1. Pubblica sicurezza – Permesso di soggiorno – Rinnovo – Diniego – Traduzione – Mancanza – Illegittimità – Non sussiste
2. Pubblica sicurezza – Permesso di soggiorno – Rinnovo – Condanna penale – Favoreggiamento della prostituzione – Sentenza non definitiva – Diniego – Natura vincolata
1. La mancata traduzione del provvedimento di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno in una lingua comprensibile alla parte non può inficiare, secondo giurisprudenza unanime, la legittimità dello stesso, determinando semmai l’eventuale rimessione in termini, al fine di consentire di svolgere con compiutezza e piena consapevolezza l’impugnazione. (Nel caso di specie, peraltro, non solo non è stata prospettata dalla difesa della ricorrente alcuna deminutio del diritto difesa in funzione di una richiesta di rimessione in termini, ma sussistono diversi indizi che concorrono a far ritenere che la parte fosse ben in grado, all’atto della comunicazione del provvedimento, di comprendere la lingua italiana e quindi di percepire appieno il suo contenuto lesivo.)
2. In tema di mancato rinnovo del permesso di soggiorno, deve rilevarsi l’insussistenza in capo all’Amministrazione del potere discrezionale di verifica circa la personalità complessiva dell’interessata, ove condannata, anche con sentenza non definitiva, per il reato di favoreggiamento della prostituzione, atteso che esso rientra chiaramente tra i reati “diretti allo sfruttamento della prostituzione”, condividendone lo stesso disvalore sociale e antigiuridicità , ed è pertanto assolutamente ostativo al rinnovo del permesso di soggiorno in base ad una valutazione di pericolosità sociale operata ex ante dal legislatore e riconosciuta legittima dalla Corte Costituzionale.
N. 01231/2015 REG.PROV.COLL.
N. 00775/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 775 del 2015, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentata e difesa dall’avv. Vincenzo Sforza, con domicilio eletto presso la Segreteria del T.A.R. Puglia – Bari in Bari, P.za Massari, 6;
contro
Questura di Bari, Ministero dell’Interno, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, entrambi rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari, domiciliataria in Bari, Via Melo, 97;
per l’annullamento
previa sospensiva,
1) del decreto n. CAT.A.11/2015/Imm. n. 18/P.S. del Questore di Bari del 13 marzo 2015, notificato il 20 marzo 2015;
2) di ogni altro atto comunque presupposto, connesso o consequenziale, ancorchè non conosciuto;
per l’accertamento del diritto della ricorrente al rilascio del permesso di soggiorno per lavoro autonomo o di altro valido titolo di soggiorno;
e per la condanna della Pubblica Amministrazione al risarcimento di tutti i danni patiti e patiendi dalla ricorrente a causa della illegittima condotta dalla stessa assunta;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Questura di Bari e del Ministero dell’Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 52 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, commi 1 e 2;
Relatore nella Camera di Consiglio del giorno 2 luglio 2015 la dott.ssa Paola Patatini e uditi per le parti i difensori, avv. Vincenzo Sforza e avv. dello Stato Giovanni Cassano;
Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;
Rilevato che col presente gravame, la ricorrente si duole del mancato rinnovo nei suoi confronti del permesso di soggiorno per lavoro subordinato, motivato sulla presupposta condanna, dalla stessa riportata con sentenza n. 2762/12 della II Sezione Penale del Tribunale di Bari, non ancora definitiva, ad 1 anno e 4 mesi di reclusione e 400 euro di multa per il reato di favoreggiamento della prostituzione;
Rilevato in particolare che avverso il provvedimento impugnato la parte censura, in sisntesi, l’omessa traduzione nella lingua madre, la violazione di legge con riferimento all’art.5, D.lgs. n. 286/98, nonchè eccesso di potere sotto diversi profili;
Ritenuto che le censure suddette si rivelino manifestamente infondate sotto diversi aspetti;
Considerato infatti che la mancata traduzione dell’atto in una lingua comprensibile alla parte non può inficiare, secondo giurisprudenza unanime, la legittimità dello stesso, determinando semmai l’eventuale rimessione in termini, al fine di consentire di svolgere con compiutezza e piena consapevolezza l’impugnazione e che comunque, nel caso di specie, non solo non è stata prospettata dalla difesa della ricorrente alcuna deminutio del diritto difesa in funzione di una richiesta di rimessione in termini, ma sussistono diversi indizi che concorrono a far ritenere che la parte fosse ben in grado, all’atto della comunicazione del provvedimento, di comprendere la lingua italiana e quindi di percepire appieno il suo contenuto lesivo, quali il suo regolare soggiorno in Italia dal 2005, lo svolgimento di attività lavorativa, e la perfetta integrazione della straniera come dichiarata dalla stessa;
Rilevata altresì la natura doverosa e vincolata del diniego impugnato derivante dalla portata ostativa del precedente penale a carico della ricorrente, atteso che ai sensi dell’art. 4 comma 4, d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286, è legittimo il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno allo straniero condannato, anche con sentenza non definitiva, per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione (cfr. Cons. St., sez. III, 31 ottobre 2011, n. 5825);
Considerato infatti che il reato di favoreggiamento della prostituzione, per il quale la ricorrente è stata condannata, rientra chiaramente tra i reati “diretti allo sfruttamento della prostituzione”, condividendone lo stesso disvalore sociale e antigiuridicità , ed è pertanto assolutamente ostativo al rinnovo del permesso di soggiorno in base ad una valutazione di pericolosità sociale operata ex ante dal legislatore e riconosciuta legittima dalla Corte Costituzionale (sent. 148/2008 e 172/2012);
Rilevata dunque l’insussistenza in capo all’Amministrazione di alcun potere discrezionale di verifica circa la personalità complessiva della ricorrente, salvo l’eccezionale “sopravvenienza di nuovi elementi”, che, come già riconosciuto in un precedente della Sezione (sent. n. 763/2015 e giurisprudenza ivi citata) possono riguardare unicamente fatti successivi relativi alla condanna riportata, quali dunque una sentenza di appello o di cassazione o di revisione, tali da far venir meno la condanna ostativa, ipotesi tuttavia non verificatesi nella fattispecie;
Ritenuto pertanto che per tutto quanto sopra esposto, il ricorso debba essere respinto;
Ravvisati infine giustificati motivi dati dalla natura delle questioni trattate, legate ai diritti fondamentali della persona, per disporre la compensazione delle spese di lite tra le parti;
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Bari, Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti e della dignità della parte interessata, per procedere all’oscuramento delle generalità e degli altri dati identificativi della parte, manda alla Segreteria di procedere all’annotazione di cui ai commi 1 e 2 della medesima disposizione, nei termini indicati.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 2 luglio 2015 con l’intervento dei magistrati:
Antonio Pasca, Presidente
Giacinta Serlenga, Primo Referendario
Paola Patatini, Referendario, Estensore
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 07/09/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)