1. Giurisdizione – Espropriazione per pubblica utilità – Decreto di esproprio – Dichiarazione di pubblica utilità – Decorrenza termine quinquennale – Illegittimità – Risarcimento del danno – Giurisdizione del G.A. – Sussiste – Fattispecie
2. Espropriazione per pubblica utilità – Decreto di esproprio – Errata identificazione area – Principio di ragionevolezza e proporzionalità – Nullità – Non sussiste
3. Espropriazione per pubblica utilità – Decreto di esproprio – Dichiarazione di pubblica utilità – Decorrenza termine quinquennale – – Illegittimità – Mancato trasferimento del bene – Acquisizione ex art. 42 bis d.P.R. 327/2001 – Limiti
4. Espropriazione per pubblica utilità – Indennizzo – Risarcimento del danno – Differenza
5. Giurisdizione – Espropriazione per pubblica utilità – Indennizzo per legittima occupazione – Giurisdizione del G.A. – Non sussiste
6. Espropriazione per pubblica utilità – Risarcimento del danno – Illegittima occupazione del bene – Risarcimento automatico – Non sussiste
1. Sussiste la giurisdizione del G.A., nel giudizio volto al risarcimento del danno per illegittima occupazione ed irreversibile trasformazione dei terreni da parte della mano pubblica, ogni volta che gli atti del procedimento ablativo siano venuti meno, perchè annullati o per decorrenza dei termini di occupazione. Spetta, invece, al G.O. la domanda risarcitoria relativa a fattispecie di occupazione (cd. usurpativa) di un fondo privato in assenza dell’esercizio di un potere amministrativo o in caso di avvenuta cessione volontaria dell’area da parte del privato (nel caso di specie il TAR ha ritenuto sussistere la propria giurisdizione dichiarando la procedura ablativa illegittima a causa della mancata tempestiva adozione del Decreto di esproprio nel termine quinquennale di validità della dichiarazione di pubblica utilità . Inoltre è stato ritenuto inesistente l’asserito intervenuto accordo volontario di cessione dell’area in quanto privo della forma scritta, a pena di nullità , come richiesto dall’art. 1350 c.c. e dalle norme relative ai contratti sottoscritti dalle pubbliche amministrazioni).
2. Non comporta la nullità del decreto di esproprio l’eventuale errore nell’identificazione del bene oggetto di esproprio qualora dalla procedura ablativa, in base ai principi di ragionevolezza e proporzionalità dell’azione amministrativa, il bene è comunque determinato o determinabile.
3. La nullità del decreto di esproprio per mancata tempestiva emissione nel termine quinquennale di validità della dichiarazione di pubblica utilità comporta l’illegittimità dell’intera procedura espropriativa e l’inidoneità della stessa al trasferimento del bene in capo alla pubblica amministrazione. A quest’ultima residuerebbe il rimedio previsto dall’art. 42 bis, d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, che disciplina le modalità di acquisizione non retroattiva della titolarità del bene, a fronte di una utilizzazione senza titolo per scopi di pubblico interesse, previa valutazione discrezionale e ponderazione degli interessi in conflitto.
4. In ordine alla domanda di indennizzo per occupazione del bene, per il periodo di validità della dichiarazione di pubblica utilità può essere riconosciuta esclusivamente l’indennità per mancato godimento del bene mentre, per il periodo di occupazione illegittima (a causa della mancata tempestiva adozione del Decreto di esproprio), è ammesso il risarcimento del danno per la perdita di disponibilità dell’area.
5. àˆ devoluta alla giurisdizione del G.O. ogni pretesa e/o diversa questione in merito all’indennità di mancato godimento per legittima occupazione del bene da parte della amministrazione espropriante.
6. Ai fini del risarcimento del danno per illegittima occupazione da parte della p.A. non sussiste alcun automatismo tra indisponibilità fisica di un bene e il detrimento patrimoniale derivante da tale evento (nel caso di specie il Tribunale ha ritenuto non dimostrato il detrimento patrimoniale asserito dal ricorrente il quale ha potuto proseguire l’attività florovivaistica, nonostante l’occupazione del bene, a seguito delle opere assentite e costituendo l’ampliamento del cimitero un incremento all’attività stessa).
