1. Processo amministrativo – Controinteressato –  Requisiti – Individuazione – Fattispecie
2. Procedimento amministrativo – Obbligo per la p.A. di provvedere – Termine di conclusione del procedimento – Comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento di una domanda – Interruzione dei termini per la formazione dell’eventuale silenzio assenso – Idoneità 

3. Edilizia e urbanistica – Piano urbanistico generale – Vincoli – Destinazione a verde pubblico – Possibilità  di intervento pubblico-privato – Natura conformativa del vincolo

4. Commercio, Industria, Turismo – Autorizzazione unica per l’installazione e l’esercizio di impianti di distribuzione dei carburanti – Localizzazione – Disciplina di cui all’art. 2 D.Lgs. n. 32/1998 – Potere regolamentare comunale – Sussiste

5. Processo amministrativo – Giudizio impugnatorio – Annullamento – Provvedimento a motivazione plurima – Legittimità  di uno solo dei motivi – Sufficienza

1. La nozione di controinteressato in senso tecnico postula il concorso di due elementi essenziali: il primo, di tipo formale, è da ricercare nell’espressa menzione o nell’immediata individuabilità  del soggetto in questione nel provvedimento impugnato; il secondo, di tipo sostanziale, consiste nel riconoscimento, in capo al suddetto soggetto, di un interesse giuridico qualificato al mantenimento degli effetti dell’atto in questione. (Nella fattispecie, il Collegio non ha ritenuto sufficiente ad individuare i summezionati caratteri nella partecipazione di un condominio, in qualità  di interventore ad opponendum, ad un precedente processo intentato dal medesimo ricorrente).
2. La comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento di una domanda interrompe i termini per la formazione di un eventuale silenzio assenso (nel caso di specie, quello previsto dall’art. 1, comma 3 D.Lgs. n. 32/1998). Del resto, non potrebbe ritenersi logica la formazione di un provvedimento tacito di assenso quando la stessa Amministrazione, sia pure in modo ancora non definitivo, abbia chiaramente indicato (nel preavviso di diniego) le ragioni per le quali la domanda proposta non può essere accolta.

3. Sono conformativi e al di fuori dello schema ablatorio-espropriativo (non comportano indennizzo, non decadono al quinquennio, non sussiste un dovere di ritipizzazione) i vincoli che importano una destinazione (anche di contenuto specifico) realizzabile ad iniziativa privata, o promiscua pubblico-privato, che non comportano necessariamente espropriazione o interventi ad esclusiva iniziativa pubblica e, quindi, siano attuabili anche dal soggetto privato, senza ablazione del bene. 

4. L’art. 2 D.Lgs. n. 32/1998, pur prevedendo una disciplina di favore per la collocazione degli impianti di distribuzione di carburanti, non può essere letto nel senso di consentire un’immunità  totale dall’applicazione delle ulteriori regole dettate in sede di pianificazione comunale, ma come previsione di una astratta compatibilità  funzionale degli impianti di carburante con le diverse parti del territorio comunale; ciò non esclude la permanenza di un potere di regolamentazione urbanistica in materia, cosicchè resta possibile opporre l’incompatibilità  dell’intervento con le disposizioni edilizie del piano regolatore, le prescrizioni sulla sicurezza sanitaria, ambientale e stradale, le norme di tutela dei beni storici e artistici e le norme di indirizzo programmatico degli enti locali; è, infatti, salva la potestà  comunale di individuare le caratteristiche delle aree sulle quali possono essere realizzati tali impianti.

5. Per la conservazione del provvedimento amministrativo sorretto da più ragioni giustificatrici, tra loro autonome e non contraddittorie, è sufficiente che sia fondata anche una sola di esse; pertanto, nel giudizio promosso contro un siffatto provvedimento, il giudice, ove ritenga infondate le censure dedotte avverso una delle autonome ragioni poste alla base dell’atto impugnato – idonea, di per sè, a sorreggere la legittimità  del provvedimento impugnato – ha la potestà  di respingere il ricorso con declaratoria di “assorbimento” delle censure dedotte contro altro capo del provvedimento, indipendentemente dall’ordine in cui le censure sono articolate dall’interessato nel ricorso, in quanto la conservazione dell’atto (indipendentemente dall’eventuale invalidità  di taluna delle autonome argomentazioni che lo sorreggono) fa venir meno l’interesse del ricorrente all’esame dei motivi dedotti contro tali ulteriori argomentazioni.

