Processo amministrativo – Giudizio di ottemperanza – Sentenza TAR annullata dal Consiglio di Stato ex art. 105 c.p.a. – Conseguenze
Il presupposto per l’azione di ottemperanza è la sussistenza di una sentenza, passata in giudicato o esecutiva: la stessa deve ritenersi tuttavia annullata in via integrale a seguito dell’accoglimento dell’appello ai sensi dell’art. 105 del c.p.a., giacchè il presupposto per la remissione della questione al giudice di primo grado per difetto di procedura colà prevista, consiste nell’annullamento integrale della sentenza o dell’ordinanza (nella specie, la sentenza TAR aveva condannato l’AQP alla restituzione in favore del ricorrente del bene oggetto di una procedura ablatoria illegittima, con risarcimento dei danni, dichiarando il difetto di giurisdizione sulla eccezione riconvenzionale di prescrizione proposta dell’AQP; in sede d’appello la sentenza è stata annullata con rinvio al primo giudice per l’erronea statuizione sulla giurisdizione in relazione all’eccezione di prescrizione, con la conseguenza che anche la prima parte della sentenza di accoglimento del ricorso e condanna dell’AQP S.p.A. era stata implicitamente travolta, dovendo essere esaminata preliminarmente la suddetta eccezione in sede di rinvio; il giudizio di rinvio si era poi estinto non essendo stato riassunto con atto notificato dinanzi al TAR; ne consegue che l’odierna azione di ottemperanza è risultata, secondo il TAR, inammissibile in assenza di una sentenza passibile di essere eseguita).
Pubblicato il 02/12/2016
N. 01342/2016 REG.PROV.COLL.
N. 00669/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 669 del 2016, proposto da:
Antonio Pio Salvatore Dattoli, rappresentato e difeso dagli avvocati Enrico Follieri C.F. FLLNRC48H10E716U, Giovanni Maggiano C.F. MGGGNN67L28G487J, con domicilio eletto presso Fabrizio Lofoco in Bari, via Pasquale Fiore, 14;
contro
Acquedotto Pugliese S.p.A., in persona del Presidente del C.d.A. ing. Nicola De Sanctis, legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato Costantino Ventura C.F. VNTCTN53A03A662M, con domicilio eletto presso il suo studio in Bari, via Dante Alighieri n. 11;
nei confronti di
Comune di Rodi Garganico, in persona del Sindaco legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Vito Aurelio Pappalepore C.F. PPPVTI62S04A662Y, con domicilio eletto presso il suo studio in Bari, via Pizzoli, 8;
per
l’ottemperanza alla sentenza n. 684/2013 del 3.5.2013 del Tar Puglia, Bari – sez. I relativa all’occupazione d’urgenza non seguita da decreto di esproprio del fondo di proprietà del ricorrente
nei capi in cui si è disposto a carico di AQP s.p.a ed in favore del ricorrente Dattoli Antonio Pio Salvatore la restituzione del suolo contrassegnato in catasto al foglio n. 5, particella n. 371, e la rimozione delle opere realizzate sui suddetti terreni e si è condannato l’AQP s.p.a a corrispondere al ricorrente il risarcimento del danno subito a seguito dell’illegittima occupazione dei suoli.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Acquedotto Pugliese S.p.A. e di Comune di Rodi Garganico;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 20 ottobre 2016 il dott. Francesco Gaudieri e uditi per le parti i difensori come da verbale di udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.- Con il ricorso in esame, notificato il 25.5.2016, depositato l’8 giugno 2016, il sig. Antonio Pio Salvatore Dattoli agisce ex art. 112 e ss c.p.a per l’esecuzione della sentenza n. 684/2013 del 3.5.2013 del Tar Puglia, Bari, Sez. I. Riferisce al riguardo che l’intestato Tribunale, con la menzionata decisione, dopo aver dichiarato il difetto di legittimazione passiva del Comune di Rodi Garganico, disponeva, a carico del soccombente Acquedotto Pugliese (AQP s.p.a.) ed in favore del deducente, la restituzione del suolo contrassegnato in catasto al foglio n. 5, particella n. 371 e la rimozione delle opere realizzate sui suddetti terreni, condannando l’AQP s.p.a a corrispondere al ricorrente il risarcimento del danno subito a seguito dell’illegittima occupazione dei suoli; pronunciava, infine, anche il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alla cognizione della domanda riconvenzionale proposta da AQP s.p.a. intesa all’accertamento dell’intervenuta usucapione della particella n. 371 del foglio 5.
