1. Edilizia e urbanistica – Attività edilizia privata – Concessione in sanatoria ex l. n. 47/1985 – Istanza – Accoglimento – Presupposti – Ultimazione del fabbricato – Nozione
2. Edilizia e urbanistica – Attività edilizia privata – Concessione in sanatoria ex l. n. 47/1985 – Istanza – Oggetto – Intero fabbricato – Conseguenze
3. Edilizia e urbanistica – Attività edilizia privata – Concessione in sanatoria ex l. n. 47/1985 – Istanza – Rilascio – Silenzio assenso – Formazione – Condizioni
1. Ai sensi dell’art. 31 della l. 28 febbraio 1985, n. 47, possono ottenere la concessione in sanatoria le costruzioni abusive che, alla data del 1° ottobre 1983, risultino ultimate, intendendosi per tali gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura. Pertanto, è legittimo il diniego di condono opposto allorchè, a quella data, non siano state realizzate le tamponature esterne e la copertura dell’edificio, in quanto esse si rivelano essenziali per verificare la volumetria e la sagoma del fabbricato.
2. L’istanza di condono presentata ai sensi della l. 28 febbraio 1985, n. 47, con riferimento ad un fabbricato nella sua interezza non può valere a sanare soltanto singole porzioni dell’immobile (il TAR, constatato che, nella specie, difettavano i presupposti per considerare ultimato l’edificio alla data stabilita per legge, ha comunque escluso che l’istanza potesse valere per quei soli piani dotati di muri perimetrali).
3. Il silenzio assenso, previsto dall’art. 35 della l. 28 febbraio 1985, n. 47, a seguito della presentazione di domande di concessione od autorizzazione in sanatoria, non può ritenersi formato qualora il soggetto istante non abbia provveduto ad allegare alla domanda tutti i documenti richiesti dalla norma.
Pubblicato il 27/02/2017
N. 00191/2017 REG.PROV.COLL.
N. 00589/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 589 del 2016, proposto da Cornacchioli Rosa, rappresentata e difesa dall’avvocato Giacomo Valla, con domicilio eletto presso il suo studio in Bari, via Quintino Sella, 36;
contro
Comune di Modugno, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Cristina Carlucci, domiciliato presso la Segreteria del T.A.R. Puglia in Bari, piazza Massari, 6;
per l’annullamento,
previa sospensione dell’efficacia,
– del provvedimento del Responsabile del Servizio 4 – Assetto del Territorio prot. n. 9892 del 25.2.2016, di diniego di condono (prot. n. 3375 del 30.6.1986) e contestuale demolizione e ripristino dello stato dei luoghi;
– di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguenziale, compresa la nota del responsabile del Servizio 4 – Assetto del Territorio prot. n. 51156 del 21.10.2015, di comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della domanda di condono;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Modugno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore il dott. Francesco Cocomile e uditi nell’udienza pubblica del giorno 31 gennaio 2017 per le parti i difensori come da verbale di udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. Il Sindaco del Comune di Modugno in data 31.8.1968 rilasciava alla sig.ra Fiore Maria una licenza edilizia per la costruzione di due fabbricati per civili abitazioni lungo la strada comunale Gammarola (Fg. di mappa 5, Ptc. 4 e 136), previo parere favorevole della C.E.C. del 28.8.1968.
Il progetto prevedeva la costruzione dei due fabbricati.
La proprietaria sig.ra Fiore Maria in data 25.8.1969 effettuava la denuncia di inizio lavori.
La Commissione Edilizia in data 11.11.1970 approvava il progetto di variante planovolumetrica dettata dall’esigenza di spostare il fabbricato n. 2, sì da evitare un restringimento della nuova strada (via Pordenone).
In data 17.11.1970 la sig.ra Maria Fiore vendeva i due fabbricati in corso di costruzione al sig. Nicola Noviello e all’atto di vendita venivano allegati copia della licenza edilizia e del progetto di variante approvato dalla C.E.C.
Il Comune in data 23.10.1972 adottava un’ordinanza di sospensione dei lavori sulla base di un rapporto dell’Ufficio Tecnico Comunale secondo il quale:
– i locali a piano terra del fabbricato n. 2, destinati a negozi nel progetto autorizzato, di fatto erano stati destinati ad aule scolastiche;
– nel cortile interno del fabbricato n. 2 erano stati realizzati due locali da destinare rispettivamente a centrale termica e parcheggio coperto;
– sul lastrico solare era stato realizzato un locale in adiacenza del torrino del vano scala.