N. 00167/2016 REG.PROV.COLL.
N. 00639/2015 REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 639 del 2015, proposto da: 
Maria Giulio De Luca, rappresentato e difeso dall’avv. Nicolò De Marco, presso il cui studio elett.te domicilia in Bari alla via Abate Gimma n. 189; 

contro
Comune di Molfetta, rappresentato e difeso dall’avv. Luigi Paccione, presso il cui studio elett.te domicilia in Bari alla via Q. Sella n. 120; 

e con l’intervento di
ad opponendum:
Condominio di via Goerlitz nn.16-18-20-22-24-26, rappresentato e difeso dagli avv. Domenico Colella, Tiziana Carabellese, con i quali è elett.te domiciliato presso l’Avv. Davide D’Ippolito in Bari alla via Principe Amedeo n. 25; 

per l’annullamento
del provvedimento prot. n. 16265 del 9/3/2015 a firma del responsabile U.O.C. Attività  Produttive S.U.A.P. del Comune di Molfetta recante diniego del richiesto provvedimento autorizzativo unico;
della nota prot. 15428 del 4/3/2015 a firma del dirigente del Settore Territorio e della nota prot. n. 5355 del 21/1/2015 di comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza;
nonchè per il risarcimento del danno ingiusto che il provvedimento illegittimo causa al ricorrente;
 

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Molfetta;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 gennaio 2016 la dott.ssa Viviana Lenzi e uditi per le parti i difensori Nicolò De Marco, Luigi Paccione e Domenico Colella;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 