2.- La citata sentenza, gravata di appello da parte di AQP S.p.A, veniva definita dal Consiglio di Stato, Sez. IV, con la sentenza n. 5665/2014 del 18 novembre 2014, con la quale il giudice di appello – dopo aver affermato che la richiesta di accertamento della sussistenza di un’usucapione dall’AQP, introdotta in via di “eccezione riconvenzionale”, restava attratta nella sfera di cognizione del giudice amministrativo in forza del generale principio di cui all’art. 8 c.p.a., e che la mancata pronuncia sul punto doveva essere ritenuta un “difetto di procedura” della sentenza appellata, tale da non consentire di trattenere la totalità della causa – rimetteva la causa al primo giudice al fine di non sottrarre a tutte le parti le garanzie del doppio grado di giudizio.
3.- L’intestato Tribunale fissava d’ufficio la discussione del ricorso e con sentenza n. 554/2016 del 22.4.2016, lo dichiarava estinto per mancata riassunzione da parte di AQP, precisando che la mancata notifica di un atto formale di riassunzione costituiva un vulnus alle ragioni del ricorrente non consentendogli “il tempestivo ed effettivo reinquadramento del giudizio all’esito dell’intervento del Consiglio di Stato ed ai fini del corretto prosieguo del medesimo dal punto di vista dell’essenziale rispetto del principio del contraddittorio”.
4.- Nella prospettazione attorea, l’estinzione del giudizio non avrebbe travolto il capo della sentenza n. 684/2013 nella parte in cui dispone la restituzione del suolo contrassegnato in catasto al foglio 5, particella n. 371, la rimozione delle opere realizzate sui suddetti terreni ed il risarcimento del danno subito a seguito dell’illegittima occupazione. Pertanto, con l’azione proposta ex art. 114 c.p.a, si chiedono provvedimenti di giustizia intesi a dare effettività ai contenuti della sentenza sopra indicati e segnatamente la fissazione di un termine per la restituzione del fondo, ivi compresa la nomina di un Commissario ad Acta, per eventuali inadempienze, oltre alla fissazione della somma di euro 500,00 per ogni giorno di effettivo ritardo; la corresponsione del risarcimento del danno, con le modalità indicate dalla sentenza (pagg. 14/15 e 16), oltre alla determinazione di un astreinte nella misura di 500,00 per ogni giorno di ritardo.
5.- Resiste in giudizio l’Acquedotto Pugliese S.p.A. chiedendo la reiezione della domanda attesa l’inesistenza della sentenza n. 684/2013, annullata dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 5665/2014, che rimetteva la causa al primo giudizio ex art. 105 c.p.a.
Il ricorso R.G. n. 1521/09 proseguiva a seguito di fissazione d’ufficio dell’udienza da parte dell’intestato Tribunale, senza l’indispensabile atto di impulso processuale di riassunzione da parte del ricorrente; veniva definito con sentenza n. 554/2016 che dichiarava estinto il giudizio, considerato “il vulnus al diritto di difesa delle controparti, rimaste nell’impossibilità di opportunamente affrontare le proprie specifiche difese in assenza di una prospettazione della parte interessata alla pronuncia che potesse meglio circostanziare l’oggetto della fase di rimessione a celebrarsi dinanzi al TAR Puglia – Bari, all’esito della sentenza della IV Sez. del Consiglio di Stato n. 5665/2014”. Ha concluso per la reiezione dell’azione di ottemperanza atteso che la statuizione di restituire il suolo, rimuovere le opere e risarcire il danno, contenuta nella sentenza n. 684 del 3.5.2013 siccome annullata dal Consiglio di Stato, non esiste più nel mondo del diritto.
