1. Processo amministrativo – Giudizio di ottemperanza – Natura polisemica
 

2. Processo amministrativo – Giudizio di ottemperanza – Ricorso ex art. 112, c. 5, c.p.a. – Proposizione del ricorso
 

3. Processo amministrativo –  Giudizio di ottemperanza – Presupposto
 

4. Processo amministrativo – Giudizio di ottemperanza – Giudice dell’ottemperanza
 

5. Processo amministrativo – Giudizio di ottemperanza – Situazione oggetto del ricorso introduttivo di primo grado – Intoccabilità 
 

6. Processo amministrativo – Giudicato – Sentenza irrevocabile di annullamento di provvedimenti amministrativi – Obbligo di ripristino della situazione in capo alla P.A. – Retroattività 
 

 
7. Processo amministrativo – Giudizio di ottemperanza – Esecuzione del giudicato – Limiti – Sopravvenienze di fatto e diritto

1. La disciplina dell’ottemperanza non può essere ricondotta alla mera azione di esecuzione delle sentenze o di altro provvedimento ad esse equiparabile. Piuttosto, il giudizio di esecuzione ha natura polisemica, presentando profili diversi non solo quanto al presupposto (cioè in ordine al provvedimento per il quale si chieda che il giudice disponga ottemperanza), ma anche in ordine al contenuto stesso della domanda, la quale può essere rivolta ad ottenere: a) “l’attuazione” delle sentenze o altri provvedimenti ad esse equiparati, del giudice amministrativo o di altro giudice diverso da questi, con esclusione delle sentenze della Corte dei Conti e del giudice tributario, o, più in generale, di quei provvedimenti di giudici diversi dal giudice amministrativo “per i quali sia previsto il rimedio dell’ottemperanza” (art. 112, c. 2); b) la condanna “al pagamento di somme a titolo di rivalutazione e interessi maturati dopo il passaggio in giudicato della sentenza” (art. 112, c. 3); c) il “risarcimento dei danni connessi all’impossibilità  o comunque alla mancata esecuzione in forma specifica, totale o parziale, del giudicato” (art. 112, c. 3); d) la declaratoria della nullità  di eventuali atti emanati in violazione o elusione del giudicato (art. 114, c. 4), e ciò al fine di ottenere sia l’attuazione della sentenza passata in giudicato sia il risarcimento dei danni connessi alla predetta violazione o elusione del giudicato (art. 112, c. 3, ult. parte).


2. Tra le diverse azioni disciplinate dal codice del processo amministrativo nell’ambito del giudizio di ottemperanza, si colloca anche il ricorso, ex art. 112, c. 5, proposto al fine di “ottenere chiarimenti in ordine alle modalità  dell’ottemperanza”. A differenza dell’azione di ottemperanza propriamente intesa, che è naturalmente esperita dalla parte già  vittoriosa nel giudizio di cognizione o in altra procedura a questa equiparabile, tale ricorso appare proponibile anche dalla parte soccombente.


3. Nella disciplina del giudizio di ottemperanza il codice del processo amministrativo ricomprende azioni diverse, talune meramente esecutive, talaltre di chiara natura cognitoria. Comune denominatore è l’esistenza, quale presupposto, di una sentenza passata in giudicato.


4. Il giudice dell’ottemperanza, come identificato per il tramite dell’art. 113 c.p.a., deve essere attualmente considerato come il giudice naturale della conformazione dell’attività  amministrativa successiva al giudicato e delle obbligazioni che da quel giudicato discendono o che in esso trovano il proprio presupposto.


5. Nonostante il carattere poliforme del giudizio di ottemperanza, quest’ultimo non può essere il luogo per tornare a mettere ripetutamente in discussione la situazione oggetto del ricorso introduttivo di primo grado, su cui il giudicato ha, per definizione, conclusivamente deciso; se così fosse, il processo, considerato nella sua sostanziale globalità , rischierebbe di non avere mai termine, e questa conclusione sarebbe in radicale contrasto con il diritto alla ragionevole durata del giudizio, all’effettività  della tutela giurisdizionale nonchè alla stabilità  e certezza dei rapporti giuridici.