FATTO e DIRITTO
Con il presente ricorso De Luca Maria Giulio ha chiesto l’annullamento del provvedimento in epigrafe indicato, a mezzo del quale il responsabile U.O.C. Attità  Produttive del Comune di Molfetta ha rigettato l’istanza di rilascio di Provvedimento Autorizzativo Unico (di seguito a che solo P.A.U.) avente ad oggetto la realizzazione di “un’area servizi attrezzata, comprendente distributore di carburante, servizio autolavaggio, camper service e parco ludico” da realizzare su fondo di sua proprietà .
Il diniego (previo superamento di due ulteriori motivi comunicati al ricorrente ex art. 10 bis l. 241/90 e – a seguito delle sue osservazioni – oggetto di “ripensamento” da parte del Comune) si fonda su plurime ragioni giustificative ed in particolare evidenzia:
1) la violazione dell’art. 3 D.M. 1444/68: l’area oggetto di intervento ricade per la maggior parte nella sottozona P1 (verde pubblico attrezzato) e per la restante parte in quella M6 (aree e fasce di rispetto), destinate a standard, secondo quanto previsto nell’elaborato di P.R.G.C. denominato “Relazione sugli adeguamenti alle prescrizioni della Giunta Regionale”;
2) il contrasto con i parametri urbanistici (indice di fabbricabilità ) da rispettare nelle suddette zone;
3) il contrasto con gli indici imposti dall’art. 9 del piano comunale di razionalizzazione della rete di distribuzione del carburante;
4) la violazione dell’art. 2 del Codice della Strada e degli artt. 28 e 60 del relativo Regolamento di attuazione.
Unitamente a tale atto sono gravati anche il parere negativo di conformità  urbanistica emesso dal dirigente del Settore Territorio e la nota ex art. 10 bis l. 241 (in epigrafe meglio individuati).
Il ricorrente contesta la legittimità  del diniego (e degli ulteriori due atti recanti le medesime ragioni ostative), deducendo che, quand’anche le aree avessero destinazione a standards ex art. 3 D.M. cit, tale vincolo, da considerarsi di natura espropriativa, sarebbe decaduto per il decorso del quinquennio dall’approvazione del P.R.G.
Peraltro, essendo tale vincolo previsto anche nel P.P. del “Lotto 10 di P.R.G.”, sarebbe ugualmente decaduto per decorso del decennio di vigenza del piano, non seguito da approvazione di un nuovo P.P. o da ritipizzazione dell’area.
Lamenta, inoltre, che il Comune abbia vagliato la fattibilità  dell’intervento in base alla regolazione tecnica di zona, invece che sulla scorta della prevalente normativa regolamentare regionale, con conseguente inapplicabiltà  degli indici previsti dall’art. 19 n.t.a e dalle distanze imposte dal piano comunale di razionalizzazione della rete di distribuzione del carburante. Ha, inoltre, dedotto in merito alle caratteristiche di comune strada urbana della via Berlinguer, su cui si affaccia l’area de qua, diversamente da quanto opinato dal Comune che l’ha ritenuta “strada urbana di scorrimento”, con applicazione della relativa normativa in termine di distanze dal confine per l’edificazione.
Ha, infine, lamentato la violazione del termine di conclusione del procedimento previsto dalla L. 32/98, con conseguente formazione del silenzio assenso e illegittimità  del gravato diniego, non preceduto dal necessario annullamento in autotutela e chiesto il risarcimento dei danni derivanti dal ritardo nella realizzazione dell’attività  scaturita dagli illegittimi provvedimenti amministrativi.
Il Comune di Molfetta ha resistito alla domanda.
Ha spiegato intervento ad opponendum il Codominio di via Goerlitz nn. 16/18/20/22/24/26 (di seguito anche solo “Condominio”).
Rinunciata l’istanza cautelare in vista di una sollecita fissazione dell’udienza di discussione, in data 14/1/16 la causa è stata trattenuta in decisione.
Va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità  per omessa notifica ad almeno un controinteressato formulata dal Condominio.
“Nel processo amministrativo la qualità  di controinteressato è strettamente connessa ai vantaggi e benefici che un determinato soggetto può ritrarre dal provvedimento amministrativo oggetto di impugnazione, tali da fondare la sussistenza di un interesse legittimo omologo e speculare rispetto a quello del ricorrente che invece se ne assume leso e, intrinsecamente connessa a tale qualità  c’è la possibilità  che i controinteressati siano identificati o quanto meno possano esserlo, sulla base del provvedimento impugnato. Di conseguenza la nozione di controinteressato in senso tecnico postula il concorso di due elementi essenziali, di tipo formale e sostanziale: il primo da ricercare nell’espressa menzione o nell’immediata individuabilità  del soggetto in questione nel provvedimento impugnato; il secondo consistente nel riconoscimento, in capo al suddetto soggetto, di un interesse giuridico qualificato al mantenimento degli effetti dell’atto in questione (cfr. in giurisprudenza, di recente Cons. Stato IV, 27/1/2015 n. 360)” – T.A.R. Lazio, sez. 1 quater, sent. 21/5/15 n. 7352.
Ne deriva, a parere del Collegio, che la partecipazione del Condominio – in qualità  di interventore ad opponendum, nel precedente giudizio preposto dal De Luca avverso il precedente diniego di permesso di costruire relativo ad intervento sostanzialmente analogo sulla medesima area – non fa sorgere per ciò solo, in capo al Condominio, la qualifica di controinteressato nel presente giudizio.