6.- Con difese analoghe, resiste in giudizio anche il Comune di Rodi Garganico facendo rilevare che “le avverse domande non possono trovare ingresso in forza della sentenza del TAR Puglia n. 554 del 22.4.2016, con la quale è stato dichiarato perento il giudizio originariamente incardinato dal Dattoli con ricorso rubricato al n. 1521/2009. Tale pronuncia, all’evidenza, travolge l’intero affare contenzioso, ivi comprese le decisioni (parziali) che hanno riguardato l’occupazione disposta dal Comune di Rodi Garganico ¦riguardante la particella n. 405 del foglio n. 5¦”. Aggiunge che il Comune di Rodi Garganico, medio tempore, ha dichiarato il dissesto finanziario ed è stato sottoposto alle procedure di cui all’art. 246 del d. lgs n. 267/2000, con la consequenziale inibitoria anche del proposto ricorso di ottemperanza. Insiste, comunque, nel rimarcare il difetto di legittimazione del Comune di Rodi Garganico, così come precisato anche dal primo giudice con la sentenza n. 684/2013, non travolta, in parte qua, dalla sentenza del Consiglio di Stato “che ha riguardato – esclusivamente – il capo della sentenza declinatorio della giurisdizione sulla domanda di usucapione (proposta dall’AQP)”; punto sul quale si sarebbe formato il giudicato interno e sul quale concorda anche la difesa del ricorrente e quella dell’AQP, per cui in applicazione del principio di non contestazione ex art. 64, comma 2, c.p.a., il difetto di legittimazione del Comune di Rodi Garganico, contenuto nella sentenza de qua, deve ritenersi ormai coperto dal giudicato.
7.- Con memoria depositata in data 4.10.2016, parte ricorrente replica :
– sia al controricorso del Comune di Rodi Garganico, precisando di aver agito in ottemperanza solo nei confronti di AQP s.p.a e di non aver proposto alcuna domanda di esecuzione nei confronti del Comune di Rodi Garganico, stante la chiara previsione scaturente dal giudicato formatosi con la sentenza n. 684 del 3.5.2013 che ha stabilito che il Comune non è legittimato passivo; aggiunge che è infondata la richiesta contenuta nel capo a) dello stesso relativa alla vicenda autonoma e parallela di cui alla particella n. 409 del foglio 5, siccome estranea al giudizio di ottemperanza proposto;
-sia alla memoria di costituzione di AQP, precisando che la sentenza del TAR n. 554/2016, recante declaratoria di estinzione del giudizio, siccome fissato d’ufficio, è stata categorica nell’affermare che “la mancanza di un atto di riassunzione ha di per sè evidentemente arrecato pregiudizio alle ragioni del ricorrente” “non avendo permesso il tempestivo ed effettivo reinquadramento del giudizio all’esito dell’intervento del Consiglio di Stato ed ai fini del corretto prosieguo del medesimo dal punto di vista dell’essenziale rispetto del principio del contraddittorio”, per cui l’estinzione ha riguardato esclusivamente l’eccezione riconvenzionale di usucapione, non le domande del ricorrente che sono state accolte con la sentenza n. 684/2013 che è passata in giudicato.
Chiede che l’adito Tribunale, ai fini della quantificazione del valore del suolo prenda in considerazione l’importo, ancorchè inferiore a quello reale, indicato nella verificazione effettuata dal Direttore della Direzione regionale della Puglia dell’Agenzia delle Entrate relativa alla sentenza n. 924/2012 avente ad oggetto la particella n. 409 del foglio 5, trattandosi di suoli aventi le stesse caratteristiche e destinazione urbanistica.
8.- Con memorie depositate il 7 ottobre 2016, le altre parti hanno vieppiù insistito nelle rispettive difese.
9.- Alla camera di consiglio del 20 ottobre 2016, il Collegio si è riservata la decisione.
10.- Il ricorso è inammissibile, alla stregua delle considerazioni che seguono.
11.- Come riferito nelle premesse, l’odierno ricorrente, Antonio Pio Salvatore Dattoli, agisce per l’esecuzione della sentenza n. 684 del 3.5.2013 (r.g. n. 1521 del 2009) della I sezione del Tar Puglia, Bari, nella parte in cui dispone a favore del ricorrente : a) la restituzione del suolo contrassegnato in catasto al foglio n. 5, particella n. 371; b) la rimozione delle opere realizzate sui suddetti terreni; c) la condanna dell’AQP s.p.a al risarcimento del danno per l’illegittima occupazione dei suoli.
12.- La pretesa è contrastata dalle parti costituite in resistenza che, sostanzialmente, assumono l’inesistenza di una sentenza passata in giudicato di cui si possa chiedere l’esecuzione, dal momento che la sentenza n. 684/2013 sarebbe stata annullata dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 5665/14, in accoglimento dell’appello proposto da AQP spa : in particolare, il giudice di appello avrebbe annullato le statuizioni favorevoli alla ricorrente “per difetto di procedura” – stante la mancata pronuncia (per difetto di giurisdizione) sull’eccezione di usucapione proposta dall’AQP spa – rimettendo le parti davanti al primo giudice che, con sentenza n. 554/16, ha dichiarato estinto il giudizio r.g. 1521 del 2009, con udienza fissata d’ufficio, in assenza dell’indispensabile atto d’impulso processuale di riassunzione da parte del Dattoli.