Il Sindaco confermava in data 23.11.1972 l’ordinanza di sospensione dei lavori.
L’Ufficio Igiene e Sanità di Modugno rilasciava in data 1.4.1973 il certificato di agibilità del piano terra e del I piano del fabbricato n. 2, per aule scolastiche.
Veniva presentato in data 3.4.1973 un progetto di variante per i due fabbricati oggetto di licenza edilizia a firma dell’ing. M. Palumbo (prog. 332 del 3.4.1973).
La Commissione Edilizia in data 23.11.1973 esprimeva parere favorevole al progetto di variante.
In data 24.12.1973 veniva consentita dal Sindaco in carica la volturazione della licenza edilizia per entrambi i due fabbricati da Fiore Maria a Noviello Nicola.
Il Commissario Straordinario in data 23.10.1975, vista la nota n. 10561 del 21.5.1975 con la quale l’Ufficio Tecnico Erariale di Bari aveva determinato in £. 12.000.000, in conformità dell’art. 13 legge n. 765/1967, il valore delle opere eseguite in assenza di licenza, emetteva a carico del Sig. Noviello Nicola la relativa sanzione amministrativa di pari importo per i volumi realizzati in eccedenza rispetto alla volumetria autorizzata.
Veniva inoltrata in data 22.11.1975 opposizione alla sanzione di cui sopra.
In data 18.11.1977 veniva emessa nuova ordinanza di sospensione dei lavori.
Alla successiva ordinanza di demolizione del 20.10.1978 seguiva il sequestro giudiziario.
In data 14.6.1982 con nota prot. n. 12575, il sig. Noviello comunicava la ripresa lavori di costruzione del fabbricato n. 1 a seguito di sentenza di assoluzione del Tribunale di Bari e conseguente dissequestro del fabbricato.
Il Sindaco in data 30.6.1982 intimava “a non riprendere i lavori di completamento del fabbricato di cui all’oggetto in attesa dell’esame da parte della Commissione Edilizia Comunale sulla definizione dell’intera complessa vicenda”.
In data 30.6.1986 veniva infine inoltrata da parte della sig.ra Cornacchioli Rosa (coniuge di Noviello Nicola e legale rappresentante dell’impresa S.I.C.E. a cui erano stati conferiti gli immobili) istanza per la concessione edilizia in sanatoria, ai sensi della legge n. 47/1985 (pratica n. 1653 del 30.6.1986).
Gli abusi per i quali la Cornacchioli chiedeva la concessione in sanatoria venivano così descritti nella istanza:
“¦ aver: – realizzato il piano interrato destinato a parcheggio ad uso degli appartamenti in quanto le zone già destinate a parcheggio scoperto di pertinenza del fabbricato ed esterne allo stesso, sono state assorbite dalle sedi stradali;
– ampliato il piano terra da destinare a superfici commerciali, in difformità da quanto previsto nel progetto assentito;
– ridotto la superficie utile dei piani superiori destinati ad appartamenti per civile abitazione di circa 73,00 mq / piano rispetto a quanto assentito.”.
Con nota prot. 2201 del 14.1.1999 l’avv. Giuseppe Cavallo “in nome e per conto del Sig. Noviello Nicola,” comunicava che “lo stesso in adempimento all’ordinanza di eliminazione dell’impalcato pericolante del 6° piano, …. sta provvedendo a dare esecuzione alla detta ordinanza….”; nella stessa nota veniva richiesto “un incontro con i tecnici responsabili per l’esame della situazione di detto fabbricato con la possibilità di riprendere i lavori di completamento dello stesso, non ostando motivi di ordine tecnico e giuridico”.
Con nota prot. 0020662 del 26.4.2000 il sig. Noviello proponeva un “Programma Integrato d’Intervento”, offrendosi di provvedere a proprie cura e spese, previa espropriazione da parte dell’Amministrazione dei relativi suoli:
– a sistemare a verde attrezzato (aiuole, panchine, campi di bocce, ecc.) tutte le aree in stato di abbandono lungo le strade comunali Giorgio La Pira, Pordenone e Via Sicilia;
– a sistemare le stesse sedi stradali ed in particolare via La Pira a doppia carreggiata e isola spartitraffico, a protezione del traliccio ENEL, secondo quanto indicato nella planimetria allegata.