N. 00405/2015 REG.PROV.COLL.
N. 00182/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 182 del 2013, proposto da:
Giuseppe Tricarico, in proprio e quale rappresentante legale dell’omonima Ditta individuale, rappresentato e difeso dall’avv. Francesco Tricarico, con domicilio eletto presso Segreteria T.A.R. Bari in Bari, Piazza Massari;
contro
Comune di Giovinazzo, rappresentato e difeso dall’avv. Ivana Miccoli, con domicilio eletto presso Ivana Miccoli in Bari, Prolungamento di Via Caccuri, n. 3;
per l’annullamento
a) del decreto n. 4 del 21 novembre 2012, notificato a mezzo del servizio postale in data 26 novembre 2012, con cui il Comune di Giovinazzo ha disposto l’esproprio di una parte dell’area (mq 5.027 su 9.219) di proprietà del ricorrente, censito al foglio 2, mappale 50 del C.T. del Comune di Giovinazzo;
e di ogni altro atto presupposto, conseguente e comunque connesso al provvedimento impugnato;
per la condanna dell’Ente intimato al risarcimento del danno in forma specifica mediante la restituzione del bene ablato previa riduzione in pristino ed al risarcimento del danno da occupazione illegittima;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Giovinazzo;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 febbraio 2015 la dott.ssa Cesira Casalanguida e uditi per le parti i difensori Francesco Tricarico e Ivana Miccoli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
I. Con ricorso notificato il 23 gennaio 2013 e depositato il 7 febbraio 2013, l’odierno ricorrente, sig. Giuseppe Tricarico, impugna il Decreto n. 4 del 21 novembre 2012, notificato in data 26.11.2012, con cui il Comune di Giovinazzo ha disposto l’esproprio di una parte dell’immobile di sua proprietà , censito al catasto al fg. 2, mappale 50 del C.T., per un’estensione pari a mq. 5027.
Premette in fatto che l’area in questione è posta a ridosso del cimitero comunale ed era in precedenza destinata alla coltivazione e vendita di fiori ornamentali, in conformità alla destinazione urbanistica a Verde Pubblico Urbano e Viabilità .
Con delibera del Consiglio, n. 26 del 28.04.2005, il Comune di Giovinazzo ha deliberato il progetto definitivo, con variante al PRGC, relativo ai lavori di ampliamento del cimitero comunale ed ha dichiarato la pubblica utilità dell’opera. E’ stata, altresì, disposta l’acquisizione mediante procedura espropriativa di una parte dell’area di proprietà del ricorrente.
Espone il ricorrente che il progetto definitivo dell’opera veniva approvato in sessione straordinaria, con delibera C.C. n. 41 del 30.06.2005 e con Decreto n. 2 del 21.11.2007, veniva decretata l’occupazione d’urgenza preordinata all’esproprio dell’area, con indennità provvisoria di esproprio, quantificata in € 52.454,72, comprendente il valore delle opere e dei beni insistenti sull’area medesima e quella di occupazione fissata per ogni mese in € 364,26.
L’immissione in possesso dell’area da parte dell’espropriante avveniva in data 08.01.2008. Il Comune in data 15.05.2008 disponeva d’autorità il frazionamento della complessiva area di proprietà del sig. Tricarico, in due distinte particelle, censite al catasto ai mappali 1771 e 1772 foglio 2 del C.T., risultando la sola particella 1771 interessata dall’edificazione delle opere oggetto di ampliamento cimiteriale.
Con il Decreto n. 4 del 21.11.2012, sopra menzionato, veniva disposto il definitivo esproprio, con indicazione di mq 5.027 su mq 9.129, dell’area di proprietà del Sig. Tricarico, censita al fg. 2, mappale 50 del C.T. Con tale provvedimento, il Comune dava atto, altresì, del deposito presso la Cassa Depositi e Prestiti, della somma offerta a titolo di indennità provvisoria, ma non veniva indicata l’indennità definitiva di stima determinata dalla Commissione Provinciale Espropri.
Il ricorrente eccepisce la nullità del Decreto impugnato, per inesistenza dell’oggetto, essendo stata indicata una identificazione catastale non più esistente a seguito del nuovo frazionamento catastale disposto dal medesimo Comune di Giovinazzo.
II. Costituiscono motivi di ricorso:
1) Violazione dell’art. 21 septies L. 241/1990. Nullità assoluta del provvedimento ablatorio per inesistenza dell’oggetto;
2) violazione di legge per violazione e falsa applicazione dell’art. 13, comma D.P.R. 327/2001, per emissione del decreto di esproprio, in assenza del termine predeterminato per la sua adozione, dopo i cinque anni dall’atto dichiarativo della pubblica utilità dell’opera.
Rileva il ricorrente come nella Delibera C.C. n. 26 del 28.04.2005, di approvazione del progetto definitivo di ampliamento dei lavori del cimitero e di dichiarazione della pubblica utilità dell’opera, non fosse indicato alcun termine entro cui emanare il decreto di esproprio.
