La cancellazione della causa dal ruolo nel
processo amministrativo
(giurisprudenza, prassi e diritto positivo)
di Michele Didonna[1]
1. La cancellazione della causa
dal ruolo (tra processo amministrativo e civile) – 2. La cancellazione della
causa dal ruolo nel processo amministrativo – Intro – 2.1. Natura giuridica,
presupposti ed effetti – 2.2. I soggetti legittimati a richiederla – 2.3.
Contenuto, forma e ragioni della cancellazione dal ruolo – 2.4. Modalità di
comunicazione – 3. Nei procedimenti
cautelari – 4. Negli altri procedimenti in Camera di consiglio ex art. 87 c.p.a. – 5. Nel rito
abbreviato ex art. 119 c.p.a. – 5.1 Segue. Nelle controversie a oggetto
procedure di affidamento di contratti pubblici.
1.
La cancellazione della causa dal ruolo (tra processo amministrativo e civile)
Il codice del processo
amministrativo fa espressa menzione, all’art. 71, comma 1°, dell’istituto della
cancellazione della causa dal ruolo, prevedendo che da essa decorra il termine di
un anno per la presentazione dell’istanza di fissazione dell’udienza, a pena della
perenzione del ricorso ex art. 81[2].
Tuttavia sembra, quantomeno, impropria la
frequente disposizione da parte dei Tribunali amministrativi della
cancellazione della causa “ai sensi dell’art. 71”; se è vero, infatti, che la
norma testualmente cita l’istituto, è altrettanto condiviso che essa non
rimanda ad alcun potere del giudice amministrativo di disporla, in tal chè solo
postulandolo[3].
Epperò, la cancellazione dal ruolo, com’è risaputo,
conosce una vasta applicazione nella prassi del processo amministrativo per evidenti
finalità di economia processuale, apparendo sovente opportuno soprassedere sull’esame
e la decisione di una controversia, allorquando siano intervenute
sopravvenienze fattuali o giuridiche astrattamente in grado di incidere
sensibilmente sull’oggetto del giudizio.
Occorre così comprendere cosa il legislatore
abbia inteso riferendosi (all’art. 71 c.p.a.) alla cancellazione della causa
dal ruolo, e quali siano i casi in cui la stessa può essere sancita. Stante la
mancanza di altre disposizioni all’interno del c.p.a. dedicate all’istituto, ci
si chiede se sia possibile richiamare, in virtù della clausola generale di
rinvio ex art. 39 c.p.a., la
disciplina in terminis prevista dal
c.p.c..
Tra l’altro, è verosimile che il legislatore
stesso abbia alluso all’istituto in senso civilistico, ove pure si consideri
che nel diritto processuale amministrativo non v’è un ruolo sul quale i ricorsi
sono annotati, bensì un registro: di talchè neppure potrebbe, a rigore,
parlarsi di cancellazione della causa “dal ruolo”.
Giova peraltro osservare come nel sistema
processual-civilistico, similmente, non si rintracci una disposizione ad hoc afferente l’istituto della
cancellazione della causa.
àˆ tuttavia previsto, a differenza di quanto
accade nel c.p.a., in diverse disposizioni quale conseguenza collegata all’inerzia
delle parti processuali, che determina, in taluni casi, l’ingresso del processo
in uno stato di quiescenza, in altri, la sua immediata estinzione.
Il rito civile contempla, segnatamente all’art.
307 c.p.c., le ipotesi di estinzione del giudizio che derivano dalla
“inattività delle parti”.
Con questa espressione il legislatore ha preso
in considerazione l’omissione di alcuni atti tassativamente individuati, che
denotano il venir meno di un interesse delle parti alla prosecuzione del
giudizio (e così alla decisione di merito).
Si tratta di strumenti d’impulso ritenuti
essenziali, sicchè, al loro mancato compimento, segue l’estinzione del
processo.
Il codice di rito civile distingue, così, tra circostanze
in cui l’estinzione si verifica in ragione di una doppia condotta omissiva e quelle
in cui essa scaturisce tout court al
mancato compimento di un atto processuale nel termine perentorio[4].
Sicchè necessita appurare se la conformazione del
processo amministrativo risulti ontologicamente compatibile con le suesposte circostanze
previste in area civilistica di cancellazione della causa prodromica alla sospensione
del processo.
Per quel che concerne la mancata costituzione
delle parti nei termini di legge disciplinata dall’art. 171, comma 1° c.p.c., è
opportuno precisare che la stessa fa riferimento, evidentemente, non già al
caso in cui sia mancata la costituzione di entrambe le parti, bensì a quello ove
v’è stata iscrizione a ruolo in virtù di una costituzione tardiva, non sanata
dalla previa regolare costituzione dell’altra parte: è in questo caso che il
giudice presenzierà alla prima udienza unicamente al fine di disporre la
cancellazione della causa dal ruolo.
Orbene, l’armonizzazione di siffatta ipotesi col
processo amministrativo pare doversi escludere, atteso che in quest’ultimo
diversa è la configurazione delle conseguenze dei ritardi nella costituzione
delle parti.
L’art. 45 c.p.a. prevede che il ricorso sia
depositato, unitamente agli altri atti processuali soggetti a preventiva
notificazione (non “entro dieci giorni” dal perfezionamento dell’ultima
notificazione dell’atto anche per il destinatario come dispone l’art. 165
c.p.c., bensì), “nel termine perentorio di trenta giorni”.
Si è in presenza di un adempimento sottratto
alla disponibilità delle parti che esclude ab
origine la concepibilità di un deposito tardivo idoneo a dar luogo, secondo
il modello civilistico – ove non sanato dalla costituzione dell’altra parte – a
una cancellazione della causa dal ruolo. A suffragare la tesi concorre l’art.
35 c.p.a., nella misura in cui prevede che il giudice dichiari, anche
d’ufficio, irricevibile il ricorso qualora accerti la tardività del deposito.
Analoga sorte sembra attendere all’altra circostanza
considerata dal c.p.c., di mancata citazione del terzo per ordine del giudice,
nel termine dallo stesso assegnato (art. 270, comma 2°).