6. L’Amministrazione soccombente a seguito di sentenza irrevocabile di annullamento di propri provvedimenti ha l’obbligo di ripristinare la situazione controversa, a favore del privato e con effetto retroattivo, per evitare che la durata del processo vada a scapito della parte vittoriosa. Trattasi di una retroattività  che non può essere intesa in senso assoluto, ma va ragionevolmente parametrata alle circostanze del caso concreto ed alla natura dell’interesse legittimo coinvolto (pretensivo, oppositivo, procedimentale). L’obbligo dell’amministrazione non incide, pertanto, sui tratti liberi dell’azione amministrativa lasciati impregiudicati dallo stesso giudicato e, in primo luogo, sui poteri non esercitati e fondati su presupposti fattuali e normativi diversi e successivi rispetto a quest’ultimo.


7. L’esecuzione del giudicato può trovare limiti solo nelle sopravvenienze di fatto e diritto antecedenti alla notificazione della sentenza divenuta irrevocabile; sicchè la sopravvenienza è strutturalmente irrilevante sulle situazioni giuridiche istantanee (tranne nel caso del sopravvenuto mutamento della realtà , fattuale o giuridica, tale da non consentire l’integrale ripristino dello status quo ante), mentre incide su quelle durevoli nel solo tratto dell’interesse che si svolge successivamente al giudicato, determinando non un conflitto ma una successione cronologica di regole che disciplinano la situazione giuridica medesima.

Pubblicato il 23/03/2017
N. 00266/2017 REG.PROV.COLL.
N. 00857/2016 REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 857 del 2016, proposto da: 
Ferrara Carmela, rappresentata e difesa dagli avvocati Luigi Maldera, Ciro Testini, con domicilio eletto presso lo studio Tommaso Di Gioia in Bari, via Argiro 135; 

contro
Comune di Corato non costituito in giudizio; 

per 
l’ottemperanza alla sentenza n. 812 del 28/05/2015 Tar puglia bari sez. III 
 

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 15 febbraio 2017 il dott. Francesco Gaudieri e uditi per le parti i difensori come da verbale di udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 