Il tutto a condizione che fosse stata autorizzata la ripresa dei lavori di completamento dell’edificio, previa verifica strutturale ed eventuale consolidamento statico.
Con nota prot. 0011910 del 6.3.2001 il Noviello sollecitava determinazioni da parte dell’Amministrazione sulla proposta.
In data 13.6.2006 con nota prot. 0029174, lo stesso chiedeva un incontro per determinazioni e notizie sulla pratica di sanatoria n. 1653/86.
Il Noviello con nota prot. 37248 del 26.7.2006 precisava che l’istanza di sanatoria del 1986 si riferiva all’intero “fabbricato”, ovvero ai piani interrato, terra e tutti i piani superiori.
In data 22.1.2007 con atto notificato il 14.3.2007 il Comune richiedeva adempimenti per la definizione della istanza di condono edilizio n. 1653/86.
Con nota prot. 0019215 del 13.4.2007 la ricorrente manifestava interesse per il P.I.R.P.
In data 23.4.2007 si svolgeva un incontro presso il Municipio, in cui la ricorrente offriva la disponibilità a sistemare Via La Pira come da progetto in atti del Comune.
Veniva sottoscritto in data 9.4.2007 il Protocollo di intesa per la realizzazione del P.I.R.P.
In data 30.5.2007 veniva prodotta l’integrazione documentale richiesta alla istanza di condono edilizio n. 1653/86.
Con dichiarazione sostitutiva del 30 maggio 2007 la Cornacchioli dichiarava che l’ultimazione delle opere era avvenuta nel dicembre del 1978.
In data 23.4.2014, in atti al n. 19513 del 24.4.2014, la ricorrente inoltrava all’Amministrazione un sollecito di definizione pratica di condono.
Con nota prot. 0023590 del 21.5.2014 il responsabile del Servizio IV riscontrava la suddetta nota di sollecito, rilevando che in data 22.1.2007 è “stata effettuata da questo Servizio formale denuncia alla locale stazione dei Carabinieri … sullo smarrimento della domanda n. 1653 del 30.06.1986, e che pertanto è in atto una ricomposizione dell’intera vicenda per l’espressione definitiva di questo Servizio”.
Con nota prot. 0051156 del 21.10.2015 veniva inoltrata la comunicazione dei motivi ostativi al rilascio del condono.
Con la gravata nota prot. 9892 del 25.2.2016 veniva infine emesso il diniego dell’istanza di condono.
L’odierna ricorrente Cornacchioli Rosa censurava in questa sede la nota prot. 0051156 del 21.10.2015 e la nota prot. 9892 del 25.2.2016 recante il diniego dell’istanza di condono, deducendo censure così sinteticamente riassumibili:
1) violazione e falsa applicazione degli artt. 35 e 40 legge n. 47/1985; eccesso di potere (erroneità e falsità dei presupposti; sviamento); violazione e falsa applicazione dell’art. 31, commi 10 e 11 legge n. 1150/1942 come sostituito dall’art. 10 legge n. 765/1967: diversamente da quanto evidenziato nel gravato provvedimento di diniego di condono, la ricorrente non avrebbe mai chiesto la sanatoria per “complessivi 8 piani fuori terra e 1 piano interrato”, riguardando l’istanza di condono esclusivamente la realizzazione, in difformità dal progetto autorizzato con la licenza edilizia, di a) parcheggi pertinenziali a piano interrato, b) ampliamento del piano terra da destinare a locali commerciali, c) riduzione della superficie dei cinque piani superiori già realizzati, sebbene senza muri di tompagno di perimetrazione; non sarebbe rispondente al vero la circostanza secondo cui la ricorrente avrebbe chiesto con l’istanza di condono la sanatoria di otto piani superiori, avendo la stessa chiaramente limitato la domanda al quinto piano superiore; pertanto, la richiesta di condono non potrebbe essere considerata dolosamente infedele; la istante avrebbe esplicitamente indicato nella domanda di condono che i piani sesto e settimo dovevano ancora essere realizzati; la domanda di condono, con riferimento ai cinque piani superiori non chiusi perimetralmente dai muri di tompagno, riguarderebbe la riduzione delle superfici rispetto a quanto autorizzato con la licenza edilizia del 1968 e quindi la difformità rispetto a quanto regolarmente autorizzato; pertanto, il condono riguarderebbe non già i cinque piani (non ancora tompagnati), ma la difformità rispetto alla licenza edilizia; sarebbero tali difformità l’oggetto del condono de quo, non già i volumi che sono stati