13.- Per una migliore comprensione delle conclusioni cui è giunto il Collegio, gioverà ricordare che l’azione di ottemperanza di cui all’art. 112 c.p.a può essere proposta, anche senza previa diffida, per conseguire l’attuazione : a) delle sentenze del giudice amministrativo passate in giudicato; b) delle sentenze esecutive e degli altri provvedimenti esecutivi del giudice amministrativo; con ricorso da proporre al giudice che ha emesso il provvedimento della cui ottemperanza si tratta. Il giudice decide con sentenza in forma semplificata.
13.1.- La giurisprudenza in materia ha sostanzialmente costruito il giudizio di esecuzione come un giudizio “polisemico”, precisando che (Ad. Plen. N. 2 del 2013), “la disciplina dell’ottemperanza, lungi dal ricondurre la medesima solo ad una mera azione di esecuzione delle sentenze o di altro provvedimento ad esse equiparabile, presenta profili affatto diversi, non solo quanto al “presupposto” (cioè in ordine al provvedimento per il quale si chieda che il giudice disponga ottemperanza), ma anche in ordine al contenuto stesso della domanda, la quale può essere rivolta ad ottenere:
a) “l’attuazione” delle sentenze o altri provvedimenti ad esse equiparati, del giudice amministrativo o di altro giudice diverso da questi, con esclusione delle sentenze della Corte dei Conti (Cons. Stato, sez. IV, 26 maggio 2003 n. 2823; Sez. VI, ord. 24 giugno 2003 n. 2634) e del giudice tributario, o, più in generale, di quei provvedimenti di giudici diversi dal giudice amministrativo “per i quali sia previsto il rimedio dell’ottemperanza” (art. 112, comma 2). E già in questa ipotesi tradizionale, l’ampiezza della previsione normativa impedisce – come è noto – di ricondurre la natura dell’azione a quella di una mera azione di esecuzione;
b) la condanna “al pagamento di somme a titolo di rivalutazione e interessi maturati dopo il passaggio in giudicato della sentenza” (art. 112, comma 3). In questa ipotesi, l’azione è evidentemente attratta dal giudizio di ottemperanza, poichè le somme ulteriori, al pagamento delle quali l’amministrazione è tenuta, hanno natura di obbligazioni accessorie di obbligazioni principali, in ordine alle quali si è già pronunciata una precedente sentenza o provvedimento equiparato);
c) il “risarcimento dei danni connessi all’impossibilità o comunque alla mancata esecuzione in forma specifica, totale o parziale, del giudicato. .” (art. 112, comma 3). In questo caso l’azione, che viene definita risarcitoria dallo stesso Codice, non è rivolta all’ “attuazione” di una precedente sentenza o provvedimento equiparato, ma trova in questi ultimi solo il presupposto. Si tratta, a tutta evidenza, di una azione nuova, esperibile proprio perchè è l’ottemperanza stessa che non è realizzata, e in ordine alla quale la competenza a giudicare è, per evidenti ragioni di economia processuale e quindi di effettività della tutela giurisdizionale (a prescindere dal rispetto del doppio grado di giudizio), attribuita al giudice dell’ottemperanza;
d) la declaratoria della nullità di eventuali atti emanati in violazione o elusione del giudicato (art. 114, comma 4), e ciò sia al fine di ottenere – eliminato il diaframma opposto dal provvedimento dichiarato nullo – l’attuazione della sentenza passata in giudicato, sia per ottenere il risarcimento dei danni connessi alla predetta violazione o elusione del giudicato (art. 112, comma 3, ult. parte); danni questi ultimi che possono derivare sia dalla ritardata attuazione del giudicato (per avere invece l’amministrazione emanato un provvedimento nullo), sia direttamente (e distintamente) da tale provvedimento, una volta verificatone l’effetto causativo di danno.
Come è dato osservare, dunque, nell’ambito del giudizio di ottemperanza, il Codice disciplina azioni diverse (al di là della mera – e tradizionale – distinzione inerente la riconducibilità dell’ “attuazione” richiesta ad una “esecuzione” della sentenza (o provvedimento equiparato), ovvero a più ampi ambiti di conformazione della successiva azione amministrativa, in dipendenza del giudicato medesimo.