FATTO e DIRITTO
1.- Con il ricorso in esame, notificato il 13 luglio 2016, depositato il 20 luglio 2016, la nominata in epigrafe rappresenta di essere proprietaria di un suolo edificabile sito in agro di Corato, al foglio 47, p.lle 944, 945, 946, 947, 948, 949, 950, 951 e 952, e di aver ottenuto, con la sentenza n. n. 812 del 28/05/2015 del Tar Puglia Bari sez. III , l’annullamento del diniego n. 27304 del 6.9.2012, con il quale la soccombente amministrazione comunale aveva respinto la domanda di trasformazione edilizia di detto fondo motivandola con la circostanza che trattavasi di suolo gravato dal vincolo di inedificabilità  assoluta – tronco armentizio di tipo a) secondo la tassonomia dell’art. 2 l.r. n. 29/2003 – siccome “area di pertinenza del tratturo Barletta – Grumo del PCT, classificata come parte del tronco armentizio che conserva l’originaria consistenza o che può essere alla stessa reintegrata, nonchè la sua destinazione in ordine alle possibili fruizioni turistico-culturali ¦ sono applicati gli indirizzi di tutela di cui agli artt. 11 e 12 NTA del PCT per cui non sono autorizzabili piani o progetti comportanti la trasformazione del sito, eccettuate le attività  inerenti lo studio, la valorizzazione e la protezione dei reperti archeologici e la normale utilizzazione agricola dei
terreni”. 
2.- L’adito Tribunale, pronunciando sul diniego opposto, dopo aver respinto, siccome inammissibili, le prime due censure avverso il Piano Comunale dei Tratturi, favorevolmente delibava le ulteriori censure avverso il diniego emesso all’esito di un procedimento amministrativo caratterizzato da un palese difetto di motivazione in ordine alla classificazione del vincolo, sostanzialmente ascrivibile alla mancata specificazione della qualificazione opposta quale esito confermativo del procedimento di autotutela avviato su istanza di parte o alla omessa considerazione dell’esito di detto procedimento.
3.- Afferma la deducente che, tuttavia, la citata sentenza non è stata ottemperata dall’amministrazione comunale di Corato, per cui, con atto di invito e diffida del 5.5.2016 ha chiesto che fosse data esecuzione alla sentenza in epigrafe, e cioè di “concludere il procedimento di revisione del Piano comunale dei tratturi mediante riclassificazione dei suoli di proprietà  ¦ quali tronchi armentizi di cui alla lett. c) art. 2 L.R. n. 29/2003”.
4.- In esito alla diffida, l’ente ha inviato la nota comunale, in epigrafe richiamata, con la quale ha sostenuto che “nell’avviare le procedure di revisione ed eventuale modifica, in ossequio alla citata sentenza, del Piano Comunale dei Tratturi approvato con DCC n. 70 del 28.11.2008 ai sensi della L.R. n. 29/2003, ha riscontrato l’impossibilità  normativa di provvedere, atteso che con la L.R. 4/13 
quest’ultima è stata abrogata. Nel mese di marzo 2015, inoltre, è entrato in vigore il Piano Paesaggistico Territoriale Regionale (PPTR) che disciplina il vincolo armentizio, ponendo il termine di un anno (ultimamente prorogato a due anni) per l’adeguamento degli strumenti urbanistici generali. Ne consegue che il Piano Comunale dei tratturi, in vigore fino alla scadenza naturale del 2018, non può essere modificato non essendoci più lo strumento normativo che lo consente. La verifica e quindi l’esclusione del suolo interessato dal vincolo armentizio potrà  essere trattato in sede di adeguamento dello strumento urbanistico generale al PPTR”.
4.- La nota in questione è stata gravata dalla ricorrente.
5.- Con il primo motivo di ricorso lamenta l’elusione del giudicato scaturente dalla citata sentenza n. 812/2015 non potendosi rinviare, ad un evento futuro ed incerto, quale la variante allo strumento urbanistico generale, l’esecuzione del giudicato; richiama sul punto le note statuizione dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 11/2016 che onerano l’amministrazione al ripristino della situazione di diritto con effetto retroattivo o, nel caso di impossibilità  sopravvenuta, al risarcimento dei danni. Rimarca l’intrinseca contraddittorietà  delle affermazioni comunali, facendo rilevare, in sintesi, che l’intervenuta abrogazione della l.r. n. 29/03 ad opera della successiva l.r. n. 4/2013 non ha inciso sulla validità  del piano comunale dei tratturi, strumento esecutivo a tutti gli effetti di legge, fino al loro recepimento nel quadro d’assetto