realizzati in forza di licenza edilizia; conseguentemente, il condono avrebbe ad oggetto non già un abuso totale, bensì unicamente una difformità rispetto alla licenza edilizia; la circostanza della mancata tompagnatura dei cinque piani superiori implicherebbe per il completamento delle opere già previste dalla licenza edilizia la necessità di una diversa autorizzazione, ma non precluderebbe affatto il condono delle opere in difformità dalla licenza (nella specie difformità in riduzione); l’affermazione – contenuta nel provvedimento impugnato – secondo cui la tipologia di abuso risulta essere più volte ritrattata nel corso degli anni non permettendo di fatto una concreta risoluzione dell’istruttoria in corso, non sarebbe rispondente al vero; il Comune avrebbe dovuto definire la domanda di condono così come presentata nel 1986; sarebbe infondata anche l’affermazione del Comune di Modugno secondo cui l’immobile sarebbe integralmente abusivo perchè realizzato dopo la decadenza della licenza edilizia del 1968; infatti, nel regime vigente all’epoca della realizzazione delle opere (art. 31, commi 10 e 11 legge n. 1150/1942) il mancato completamento delle stesse nel triennio determinava la decadenza della licenza solo nel caso sopraggiungessero nuove previsioni urbanistiche e con esse la licenza stessa fosse in contrasto; nel caso di specie non risponderebbe al vero la circostanza secondo cui la licenza edilizia all’epoca della realizzazione delle opere fosse inefficace (circostanza riportata nella comunicazione di motivi ostativi); la voltura della licenza da Fiore Maria a Noviello Nicola avrebbe comportato il sostanziale implicito rinnovo del titolo da parte del Sindaco; in ogni caso in data 3.4.1973 veniva presentato un progetto di variante per i due fabbricati oggetto di licenza su cui la Commissione edilizia esprimeva parere favorevole da equiparare – secondo la prospettazione di parte ricorrente – ad un vero e proprio provvedimento edilizio concessorio; sarebbe altresì illegittimo il provvedimento impugnato nella parte in cui, nell’escludere la sanabilità dell’immobile nella sua interezza, afferma che “eventualmente potrebbe risultare sanabile solo la parte di edificio effettivamente definita dalle murature di tamponamento (piano interrato e piano terra)”, per poi contraddittoriamente ed immotivatamente negare il condono con riferimento all’intero immobile; inoltre, diversamente da quanto sostenuto dalla Amministrazione nel censurato diniego, la ricorrente avrebbe versato l’oblazione richiesta; parimenti non risponderebbe al vero la circostanza, posta a fondamento dei motivi del diniego, secondo cui “il modello compilato all’atto di presentazione della domanda di condono non risulta conforme alla tipologia di abuso effettivamente compiuta”, avendo all’opposto la stessa ricorrente correttamente utilizzato il modello riferito al condono per le difformità dal titolo edilizio; in ogni caso la presentazione della domanda di condono su un modello inappropriato non potrebbe costituire valido motivo di diniego; infine, la eccessiva durata del procedimento per la definizione della pratica di condono (e quindi la attuale situazione statica del fabbricato) non dovrebbe condizionare la sanatoria, presupponendo il condono la verifica dei presupposti di legge al momento della relativa domanda; contrariamente a quanto attestato nel gravato provvedimento, il fabbricato in questione non presenterebbe problemi di statica, sebbene potrebbe richiedere, dopo ulteriori verifiche, opere di risanamento e consolidamento; tuttavia ciò non potrebbe condizionare il rilascio del titolo in sanatoria; in ogni caso ai sensi dell’art. 35 legge n. 47/1985 dovrebbe ritenersi perfezionato il silenzio assenso sulla domanda di condono edilizio, ricorrendo i presupposti di legge (tempestività dell’istanza completa della documentazione richiesta; non infedeltà dolosa della medesima; assenza di vincoli di inedificabilità ; versamento delle somme dovute a titolo di oblazione nella misura autoliquidata o eventualmente richieste a conguaglio);