L’art. 51 c.p.a. dedicato all’intervento del
terzo per ordine del giudice, afferma applicabile l’art. 49 comma 3, terzo
periodo, che prevede, per il caso in cui l’atto di integrazione del
contraddittorio non sia stato tempestivamente notificato e depositato, che il giudice
provveda ai sensi dell’art. 35, ossia dichiarando il ricorso improcedibile.
Eppertanto, anche nell’ipotesi in parola, sembra
potersi escludere la cancellazione della causa dal ruolo, dovendosi, invece,
dichiarare l’improcedibilità del gravame.
In quali circostanze, allora, il giudice
amministrativo dispone la cancellazione della causa dal ruolo?
Data l’assenza di concludenti riferimenti
normativi, come anche il sostanziale silenzio serbato dalla letteratura[5],
è utile vagliare i contorni che l’istituto ha assunto in sede curiale.
2.
La cancellazione della causa dal ruolo nel processo amministrativo
Intro
àˆ non d’uopo premettere che la cancellazione
della causa dal ruolo è sovente invocata dalle parti a guisa di alternativa a
quella di rinvio dell’udienza di discussione[6].
Com’è noto, l’ordinamento non conosce norma giuridica
o principio che, nel contesto di detto processo, attribuisca alle parti in
causa un “diritto al rinvio” della discussione del ricorso. Le stesse hanno,
invece, la facoltà di illustrare al giudice le ragioni che potrebbero militare
per il differimento dell’udienza o la cancellazione della causa, ma la determinazione
finale in ordine ai concreti tempi della decisione spetta comunque a
quest’ultimo[7].
àˆ stato sul punto rilevato che la richiesta di
cancellazione della causa dal ruolo, deve trovare fondamento giuridico in gravi
ragioni idonee a incidere, se non tenute in considerazione, sulle fondamentali
esigenze di tutela del diritto di difesa costituzionalmente garantite: pur
essendo anche il processo amministrativo regolato dal principio dispositivo, in
esso non trovano evidenza esclusivamente interessi privati, ma ottengono composizione
e soddisfazione anche quelli pubblici che vi sono coinvolti[8].
Va precisato, del resto, che essa, ove
accordata, non influisce in ordine alla pendenza del giudizio, ma comporta solo
il ritorno alla parte dell’onere di impulso alla sua prosecuzione, da
realizzarsi mediante nuova istanza di fissazione d’udienza[9].
Al contrario, è opportuno segnalare che la
cancellazione dal ruolo non è, mentitamente, praticabile in tutte le situazioni
in cui si profili in capo alla parte una sostanziale carenza d’interesse al
ricorso, ovvero la cessazione della materia del contendere; l’interessato, in
siffatte circostanze, può fruire di altri strumenti che, anzichè arrestarsi
all’aspetto ordinatorio e contrastare il ricordato principio costituzionale,
affondino nella qualificazione del suo interesse a ricorrere, rilevandone la
sopravvenuta inattualità : gli istituti praticabili, negl’illustrati scenari, sono
l’improcedibilità , la rinuncia e la declaratoria di cessazione della materia
del contendere, che determinano similmente l’estinzione del processo[10].
2.1. Natura giuridica, presupposti ed effetti
Il provvedimento in parola viene
diffusamente assimilato quoad effectum,
e a motivo degli scopi cui assolve, alla sospensione del processo disciplinata ex art. 296 c.p.c., non già all’omologa
ordinanza di cui all’art. 181 c.p.c.; peraltro l’affinità teleologica tra i due
istituti si riverbera sul piano applicativo, essendosi sottolineato come la cancellazione
dal ruolo ripeta della sospensione l’essenziale “isomorfismo strutturale” [11].
Ne consegue che suo presupposto è l’accordo di
tutte le parti costituite; diversamente, il giudice che accogliesse la relativa
istanza promanante dal ricorrente, in mancanza dell’assenso delle controparti
con os ad loquendum, darebbe seguito
a un’ingiustificata violazione dell’obbligo di celere definizione del giudizio:
dovere che trova attualmente diretta copertura costituzionale nel principio
della ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.).
La cancellazione dal ruolo risulta, pertanto,
essere istituto formale di amministrazione dello sviluppo processuale che, pur
avendo per fine pratico la sola neutralizzazione della richiesta di trattazione
da parte del giudice amministrativo, non altera la persistenza della volontà in
capo all’interessato su cui si fonda la domanda e non incide, per l’effetto, ex se (ove non reiterata), sulla
sussistenza delle condizioni dell’azione (con particolare riferimento all’interesse
ad agire), dovendosi supporre la permanenza
dell’intentio, in capo
all’interessato, di attingere una, sia pur futura, definizione della domanda di
giustizia[12].
Sotto altro crinale è stato sottolineato come l’istituto
in questione, da un lato, è opportuno per prevenire la proposizione di domande
giudiziali di liquidazione dell’indennizzo ai sensi della L. 24 marzo 2001, n.
89 e s.m.i.: potendo il collegio evidenziare – ai fini di cui all’art. 2, comma
2, e 2 quinquies, lett. f) della
medesima legge – che il protrarsi del giudizio è dovuto al contegno delle
parti; dall’altro, ove venga disposto, non rende vano il decorso del tempo in
riferimento all’art. 71 c.p.a., atteso che exart. 81 c.p.a. il procedimento dovrà essere dichiarato perento al decorso di un
anno dalla cancellazione, realizzandosi in tal chè un contemperamento tra il
principio dispositivo che innerva il processo amministrativo e il valore
fondamentale della ragionevole durata dello stesso[13].
Sebbene prima dell’entrata in vigore del codice
del processo amministrativo, è stato ancora precisato, con largo respiro di
principio, che all’istituto sia attribuita la funzione sostanziale di non
protrarre indefinitamente lo “stato di incertezza in cui si trovano i
provvedimenti amministrativi impugnati”, sorretti dal principio di presunzione
di legittimità [14].
2.2. I soggetti legittimati a richiederla
L’art. 71 c.p.a. attribuisce “a
una delle parti” la facoltà di chiedere la fissazione dell’udienza entro il
termine massimo di un anno dal deposito del ricorso o dalla cancellazione della
causa dal ruolo, di talchè arguendosi che la richiesta di cancellazione possa del
pari provenire da coloro che, per testuale volontà legislativa, risultino
titolari del potere di evitare la perenzione del ricorso proponendo istanza di
fissazione dell’udienza; intendendo, beninteso, il tenore letterale della
locuzione come riferito alle parti necessarie costituite in giudizio e, così, anche
al controinteressato o alla P.A. resistente[15].