regionale di competenza della Regione : l’abrogazione della normativa di riferimento, dunque, non travolge i PCT già  approvati ma comporta che non possono essere approvati nuovi PCT. Ad ogni modo, nel caso di specie, alla luce di quanto accertato nella sentenza della cui ottemperanza si discute, più che di variante generale al PCT, dovrebbe correttamente parlarsi di mera rettifica del PCT, con le ordinarie procedure di variante al PUE, essendo emerso che l’inclusione dei suoli di proprietà  della sig.ra Ferrara nei tronchi armentizi di tipo a), anzichè in quelli di tipo c) è stato frutto di un errore di fatto, non avendo il redattore del PCT considerato che tali suoli erano stati sdemanializzati e rientravano nei territori costruiti. Anche gli uffici della regione Puglia, interpellati in ordine al modus procedendi, si sarebbero espressi nei sensi rappresentati.
Ad ogni buon fine si invoca la previsione di cui al comma 5 dell’art. 112 c.p.a 
6.- Con il secondo motivo di ricorso, la deducente censura anche l’erroneo comportamento dell’amministrazione che, in una prospettiva di logica coerenza con le tesi sostenute, avrebbe, comunque, dovuto attivarsi per chiedere alla regione Puglia di procedere ai sensi dell’art. 104 PPTR, che ha recepito, nelle more dell’adozione del quadro d’assetto regionale, le individuazioni dei tratturi da parte dei PCT, per cui può addivenire alla rettifica della perimetrazione dei suoli in questione, coinvolgendo i comuni interessati.
Chiede, in conclusione, che l’adito Tribunale emetta provvedimenti di giustizia intesi ad assicurare alla ricorrente tutta l’utilità  scaturente dalla citata sentenza, formulando istanza ex art. 112, comma 5, c.p.a. con richiesta di condanna dell’amministrazione ex art. 114, comma 4) lett. e) c.p.a. oltre alla condanna alle spese ed alla nomina di un Commissario ad Acta per il casi di ulteriore persistente inadempimento.
7.- Il Comune di Corato e la Regione Puglia, benchè ritualmente evocati, non risultano costituiti in giudizio.
8.- Alla camera di consiglio del 15 febbraio 2017, il Collegio si è riservata la decisione.
9.- Il ricorso è fondato, nei sensi di cui in motivazione, e merita accoglimento.
9.1.- Preliminarmente, reputa questo Giudice che la questione debba essere definita con provvedimento giurisdizionale avente la forma di sentenza (ex art. 33, comma 1, lett. a) cod. proc. amm.) e, se possibile, di sentenza avente forma semplificata ex art. 114, comma 3 cod. proc. amm. (cfr. T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, 16 luglio 2014, n. 924; Cons. Stato, Sez. IV, 17 dicembre 2012, n. 6468 e T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 1° dicembre 2011, n. 2812).
L’azione in esame, che la giurisprudenza (ex multis Cons. Stato, Sez. IV, 17 dicembre 2012, n. 6468) configura -anche per quanto di seguito si dirà  – come domanda “autonoma” e distinta rispetto alla azione di ottemperanza “pura” ex art. 112, comma 2 cod. proc. amm., è evidentemente esperibile dinanzi al giudice amministrativo, in considerazione delle innumerevoli disposizioni, contenute nel codice del processo amministrativo (art. 112, commi 1 e 5 cod. proc. amm. ed art. 114, commi 6 e 7 cod. proc. amm.), che la disciplinano direttamente o indirettamente e che presuppongono la giurisdizione dello stesso giudice amministrativo.
9.2.- Ciò premesso, come già  ha avuto modo di affermare questo Tribunale, è pacifico in giurisprudenza che l’azione di ottemperanza di cui all’art. 112 c.p.a può essere proposta, anche senza previa diffida, per conseguire l’attuazione : a) delle sentenze del giudice amministrativo passate in giudicato; b) delle sentenze esecutive e degli altri provvedimenti esecutivi del giudice amministrativo; con ricorso da proporre al giudice che ha emesso il provvedimento della cui ottemperanza si tratta. Il giudice decide con sentenza in forma semplificata.
La giurisprudenza in materia ha sostanzialmente costruito il giudizio di esecuzione come un giudizio “polisemico”, precisando che (Ad. Plen. N. 2 del 2013), “la disciplina dell’ottemperanza, lungi dal ricondurre la medesima solo ad una mera azione di esecuzione delle sentenze o di altro provvedimento ad esse equiparabile, presenta profili affatto diversi, non solo quanto al “presupposto” (cioè in ordine al provvedimento per il quale si chieda che il giudice disponga ottemperanza), ma anche in ordine al contenuto stesso della domanda, la quale può essere rivolta ad ottenere:
a) “l’attuazione” delle sentenze o altri provvedimenti ad esse equiparati, del giudice amministrativo o di altro giudice diverso da questi, con esclusione delle sentenze della Corte dei Conti (Cons. Stato, sez. IV, 26 maggio 2003 n. 2823; Sez. VI, ord. 24 giugno 2003 n. 2634) e del giudice tributario, o, più in generale, di quei provvedimenti di giudici diversi dal giudice amministrativo “per i quali sia previsto il rimedio dell’ottemperanza” (art. 112, comma 2). E già  in questa ipotesi tradizionale, l’ampiezza della previsione normativa impedisce – come è noto – di ricondurre la natura dell’azione a quella di una mera azione di esecuzione; 
b) la condanna “al pagamento di somme a titolo di rivalutazione e interessi maturati dopo il passaggio in giudicato della sentenza” (art. 112, comma 3). In questa ipotesi, l’azione è evidentemente attratta dal giudizio di ottemperanza, poichè le somme ulteriori, al pagamento delle quali l’amministrazione è tenuta, hanno natura di obbligazioni accessorie di obbligazioni principali, in ordine alle quali si è già  pronunciata una precedente sentenza o provvedimento equiparato);
c) il “risarcimento dei danni connessi all’impossibilità  o comunque alla mancata esecuzione in forma specifica, totale o parziale, del giudicato. .” (art. 112, comma 3). In questo caso l’azione, che viene definita risarcitoria dallo stesso Codice, non è rivolta all’ “attuazione” di una precedente sentenza o provvedimento equiparato, ma trova in questi ultimi solo il presupposto. Si tratta, a tutta evidenza, di una azione nuova, esperibile proprio perchè è l’ottemperanza stessa che non è realizzata, e in ordine alla quale la competenza a giudicare è, per evidenti ragioni di economia processuale e quindi di effettività  della tutela giurisdizionale (a prescindere dal rispetto del doppio grado di giudizio), attribuita al giudice dell’ottemperanza;
d) la declaratoria della nullità  di eventuali atti emanati in violazione o elusione del giudicato (art. 114, comma 4), e ciò sia al fine di ottenere – eliminato il diaframma opposto dal provvedimento dichiarato nullo – l’attuazione della sentenza passata in giudicato, sia per ottenere il risarcimento dei danni connessi alla predetta violazione o elusione del giudicato (art. 112, comma 3, ult. parte); danni questi ultimi che possono derivare sia dalla ritardata attuazione del giudicato (per avere invece l’amministrazione emanato un provvedimento nullo), sia direttamente (e distintamente) da tale provvedimento, una volta verificatone l’effetto causativo di danno. 
Come è dato osservare, dunque, nell’ambito del giudizio di ottemperanza, il Codice disciplina azioni diverse (al di là  della mera – e tradizionale – distinzione inerente la riconducibilità  dell’ “attuazione” richiesta ad una “esecuzione” della sentenza (o provvedimento equiparato), ovvero a più ampi ambiti di conformazione della successiva azione amministrativa, in dipendenza del giudicato medesimo.
A tale quadro, va aggiunto il ricorso, ex art. 112, comma 5, proposto al fine di “ottenere chiarimenti in ordine alle modalità  dell’ottemperanza”: anche questo non presenta caratteristiche che consentano di ricondurlo, in senso sostanziale, al novero delle azioni di ottemperanza. Ciò emerge anzitutto dalla stessa terminologia usata dal legislatore, il quale – lungi dall’affermare che è l’ “azione di ottemperanza” ad essere utilizzabile in questi casi – afferma che è “il ricorso” introduttivo del giudizio di ottemperanza (cioè l’atto processuale) ad essere a tali fini utilizzabile, ma risulta anche chiaro dalla circostanza che, a differenza dell’azione di ottemperanza, che è naturalmente esperita dalla parte già  vittoriosa nel giudizio di cognizione o in altra procedura a questa equiparabile, in questo caso il ricorso appare proponibile dalla parte soccombente (e segnatamente dalla Pubblica Amministrazione soccombente nel precedente giudizio). 