2) eccesso di potere (irrazionalità manifesta; contraddittorietà ; erroneità e falsità dei presupposti; difetto di istruttoria; sviamento): la necessità della messa in sicurezza dell’immobile evidenziata nel gravato provvedimento di diniego sarebbe indimostrata, avendo il Comune omesso sul punto ogni attività istruttoria; in tal modo il Comune pretenderebbe di addossare al privato il costo di opere di rilevante impegno economico, pur non risultando l’esistenza di pericoli per la pubblica incolumità ; in ogni caso le opere di messa in sicurezza sarebbero state solo genericamente indicate, non risultando quali sarebbero le presunte cause di pericolo che potrebbero danneggiare e/o limitare la sicurezza e la corretta fruibilità delle strade e delle aree pubbliche e aperte al pubblico, confinanti con i propri fondi; sul punto il provvedimento sarebbe viziato da difetto di motivazione, dovendo all’opposto l’Amministrazione specificare quali presunte cause del pericolo dovrebbero essere rimosse; peraltro, l’area del cantiere sarebbe già recintata e l’immobile sorgerebbe su area sterrata non aperta al pubblico transito, nè pedonale, nè carrabile; in conclusione, l’Amministrazione avrebbe agito in modo irrazionale nell’annunciare l’esecuzione in danno delle opere di messa in sicurezza e, nel contempo, ordinare la demolizione dell’immobile, trattandosi di due disposizioni in aperta contraddizione tra loro.
Si costituiva il Comune di Modugno, resistendo al gravame.
Nel corso dell’udienza pubblica del giorno 31 gennaio 2017 la causa passava in decisione.
2. Ciò premesso in punto di fatto, ritiene questo Collegio che il ricorso debba essere respinto in quanto infondato.
2.1. Quanto al primo motivo di gravame, va evidenziato quanto segue.
Come correttamente evidenziato dalla Amministrazione comunale nel gravato provvedimento, non sussistono nel caso di specie i presupposti normativi per l’accoglimento dell’istanza di condono.
Ed infatti, ai sensi dell’art. 31 della L. n. 47/1985, possono conseguire la concessione in sanatoria solo le opere abusive ultimate alla data del 1° ottobre 1983.
Recita il secondo comma della disposizione in commento che “Ai fini della disposizione del comma precedente si intendono ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura ¦”.
Tale dispositivo prescrive, dunque, che l’opera abusiva, per essere ammessa a sanatoria, debba essere già eseguita, sia pure al rustico, in tutte le sue strutture essenziali, fra le quali vanno ricomprese le tamponature, in quanto determinanti per stabilire la relativa volumetria e la sagoma esterna.
Ed anche la giurisprudenza sul punto ha avuto modo di precisare che la nozione di ultimazione delle opere, cui occorre far riferimento ai fini dell’applicabilità della disciplina sul condono edilizio, coincide con l’esecuzione del rustico (da intendersi come muratura priva di rifinitura) e da non confondere con lo scheletro, non potendo considerare mere rifiniture le pareti esterne (cfr. ex multis Consiglio di Stato, Sez. V, 19/10/2011, n. 5625; Consiglio di Stato, Sez. IV, 12/03/2009, n. 1474) e comprende anche il necessario completamento della copertura (vedi anche Cass. pen., Sez. III, 02/12/2008, n. 8064; 15/02/2005, n. 10896; Consiglio di Stato, Sez. IV, 7/09/2006, n. 5212; Sez. V, 18/11/2004, n. 7547; 20/10/2000, n. 5638).
In particolare Consiglio di Stato, Sez. V, 20/10/2000, n. 5638 ha evidenziato che “Ai fini del condono edilizio, l’art. 31 comma 2 l. 28 febbraio 1985 n. 47, secondo cui devono intendersi completati quegli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura, dev’essere inteso nel senso che l’esecuzione del rustico implica la tamponatura dell’edificio stesso, con conseguente non sanabilità di quelle opere ove manchino, in tutto o in parte, i muri di tamponamento.”.
Secondo Consiglio di Stato, Sez. V, 18/11/2004, n. 7547 “Ai fini del condono (art. 31, comma 2, l. 28 febbraio 1985 n. 47 e art. 39 l. 23 dicembre 1994 n. 724) la realizzazione dell’opera abusiva, alla data del 31 dicembre 1993, è identificabile se l’immobile è già eseguito, sia pure al rustico in tutte le sue strutture essenziali, fra le quali devono essere comprese le tamponature che sono necessarie per stabilire la relativa volumetria e la sagoma esterna.”.