Il termine quinquennale di riferimento entro cui provvedere in tali casi è fissato dall’art. 13 comma 4 D.P.R. 327/2001. Tale termine sarebbe decaduto il 28.04.2010, mentre il Decreto impugnato è stato adottato il 21.11.2012 e successivamente notificato il 26.11.2012, ben oltre la decorrenza del termine quinquennale.
Ne consegue l’illegittima occupazione e l’altrettanto illegittima realizzazione dell’opera pubblica.
Il ricorrente rivendica pertanto la restituzione del bene, previa riduzione in pristino.
A fronte dell’illecito permanente posto in essere dall’amministrazione, chiede il risarcimento del danno, sia in forma specifica, attraverso la restituzione dei terreni rimessi in pristino, sia attraverso corresponsione da parte del Comune dell’indennizzo per il periodo di abusiva occupazione, da quantificarsi facendo riferimento all’art. 42 bisD.P.R. 327/2001. Ai sensi di tale norma commisura l’entità del risarcimento per il mancato godimento ad una percentuale, pari al 5% annuo sul valore venale del bene, quantificato in € 640.679,38, secondo la stima di cui alla C.T.P. del 16 gennaio 2013.
Egli chiede che il risarcimento sia determinato facendo riferimento a tutto il periodo di occupazione del bene, dal momento della immissione in possesso, avvenuto in data 08.01.2008, fino a quello delle restituzione del bene, oltre rivalutazione de interessi.
III. Si è costituito il Comune di Giovinazzo, con atto depositato il 19.02.2013, per resistere al ricorso.
III.1 Con rifermento al primo motivo di ricorso, ha contestato la nullità del Decreto, in quanto la parte avrebbe avuto comunque consapevolezza dell’area oggetto del provvedimento, non essendo sufficiente l’indicazione particellare precedente, rispetto a quella successivamente stabilita, per impedire al destinatario del Decreto di esproprio l’esatta indicazione del bene.
Sulla diversa estensione, ha richiamato alcune pronunce giurisprudenziali per affermare che gli scostamenti di estensione dell’area effettivamente espropriata non inficiano la legittimità del provvedimento, che ha indicato in luogo dei mq 5.127 occupati, mq 5.027, espropriando, peraltro, un’area di consistenza inferiore.
III.2 Alla richiesta di annullamento del Decreto di esproprio, il Comune oppone l’acquiescenza agli atti del procedimento che il ricorrente avrebbe prestato.
Riferisce in proposito che il ricorrente, in data 06.04.2004, avrebbe inviato una nota relativa ad una proposta di cessione del suolo per allargamento dell’area cimiteriale.
Più specificamente, al fine di poter proseguire l’attività di florovivaista svolta, il sig. Tricarico avrebbe proposto la cessione volontaria di una parte dell’area di sua proprietà , chiedendo, al contempo di essere autorizzato dall’amministrazione a poter realizzare, nella parte residua del fondo che sarebbe rimasto di sua proprietà , serre in ferro – vetro.
Con Delibera C.C. n. 29/2004, veniva approvato lo studio di fattibilità del progetto preliminare proposto dal ricorrente.
Con successiva Delibera C.C. n. 14/2005, l’area di rispetto cimiteriale veniva ridotta, al fine di consentire la realizzazione delle serre stagionali in acciaio e vetro, oltre ad una vasca interrata ad uso irriguo.
Dopo la dichiarazione di pubblica utilità , con nota prot. 10963 del 05.05.2005, il Comune invitava formalmente il sig. Tricarico, a produrre la documentazione idonea a provare la piena e libera proprietà del bene per poter così procedere al pagamento dell’indennità di esproprio e alla stipula della cessione volontaria.
L’invio della documentazione richiesta veniva sollecitato in data 15.07.2005, con nota prot. n. 17540.
Con successiva nota del 18.10.2005, il sig. Tricarico chiedeva di ricalcolare l’indennità sulla base dei VAM riferiti all’anno 2005. Riferisce l’amministrazione che tale richiesta non è stata soddisfatta in quanto ritenuta contraria ai principi di buona fede e volta a perseguire fini speculativi.
Nell’impossibilità di formalizzare la cessione volontaria dell’aria e nella necessità di avviare i lavori, l’amministrazione sarebbe stata costretta ad emanare il Decreto di occupazione preordinata all’esproprio, con contestuale determinazione dell’indennità di esproprio.
Con successiva nota del 02.01.2008, il ricorrente avrebbe ribadito la richiesta volta alla rettifica delle quantificazione dell’indennità offerta, al fine di arrivare alla cessione bonaria dell’area.