In conclusione, l’esame della disciplina processuale dell’ottemperanza, di cui agli artt. 112 ss. cpa (ai quali occorre doverosamente aggiungere l’art. 31, co. 4), porta ad affermare la attuale polisemicità  del “giudizio” e dell’ “azione di ottemperanza”, dato che, sotto tale unica definizione, si raccolgono azioni diverse, talune meramente esecutive, talaltre di chiara natura cognitoria, il cui comune denominatore è rappresentato dall’esistenza, quale presupposto, di una sentenza passata in giudicato, e la cui comune giustificazione è rappresentata dal dare concretezza al diritto alla tutela giurisdizionale, tutelato dall’art. 24 Cost. Di conseguenza il giudice dell’ottemperanza, come identificato per il tramite dell’art. 113 cpa, deve essere attualmente considerato come il giudice naturale della conformazione dell’attività  amministrativa successiva al giudicato e delle obbligazioni che da quel giudicato discendono o che in esso trovano il proprio presupposto.”
Orbene, tutta la giurisprudenza in materia, anche a volersi soffermare sulle sole pronunce dell’Adunanza Plenaria (ex multis n. 11 del 2016; n. 4 del 2015; n. 2 del 2013; nn. 2, 18 e 24 del 2012; n. 13 del 2008; n. 2 del 1998; n. 4 del 1994; n. 1 del 1986;), individua il naturale presupposto del giudizio di ottemperanza, nell’esistenza di una sentenza del G.A., passata in giudicato o di una sentenza esecutiva (nonchè in tutte le altre ipotesi descritte dall’art. 112 c.p.a).
9.3.- Nella specie, la sentenza della cui ottemperanza si discute, perviene all’annullamento dell’impugnato diniego sulla scorta delle seguenti argomentazioni : “il suolo della ricorrente, che fu oggetto di liquidazione conciliativa con atto del 5.2.1955, potrebbe non essere compreso, come sostenuto dalla Regione nella categoria a) cui ope legis afferiscono i tronchi armentizi del demanio regionale, la cui consistenza (e destinazione in ordine alle possibilità  di fruizione turistico-culturale) è testimoniata dalle carte e dagli elenchi stratificatasi nel tempo, tanto da poter essere, se usurpati, reintegrati all’uso pubblico. Infatti la particella sarebbe estranea alla consistenza del tratturo (all. 2 dei documenti depositati il 13.2.2015 – documentazione relativa la demanio pubblico del territorio di Corato), perchè da quel censimento fu estromessa. Allora se l’averla inclusa nella carta della proprietà  demaniale costituisce un errore, la rettifica sollecitata dalla Regione potrebbe, in astratto, determinare l’esclusione dell’area della ricorrente dalla categoria dei tronchi armentizi di tipo a) e lo stesso vincolo di inedificabilità  assoluta che a ciò consegue e dunque l’attrazione ad una delle altre due categorie per le quali la legge consente certamente limitazioni e tutele alla luce della interpretazione evolutiva – affermatasi in giurisprudenza (Cass. SS.UU. n. 3813/2011) – della funzione della proprietà  pubblica o privata ove abbia il tratto del bene/ valore comune, ma non il vincolo di in edificabilità  assoluta. Sussiste allora il difetto di motivazione della classificazione vincolistica del suolo, in seno al procedimento di rilascio del permesso per costruire, che nega il permesso per costruire in ragione del fatto che l’area è classificata come parte di un tronco armentizio di tipo a), senza specificare se tale qualificazione sia dovuta all’esito (confermativo del PCT) del procedimento di autotutela, avviato su istanza di Carmela Ferrara perchè ne difettava il presupposto, ossia la demanialità  dell’area – tanto da doversi rettificare il PCT, secondo la Regione, riconducendo la particella 945 al novero delle “aree vendute” – o alla omessa considerazione dell’esito di detto procedimento, se conclusosi con la prescritta rettifica.”.
9.4.- Alle spiegate conclusioni, ormai caratterizzate dall’intangibilità  del giudicato, l’intimata amministrazione oppone l’impossibilità  “normativa” di provvedere, per le ragioni esplicitate nella nota di cui al punto 4) della presente pronuncia.
In sostanza oppone al giudicato specifiche sopravvenienze normative ostative che il Collegio non condivide per le considerazioni che seguono.
9.5.- Come già  chiarito dall’Adunanza Plenaria n. 11/2016, in subiecta materia devono essere richiamati i principi elaborati dalle plurime Adunanze Plenaria che hanno affrontato il delicato tema degli effetti del tempo e delle sopravvenienze (giuridiche e fattuali) sulle situazioni giuridiche dedotte in giudizio in relazione alla portata precettiva dei giudicati (cfr. Ad. plen., 9 febbraio 2016, n. 2; 13 aprile 2015, n. 4; 15 gennaio 2013, n. 2; 3 dicembre 2008, n. 13; 11 maggio 1998, n. 2; 21 febbraio 1994, n. 4; 8 gennaio 1986, n. 1), in forza dei quali:
a) l’esecuzione del giudicato amministrativo (sebbene quest’ultimo abbia un contenuto poliforme), non può essere il luogo per tornare a mettere ripetutamente in discussione la situazione oggetto del ricorso introduttivo di primo grado, su cui il giudicato ha, per definizione, conclusivamente deciso; se così fosse, il processo, considerato nella sua sostanziale globalità , rischierebbe di non avere mai termine, e questa conclusione sarebbe in radicale contrasto con il diritto alla ragionevole durata del giudizio, all’effettività  della tutela giurisdizionale, alla stabilità  e certezza dei rapporti giuridici (valori tutelati a livello costituzionale e dalle fonti sovranazionali alle quali il nostro Paese è vincolato); da qui l’obbligo di esecuzione secondo buona fede e senza che sia frustrata la legittima aspettativa del privato alla stabile definizione del contesto procedimentale;
b) l’Amministrazione soccombente a seguito di sentenza irrevocabile di annullamento di propri provvedimenti ha l’obbligo di ripristinare la situazione controversa, a favore del privato e con effetto retroattivo, per evitare che la durata del processo vada a scapito della parte vittoriosa;
c) questa retroattività  dell’esecuzione del giudicato non può essere intesa in senso assoluto, ma va ragionevolmente parametrata alle circostanze del caso concreto ed alla natura dell’interesse legittimo coinvolto (pretensivo, oppositivo, procedimentale);
d) tale obbligo, pertanto, non incide sui tratti liberi dell’azione amministrativa lasciati impregiudicati dallo stesso giudicato e, in primo luogo, sui poteri non esercitati e fondati su presupposti fattuali e normativi diversi e successivi rispetto a quest’ultimo; 
e) nella contrapposizione fra naturale dinamicità  dell’azione amministrativa nel tempo ed effettività  della tutela, un punto di equilibrio è stato tradizionalmente rinvenuto nel principio generale per cui l’esecuzione del giudicato può trovare limiti solo nelle sopravvenienze di fatto e diritto antecedenti alla notificazione della sentenza divenuta irrevocabile; sicchè la sopravvenienza è strutturalmente irrilevante sulle situazioni giuridiche istantanee, mentre incide su quelle durevoli nel solo tratto dell’interesse che si svolge successivamente al giudicato, determinando non un conflitto ma una successione cronologica di regole che disciplinano la situazione giuridica medesima;
f) anche per le situazioni istantanee, però, la retroattività  dell’esecuzione del giudicato trova, peraltro, un limite intrinseco e ineliminabile (che è logico e pratico, ancor prima che giuridico), nel sopravvenuto mutamento della realtà  – fattuale o giuridica – tale da non consentire l’integrale ripristino dello status quo ante (come esplicitato dai risalenti brocardi factum infectum fierinequit e ad impossibilia nemo tenetur ) che semmai, ove ne ricorrano le condizioni, può integrare il presupposto esplicito della previsione del risarcimento del danno, per impossibile esecuzione del giudicato, sancita dall’art. 112, co. 3, c.p.a.
9.6.- Trasponendo le menzionate acquisizioni giurisprudenziali al caso in esame, deve convenirsi che il diniego opposto sostanzia una vera e propria elusione di giudicato, non ravvisandosi nella normativa regionale sopravvenuta un concreto ostacolo al prosieguo dell’attività  conformativa del giudicato, tale da non consentire l’attività  conformativa richiesta.
Indubbiamente la disciplina delle “abrogazioni” contenuta nell’art. 27 l.r. n. 4/2013 (“Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di demanio armentizio e beni della soppressa Opera Nazionale Combattenti”) pone nell’elenco dei testi caducati dalle disposizioni del citato Testo Unico, anche la precedente legge regionale n. 29/2003.
Tuttavia, siffatta previsione non travolge tout court i piani comunali esistenti alla data di entrata in vigore del testo unico in esame, che vengono espressamente salvaguardati e recepiti – anche ai fini di eventuali aggiornamenti, dal Quadro d’assetto regionale di cui all’art. 6 della l. r.n. 4/2003 – unitamente ai piani comunali redatti e approvati con le modalità  di cui alla precedente normativa e pervenuti entro un anno dalla data di entrata in vigore del Testo Unico, in considerazione della valenza di piano urbanistico esecutivo che la normativa assegna al PCT.