Nel caso di specie, come emerge proprio dalla lettura del verbale di sopralluogo effettuato in data 17.4.2014, veniva rilevato: “[¦] il predetto fabbricato a rustico, composto da piano interrato, piano terra e n. 5 piani fuori terra, privo di muratura di tamponamento che di tramezzature interne, censite al Fg. 5, p.lla 802 [¦]” (cfr. punto 14 della comunicazione dei motivi ostativi del 21.10.2015).
Peraltro, dal materiale fotografico versato in atti si desume chiaramente come i piani del suddetto immobile siano privi di muri perimetrali. Più precisamente, alla luce della documentazione fotografica prodotta dell’ente nel fascicolo di parte, emerge come ad oggi, sussista esclusivamente uno scheletro, allo stato rustico, senza muri di tamponamento, con gli ultimi due piani neanche esistenti.
Tale situazione di fatto (in particolare la mancanza della copertura del rustico) trova conferma anche nella relazione descrittiva delle opere di cui si chiede la sanatoria, a firma della odierna ricorrente e datata 30.5.1986, nella quale si afferma che “l’immobile oggetto della presente, ubicato in territorio di Modugno alla Contrada Carrara – in catasto terreni fg. 5 – ptc. 4 e 136 – è un fabbricato per civile abitazione articolato su piani interrato, adibito a parcheggio al servizio dell’abitazione del fabbricato, piano terra, adibito a locali commerciali e n. cinque piani superiori già realizzati allo stato rustico, un sesto piano armato e predisposto per il getto ed un settimo piano a realizzarsi, tutti adibiti ad appartamenti per civile abitazione per complessivi 56 appartamenti. [¦] L’immobile, allo stato, è realizzato solo nella sua parte strutturale per i piani interrato, terra ed i primi sei piani superiori, di cui il sesto non gettato ed il settimo a realizzarsi. E’ intendimento della proprietà completare interamente l’opera di cui trattasi secondo gli elaborati grafici da prodursi nei termini di legge, nel rispetto comunque dei volumi assentiti con progetto approvato dalla C.E.C. in data 28/08/1968 e con successive varianti.”.
Va, altresì, evidenziato che l’istanza di condono del 30.6.1986 viene presentata per un edificio composto da 8 piani fuori terra e da 1 piano entroterra, con 56 appartamenti. Nella stessa istanza viene dichiarato che l’anno di ultimazione dei lavori è il 1972.
Tuttavia, dalle fotografie in atti e dal verbale di sopralluogo del 17.4.2014 emerge in modo inconfutabile come alla data del 1° ottobre 1983 il fabbricato in questione era privo della copertura e tompagnature; lo stesso, dunque, non poteva essere considerato quale opera ultimata ai sensi dell’art. 31 legge n. 47/1985, così che non rientrava tra le opere cui potesse legittimamente applicarsi il condono edilizio (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 20/10/2000, n. 5638; Consiglio di Stato, Sez. V, 18/11/2004, n. 7547).
Ed infatti, la mancanza di tamponature nel caso in esame riveste una particolare rilevanza, implicando, all’evidenza, la non ancora eseguita realizzazione delle opere per le quali la concessione edilizia in sanatoria era stata richiesta.
D’altra parte, anche nel caso in cui si volesse considerare condonabile una parte del manufatto (quella completa della muratura di tamponamento), l’istanza non sarebbe comunque accoglibile, poichè essa è riferita all’intero immobile (cfr. istanza della ricorrente del 30.6.1986 ed istanza del Noviello prot. 37248 del 26.7.2006) e, inoltre, la parte non realizzata (non condonabile), costituisce la parte prevalente rispetto all’intero.
In particolare, la domanda di condono, riguardando il fabbricato nella sua interezza, non è scindibile in parti singole relative a ciascun piano, sicchè l’impossibilità di accoglierla rispetto alla sua parte prevalente si estende all’intero.
Inoltre, la riduzione delle superfici utili di cui alla domanda di sanatoria non può essere apprezzata in assenza dei muri di tompagno ed, in mancanza degli stessi, non può ritenersi ultimata alla data del 1° ottobre 1983 (data rilevante ai fini della operatività del condono ai sensi dell’art. 31 legge n. 47/1985) l’opera di riduzione oggetto di istanza di condono.
