi condivisibile nella parte in cui nega in sostanza la
possibilità  di inserire un divieto assoluto di partecipazione alle gare delle
ATI “sovrabbondanti” e costituisce un apprezzabile sforzo costruttivo, ma è
destinato a scontrarsi con profili di carattere pratico e teorico che
meriterebbero maggiore riflessione.
La soluzione corretta
comporta quindi la conservazione – che si direbbe ovvia – della separazione tra
gli aspetti concorrenziali e quelli relativi agli appalti pubblici,
riconducendo le funzioni specifiche, quelle relative all’accertamento di
illeciti e quelle relative al corretto esplicarsi delle procedure ad evidenza pubblica,
al rispettivo alveo: l’AGCM, da un lato, e le stazioni appaltanti, dall’altro.
Queste ultime dovranno poi sollecitamente e sistematicamente segnalare all’AGCM
condotte sospette sotto il profilo concorrenziale affinchè la stessa proceda
con le verifiche del caso e con l’eventuale apertura di un’istruttoria. In
merito non va neppure trascurato il recente “Potenziamento dell’antitrust”
(così la rubrica della norma¦) previsto dall’art. 35 del d.l. 201/2011, c.d. “Salva-Italia”,
che stabilisce che l’AGCM è legittimata ad agire in giudizio contro gli atti
amministrativi generali, i regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi
amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del
mercato, ciò che implica un potere di intervento diretto dell’AGCM anche sulle
gare che manifestino profili anticoncorrenziali (sia pur in termini ancora
tutti da valutare)[15].
D’altra parte ci si deve
interrogare se le ATI “sovrabbondanti” presentino effettivamente
caratteristiche di sintomaticità  anticoncorrenziale tali da legittimare la
prospettata anticipazione di tutela, tenuto conto che, ovviamente, le intese
restrittive della concorrenza non sono affatto escluse neppure nel caso in cui
l’impresa partecipi singolarmente (si pensi ai meccanismi di “spartizione” a
monte delle gare, di coordinamento delle offerte, ecc.), mentre la costituzione
di un raggruppamento ha tutto sommato il pregio di avvenire alla luce del sole
(addirittura davanti a un notaio), ed è quindi forse meno pericoloso per la
concorrenza rispetto ad altre ed occulte forme di coordinamento in vista della
partecipazione a gare ad evidenza pubblica che, invece, continuerebbero ad essere
valutate solo dall’AGCM al di fuori di qualsiasi sanzione di esclusione da
parte delle stazioni appaltanti.
La sentenza in commento,
dunque, nella sua linearità , forse coglie nel segno.
Stefano Cassamagnaghi
Partner
Studio Legale Rucellai & Raffaelli

[1] A conferma del contrasto
giurisprudenziale esistente sul punto si segnala che con sentenza n. 29 del 17
gennaio 2002, il TAR Basilicata, Sezione I, ha affermato la legittimità  della
clausola che escludeva la partecipazione in raggruppamento di due o più imprese
in grado “uti singulae” di soddisfare
i requisiti economici e tecnici richiesti. Va rilevato che nella fattispecie la
clausola in questione era stata prevista dopo che una precedente procedura di
affidamento era andata deserta in quanto era pervenuta una sola offerta valida.
[2]V.
ad esempio i casi I193-Assicurazione Rischi Comune di Milano; I462 – Pellegrini/Consip,
I657 – Servizi aggiuntivi di trasporto pubblico nel Comune di Roma; I728- Gara
d’appalto per le apparecchiature per la risonanza magnetica.
[3] In Boll. N. 5/2003; in
tal senso anche le segnalazioni AS623, del 20 ottobre 2009, Affidamento del
servizio di brokeraggio assicurativo da parte di pubbliche amministrazioni,
in Boll. n. 40/09; AS187, del 17 dicembre 1999, Bandi di gara in materia di
appalti pubblici, in Boll. n.
48/99.