Nel merito, va preliminarmente vagliato l’assunto del ricorrente secondo cui sulla sua istanza si sarebbe formato il silenzio -assenso per decorso del termine di 90 gg. prescritto dall’art. 1 comma 3 d. l.vo n. 32/98 per la conclusione del procedimento.
La doglianza è priva di pregio.
A fronte dell’istanza protocollata in data 24/11/2014, in data 21/1/2015 il dirigente del Settore Territorio ha emesso la nota n. 5355, notificata il successivo 22/1, recante i motivi ostativi all’accoglimento della domanda. Tale nota è stata riscontrata dal De Luca in data 2/2/15. Il provvedimento di diniego reca la data del 9/3/2015. Orbene, si deve, al riguardo, ricordare che, l’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990, aggiunto dall’art. 6 della legge 11 febbraio 2005 n. 15 (poi modificato dal comma 3 dell’art. 9 della legge 11 novembre 2011, n. 180), ha previsto che “nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l’autorità  competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all’accoglimento della domanda. Entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti. La comunicazione di cui al primo periodo interrompe i termini per concludere il procedimento che iniziano nuovamente a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni o, in mancanza, dalla scadenza del termine di cui al secondo periodo. Dell’eventuale mancato accoglimento di tali osservazioni è data ragione nella motivazione del provvedimento finale”.
àˆ ovvio che il termine (ordinatorio o, eventualmente, perentorio) concesso all’Amministrazione per esprimere le sue definitive determinazioni sulla questione può riprendere a decorrere solo a seguito della presentazione da parte del soggetto istante, nel termine assegnato, delle osservazioni al diniego preannunciato (o comunque dallo scadere del suddetto termine per la presentazione delle osservazioni).
Si deve ritenere, quindi, in via generale, che “la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento di una domanda interrompe anche i termini per la formazione di un eventuale silenzio assenso, in quei casi in cui l’ordinamento ha inteso assegnare al silenzio serbato dall’amministrazione su un’istanza il valore di assenso alla richiesta” (T.A.R. Valle d’Aosta, sent. 11/6/15 n. 41).
In conclusione, il diniego intervenuto – nel caso in esame – a poco più di 30 gg. dalla data di presentazione delle osservazioni del ricorrente è certamente tempestivo rispetto al termine di gg. 90 per la conclusione del procedimento e non “sopravvenuto” rispetto ad un tacito assenso.
Passando ai motivi di doglianza attinenti al contenuto degli atti gravati, il Collegio ritiene che il primo di essi sia infondato.
Preliminarmente si osserva che il ricorrente non contesta espressamente che l’area oggetto di intervento ricada in zona destinata a standards ex art. 3 D.M., focalizzando il motivo di ricorso sull’assunto che “quand’anche le aree in questione rientrassero come destinazione negli standards inderogabili ..” (così ultimo capoverso a pag. 8 del ricorso) i vincoli (espropriativi) sarebbero ormai decaduti.
A parte la genericità  di un rilievo formulato nei termini innanzi riportati, giova rammentare in punto di diritto che “sono conformativi e al di fuori dello schema ablatorio – espropriativo (non comportano indennizzo, non decadono al quinquennio, non sussiste un dovere di ritipizzazione ) i vincoli che importano una destinazione (anche di contenuto specifico) realizzabile ad iniziativa privata, o promiscua pubblico – privato, che non comportano necessariamente espropriazione o interventi ad esclusiva iniziativa pubblica e quindi siano attuabili anche dal soggetto privato, senza ablazione del bene” (Consiglio di Stato, sez. 4, sent. 26/8/14 n. 4287). Con specifico riferimento alla destinazione a verde, “la giurisprudenza che si è formata, a seguito della pronuncia della Corte costituzionale 20.5.1999 n. 179, è concorde nell’affermare che, quando le n.t.a. consentono l’intervento diretto dei privati nella realizzazione di attrezzature sportive o del verde, le relative disposizioni hanno natura tipicamente conformativa (cfr. Cons. Stato sez. 4, 13/7/2011 n. 4242; idem sez. 4, 19/1/2012 n. 244; idem sez. 4, 30/7/2012 n. 4319)” – così, da ultimo, T.A.R. Molise, sez. 1, sent. 13/2/15 n. 50.
La natura conformativa e non espropriativa del vincolo trova riscontro, nella fattispecie in esame, nella previsione contenuta nell’art. 19 delle N.T.A. (espressamente richiamato dal certificato di destinazione urbanistica) secondo cui “la realizzazione e la gestione del verde pubblico e delle relative attrezzature potrà  essere affidata a privati tramite apposita convenzione con il Comune”.
In ordine, poi, all’invocata prevalenza della normativa regionale su quella urbanistica comunale, che, a detta del ricorrente, avrebbe dovuto impedire al Comune di valutare l’istanza sulla scorta delle previsioni contenute nel P.R.G.C. e nelle norme tecniche attuative, si impone – a questo punto – una presa di posizione che non può che muovere dal dato normativo di riferimento.