Secondo il Comune, la contestazione della quantificazione dell’indennità comporta la tacita acquiescenza degli atti del procedimento finalizzato all’esproprio.
E’ per questo che l’amministrazione avrebbe emanato il Decreto di esproprio pur in mancanza di un’efficace dichiarazione di pubblica utilità .
Il ricorso sarebbe, per l’acquiescenza del ricorrente, improcedibile o comunque infondato per carenza di interesse.
Aggiunge che in caso di procedura legittima, l’indennità di occupazione corrisponde ai sensi dell’art. 50 D.P.R. 327/2001 all’indennità di esproprio (id est valore di mercato) maggiore di quella dovuta in caso di risarcimento il cui ammontare determinato sulla base del terzo comma dell’art. 42 bis comma 3 D.P.R. 327/2001.
Evidenzia l’assenza di danno per ammissione dello stesso ricorrente, su cui per legge incombe il relativo onere probatorio.
Secondo l’amministrazione, il ricorrente non fornisce alcuna prova sul danno subito.
Di contro, con Delibera C.c. n. 14 del 10.03.2005 l’amministrazione avrebbe accolto le pretese del ricorrente che ha ricevuto il consenso a compiere le opere per salvaguardare l’attività svolta e arrivare addirittura ad incrementarla. L’ampliamento del cimitero, infatti, secondo la difesa dl Comune, è da ritenersi come esternalità positiva, per l’attività di coltivazione e commercializzazione dei fiori svolta dal sig. Tricarico.
IV. Con ordinanza n. 124 del 26.02.2013, veniva respinta l’istanza cautelare.
V. Con successiva memoria del 27.01.2015, l’amministrazione eccepisce il difetto di giurisdizione essendo stato il Decreto di espropriazione emesso dopo la scadenza del termine di validità della dichiarazione di pubblica utilità .
Osterebbe, secondo il Comune resistente, alla giurisdizione del giudice amministrativo anche l’avvenuto accordo di cessione volontaria del bene oggetto di espropriazione.
Il Decreto di esproprio n. 4 del 21.11.2012, impugnato, avrebbe solo formalmente trasferito il bene già acquisito alla mano pubblica dal 05.08.2004, data in cui il Comune ha accettato la proposta del ricorrente, concludendosi per facta concludentia una transazione novativa.
Il Comune, in subordine, ribadisce l’astratta annullabilità del Decreto in luogo della pretesa del ricorrente volta alla dichiarazione di nullità . Avverso la medesima illegittimità ribadisce l’acquiescenza del ricorrente agli atti del procedimento. Evidenzia che l’acquisizione del’area sarebbe già avvenuta alla data di ultimazione dei lavori, per acquisizione acquisitiva.
Contesta ancora la fondatezza della richiesta di restituzione..
Per il caso di annullamento del Decreto, il Comune prospetta l’emanazione del provvedimento di cui all’art. 42-bis D.P.R. 327/01.
Contesta in ogni caso l’esistenza del pregiudizio patrimoniale in quanto non sarebbe stato nè richiesto, nè provato, incombendo tale onere sul ricorrente.
Per il caso in cui si ritenga già trasferito alla mano pubblica, contesta la fondatezza della pretesa risarcitoria.
Da ultimo, per il caso in cui venga accolto il ricorso e si intenda l’area non trasferita al Comune, chiede l’annullamento degli atti presupposti con cui erano state accolte le proposte transattive del sig. Tricarico.
VI. All’udienza pubblica del 12.02.2015, sentite le parti, la causa è stata trattenuta in decisione.
VII. Occorre prioritariamente procedere con l’esame dell’eccezione del difetto di giurisdizione del giudice adito.
L’eventuale riscontro del difetto di giurisdizione, infatti, priva il giudice del potere di esaminare qualsiasi profilo della controversia, sia in rito che nel merito (T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 4 febbraio 2008, n. 901; Cons. St., V Sez., 22 maggio 2006 n. 3026; id., sez. VI, 18 settembre 2009, n. 5618).
L’eccezione è priva di pregio.
Dopo la sentenze della Corte Cost. n. 204 del 2004 e n. 191 del 2006 la giurisprudenza amministrativa si è pacificamente consolidata nel ritenere radicata la giurisdizione del giudice amministrativo a conoscere della richiesta di condanna di un Comune al risarcimento dei danni subiti dal ricorrente a seguito della illegittima occupazione ed irreversibile trasformazione di alcuni terreni di sua proprietà , ogni volta che gli atti del procedimento ablativo intrapreso dall’ente siano venuti comunque meno, o perchè siano stati annullati, o per la decorrenza dei termini dell’occupazione o di quelli fissati per la conclusione del procedimento.