Si è al riguardo statuito che, in presenza del
provvedimento di cancellazione della causa, l’impulso di parte per la
prosecuzione del giudizio (sia esso un’istanza di fissazione o una
riassunzione), non può essere validamente sostituito da un’iniziativa d’ufficio:
essa, infatti, si porrebbe in contrasto non solo con il principio dispositivo,
ma anche con quello di tutela del contraddittorio e della parità delle parti,
integrando, agli effetti finali, una violazione del diritto di difesa[16].
Occorre precisare, tuttavia, che la
presentazione dell’istanza di cancellazione su iniziativa di una delle parti è
condizione certamente necessaria, ma non ex
se sufficiente all’accoglimento della stessa; a tal fine, come prima
cennato, indispensabile è l’accordo, o almeno la non opposizione, di tutte le
altre parti costituite[17],
finanche ove vi sia stata la revoca della domanda di fissazione dell’udienza di
trattazione da parte dell’unica parte che l’abbia avanzata[18].
E ciò, in quanto, una volta che l’udienza di
discussione sia stata fissata, il suo svolgimento non è più nella esclusiva
disponibilità della parte che vi ha dato impulso attraverso la presentazione
della relativa istanza, essendo la fissazione diretta a soddisfare il comune
interesse di tutte le parti alla definizione della lite[19].
Per quanto si tratti di una possibilità consustanziale
al principio di disponibilità della tutela giurisdizionale, vi è per
l’interessato un limite intrinseco di ragionevolezza all’utilizzabilità
dell’istituto in discorso, rappresentato dal possibile, concreto contrasto con
il principio costituzionale di ragionevole durata del processo[20];
può essere così respinta l’istanza di cancellazione di una causa risalente nel
tempo, allorchè essa, più che a consentire la definizione bonaria della lite
nel breve periodo, si mostri all’organo giusdicente, strumentalmente
preordinata a conservare nel tempo gli effetti favorevoli di un’ordinanza
cautelare già ottenuta[21].
2.3. Contenuto, forma e ragioni della cancellazione dal ruolo
La cancellazione della causa
dal ruolo, sebbene atto dotato di natura ordinatoria, deve essere motivata,
ancorchè sinteticamente, dal giudice amministrativo[22].
Per quanto concerne la sua veste formale, il
provvedimento de quo potrà atteggiarsi
indifferentemente a ordinanza, qualora venga recepito dal collegio, oppure a
decreto, laddove a concederlo sia il presidente, configurandosi in quest’ultima
circostanza quale contrarius actusrispetto al decreto presidenziale di fissazione dell’udienza.
Come anticipato, l’esercizio dei poteri
processuali resta affidato al giudice, al quale il legislatore rimette (il “labor improbus”) di contemperare, in
attuazione del dettato costituzionale, le esigenze della ragionevole durata del
processo con quelle della difesa processuale. Pertanto, non essendo dato, come
parimenti si è riferito, rinvenire alcuna norma giuridica o principio di
diritto, idoneo ad attribuire al ricorrente il “diritto potestativo al rinvio”
della discussione del ricorso (quand’anche motivato dall’esigenza di acquisire
elementi istruttori necessari per la migliore difesa in giudizio), permane
nella titolarità della parte interessata la mera facoltà di illustrare al
giudice le ragioni che potrebbero giustificare il differimento dell’udienza o
la cancellazione della causa dal ruolo, essendo la decisione finale in ordine
ai concreti tempi della discussione rimessa comunque al giudice, il quale deve
verificare, in rapporto alla fattispecie concreta oggetto della sua
delibazione, l’effettiva opportunità di rinviare l’udienza.
Eppertanto, solo in presenza di situazioni
particolarissime, direttamente incidenti sul diritto di difesa delle parti, il
rinvio dell’udienza è per il giudice (monocratico o collegiale) doveroso e, in tale
area, la giurisprudenza ha collocato, fra l’altro, i casi di impedimenti
personali del difensore o della parte[23],
nonchè quelli in cui, per effetto delle produzioni documentali effettuate
dall’amministrazione, occorra riconoscere alla parte che ne faccia richiesta il
termine per la proposizione dei motivi aggiunti[24].
Nella tracciata prospettiva è, dunque, ben
plausibile che il G.A. possa respingere un’istanza di cancellazione pur
condivisa da tutte le parti processuali, ove la ritenga non adeguatamente
circostanziata e fondata, o, viceversa, accoglierla, ravvisandone
l’opportunità , ancorchè invocata da una sola delle parti costituite.
2.4. Modalità di comunicazione
Il provvedimento giudiziale di
cancellazione del ricorso dal ruolo (decreto presidenziale o ordinanza
collegiale) postula, in linea di principio, la sua comunicazione formale alle
parti costituite nel processo.
Detto adempimento, tuttavia, ex art. 33, comma 3 c.p.a., risulta non
indispensabile nel caso in cui la cancellazione sia disposta in udienza, alla
presenza dei difensori delle parti, e contestualmente riportata nel relativo
verbale, coerentemente con la regola generale che individua nei difensori
medesimi i destinatari di tutte le notificazioni e comunicazioni rivolte ai
soggetti da essi rappresentati (cfr. art. 170 c.p.c., applicabile anche al
processo amministrativo in virtù dell’art. 39 c.p.a.).
Pertanto, è stata ritenuta legittima la
dichiarata perenzione per inattività , a decorrere dalla data di cancellazione
della causa dal ruolo, laddove il verbale di udienza abbia dato atto della
presenza dei difensori delle parti e della decisione del presidente di disporre
la cancellazione del ricorso dal ruolo[25].
3.
Nei procedimenti cautelari
Nella prassi forense vengono adottati
assai spesso – previa istanza delle parti – provvedimenti di cancellazione del
ricorso, altresì, dal “ruolo delle sospensive”[26].