Orbene, il sistema di distribuzione del carburante è stato oggetto di un fondamentale intervento statale a mezzo del d. l.vo n. 32/98, che, per quanto di rilievo, in questa sede, dispone all’articolo 1 che “l’attività  di cui al comma 1 (installazione e l’esercizio di impianti di distribuzione dei carburanti, n.d.r.) è soggetta all’autorizzazione del comune in cui essa è esercitata. L’autorizzazione è subordinata esclusivamente alla verifica della conformità  alle disposizioni del piano regolatore, alle prescrizioni fiscali e a quelle concernenti la sicurezza sanitaria, ambientale e stradale¦.”.
Il successivo art. 2, al comma 1- bis, prevede che “La localizzazione degli impianti di carburanti costituisce un mero adeguamento degli strumenti urbanistici in tutte le zone e sottozone del piano regolatore generale non sottoposte a particolari vincoli paesaggistici, ambientali ovvero monumentali e non comprese nelle zone territoriali omogenee A”.
La Regione Puglia si è dotata, in materia, di apposita legge (la n. 23/2004) recante: “Razionalizzazione e ammodernamento della rete distributiva dei carburanti” e, come in questa previsto, di un successivo regolamento di “Razionalizzazione ed ammodernamento della rete distributiva dei carburanti sulla rete stradale ordinaria” (R.R. n. 2/2006), che all’art. 12 co. 3 riporta una disposizione identica a quella dell’art. 2 co. 1 bis del l.vo n. 32/98.
L’art. 7 di tale regolamento divide il territorio comunale in quattro zone omogenee “ai fini della localizzazione degli impianti, con riferimento al D.M. 2 aprile 1986, n.1444”: la 1 (zona A), la 2 (zone B e C), la 3 (zone D e F), la 4 (zona E).
All’art. 16 co. 2 è stabilito che il richiedente l’autorizzazione all’installazione di un impianto deve allegare alla domanda, tra l’altro, “perizia giurata redatta da tecnico competente abilitato alla sottoscrizione del progetto presentato che deve contenere le dichiarazioni di conformità  dello stesso alle disposizioni dello strumento urbanistico vigente, alle prescrizioni fiscali, alla sicurezza sanitaria, ambientale e stradale, tutela dei beni storici e artistici, nonchè alle norme di indirizzo programmatico regionale previste nel presente regolamento e al rispetto delle distanze”. Ai sensi del successivo comma 4, il Comune verificherà  la sussistenza della dichiarata conformità .
Infine, l’art. 36 prescrive: “1. Il presente regolamento prevale sulle norme regolamentari e sulle disposizioni locali emanate dai Comuni. 2. Ove vi siano disposizioni, criteri e parametri comunali in contrasto con il presente regolamento si applicano i criteri ed i parametri qui stabiliti”.
Sulla scorta di tale ultima disposizione, il ricorrente sostiene che il Comune, dovendosi limitare all’applicazione dei parametri e degli indici stabiliti a livello regionale, non avrebbe potuto fondare il diniego in base a richiami al P.R.G.
Orbene, è evidente che l’art. 2 d. lgs. n. 32 /98 prevede che la realizzazione di impianti di distribuzione di carburante è compatibile con qualsiasi destinazione di zona, anche quella a verde. Da tempo, ormai, il Consiglio di Stato ha sostenuto che “La localizzazione di un impianto di distribuzione di carburante, ai sensi dell’art. 2 d. lg. 32/1998, non è esclusa dalla destinazione dell’area a verde pubblico o a verde attrezzato, atteso che, in base alla norma ora citata, gli impianti di distribuzione del carburante possono essere situati “in tutte le zone e sottozone del piano regolatore generale non sottoposte a particolari vincoli paesaggistici, ambientali ovvero monumentali e non comprese nelle zone territoriali omogenee A”; pertanto, gli impianti di distribuzione del carburante sono da ritenere compatibili con qualsiasi destinazione di zona, stante la loro attitudine di servire a ogni tipo di attività ” (Consiglio Stato, sez. V, sent. 19 settembre 2007, n. 4887).
In altri termini, in base a tale norma, non potrebbe legittimamente negarsi l’installazione di un impianto di distribuzione per il solo fatto che esso ricadrebbe in zona destinata a verde, essendo a tal fine precluse dal regolamento regionale soltanto le aree ricadenti in zona 1 (zona A) e, cioè, i centri storici, definiti dal regolamento come “parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono interesse storico, artistico e di particolare pregio ambientale”.
Tuttavia, è stato condivisibilmente sostenuto che “Se tale norma (l’art. 2 d. lgs. 11 febbraio 1998 n. 32, n.d.r.) prevede una disciplina di favore per la collocazione degli impianti di distribuzione di carburanti, pur tuttavia la stessa non va certo letta nel senso di consentire un’immunità  totale dall’applicazione delle ulteriori regole dettate in sede di pianificazione (Cons. Stato, sez. 5^, 13 novembre 2009, n. 7096), ma come previsione di una astratta compatibilità  funzionale degli impianti di carburante con le diverse parti del territorio comunale; ciò non esclude tuttavia la permanenza di un potere di regolamentazione urbanistica in materia, cosicchè resta possibile opporre l’incompatibilità  dell’intervento con le disposizioni edilizie del piano regolatore, le prescrizioni sulla sicurezza sanitaria, ambientale e stradale, le norme di tutela dei beni storici e artistici e le norme di indirizzo programmatico degli enti locali; è infatti salva la potestà  comunale di individuare le caratteristiche delle aree sulle quali possono essere realizzati tali impianti” (Tar Liguria, sez. 1, sent. 5/2/14 n. 188, da ultimo richiamato da T.A.R. Lecce, sez. 1, sent. 12/9/15 n. 2699).