Rientrano, invece, nella giurisdizione del giudice ordinario le domande risarcitorie e restitutorie relative a fattispecie di occupazione (tradizionalmente identificata come occupazione c.d. usurpativa) di un fondo di proprietà privata in assenza di provvedimenti e, in generale, in assenza dell’esercizio di un potere amministrativo (ex multis, Cass. civ., S.S.U.U., 23 gennaio 2012 n. 832; Cons. St., sez. IV, 26 marzo 2012, n. 1750; T.A.R. Palermo, sez. II, 11.01.2013, n. 24, T.A.R. Abruzzo, Pescara sez. I, 23 luglio 2012, n. 360; T.A.R. Puglia, Lecce, sez. I, 12 luglio 2012, n. 1242; T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 18 gennaio 2012, n. 554).
Non conduce ad una diversa soluzione la sentenza delle SSUU di Cassazione citata dalla difesa del Comune (n. 832/2012), in quanto le SSUU hanno affermato la giurisdizione del giudice ordinario nei casi di inesistenza e nullità della dichiarazione di pubblica utilità , nonchè in quelli di sopravvenuta inefficacia della stessa limitatamente, però, alle ipotesi in cui “l’attribuzione del potere ablativo sia già venuta meno all’epoca della utilizzazione della proprietà privata”. Nel caso in esame non risulta che i lavori siano iniziati dopo la sopravvenuta inefficacia del provvedimento di dichiarazione di pubblica utilità , ricollegata, come ammesso dallo stesso Comune all’inutile decorso del termine quinquennale per l’esproprio.
VIII. Nè per sostenere la giurisdizione del giudice ordinario, può essere validamente invocata l’avvenuta cessione volontaria dell’area da parte del ricorrente.
Per fondare la giurisdizione del giudice ordinario, occorre, infatti che il negozio di cessione volontaria si sia validamente formato.
Le regole che governano la formazione dei contratti in sede civilistica sono applicabili anche al negozio di cessione volontaria avente ad oggetto un immobile da espropriare. Tra queste rientra anche quella di cui all’art. 1350 c.c., che richiede la forma scritta a pena di nullità .
Contrariamente a quanto sostenuto dall’amministrazione resistente, nel caso in esame, non risulta adottato l’atto formale dimostrativo dell’avvenuta cessione volontaria.
Dalla documentazione versata in atti risulta che, con nota del 05.05.2005, il Comune di Giovinazzo ha chiesto documentazione integrativa al sig. Tricarico, al fine di poter procedere al pagamento dell’indennità di esproprio “stabilita ed accettata di € 84.000,00 ed alla stipula dell’atto di cessione”.
La richiesta è stata sollecitata con nota del 15.07.2005.
Con successiva nota del 18.10.2005 il sig. Tricarico ha richiesto il “ricalcolo” dell’indennità , sulla base dei valori agricoli medi relativi all’anno 2005, stabiliti dall’U.T.E. – Commissione Provinciale di Bari.
Tale scambio di corrispondenza, non è idoneo a dimostrare l’avvenuta formazione dell’accordo circa la cessione volontaria dell’area. Conformemente a quanto stabilito in proposito dalla giurisprudenza maggioritaria “i contratti con la P.A. devono essere redatti, a pena di nullità , in forma scritta e – salva la deroga prevista dall’art. 17 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440 per i contratti con le ditte commerciali, che possono essere conclusi a distanza, a mezzo di corrispondenza “secondo l’uso del commercio” – con la sottoscrizione, ad opera dell’organo rappresentativo esterno dell’ente, in quanto munito dei poteri necessari per vincolare l’ amministrazione, e della controparte, di un unico documento, in cui siano specificamente indicate le clausole disciplinanti il rapporto. Tali regole formali sono funzionali all’attuazione del principio costituzionale di buona amministrazione in quanto agevolano l’esercizio dei controlli e rispondono all’esigenza di tutela delle risorse degli enti pubblici contro il pericolo di impegni finanziari assunti senza l’adeguata copertura e senza la valutazione dell’entità delle obbligazioni da adempiere” (Così, Cass. civ. Sez. I, 20-03-2014, n. 6555).
Nè è possibile sostenere, come fa la difesa dell’amministrazione, che il negozio di cessione volontaria si sia concluso per comportamenti concludenti, atteso che allorquando la pubblica amministrazione agisce “iure privatorum” i relativi atti negoziali constano di manifestazioni formali di volontà .