[4] Nella fattispecie il mercato era
caratterizzato dalla presenza di un numero limitato di imprese di notevoli
dimensioni e dalla presenza di numerose altre imprese di dimensioni più
ridotte; in tale contesto “i notevoli
importi dei singoli lotti della gara determinavano che pochissime imprese
operanti nel comparto possedevano individualmente i prescritti requisiti
tecnici e finanziari e consentire alle suddette imprese di liberamente
associarsi in ATI avrebbe comportato il rischio di ridurre l’effettiva
concorrenza tra le imprese di notevoli dimensioni e di rendere più difficile
per le imprese di più ridotte dimensioni la partecipazione alla gara anche
attraverso i raggruppamenti”.
[5] In Bollettino n. 44 del 21 novembre 2011.
[6] In tal senso TAR Lazio, Roma, Sez. I Bis,
15 dicembre 2011, n. 9791.
[7] V. Consiglio di Stato, Sez. VI,
ordinanza del 14 settembre 2011, n. 3932; AVCP, “Prime indicazioni sui bandi tipo:
tassatività  delle cause di esclusione e costo del lavoro”, in
www.avcp.it.
[8] Il Consiglio di Stato ha di recente
ritenuto illegittima, in quanto irragionevole ed in contrasto con il principio
della massima partecipazione alle gare,
una clausola che vietava la partecipazione in ATI ai soggetti da soli
già  in possesso dei requisiti di partecipazione richiesti, allorquando la legge
di gara non prevedeva nell’ambito dei requisiti alcuna soglia minima.  Una simile clausola finiva infatti, a motivo
della sua indeterminatezza, per rappresentare un divieto generalizzato e a
priori della formula del raggruppamento temporaneo (Consiglio di Stato, Sez.
III, n. 4792 del 17 agosto 2011).
[9] La norma da ultimo
citata ripropone pedissequamente quanto già  previsto dall’art. 2, lett. a) del
D.P.R. 168/2010, adottato in attuazione del comma 10 dell’art. 23-bis del D.L.
112/2008 e, insieme a quest’ultimo, travolto dai risultati dell’ultimo referendum
abrogativo.
[10] In più occasioni la giurisprudenza,
nell’affermare la legittimità  delle ATI “sovrabbondanti” nella fattispecie, ha
rilevato che la questione può essere valutata “dal legislatore per decidere se sia opportuno introdurre tale divieto, che
– si ribadisce – non è stato finora introdotto” (Consiglio di Stato, Sez.
VI, 29 dicembre 2010, n. 9577 e 20 febbraio 2008, n. 588).
[11] Come rilevato dalla
stessa AGCM, il fatto che due o più imprese singolarmente in possesso dei
requisiti tecnico-dimensionali richiesti dal bando decidano di costituire un
raggruppamento in vista della partecipazione alla gara, infatti, non
costituisce la prova ma tutt’al più un indizio della possibile volontà
anticoncorrenziale dei soggetti coinvolti. Le motivazioni per così dire
“virtuose” di un’aggregazione tra grandi imprese possono, infatti, essere
molteplici e fondate sulle possibili sinergie derivanti dalla diversa
specializzazione per segmenti delle imprese attive negli stessi mercati ovvero,
più semplicemente, sull’esigenza di assicurare una più razionale
diversificazione del rischio industriale (v. Segnalazione AS880, cit.).
[12] In realtà , come anticipato, tale
approccio rappresenta una ulteriore esplicitazione di quanto già  sostenuto, a
ben vedere, dalla giurisprudenza e dalla stessa AGCM.
[13] In merito all’articolazione della gara
in lotti si segnala che l’art. 44 del d.l. 201/2011 (c.d. Salva-Italia) ha
modificato l’articolo 2 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163,
prevedendo un nuovo comma 1-bis, che stabilisce: “Nel rispetto della disciplina comunitaria in materia di appalti
pubblici, al fine di favorire l’accesso delle piccole e medie imprese, le
stazioni appaltanti devono, ove possibile ed economicamente conveniente,
suddividere gli appalti in lotti funzionali”. Analogo precetto è stato
previsto dall’art. 13 della l. 180/2011 (Statuto delle Imprese) al fine di
favorire l’ingresso negli appalti alle MPPI.
[14] Sul punto v., ad esempio, Consiglio di
Stato,

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