1. Risarcimento del danno –  Domanda risarcitoria – Rapporti con l’art. 2043 c.c.


2. Risarcimento del danno – Domanda risarcitoria – Colpa della p.A. – Criteri per l’accertamento


3. Risarcimento del danno – Domanda risarcitoria – Colpa della p.A. – Onere in capo alla p.A.


4. Risarcimento del danno – Domanda risarcitoria – Condanna della p.A. in forma specifica – Presupposti e limiti – Con riferimento alla variante allo strumento urbanistico generale – Inammissibilità 

1. Il riconoscimento della pretesa risarcitoria non può prescindere anche dall’accertamento delle condizioni di cui all’art.2043 c.c., cha va compiuto secondo le regole ordinarie di distribuzione dell’onere della prova, atteso che il giudizio per il risarcimento del danno attivato dinanzi al G.a. si attiene come giudizio sul rapporto e non sull’atto, con applicazione piena del principio dispositivo di cui agli artt.2697 c.c. e 115 c.p.c.; sicchè occorre che siano provati, sotto il profilo oggettivo, il danno ed il nesso causale tra l’illecito e il danno derivatone, nonchè, sotto il profilo soggettivo, la colpa della p.A.


2. La colpa della p.A. va accertata in senso oggettivo, tenendo conto di vizi che hanno determinato l’illegittimità  dell’azione, della gravità  delle violazioni commesse, dei precedenti giurisprudenziali, dell’univocità  o meno del dato normativo, delle condizioni concrete e dell’eventuale apporto dei soggetti destinatari dell’atto.


3. A fronte di manifesta violazione commessa ovvero di illegittimità  evidente dell’azione amministrativa, spetta alla p.A. dimostrare che si sia trattato di un errore scusabile, configurabile in caso di contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norma da poco entrata in vigore, di rilevante complessità  del fatto, di influenza determinante di comportamenti di altri soggetti, di illegittimità  derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità  della norma applicata.


4. L’art.30, co.1  e il novellato art.34, co.1 lett c) del c.p.a. conferiscono al G.A. il potere di emanare, nei limiti della domanda, sentenze di condanna che dispongano, tra l’altro, “misure di risarcimento in forma specifica ai sensi dell’art.2058 c.c.”, sancendo in tal modo l’azione tipica di adempimento (cd. condanna pubblicistica) finalizzato alla soddisfazione completa della posizione sostanziale di interesse legittimo di cui si chiede la tutela, pur nel rispetto del duplice limite della necessaria contestualità  con l’azione di annullamento e dell’assenza di profili di discrezionalità  amministrativa o tecnica. Ciò premesso, devono ritenersi esclusi i suddetti presupposti per l’ammissibilità  dell’azione di adempimento in forma specifica con riferimento all’invocata adozione di una variante allo strumento urbanistico generale, poichè tale provvedimento si colloca nel novero dell’attività  di pianificazione urbanistica in cui la p.A. gode di ampio margine di discrezionalità , diversamente da quanto accade nel caso di rilascio di titoli abilitativi edilizi.

N. 00153/2015 REG.PROV.COLL.
N. 01112/2012 REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1112 del 2012, proposto da: 
Giuseppe Capone e Benito Dello Mastro, rappresentati e difesi dagli avv. Gerardo Consiglio, Pasquale Consiglio e Vito Aurelio Pappalepore, con domicilio eletto presso l’Avv. Vito Aurelio Pappalepore in Bari alla via Pizzoli n. 8; 

contro
Comune di Foggia, rappresentato e difeso dagli avv. Michele Barbato e Domenico Dragonetti, con domicilio eletto presso l’Avv. Luigi D’Ambrosio in Bari alla piazza Garibaldi n. 23; 

e con l’intervento di

‘OGGETTO’

Per l’accertamento del
diritto al risarcimento danno (ex art. 30 c.p.a.) conseguente all’illegittimo diniego di concessione edilizia;
 

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Foggia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 dicembre 2014 la dott.ssa Viviana Lenzi e uditi per le parti i difensori Sara Cacciatore e Felice Eugenio Lorusso;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 