Pertanto, la dichiarazione di parte di ultimazione dei lavori nel 1972 non è corretta (peraltro in atti è presente una successiva dichiarazione della Cornacchioli del 30.5.2007 dove – in modo contraddittorio rispetto alla precedente istanza nel 1986 – si afferma che l’ultimazione delle opere è avvenuta nel dicembre del 1978).
Di conseguenza, riguardando – come evidenziato in precedenza – la domanda di condono del 30.6.1986 il fabbricato nella sua interezza (cfr. istanza del 30.6.1986; istanza del Noviello prot. 37248 del 26.7.2006), la stessa non è scindibile in parti singole relative a ciascun piano, sicchè l’impossibilità di accoglierla rispetto alla sua parte prevalente si estende all’intero.
Infatti, in primo luogo, l’istanza di condono del 30.6.1986 viene presentata per un edificio composto da 8 piani fuori terra e da 1 piano entroterra, con 56 appartamenti.
Ed anche nella relazione descrittiva delle opere di cui si richiede la sanatoria, a firma della ricorrente e datata 30.5.1986, ci si riferisce all’immobile de quo nella sua interezza (“[¦] l’immobile ¦ è un fabbricato per civile abitazione articolato su piano interrato, adibito a parcheggio a servizio dell’abitazione del fabbricato, piano terra, adibito a locali commerciali e n.ro cinque piani superiori già realizzati allo stato rustico, un sesto piano armato e predisposto per il getto ed un settimo piano a realizzarsi, tutti adibiti ad appartamenti per civile abitazione per complessivi 56 appartamenti [¦]”).
Tale elemento oggettivo (i.e. istanza di condono riferita all’intero edificio) risulta anche da atti successivi: si richiama sul punto la già citata dichiarazione, versata in atti, del sig. Nicola Noviello (coniuge della ricorrente e soggetto proponente con nota del 26.4.2000 di un “Piano integrato di intervento” con recupero degli alloggi e sistemazione delle aree pubbliche, inerente il fabbricato per cui è causa), il quale con nota prot. n. 37248 del 26.7.2006 precisava, in riferimento alla pratica di condono del 1986, che la stessa si riferiva all'”intero fabbricato”.
Ciò premesso in ordine alla legittimità della suddetta ragione “ostativa” (punto sub 3 del gravato provvedimento del 25.2.2016: non ultimazione dei lavori alla data dell’1.10.1983) all’accoglimento dell’istanza di condono del 30.6.1986 (posta a fondamento del citato diniego), nel caso di specie può trovare applicazione il principio – ormai costante nella giurisprudenza amministrativa – secondo cui: “In via generale, è sufficiente per la conservazione del provvedimento amministrativo sorretto da più ragioni giustificatrici tra loro autonome e non contraddittorie, che sia fondata anche una sola di esse; pertanto, nel giudizio promosso contro un siffatto provvedimento, il giudice, ove ritenga infondate le censure dedotte avverso una delle autonome ragioni poste alla base dell’atto impugnato, idonea, di per sè, a sorreggere la legittimità del provvedimento impugnato, ha la potestà di respingere il ricorso su tale base, con declaratoria di “assorbimento” delle censure dedotte contro altro capo del provvedimento, indipendentemente dall’ordine in cui le censure sono articolate dall’interessato nel ricorso, in quanto la conservazione dell’atto (indipendentemente dalla eventuale invalidità di taluna delle autonome argomentazioni che lo sorreggono) fa venir meno l’interesse del ricorrente all’esame dei motivi dedotti contro tali ulteriori argomentazioni.” (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 10 giugno 2005, n. 3052).