Alla luce di quanto rilevato, appare d’intuibile
evidenza il carattere improprio della locuzione[27].
Si è prima evidenziato che non esistendo tecnicamente
un ruolo, quanto piuttosto un registro generale dei ricorsi, nel giudizio
amministrativo solo fittiziamente può alludersi a una cancellazione della causa
dal ruolo; se tanto è condiviso, a
fortiori deve considerarsi inesatta l’allusione a un ruolo dei procedimenti
cautelari, pur volendo riferirsi a un “registro”: non è dato, infatti,
rinvenire un registro dei procedimenti cautelari autonomo e distinto da quello
dei ricorsi, essendo le istanze cautelari individuate con lo stesso numero di
registro dei correlati giudizi, in ragione del vincolo di strumentalità che
lega il giudizio cautelare alla pronuncia sul merito della controversia[28].
Conforta l’esposta tesi l’art.
1 dell’All. 2 al c.p.a., che si limita a prescrivere la tenuta presso ciascun
ufficio giudiziario del registro di presentazione dei ricorsi, diviso per
colonne, nel quale sono annotate tutte le informazioni occorrenti per accertare
con esattezza la presentazione del ricorso, del ricorso incidentale, della
domanda riconvenzionale, dei motivi aggiunti, della domanda di intervento,
degli atti e documenti prodotti, nonchè le notificazioni effettuate,
l’esecuzione del pagamento del contributo unificato, l’indicazione dei mezzi
istruttori disposti o compiuti e i provvedimenti adottati.
Parimenti, il successivo art. 2, nell’elencare i
“registri particolari” che le segreterie degli organi di giustizia
amministrativa devono tenere non fa alcuna menzione del registro dei
procedimenti cautelari, unicamente prevedendo: a) il registro delle istanze di
fissazione di udienza; b) il registro delle istanze di prelievo; c) il registro
per i processi verbali di udienza; d) il registro dei decreti e delle ordinanze
del presidente; e) il registro delle ordinanze cautelari; f) il registro delle
sentenze e degli altri provvedimenti collegiali; g) il registro dei ricorsi
trattati con il beneficio del patrocinio a spese dello Stato; g-bis) il registro
dei provvedimenti dell’Adunanza plenaria.
Ferma restando l’evidenziata improprietà
del riferimento a un “ruolo dei procedimenti cautelari”, sembra utile verificare
se la cancellazione disposta in ambito cautelare abbia una ragion d’essere, ovvero
se sia rintracciabile una propria giustificazione nell’economia generale del
sistema processual-amministrativo; urge, in altri termini, chiedersi se lo
stato di quiescenza (la riferita “sospensione quoad effectum”) scaturente dalla cancellazione della causa dal
ruolo, come delineata dagli artt. 71 e 81 c.p.a., risulti compatibile con le
esigenze sottese al procedimento d’urgenza.
Al quesito dovrebbe darsi esito negativo.
Accedendo a un’interpretazione letterale dei
dispositivi delle ordinanze di consueto stilate in materia (“dispone la
cancellazione del ricorso dal ruolo dei procedimenti cautelari”[29]),
dovrebbe assumersi che a entrare in stato di quiescenza sia proprio il
procedimento cautelare, in quanto è lo stesso a esser cancellato.
Tuttavia, siffatta conclusione si evince
confliggente con la funzione stessa ex
lege assegnata alla tutela cautelare, la quale – essendo, com’è noto, volta a evitare che
durante il tempo necessario per la definizione del giudizio, la situazione giuridica
sottoposta a scrutinio venga irreparabilmente compromessa – non sembra, per sua
intrinseca natura, poter condividere uno stato di sospensione.
Sarebbe altrimenti illogico ritenere che una
volta disposta su istanza di parte la cancellazione del procedimento cautelare,
cominci a decorrere il termine di un anno per la presentazione di quell’istanza
di fissazione dell’udienza prevista dall’art. 55, comma 4 c.p.a. quale
condizione di procedibilità della domanda di cautela, se non altro perchè tanto
si tradurrebbe nella negazione ipso factodella gravità e irreparabilità del pregiudizio che, sola, legittima la
concessione della misura[30].
Si soggiunga che tale interpretazione, seppur costruibile
in astratto, non è concretamente percorribile, data l’espressa previsione,
all’interno del c.p.a., di uno strumento idoneo ad attingere lo stesso approdo
derivante dall’impropria cancellazione dal ruolo dei procedimenti cautelari.
Il riferimento è al comma 4 dell’art 84 c.p.a.,
il quale, com’è noto, stabilisce che il giudice, anche qualora le parti non
presentino un atto di rinuncia osservando le formalità dei commi precedenti,
possa comunque desumere dall’intervento di fatti o atti univoci dopo la
proposizione del ricorso, e altresì dal comportamento delle parti, argomenti di
prova della sopravvenuta carenza d’interesse alla decisione della causa, sì
pervenendo, alla stregua di quanto previsto dall’art. 35, comma 1, lett. c)
c.p.a., alla dichiarazione di improcedibilità del ricorso.
In effetti, riguardando il medesimo istituto da
una diversa angolazione, si può desumere che la richiesta di cancellazione dal
ruolo delle sospensive non sia, se non un’implicita dichiarazione di rinuncia
all’istanza d’urgenza, motivata dalla sopravvenuta perdita d’interesse al
conseguimento della misura inizialmente aspirata.
Al cospetto di siffatta domanda, pertanto, il giudice
potrebbe non già disporre – come invocato dalle parti – la cancellazione del
ricorso dal ruolo delle sospensive, bensì dichiarare la domanda cautelare
improcedibile per rinuncia, in base al principio ex art. 35, comma 1, lett. c), come tale estendibile eadem ratione ai citati pronunciamenti,
con le relative conseguenze altresì in ordine alla pronuncia sulle spese legali.
Le parti, in tal modo, non vedrebbero pregiudicata
la possibilità di coltivare il giudizio ove il fatto – una trattativa per la
composizione extragiudiziale della querelle- che le aveva indotte a rinunciare (con la richiesta di cancellazione)
all’istanza cautelare, si riveli poi inidoneo a soddisfare le proprie aspettative:
si potrebbe, così, procedere alla celebrazione del giudizio di merito,
nonostante la dichiarazione d’improcedibilità dell’incidente cautelare.