E’ la stessa amministrazione, inoltre, che ammette la mancata formalizzazione dell’accordo di cessione volontaria, imputandola alle pretese del ricorrente, volte ad ottenere un nuovo calcolo dell’indennità di esproprio parametrato ai valori agricoli medi aggiornati al 2005.
Sulla base di quanto rilevato, da respingere è anche l’eccezione di improcedibilità del ricorso sollevata dall’amministrazione resistente, in quanto è da escludere che il ricorrente abbia accettato l’indennità di esproprio e prestato acquiescenza alla procedura ablatoria, attesa la mancata formazione del negozio di cessione volontaria e il contrasto esistente tra le parti sulla determinazione dell’indennità di esproprio.
IX. Privo di fondamento è il primo motivo di ricorso, con cui il ricorrente deduce la nullità del Decreto di esproprio per inesistenza dell’oggetto, essendo erroneamente indicata l’area oggetto di esproprio, attraverso il riferimento alla precedente identificazione catastale.
Il ricorrente rileva in proposito che, a seguito del frazionamento catastale disposto dall’amministrazione espropriante, il bene oggetto di esproprio è identificato al catasto al fg 2 part. 1771, mentre il Decreto di esproprio continuerebbe a far riferimento alla precedente identificazione catastale, fg. 2 mappale 50, ormai soppresso e, dunque, inesistente.
Deve, innanzitutto, escludersi che il Decreto non consenta l’esatta identificazione dell’area oggetto di esproprio. L’errore in cui è incorsa l’amministrazione deve essere valutato secondo i principi di ragionevolezza e proporzionalità dell’azione amministrativa.
Il medesimo ricorrente nel ricorso dimostra di non aver alcun dubbio circa l’identificazione dell’area oggetto del Decreto di esproprio.
Inoltre, al fine dell’identificazione degli immobili oggetto di esproprio un ruolo centrale ed insostituibile è svolto dall’elaborato progettuale a corredo della dichiarazione di pubblica utilità .
A ciò si aggiunga che il Decreto richiama espressamente il Piano particellare di esproprio approvato unitamente al progetto dell’opera pubblica con la Delibera C.C. n. 26 del 28 aprile 2005.
Giova aggiungere, ancora, che, a fronte dell’omessa considerazione della sopravvenuta modifica dei dati identificativi della particella oggetto di esproprio, da parte del gravato Decreto, non può negarsi un immanente potere di correzione, in sede esecutiva e secondo buona fede, delle previsioni metriche e del piano particellare.
Inoltre, se anche in materia di espropriazione per pubblica utilità trova applicazione il principio sancito dall’art. 21-octies, comma 2, L. n. 241/1990, per cui non è annullabile il provvedimento in presenza di vizi formali o procedurali che non abbiano inciso sulla sostanza dell’atto, tanto meno si può arrivare a ritenere nullo il provvedimento gravato per inesistenza dell’oggetto, essendo esso comunque determinato e determinabile, da come si desume dal riferimento agli atti complessivi della procedura.
Nè il rilevato scostamento circa la consistenza metrica dell’area oggetto del Decreto di Esproprio rispetto ai precedenti atti del procedimento è rilevante ai fini dell’invocata nullità , risultando la differente ed esigua consistenza di metri quadri (nel Decreto di esproprio mq 5.027 in luogo di mq 5.107) del tutto fisiologica in una procedura espropriativa.
X. Fondato è, invece, il secondo motivo di ricorso, con riferimento alla violazione del termine quinquennale di legge entro cui deve essere emanato il decreto di esproprio.
La procedura espropriativa, infatti, è divenuta illegittima a cagione della omessa tempestiva emissione del decreto di esproprio.
Il Comune di Giovinazzo non ha concluso il procedimento ablativo nel termine quinquennale di validità della dichiarazione di pubblica utilità , decorrente dalla data di approvazione del progetto, ex artt. 12 e 13 del D.P.R. n. 327/2001, ossia dal 28.04.2005, data in cui il C.C. ha approvato con la delibera n. 26, il progetto definitivo e ha dichiarato la pubblica utilità dell’opera, oltre alla immediata eseguibilità .
Il decreto di esproprio deve essere emanato entro il termine di scadenza di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità di cui all’art. 13 TU Espropriazioni, in quanto la mancata emanazione entro suddetto termine ne comporta la tardività con conseguente patologia del procedimento.
Nè, in assenza di un valido decreto di esproprio, è possibile ipotizzare un acquisto a titolo originario della proprietà del fondo in capo all’Amministrazione occupante, con legittimazione del privato proprietario ad agire esclusivamente per il risarcimento del danno. A seguito dell’evoluzione legislativa e giurisprudenziale in materia espropriativa, in senso conforme ai principi sanciti dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, è da ritenersi, infatti, definitivamente espunto dall’ordinamento giuridico l’istituto dell’occupazione acquisitiva, di origine giurisprudenziale.