A tale quadro, va aggiunto il ricorso, ex art. 112, comma 5, proposto al fine di “ottenere chiarimenti in ordine alle modalità dell’ottemperanza”: anche questo non presenta caratteristiche che consentano di ricondurlo, in senso sostanziale, al novero delle azioni di ottemperanza. Ciò emerge anzitutto dalla stessa terminologia usata dal legislatore, il quale – lungi dall’affermare che è l’ “azione di ottemperanza” ad essere utilizzabile in questi casi – afferma che è “il ricorso” introduttivo del giudizio di ottemperanza (cioè l’atto processuale) ad essere a tali fini utilizzabile, ma risulta anche chiaro dalla circostanza che, a differenza dell’azione di ottemperanza, che è naturalmente esperita dalla parte già vittoriosa nel giudizio di cognizione o in altra procedura a questa equiparabile, in questo caso il ricorso appare proponibile dalla parte soccombente (e segnatamente dalla Pubblica Amministrazione soccombente nel precedente giudizio).
In conclusione, l’esame della disciplina processuale dell’ottemperanza, di cui agli artt. 112 ss. cpa (ai quali occorre doverosamente aggiungere l’art. 31, co. 4), porta ad affermare la attuale polisemicità del “giudizio” e dell’ “azione di ottemperanza”, dato che, sotto tale unica definizione, si raccolgono azioni diverse, talune meramente esecutive, talaltre di chiara natura cognitoria, il cui comune denominatore è rappresentato dall’esistenza, quale presupposto, di una sentenza passata in giudicato, e la cui comune giustificazione è rappresentata dal dare concretezza al diritto alla tutela giurisdizionale, tutelato dall’art. 24 Cost. Di conseguenza il giudice dell’ottemperanza, come identificato per il tramite dell’art. 113 cpa, deve essere attualmente considerato come il giudice naturale della conformazione dell’attività amministrativa successiva al giudicato e delle obbligazioni che da quel giudicato discendono o che in esso trovano il proprio presupposto.”
13.2.- Orbene, tutta la giurisprudenza in materia, anche a volersi soffermare sulle sole pronunce dell’Adunanza Plenaria (ex multis n. 11 del 2016; n. 4 del 2015; n. 2 del 2013; nn. 2, 18 e 24 del 2012; n. 13 del 2008; n. 2 del 1998; n. 4 del 1994; n. 1 del 1986;), individua il naturale presupposto del giudizio di ottemperanza, nell’esistenza di una sentenza del G.A., passata in giudicato o di una sentenza esecutiva (nonchè in tutte le altre ipotesi descritte dall’art. 112 c.p.a).
14.- Trasponendo le menzionate acquisizioni giurisprudenziali al caso in esame, occorre valutare se sussistono tutti i presupposti utili all’azione dell’ottemperanza che, nella specie, risulta proposta al fine di dare esecuzione alla sentenza di questo TAR n. 684/2013, ritenuta dalla parte, non solo esistente ma anche regiudicata, nonostante la sentenza del Consiglio di Stato n. 5665/2014 e la sentenza n. 554/2016 di questo Tar.
14.1.- L’art. 105 c.p.a dispone che “il Consiglio di Stato rimette la causa al giudice di primo grado soltanto se è mancato il contraddittorio, oppure è stato leso il diritto di difesa di una delle parti, ovvero dichiara la nullità della sentenza, o riforma la sentenza che ha declinato la giurisdizione o ha pronunciato sulla competenza o ha dichiarato l’estinzione o la perenzione del giudizio.(primo comma) ¦.In ogni caso in cui il Consiglio di Stato annulla la sentenza o l’ordinanza con rinvio della causa al giudice di primo grado, si applica l’art. 8, comma 2, delle norme di attuazione (terzo comma)”.
Il terzo comma dell’art. 105 c.p.a., sostanzialmente esplicativo della portata del primo comma, chiarisce, a rigore, che la “rimessione” della causa al giudice di primo grado, in tutti i casi ivi previsti, presuppone che il giudice di appello “annulla la sentenza o l’ordinanza”.
14.2.- La giurisprudenza in materia conferma che la rimessione al giudice di primo grado di cui all’art. 105 c.p.a. presuppone la presenza di “cause tassative di annullamento delle sentenze di primo grado con rinvio ex art. 105 c.p.a e 353, 354 cpc.” (ex multis Cons. St. nn. 2947/2016; 3047/2016; 3156/2016; 1668/2013).
Tutta la giurisprudenza citata individua, dunque, nell’annullamento della sentenza il postulato logico-giuridico per disporre il rinvio della causa al giudice di primo grado.