Onde evitare il rischio di incorrere nella perenzione
ultraquinquennale, ferma restando la validità della istanza di fissazione
dell’udienza avanzata ai fini della procedibilità della domanda cautelare – non
essendo, dunque, necessaria la presentazione di una nuova istanza di fissazione
– sarebbe utile un’istanza di prelievo, per segnalare al giudice la necessità
di una tempestiva decisione del gravame, sì anticipando l’udienza di discussione
la cui fissazione potrebbe, diversamente, coprire tutto lo spazio dei cinque
anni dal deposito dello stesso[31].
4.
Negli altri procedimenti in Camera di consiglio ex art. 87 c.p.a.
Per esaminare la compatibilità
della cancellazione della causa dal ruolo con gli altri procedimenti camerali, come
elencati nelle lettere da b) a e) dell’art. 87 c.p.a., deve prendersi abbrivio dalla
considerazione circa la natura, prima individuata, della cancellazione nel
contesto del processo amministrativo.
Si è in particolar modo affermato come fra le
due tipologie concepite nel c.p.c. (quella volta a far entrare il processo in uno
stato di quiescenza e quella invece determinante l’estinzione immediata dello
stesso), quella che, alla stregua di quanto previsto dall’art. 71 c.p.a., sembra
riconoscibile nell’hortus processuale
amministrativo è la sua quiescenza.
è proprio
la prefata conformazione dell’istituto a far propendere per un’incompatibilità strutturale
dello stesso con i procedimenti camerali.
Va considerato come, in accordo con l’art. 87,
comma 3 c.p.a.: “¦ la camera di consiglio è fissata d’ufficio alla prima
udienza utile successiva al trentesimo giorno decorrente dalla scadenza del
termine di costituzione delle parti intimate”. In tali casi, dunque, non è contemplato in
capo alle parti l’onere di presentazione dell’istanza di fissazione
dell’udienza, sicchè appare evidente l’inconciliabilità di detti procedimenti con
la cancellazione della causa dal ruolo, invero individuata proprio quale dies a quo del termine annuale per la
presentazione dell’istanza di fissazione dell’udienza.
La conseguenza che in tali circostanze si
avrebbe, ove fosse comunque disposta la cancellazione dal ruolo, sarebbe
l’ingresso del processo in uno stato di congelamento atemporale, atteso che una
volta decorso il termine di un anno dalla stessa, senza che le parti abbiano
presentato istanza di fissazione dell’udienza, non potrebbe aversi perenzione ex art. 81 c.p.a., considerata la non
sussistenza in capo alle stesse di siffatto onere. àˆ il caso di evidenziare che
neppure potrebbe, nelle medesime evenienze, applicarsi la regola della
perenzione dei ricorsi ultraquinquennali, atteso che l’art. 82, comma 1°
c.p.a., espressamente si riferisce all’onere del ricorrente di presentare nuova
istanza di fissazione di udienza, sì escludendo che detta disciplina possa operare
in questi ambiti in cui nessuna domanda v’è stata, in virtù della fissazione
d’ufficio.
Sulla scorta di quanto illustrato può plausibilmente
dedursi che il giudice, esclusa la praticabilità nei descritti procedimenti
della cancellazione dal ruolo, potrebbe – valutati i motivi addotti a sostegno
di una richiesta pur congegnata in questi termini – non già dichiarare, come
nei giudizi cautelari, il ricorso improcedibile, bensì disporre un rinvio della
causa ad altra udienza[32].
Soltanto in questo modo le parti – analogamente
a quanto accade ove vi sia la cancellazione della causa – non vedrebbero
pregiudicata la possibilità di proseguire il giudizio, qualora la circostanza che
aveva suggerito d’instare la cancellazione si riveli, poi, inefficace a soddisfare
le proprie ambizioni ab origine trasfuse
nel ricorso giurisdizionale[33].
5.
Nel rito abbreviato ex art. 119
c.p.a.
Il codice del processo
amministrativo disciplina, come noto, all’art. 119 il cd. “rito abbreviato” applicabile
nei giudizi aventi a oggetto le controversie ivi individuate[34].
Ferma restando la validità – anche nell’ambito di
tale processo – delle osservazioni innanzi rassegnate in ordine all’incompatibilità
della cancellazione della causa dal ruolo con la sessione cautelare, sembra
proficuo invece verificare se con lo stesso risulti armonizzabile la
cancellazione disposta dal G.A. su istanza di parte in sede di udienza
di discussione.
A tal riguardo è d’uopo muovere da quanto il
legislatore ha stabilito con riferimento ai possibili esiti della tutela
cautelare. Segnatamente, l’art. 119, al comma 3, prevede che il collegio, ferma
restando l’applicazione della disciplina prevista nel rito ordinario e la
possibilità – ex art. 60 c.p.a. – di
definire, alla camera di consiglio per la decisione dell’istanza di sospensiva,
la causa nel merito con sentenza in forma semplificata, qualora ritenga che
sussistano profili di fondatezza del ricorso oltrechè un pregiudizio grave e
irreparabile, fissi con ordinanza la discussione del merito alla prima udienza
successiva alla scadenza del termine di trenta giorni dalla data di deposito
dell’ordinanza, altresì disponendo, in caso di estrema gravità e urgenza, le
opportune misure cautelari. E ancora, che nel caso in cui il giudice d’appello
provveda a riformare l’ordinanza di reiezione del T.A.R., che quest’ultimo fissi
l’udienza di merito entro trenta giorni decorrenti dalla data di ricevimento,
da parte della segreteria, dell’ordinanza del Consiglio di Stato.
In sostanza, il legislatore ha disposto che
l’accoglimento dell’istanza cautelare si accompagni alla fissazione in tempi
brevi dell’udienza di merito, sì evitando l’eccessiva dilatazione della fase
cautelare in favore di una rapida definizione della controversia, resa ovviamente
agevole dalla creazione di un meccanismo certo e inderogabile di collegamento
tra fase cautelare e quella di merito.