Ne consegue il superamento sia dell’eccezione di carenza di interesse sollevata dalla difesa del Comune e ricondotta al trasferimento del bene alla mano pubblico in forza o del decreto di esproprio o dell’atto di cui acquisizione sanante di cui all’art. 42 bis D.P.R. 327/2001, sia di quella volta a sostenere che il procedimento espropriativo si sarebbe concluso attraverso l’istituto dell’occupazione acquisitiva.
E’ sufficiente ribadire in proposito che l’ordinamento giuridico non consente all’amministrazione di acquistare a titolo originario la proprietà di un’area altrui sulla quale sia stata realizzata un’opera pubblica o d’interesse pubblico, mediante un atto non validamente adottato o in assenza di un atto ablatorio,
L’occupazione illegittimamente proseguita dall’Amministrazione, per quanto accompagnata dall’irreversibile trasformazione dei beni occupati, funzionale alla realizzazione dell’opera pubblica, non comporta la perdita della proprietà in capo ai privati e la sua acquisizione alla mano pubblica (Cfr. T.A.R. Puglia, Bari, sez. III n. 2131/08; T.A.R. Puglia, Bari sez. I n. 3402/2010, confermata da C.d.S. sez. IV n. 4590/2011).
La realizzazione di un’opera pubblica su un fondo oggetto di legittima occupazione in via di urgenza, non seguita dal perfezionamento della procedura espropriativa (tramite lo strumento consensuale del negozio di cessione volontaria o attraverso lo strumento autoritativo del decreto di esproprio adottato nei termini di legge), costituisce un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo dell’acquisto, ed è, come tale, inidonea, da sè sola, a determinare il trasferimento della proprietà in favore della pubblica amministrazione.
L’unico rimedio esperibile è quello di cui all’art. 42-bis del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, che disciplina le modalità attraverso le quali, a fronte di un’utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di pubblico interesse, è possibile per la pubblica amministrazione, previa valutazione discrezionale e ponderazione degli interessi in conflitto, pervenire ad un’acquisizione non retroattiva della titolarità del bene al suo patrimonio indisponibile.
Non avendo il Comune di Giovinazzo fatto uso di alcuno dei mezzi giuridici a disposizione, rimane integra la situazione d’illiceità , come evidenziato dalla parte ricorrente.
Ne consegue che il decreto di esproprio, in quanto tardivo, deve essere annullato
XI. L’Amministrazione ha, pertanto, l’obbligo di far venir meno la occupazione sine titulo e cioè deve adeguare la situazione di fatto a quella di diritto, disponendo la restituzione del terreno ai legittimi titolari, demolendo quanto realizzato e disponendo la riduzione in pristino, oppure deve attivarsi perchè vi sia un titolo di acquisto dell’area (v. Cons. Stato n. 2559/2013 cit.), tra cui quello che deriva dal potere dell’Amministrazione di attivare la procedura prevista dal citato art. 42 bis del D.P.R. n. 327 del 2001.
Quanto all’ulteriore domanda relativa all’indennizzo per il periodo di abusiva occupazione, occorre opportunamente distinguere due fasi: il caso in esame è caratterizzato dalla ricorrenza di una fase di occupazione legittima, che si estende per il periodo quinquennale di validità della dichiarazione di pubblica utilità , durante la quale l’area è stata trasformata, e da una successiva fase in cui l’occupazione è diventata illegittima a causa della mancata tempestiva adozione del decreto di esproprio. Per la prima fase al proprietario dell’area può essere riconosciuta unicamente l’indennità da mancato godimento del bene, mentre per la successiva può ammettersi anche il risarcimento del danno per la perdita di disponibilità dell’area (Cfr. Cass. Civ., Sez. I, 13-05-2010, n. 11719; Cons. Stato, Sez. IV, 28-01-2010, n. 367).
Fino alla data del 28.04.2010 l’occupazione del fondo risultava legittima, trovando la stessa la fonte legittimante nella Delibera C.C. n. 26 del 28.04.2005, rimasti inoppugnati. Pertanto, sino alla data del 28.04.2010 non è possibile ravvisare un comportamento illecito causativo di danno ingiusto ai sensi dell’art. 2043 del codice civile. Per tale periodo i disagi patiti dal ricorrente a causa dell’occupazione legittima del fondo trovano ristoro attraverso l’indennità di occupazione.