Siffatta previsione, comunque, non può ritenersi ostativa al dispiegarsi del giudicato scaturente dalla citata sentenza della cui ottemperanza si discute, atteso che quest’ultima :
– ha rimarcato che il suolo della ricorrente – siccome oggetto della procedura di liquidazione conciliativa con atto del 5.2.1955 – potrebbe non essere compreso nella categoria a) cui ope legis afferiscono i tronchi armentizi del demanio regionale;
– ha rappresentato che la relativa particella sarebbe estranea alla consistenza del tratturo, giusta documentazione relativa al demanio pubblico del territorio di Corato, perchè da quel censimento fu estromessa;
-ha chiarito che se l’averla inclusa nella carta della proprietà  demaniale costituisce un errore, la rettifica sollecitata dalla Regione potrebbe determinare l’esclusione dell’area della ricorrente dalla categoria dei tronchi armentizi di tipo a). 
Da qui l’erroneità  delle argomentazioni contenute nella nota comunale, che oppone circostanze non condivisibili atteso che “la regola del caso concreto”, posta dal giudicato, onera l’amministrazione ad una rivisitazione, ora per allora, delle previsioni del PCT, la cui attività  non può ritenersi paralizzata, per quanto già  detto, nè dalla sopravvenuta abrogazione della l.r. n. 29/03 e neppure dalle previsioni del PPTR.
9.7.- Quanto, infine, al percorso ipotizzato dall’amministrazione comunale con riferimento al PPTR e cioè che ” l’esclusione del suolo interessato dal vincolo armentizio potrà  essere trattato in sede di adeguamento dello strumento urbanistico generale al PPTR”, occorre ribadire che detta soluzione, ad avviso del Collegio, deve stimarsi inappropriata allo stato degli atti. 
Gioverà  ricordare che la giurisprudenza amministrativa si è già  espressa sulla portata del piano paesistico chiarendo che esso “non può che prendere atto di tutti i vincoli preesistenti o successivamente imposti, recependo le relative norme d’uso, di conservazione e ripristino, avendo la funzione di delineare gli ambiti in cui suddividere tutto il territorio regionale e di definire prescrizioni e previsioni dirette alla conservazione degli elementi costitutivi e delle morfologie dei beni paesaggistici”(T.A.R. Lazio, sez. Seconda Quater, sent. 1041 del 04.02.2011).
Gioverà , altresì, menzionare la procedura prevista dall’art. 104 PPTR che, al comma 1, prevede che i Comuni o i soggetti comunque interessati possano proporre rettifiche degli elaborati del PPTR laddove emergano errate localizzazioni o perimetrazioni dei beni paesaggistici e degli ulteriori contesti.
9.8.- Il Comune di Corato, pertanto, dovrà  riprendere il procedimento dal segmento di azione amministrativa ritenuto vulnerato dalla pronuncia in esame e procedere ad una rivalutazione di tutti gli elementi e segnatamente della nota – richiamata in sentenza – dell’Ufficio demanio armentizio, competente in materia di istruttoria dei piani comunali dei tratturi ex art. 5 l.r. 29/03, intesa a sollecitare la rettifica del piano mediante l’inclusione della particella 294 (che ha dato origine alla particella 945 di proprietà  della ricorrente oggetto dell’istanza di permesso per costruire) fra le aree tratturali “vendute” ossia sdemanializzate.
Alla rettifica del PCT potrà  procedere anche mediante una Conferenza dei Servizi con la Regione Puglia, da avviare entro sessanta giorni dalla comunicazione, o notifica se antecedente, della presente, e concludere nei successivi novanta giorni.
9.9.- In caso di ulteriore persistente inerzia, si procederà , alla nomina di un commissario ad acta con spese a carico dell’amministrazione inadempiente.
10.- Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie ai sensi di cui in motivazione.
Condanna il Comune di Corato al pagamento in favore della ricorrente delle spese di lite che liquida in euro 1.000,00 (mille/00) oltre accessori come per legge; c.u. refuso.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità  amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 15 febbraio 2017 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Francesco Gaudieri, Presidente, Estensore
Francesco Cocomile, Primo Referendario
Viviana Lenzi, Referendario
 
 
 
 

 
 
IL PRESIDENTE, ESTENSORE
Francesco Gaudieri
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO

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