Nel tratteggiato contesto, dunque, non pare
potersi riconoscere spazio alla cancellazione della causa dal ruolo, risultando
per vero, lo stato di quiescenza dalla stessa derivante, inconciliabile con la
primazia dell’esigenza di celere definizione della controversia: indubbiamente perseguita
con la disciplina illustrata.
Non è da escludere che le evenienze prese in
considerazione dal comma 3 dell’art. 119 c.p.a. poi in concreto non si
verifichino e, pertanto, l’udienza di merito sia fissata secondo le ordinarie
modalità e non già d’ufficio entro un breve termine. Cionondimeno, anche in
relazione a tali ipotesi risulterebbe arduo ricavare un’area applicativa per la
cancellazione della causa.
Trattasi, invero, pur sempre di controversie in
relazione alle quali il legislatore ha inteso accelerare lo svolgimento del giudizio,
in ragione della pregnanza degli interessi in campo e della peculiare urgenza a
essi connessa. Basti, così, pensare alla contrazione dei termini processuali; il
comma 2 dell’art. 119 c.p.a. prevede il dimezzamento di tutti i termini
processuali. Fanno eccezione soltanto, nei giudizi di primo grado, i termini
per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei
motivi aggiunti, nonchè il termine per proporre appello avverso l’ordinanza
cautelare e, in via residuale, i termini processuali diversamente disciplinati
dalla stessa disposizione.
O, ancora, alla pubblicazione anticipata del
dispositivo: l’art. 119, comma 5, statuisce che il giudice proceda con tale
adempimento non oltre sette giorni dalla decisione della causa, qualora almeno
una delle parti, nell’udienza di discussione, gliene faccia richiesta
dichiarando di averne interesse.
5.1Segue. Nelle controversie a oggetto
procedure di affidamento di contratti pubblici.
Non dissimile incompatibilità morfologica
sembra ritraibile in relazione ai giudizi aventi a oggetto le controversie
relative ai provvedimenti concernenti le procedure di affidamento degli appalti
pubblici.
àˆ sufficiente a tal proposito osservare come
l’art. 120, comma 6, c.p.a., nella formulazione risultante dalle modifiche
portate dall’art. 40, D.L. n. 90/2014 conv. dalla L. n. 114/2014, espressamente
preveda che il giudizio, ferma la possibilità della sua definizione immediata
nell’udienza cautelare ove ne ricorrano i presupposti, venga comunque definito
con sentenza in forma semplificata a un’udienza fissata d’ufficio e da tenersi
entro trenta giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti
diverse dal ricorrente. Si stabilisce, pertanto, che la definizione del merito sia
rinviata soltanto in caso di esigenze istruttorie o qualora sia necessario integrare
il contraddittorio o assicurare il rispetto di termini a difesa: in presenza di
circostanze siffatte si statuisce comunque che l’ordinanza che dispone gli
adempimenti istruttori o l’integrazione del contraddittorio o disponga il rinvio
per l’esigenza di rispetto dei termini a difesa, fissi la celebrazione
dell’udienza a non oltre trenta giorni di distanza.
In relazione a questo rito, quindi, è la
previsione in ordine al potere di fissazione d’ufficio dell’udienza di merito a
porsi quale ragione ostativa alla perseguibilità della cancellazione della
causa dal ruolo richiesta ipoteticamente dalle parti in sede di udienza di discussione[35].
Difatti – alla medesima stregua dei procedimenti
in camera di consiglio di cui all’art. 87 c.p.a. – nel caso in cui non sussista
in capo alle parti l’onere di presentazione dell’istanza di fissazione
dell’udienza, non può riconoscersi spazio alcuno alla cancellazione dal ruolo, pena
il patibolo del processo in uno stato di quiescenza sine die.
Nondimeno, se con riferimento ai procedimenti ex art. 87 c.p.a. si è ammesso che il giudice,
esclusa la praticabilità della cancellazione dal ruolo, potrebbe – previa
valutazione dei motivi addotti a sostegno di una richiesta pur congegnata in
questi termini – disporre un rinvio della causa ad altra udienza, diversamente
è a dirsi in relazione al canone processuale di cui si discorre, attese le riferite
esigenze di rapida definizione della controversia che, tra l’altro, come
appurato, con la più recente riforma sono state ancor più irrigimentate, con la
predeterminazione del termine entro il quale la stessa va definita nel merito.
[1] L’autore ringrazia l’avv. Francesca
Diomeda per la sapiente collaborazione nella stesura del lavoro.
[2] Analoga previsione –
benchè riferita all’«abbandono» del ricorso e a un «atto di procedura» – era
inclusa nella legge Tar agli artt. 23, comma 1° e 25 che, rispettivamente, disponevano:
“La discussione del ricorso deve
essere richiesta dal ricorrente ovvero dall’amministrazione o da altra parte
costituita con apposita istanza da presentarsi entro il termine massimo di due
anni dal deposito del ricorso” e “I ricorsi si considerano abbandonati se nel
corso di due anni non sia compiuto alcun atto di procedura”. Per il rito innanzi al
Consiglio di Stato v’erano l’art. 40 del R.D. n. 1054/1924 e gli artt. 35 e 45,
R.D. n. 642/1907 quanto all’istanza di fissazione e alla perenzione del
ricorso. Cfr. T.A.R. Abruzzo, Pescara, 8 maggio 2003, n. 492, in Ragiusan, 2004, 237-8, 70, che ratione temporis affermò: “La
cancellazione della causa dal ruolo, ancorchè disposta in assenza della parte
all’udienza fissata ai soli fini della verifica della permanenza dell’interesse
alla decisione (cd. “ruolo aggiunto”), ha l’effetto di far decorrere il termine
biennale per la perenzione del ricorso previsto dall’art. 25, L. 6 dicembre
1971, n. 1034″.
[3] Sul proposito, Cons. Stato, Sez. VI,
Ord., 3 aprile 2015, n. 1435, che testualmente afferma: “Considerato che tale
istituto non è disciplinato dal Codice del processo amministrativo”, in www.giustizia-amministrativa.it.