14.3.- Nella specie, parte ricorrente è dell’avviso che :
– il rinvio per “difetto di procedura” abbia riguardato la domanda riconvenzionale di usucapione e non anche le domande del ricorrente, accolte con la sentenza n. 684/2013, passata in giudicato;
-la sentenza n. 554/2016 del Tar, recante declaratoria di estinzione del giudizio, avrebbe rimarcato che “la mancanza di un atto di riassunzione ha di per sè evidentemente arrecato pregiudizio alle ragioni del ricorrente”.
14.4.- La sentenza del Consiglio di Stato n. 5665/2014 del 18.11.2014, dopo aver precisato che :
“Nel caso in esame la richiesta di accertamento della sussistenza di un’usucapione dall’AQP, introdotta in via di “eccezione riconvenzionale”, restava dunque attratta nella sfera di cognizione del giudice amministrativo della domanda principale in forza del generale principio di cui all’art. 8 Cod. proc. amm. .
Pertanto la dichiarazione del difetto di giurisdizione del giudice amministrativo sulla predetta domanda riconvenzionale statuita dal TAR non può essere condivisa.
L’eventuale accertamento, in via incidentale, dell’eccepito acquisto per usucapione della P.A. della proprietà del bene privato, determinerebbe infatti l’estinzione dei diritti azionati dal privato medesimo e farebbe venir meno “ab origine” l’elemento costitutivo della fattispecie risarcitoria, consistente nell’illiceità della condotta lesiva della situazione giuridica soggettiva dedotta, non solo per il periodo successivo al decorso del termine ventennale, ma anche per quello anteriore, in virtù della retroattività degli effetti dell’acquisto a titolo originario per usucapione.
La mancata pronuncia sul punto tuttavia deve essere ritenuta un “difetto di procedura” della sentenza appellata, che non consente di trattenere la totalità della causa in decisione, per l’effetto devolutivo dell’appello.
In tal senso si è infatti espressa anche la difesa del Datoli che, in via subordinata al rigetto dei relativi motivi, nella sua memoria di replica per la discussione, aveva comunque richiesto specificamente il rinvio al primo giudice.”
approda alla conclusione per la quale “¦.l’accoglimento dei motivi in esame determina dunque l’annullamento della sentenza ed al contempo la necessità di rinvio al primo giudice per “errore di procedura” (sia pure su una questione altamente opinabile ed incerta). Tale rinvio infatti appare esclusivamente ancorato all’evidente esigenza di non sottrarre a tutte le parti, ivi compresi i soggetti controinteressati, le piene garanzie del doppio grado di giudizio specie sui profili di fatto della vicenda”.
14.5.- Ad avviso del Collegio, il dato testuale citato rimarca che la decisione del giudice di appello ha travolto in toto l’intera sentenza (684/2013) del giudice di primo grado – sia pure per un errore di procedura su una questione “altamente opinabile ed incerta” – e ciò non consente, dopo la sentenza n. 554/2016 di questo Tribunale recante pronuncia di estinzione del giudizio r.g. n. 1521/2009, di ritenere trascorsa in cosa giudicata la sentenza n. 684/2013 nella parte in cui, con la stessa, sono state accolte le domande favorevoli al ricorrente, introdotte con il ricorso r.g. n.1521/2009.
Ed infatti, “le piene garanzie del doppio grado di giudizio” – che il Consiglio di Stato ha inteso tutelare con la sentenza n. 5665/2014, laddove ha puntualizzato che il rilevato “difetto di procedura” della sentenza appellata “non consente di trattenere la totalità della causa in decisione” – non possono che riguardare tutte le questioni già scrutinate dal primo giudice con la sentenza annullata (684/2013), di cui la questione relativa all’usucapione del bene costituisce un necessario antecedente logico, idoneo ad incidere, se ritenuto sussistente, sulla fattispecie oggetto di delibazione.
Può concludersi, per tutte le suesposte ragioni, per l’inammissibilità del ricorso in esame.
15.- Sussistono giusti motivi, anche per la particolarità della questione trattata, per disporre l’integrale compensazione delle spese di giudizio
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile, nei sensi di cui in motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 20 ottobre 2016 con l’intervento dei magistrati:
Francesco Gaudieri, Presidente, Estensore
Francesco Cocomile, Primo Referendario
Cesira Casalanguida, Referendario
IL PRESIDENTE, ESTENSORE | ||
Francesco Gaudieri | ||
IL SEGRETARIO