In tal senso si è pronunciato Cons. Stato, Sez. VI, 10 maggio 2013, n. 2543: “Ove l’atto impugnato (provvedimento o sentenza) sia legittimamente fondato su una ragione di per sè sufficiente a sorreggerlo, diventano irrilevanti, per difetto di interesse, le ulteriori censure dedotte dal ricorrente avverso le altre ragioni opposte dall’autorità emanante a rigetto della sua istanza.” e, più di recente, Cons. Stato, Ad. Plen., 27 aprile 2015, n. 5 (cfr. punto 9.3.4.3, lett. c): “¦ Assorbimento per ragioni di economia processuale. Secondo una condivisibile impostazione che non pregiudica l’effettività della tutela, rientrano in tale categoria: ¦ c) nel caso in cui il provvedimento impugnato si fondi su una pluralità di ragioni autonome, il giudice, qualora ritenga infondate le censure indirizzate verso uno dei motivi assunti a base dell’atto controverso, idoneo, di per sè, a sostenerne ed a comprovarne la legittimità , ha la potestà di respingere il ricorso sulla sola base di tale rilievo, con assorbimento delle censure dedotte avverso altri capi del provvedimento, in quanto la conservazione dell’atto implica la perdita di interesse del ricorrente all’esame delle altre doglianze. ¦”).
Nella presente fattispecie è sufficiente, per la conservazione del censurato provvedimento del 25.2.2016 (che è sorretta da più ragioni giustificatrici tra loro autonome e non contraddittorie), la legittimità della ragione di rigetto fondata sulla inosservanza del termine dell’1.10.1983.
Possono, quindi, dichiararsi assorbite le censure dedotte contro altri capi del censurato provvedimento.
Deve, inoltre, escludersi (cfr. art. 40 legge n. 47/1985) che siano sussistenti i presupposti per l’operatività del meccanismo del silenzio assenso di cui all’art. 35 legge n. 47/1985 in presenza di documentazione, presentata dalla Cornacchioli (cfr. istanza del 30.6.1986 e dichiarazione del 30.5.2007), contraddittoria, incompleta ed errata in ordine alla data di ultimazione dei lavori (certamente non completati alla data dell’1.10.1983).
Infatti, come evidenziato da Consiglio di Stato, sez. VI, 15/11/2016, n. 4706 “¦ Dalla normativa sopra riportata emerge come il silenzio assenso si possa formare soltanto in presenza di tutti i presupposti da essa indicati e, in particolare, in presenza di una documentazione completa degli elementi richiesti dall’articolo riportato. ¦”.
2.2. Infine, per quanto concerne il secondo motivo di gravame relativo alla necessità di messa in sicurezza dell’immobile de quo, va evidenziato che la stessa ricorrente nella memoria depositata in data 30.12.2016 (pag. 10) ammette che la struttura per cui è causa versa in una situazione di “degrado”, così legittimando la parte del provvedimento impugnato relativo alla messa in sicurezza dell’immobile con addebito delle spese derivanti da tale onere a carico della stessa Cornacchioli.
In ogni caso non sussiste alcun interesse della ricorrente all’accoglimento della menzionata censura relativa alle spese della messa in sicurezza dell’area, dal momento che, con il provvedimento del 5.9. 2016 prot. n. 47010 di acquisizione dell’immobile al patrimonio comunale, tale onere viene assunto dall’Ente proprietario (come evidenziato a pag. 18 della memoria del Comune depositata in data 10.1.2017).
Ciò è confermato anche dal fatto che nel provvedimento da ultimo citato si ordina alla Cornacchioli unicamente lo sgombero immediato dell’immobile e nulla si dice in merito all’onere di provvedere a sue spese alla messa in sicurezza del manufatto.
Dalle argomentazioni espresse in precedenza discende la reiezione del ricorso.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ritiene, infine, questo Collegio di disporre che, a cura della Segreteria, copia del fascicolo d’ufficio e della presente sentenza sia trasmessa, ai sensi dell’art. 331, comma 4 cod. proc. pen., alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bari, per ogni valutazione di competenza con riferimento alla istanza del 30.6.1986 ed alla dichiarazione del 30.5.2007.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna la ricorrente Cornacchioli Rosa al pagamento delle spese di lite in favore del Comune di Modugno, liquidate in complessivi € 2.000,00, oltre accessori come per legge.
Dispone che, a cura della Segreteria, copia del fascicolo d’ufficio e della presente sentenza sia trasmessa, ai sensi dell’art. 331, comma 4 cod. proc. pen., alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bari.
Manda alla Segreteria per gli adempimenti e le comunicazioni di rito.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 31 gennaio 2017 con l’intervento dei magistrati:
Francesco Gaudieri, Presidente
Francesco Cocomile, Primo Referendario, Estensore
Cesira Casalanguida, Referendario
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
Francesco Cocomile | Francesco Gaudieri | |
IL SEGRETARIO