[4] In via esemplificativa:
– mancata
integrazione del contraddittorio nel litisconsorzio necessario (art. 102
c.p.c.);
– mancata
comparizione delle parti all’udienza successiva alla prima in cui non erano
comparse (art.181, commi 1° e 2° c.p.c.);
– contumacia
dell’attore (art. 290 c.p.c.);
– mancata
esecuzione dell’ordine di rinnovazione della citazione (art. 164 c.p.c.);
– mancata
riassunzione del processo sospeso (art. 297 c.p.c.);
– mancata
prosecuzione o riassunzione del processo interrotto (art. 305 c.p.c.).
[5] A tacer del mirabile contributo di V.
Caianiello, voce Cancellazione della
causa dal ruolo (diritto processuale amministrativo), in Enc. Giur.
Treccani, V, Roma, 1988, tuttavia di molto anteriore all’orizzonte segnato
dall’esperienza codicistica, come dalla riformulazione dei principi di cui
all’art. 111 Cost..
[6] Cfr. sul proposito T.A.R. Lombardia,
Milano, Sez. II, Ord., 26 gennaio 2015, n. 292, in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Puglia, Bari, Sez. II, 9
gennaio 2015, n. 18, in idem. Non a
caso le pronunce che in materia si rintracciano fanno sovente riferimento ai
due istituti unitamente presi in considerazione.
[7] T.A.R. Toscana, Sez. I, Ord., 16 marzo
2015, n. 411, che, affermato siffatto principio, ha deciso di non aderire alla
richiesta di rinvio prospettata congiuntamente dalle parti: “¦ ravvisando
l’opportunità , per motivi di celerità e concentrazione, di incombenti
istruttori che potranno essere comunque utili ai fini del decidere anche in
caso di fallimento delle trattative in corso fra le parti”, in www.giustizia-amministrativa.it.
[8] Cons.Stato, Sez. V, 29 dicembre
2014, n. 6414, in redazione Foro amm., 2014,
12.
[9] Cons. Stato, Sez. IV, 4 maggio 2010, n.
2545, in Riv. giur. Edilizia, 2010,
4, I, 1289.
[10] Cons. Stato, Sez. VI, 19 gennaio 2012,
n. 192, in www.giustizia-amministrativa.it.
[11] Cons. Stato, Sez. V, 20 ottobre 2004, n.
6799, in Foro amm., Cons. St., 2004,
2880; v., altresì, T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 16 febbraio 2006, n. 1220 in Foro amm., Tar, 2006, 2, 606; T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sez. I, 28 gennaio
2008, n. 84 in Corti calabresi, 2008,
2, 445.
[12] Per un peculiare, interessante caso di
sospensione ex art. 79 c.p.a. del
processo di ottemperanza, disposta in attesa della sentenza del Consiglio di
Stato adito per la riforma della pronuncia oggetto di esecuzione in primo
grado, si legga, T.A.R. Puglia, Bari, Ord., 8 gennaio 2015, n. 8, in www.giustizia-amministrativa.it.
[13] Cons. Stato, Sez. V, Ord., 8 marzo 2014,
n. 1652, in www.giustizia-amministrativa.it.
[14] Cons. Stato, Sez. V, 8
marzo 2006, n. 1211, in Foro amm., Cons.
St., 2006, 3, 853, con nota di Monzani.
[15] “Se nel corso del
giudizio è disposta la cancellazione della causa dal ruolo, ai sensi del comma
1 dell’art. 71 c.p.a., una delle parti deve chiedere, con apposita istanza, la
fissazione di una nuova udienza di discussione entro il termine massimo di un
anno dalla predetta cancellazione della causa dal ruolo”, T.A.R. Molise, Sez.
I, 21 marzo 2014, n. 180, in Foro amm.,Tar, 2014, 3, 951; cfr., per la disciplina antecedente il c.p.a., Cons.
Stato, Sez. VI, 17 aprile 2009, n. 2318: “Il principio fissato dall’art. 25, L.
Tar, secondo cui i ricorsi si considerano abbandonati se nel corso di due anni
non si sia compiuto alcun atto di procedura, è applicabile tutte le volte in
cui, esauriti gli effetti della domanda di fissazione (per rinvio della udienza
a data da destinarsi, per cancellazione della causa dal ruolo), l’onere di
impulso processuale torni alle parti, le quali, per evitare la perenzione,
devono attivarsi mediante nuovi atti di procedura”, in Foro amm., Cons. St., 2009, 4, 1037.
[16] “La suddetta fissazione d’ufficio
integra ex art. 105 c.p.a., un vizio
procedurale e la violazione del diritto di difesa, con conseguente annullamento
con rinvio della sentenza appellata”, Cons. Stato, Sez. V, 7 maggio 2014, n.
2344, in Foro amm., 2014, 5, 1422.
[17] T.A.R. Lombardia, Brescia, 2 maggio
2006, n. 431, in Foro amm., Tar, 2006, 5, 166: “Vi è inoltre da
osservare che, una volta che sia avvenuta l’iscrizione della causa a ruolo, la
cancellazione, anche in caso di revoca della domanda di fissazione a opera
dell’unica parte che l’aveva proposta, postula quanto meno la non opposizione
di alcune di esse”.
[18] Sul punto, Cons. Stato, Sez. IV, 16
ottobre 2000, n. 5482, in Foro amm.,
Cons. St., 2000, 10.
[19] T.A.R. Marche, Sez. I, 9 aprile 2008, n.
240, in Foro amm., Tar, 2008, 4, 1008.
[20] Cons. Stato n. 192/2012 cit., che, sul punto, ha eloquentemente
soggiunto: “Una cancellazione dal ruolo a lunga distanza dalla presentazione
del ricorso si può infatti riverberare negativamente sul ragionevole tempo di
decisione che, a tutela dell’interesse generale, vincola l’apparato
giurisdizionale e lo Stato e impone agli stessi interessati di non assumere
comportamenti confliggenti (nel caso di specie, la sentenza di primo grado era
stata pubblicata sette anni prima dell’udienza di discussione del giudizio
d’appello)”.
[21] T.A.R. Piemonte, Sez.
I, 19 ottobre 2012, n. 1113, in Foro amm.,Tar, 2012, 10, 3037; si veda anche la
risalente, ancor attuale, T.A.R. Marche, 14 aprile 1983, n. 107, in Foro Amm., Tar, 1983, 1, 1402.