Ogni pretesa e/o diversa questione circa l’indennità di godimento per il periodo che va dalla data di adozione della Delibera C.C. n. 26 del 28.04.2005 – contenente la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera nonchè l’immediata eseguibilità – fino al 28.04.2010 è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario (Cfr. da ultimo, T.A.R. Lazio, Sez. I, sent. n. 2123 del 04.02.2015).
XII. Deve, invece, essere esaminata l’ulteriore domanda di risarcimento del danno patrimoniale conseguente alla mancata utilizzazione del fondo nel periodo in cui è stato occupato illegittimamente (cioè dalla data di scadenza di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità , avvenuta il 28.04.2010).
Il ricorrente, commisura l’entità del’indennizzo per il mancato godimento del bene, ad una percentuale del 5% annuo del valore venale del bene, quantificato in € 640.679,38 secondo la stima riportata nella CTP del 16.01.2013.
Il criterio utilizzato per la determinazione dell’indennizzo è quello ricavato dall’applicazione di quanto previsto dall’art. 42 bis, comma 3, T.U. dell’Edilizia, ai sensi del quale “per il periodo di occupazione senza titolo è computato a titolo risarcitorio, se dagli atti del procedimento non risulta la prova di una diversa entità del danno, l’interesse del cinque per cento annuo sul valore determinato ai sensi del presente comma”.
Sul punto, questa Sezione si è già pronunciata rilevando come “non sussista alcun automatismo tra l’indisponibilità fisica di un bene (derivante dall’occupazione – benchè senza titolo – da parte della mano pubblica) ed un detrimento patrimoniale derivante da tale evento” (ex multis, da ultimo, T.A.R. Puglia, Bari, sez. III, sent. 350 del 24.02.2015).
Inoltre, nel caso in esame, può ritenersi determinante ai fini della “prova della diversa entità del danno” quanto eccepito dall’amministrazione resistente e non contestato dal ricorrente, circa le richieste del sig. Tricarico accolte dal Comune nell’ambito delle trattative intavolate per la cessione bonaria delle aree.
Come emerge dalla Delibera C.C. n. 14 del 10.03.2005, è stata consentita una riduzione dell’area di rispetto cimiteriale di 200 mt, prevista dall’art. 338 del R.D. 27 luglio 1934 n. 1265, come sostituito dall’art. 28, comma 1, della L. 166/2002, al fine di rendere ammissibile il progetto di “realizzazione di serre stagionali in acciaio e vetro e vasca interrata ad uso irriguo”.
Per le aree che ricadono nella fascia cimiteriale, ai fini della determinazione dell’indennità di esproprio, occorre far riferimento alla destinazione non edificabile dell’area (Corte di Cassazione Civ., Sez. I, sent. n. 2740 del 04.02.2011).
Ai fini del risarcimento del danno, che a differenza dell’indennità di esproprio deve essere adeguatamente provata, nel caso in esame occorre tener conto delle opere assentite al ricorrente finalizzate a consentirgli la prosecuzione dell’attività florovivaistica, con riduzione del vincolo della fascia di rispetto cimiteriale.
Ne consegue che non risulta in alcun modo dimostrato (e neppure allegato) il detrimento patrimoniale patito dal ricorrente che anzi ha potuto proseguire l’attività svolta. La realizzazione dell’opera di ampliamento del cimitero può incidere semmai – come osservato dalla difesa dell’amministrazione- nel senso di contribuire ad incrementare l’attività di florovivaista.
Nè fornisce idonei elementi probatori, ai fini dell’accoglimento della domanda risarcitoria, la perizia di parte, che, peraltro, in alcun modo tiene conto degli elementi evidenziati.
Le spese derogano alla soccombenza in ragione della particolarità della vicenda in fatto, nonchè della parziale soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie per quanto di ragione e per l’effetto annulla il decreto di esproprio gravato (Decreto n. 4 del 12.11.2012).
Ordina al Comune di Giovinazzo, la restituzione al sig. Giuseppe Tricarico dei suoli identificati in catasto, già al foglio 2, p.lla n. 50 (occupata per mq 5.027), fatta salva l’adozione da parte del Comune del provvedimento ex art. 42-bis del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327.
Respinge la domanda risarcitoria relativa al periodo d’occupazione illegittima.
Spese integralmente compensate.
Contributo unificato rifuso ex art. 13 c 6-bis.1 D.P.R. 30.5.2002 n. 115.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 12 febbraio 2015 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Conti, Presidente
Desirèe Zonno, Primo Referendario
Cesira Casalanguida, Referendario, Estensore
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 12/03/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)