Non si spiegherebbe altrimenti la necessità  di attestare la conformità  del progetto alle disposizioni dello strumento urbanistico vigente, prescritto dalla normativa regionale. Quanto agli indici di edificabilità , poi, l’art. 12 del R.R. cit. prescrive – quanto alle dimensioni dell’impianto (nel caso di specie “impianto generico con attività  non oil”) che “tali strutture non devono superare gli indici di edificabilità  stabilite per le zone all’interno delle quali ricadono”; pertanto non devono essere superati gli indici previsti per le zone B, C, D ed F”, che, evidentemente, hanno funzione integrativa rispetto alle più generali previsioni regionali.
Del tutto legittimamente, quindi, ritiene il Collegio, il Comune ha verificato in quale zona fosse ricompresa l’area interessata all’intervento, quale fosse la sua destinazione, quale la normativa tecnica applicabile e quali gli indici di edificabilità .
Quanto al primo profilo, si evidenzia che dal certificato di destinazione urbanistica prodotto dallo stesso ricorrente, l’area de qua è classificata come ricadente nel vigente P.R.G. in parte in “zona per servizi e attrezzature pubbliche e di interesse pubblico” ovvero in “verde pubblico” ed in parte in “zone per le infrastrutture per la mobilità ” ovvero “infrastrutture viarie”, con l’ulteriore specificazione dell’assoggettamento “alla normativa tecnica di cui agli artt. 19 e 16 delle n.t.a.”. Di seguito, il certificato precisa che il suolo è inserito nel P.P. di esecuzione del “Lotto 10” di P.R.G.C. e ricade “nelle aree previste a standards e destinate a verde pubblico e zona stradale”.
Non pare revocabile in dubbio, alla luce del contenuto del predetto certificato (avverso il quale non risulta mossa alcuna specifica censura) che l’area de qua non ricada in zona 2 (zona B) come sostenuto dal ricorrente, ma per l’appunto in zona destinata a verde (salvo il riferimento alle sottozone riportato nell’atto gravato). L’assunto trova conferma, inoltre, nella tav. A9 della relazione tecnica illustrativa della variante al P.R.G.C., in cui l’area indicata con il numero 54 (in cui ricade la proprietà  De Luca) risulta destinata a verde attrezzato.
Dal certificato urbanistico, inoltre, si ricava che la destinazione d’uso a “verde” riguarda il verde inderogabilmente prescritto dal D. M. n. 1444/1968 e non come verde pubblico liberamente inserito nel progetto del piano.
Nella specie, perciò, non è tanto l’ubicazione del progettato intervento (per la maggior parte) in zona verde ad essere ostativa del rilascio del PAU, quanto la circostanza che su tale area insista un vincolo di natura conformativa, a verde pubblico, espressione di standard urbanistici, tale da precludere il giudizio positivo circa la conformità  urbanistica dell’intervento.
L’infondatezza di questo motivo di ricorso determina di per sè il rigetto della domanda. Nel caso di specie può trovare applicazione il principio – ormai costante nella giurisprudenza amministrativa – secondo cui: “In via generale, è sufficiente per la conservazione del provvedimento amministrativo sorretto da più ragioni giustificatrici tra loro autonome e non contraddittorie, che sia fondata anche una sola di esse; pertanto, nel giudizio promosso contro un siffatto provvedimento, il giudice, ove ritenga infondate le censure dedotte avverso una delle autonome ragioni poste alla base dell’atto impugnato, idonea, di per sè, a sorreggere la legittimità  del provvedimento impugnato, ha la potestà  di respingere il ricorso su tale base, con declaratoria di “assorbimento” delle censure dedotte contro altro capo del provvedimento, indipendentemente dall’ordine in cui le censure sono articolate dall’interessato nel ricorso, in quanto la conservazione dell’atto (indipendentemente dalla eventuale invalidità  di taluna delle autonome argomentazioni che lo sorreggono) fa venir meno l’interesse del ricorrente all’esame dei motivi dedotti contro tali ulteriori argomentazioni” (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 10 giugno 2005, n. 3052)” – così T.A.R. Bari, sez 1, sent. 12/2/14 n. 627).
Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite tra tutte le parti, stante la complessità  del quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa le spese di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità  amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 14 gennaio 2016 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Desirèe Zonno, Presidente FF
Viviana Lenzi, Referendario, Estensore
Cesira Casalanguida, Referendario
 
 
 
 

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/02/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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