[22] Cons. Stato, Sez. V, 27 gennaio 2014, n.
402, in Foro amm., 2014, 1, 158.
[23] C.G.A. Sicilia, Sez.
Giurisd., 29 marzo 2010, n. 412, in Ragiusan,
2011, 325-326, 307; per i medesimi rilievi, v. T.A.R. Toscana, Sez. I, 5
dicembre 2013 n. 1683, in Foro amm., Tar, 2013, 12, 3711. Si legga ancora T.A.R.
Piemonte, Sez. I, 10 maggio 2013, n. 610, in Foro amm., Tar, 2013, 5,
1434. E, prima del codice, T.A.R.
Sardegna, 18 giugno 1984, n. 345, che rilevò: “La cancellazione della causa dal ruolo dev’essere
concessa in presenza di obiettive esigenze amministrative (es. possibilità di
definizione stragiudiziale della controversia) ovvero per esigenze processuali
(es. riunione di procedimenti tra loro connessi oppure della soluzione di
questioni pregiudiziali esposte in altre cause), ma non certo per raggiungere
lo scopo tipico della rinuncia al ricorso”, in Foro Amm., Tar, 1985,
300.
[24] àˆ stato infatti considerato che: “Al
pari di quello civile, anche il processo amministrativo è retto dal principio
dispositivo, in virtù del quale sono le parti a rivestire un ruolo determinante
non soltanto nel definire il thema
decidendum et probandum, ma anche nell’imprimere al contenzioso l’impulso
occorrente affinchè il giudizio pervenga alla decisione finale. Tale principio
non ha, peraltro, una portata esclusiva e deve essere coordinato con i poteri
officiosi del giudice, a loro volta finalizzati al sollecito ed efficace
svolgimento del processo anche in attuazione della regola costituzionale della
ragionevole durata del processo. In questa prospettiva, la giurisprudenza è
ferma nel riconoscere al giudice la decisione finale in ordine ai concreti
tempi della discussione, che solo in presenza di particolari situazioni,
direttamente incidenti sul diritto di difesa delle parti, è tenuto a concedere
il rinvio o la cancellazione dal ruolo: questo accade, a titolo
esemplificativo, nel caso di impedimenti personali del difensore o della parte,
nonchè nei casi in cui, per effetto delle produzioni documentali effettuate
dall’amministrazione, occorra riconoscere alla parte che ne faccia richiesta il
termine per la proposizione dei motivi aggiunti”, Cons. Stato, Sez. V, 22
febbraio 2010, n. 1032, in Foro amm.,
Cons. St., 2010, 2, 389; così anche, idem,
7 ottobre 2008, n. 4889, in idem, 2008,
10, 2721.
[25] T.A.R. Toscana, Sez. I, 15 ottobre 2014,
n. 1555, in Foro Amm., Tar, 2014, 10, 2625.
[26] “¦ ritenuto pertanto
che, nelle more della fissazione del merito, debba essere disposta la
cancellazione dell’appello dal ruolo delle sospensive”, Cons. Stato, Sez. V,
Ord., 18 marzo 2015, n. 1233; “¦ preso atto della volontà delle parti di
addivenire ad un bonario componimento della vicenda, anche alla luce dei futuri
sviluppi del procedimento penale in corso; ¦ dispone la cancellazione del
ricorso dal ruolo dei procedimenti cautelari”, T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III,
Ordd., 29-30 gennaio 2015, nn. 60 e 183, tutte in www.giustizia-amministrativa.it..
[27] Medesime considerazioni valgono per la,
parimenti assai frequente, richiesta di cd. “abbinamento al merito” della
domanda cautelare.
[28] Tutt’al più il riferimento potrebbe
sovvenire, ma è altra cosa, al ruolo d’udienza, d’ordine di chiamata dei
procedimenti cautelari in Camera di consiglio.
[29] Cfr. nota 26.
[30] Dovrebbe, nella delineata prospettiva,
ritenersi che dalla disposta cancellazione del ricorso cautelare cominci a
decorrere il termine di un anno exart. 71 c.p.a. per la presentazione dell’istanza di fissazione dell’udienza di
merito in sè e per sè considerata, non quale condizione di procedibilità della
domanda cautelare (avendo ormai le parti – con la richiesta di cancellazione –
manifestato il loro disinteresse all’ottenimento di una misura cautelare).
[31] Gli effetti derivanti dall’adozione del
provvedimento che dichiara – invece che la cancellazione della causa dal ruolo
delle sospensive – l’improcedibilità della domanda cautelare, inoltre, non
muterebbero neanche dal punto di vista del giudice; in siffatti casi, infatti,
non vengono in rilievo quelle esigenze di economia processuale che spesso la
giurisprudenza richiama a fondamento delle disposte cancellazioni. Tanto in
caso di cancellazione quanto d’improcedibilità , uno soltanto sarà il
provvedimento che il G.A. redigerà e sarà , in entrambi i casi, non già frutto
di una decisione in senso stretto, quanto una mera presa d’atto in ordine alla
sopravvenienza del difetto di interesse delle parti.
[32] Non “a data da destinarsi”, atteso il
sostanziale, equiparabile stato di quiescenza in cui entrerebbe, in
quest’ipotesi, la controversia.
[33] Sull’impossibilità di dichiarare la
cancellazione della causa dal ruolo in esito all’udienza camerale, recentemente
T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. IV, Ord., 10 febbraio 2015, n. 429, che ha
evidenziato come la cancellazione della causa dal ruolo risulti prevista dal
codice in relazione alla “¦ sola udienza di merito”, in www.giustizia-amministrativa.it..
[34] Tra queste, ad esempio, quelle relative
ai provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di pubblici lavori,
servizi e forniture, salvo, tuttavia, quanto previsto dagli artt. 120 e ss.; i
provvedimenti adottati dalle Autorità amministrative indipendenti, con
esclusione di quelli relativi al rapporto di servizio con i propri dipendenti;
o, ancora, quelle relative ai provvedimenti di nomina, adottati previa delibera
del Consiglio dei ministri.
[35] Con riguardo alla cancellazione
richiesta nella fase cautelare di tale rito risultano valide le conclusioni
rassegnate nel par. 3 del presente lavoro.