FATTO e DIRITTO
Giova sinteticamente ripercorrere la vicenda processuale antecedente al presente giudizio:
– con ricorso notificato il 16/11/2001 gli odierni ricorrenti impugnavano il diniego di concessione edilizia relativo alla realizzazione di un fabbricato residenziale, unitamente al parere sfavorevole della commissione tecnica comunale;
– con ordinanza 34/2002, questo Tribunale accoglieva la domanda di sospensione del diniego, ritenendo carente la motivazione dell’atto gravato e, comunque, infondato il motivo di diniego basato sul contrasto con l’art. 54 del reg. edilizio;
– con successiva ordinanza n. 380/02, il TAR, investito della questione dell’esecuzione della precedente ordinanza cautelare, disponeva che il Comune si pronunciasse nuovamente sull’istanza, assegnando all’uopo un termine per l’adempimento;
– con provvedimento del 23/9/2002 (impugnato con ricorso per motivi aggiunti), il Comune negava nuovamente la concessione edilizia sulla scorta di motivi diversi da quelli già  enunciati nel primo diniego;
– il giudizio si concludeva, previo esperimento di apposita verificazione, con sentenza 1631 del 27/10/2011 (passata in giudicato, come da attestazione dell’Ufficio ricevimento ricorsi del Consiglio di Stato, versata in atti), in cui il Tribunale – riconosciuta la fondatezza delle doglianze dei ricorrenti in ordine a tutti i motivi di diniego opposti dal Comune – solo incidentalmente si pronunciava sull’illegittimità  degli atti gravati, essendo medio tempore il loro annullamento divenuto privo di utilità  alla luce del nuovo strumento urbanistico, che aveva reso del tutto inedificabile l’area interessata dal programmato intervento edificatorio.
Con il ricorso introduttivo del presente giudizio i ricorrenti hanno adito nuovamente questa A.G. al fine di ottenere la condanna del Comune di Foggia al risarcimento del danno cagionato dall’Amministrazione comunale che, del tutto illegittimamente per quanto si è detto, ha negato ai ricorrenti la possibilità  di realizzare un intervento da ritenersi – all’epoca – assentibile, ma ormai non più realizzabile per effetto del sopravvenuto strumento urbanistico.
Essi hanno avanzato, in primis, richiesta di risarcimento del danno in forma specifica, per mezzo della condanna dell’Amministrazione resistente all’adozione di una variante al nuovo strumento urbanistico che renda possibile – così come all’epoca dell’istanza di C.E. – l’intervento edilizio; in subordine, richiesta di risarcimento del danno per equivalente, quantificato nella misura di euro 3.298.963, oltre rivalutazione e interessi dalla data del primo diniego e fino alla presente pronuncia.
Il Comune di Foggia ha chiesto il rigetto della domanda, negando la sussistenza della colpa della Amministrazione e contestando la spettanza di talune delle voci di danno indicate in ricorso.
All’udienza del 18/12/2014 la causa è stata trattenuta per la decisione.
La pretesa dei ricorrenti è fondata, nei termini di seguito precisati.
Come già  chiarito, il Collegio in questa sede è unicamente investito della delibazione sulla pretesa risarcitoria avanzata dai ricorrenti, sul presupposto della statuita illegittimità  degli atti amministrativi gravati con il precedente ricorso giurisdizionale.
Il riconoscimento della pretesa risarcitoria non può prescindere, però, anche dall’accertamento delle condizioni contemplate dall’art. 2043 c.c., che deve essere compiuto secondo le regole ordinarie di distribuzione dell’onere della prova, atteso che il giudizio per il risarcimento dei danni attivato innanzi al giudice amministrativo si atteggia come giudizio sul rapporto e non sull’atto, con applicazione piena del principio dispositivo di cui agli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c. (T.A.R. Campania – Napoli, Sez. I, n. 3705/2009).
Occorre, in altri termini, che siano provati, sotto il profilo oggettivo, il danno ed il nesso causale tra l’illecito e il danno che ne è derivato, nonchè sotto il profilo soggettivo la colpa della P.A.
Partendo da quest’ultimo elemento, “occorre stabilire se la condotta amministrativa, a prescindere dall’elemento estrinseco rappresentato dall’illegittimità  degli atti che, di per sè solo, non è sufficiente a determinare l’imputabilità  all’Amministrazione della responsabilità  per le conseguenze dannose della propria azione, è stata caratterizzata da un atteggiamento soggettivo doloso o colposo, tale quindi da fare apprezzare la presenza di un danno risarcibile. La colpa dell’Amministrazione deve essere accertata in senso oggettivo, tenendo conto dei vizi che hanno determinato l’illegittimità  dell’azione, della gravità  delle violazioni commesse, dei precedenti giurisprudenziali, dell’univocità  o meno del dato normativo, delle condizioni concrete e dell’eventuale apporto dei soggetti destinatari dell’atto (C.G.A.S., n. 246/2011). Spetterà  all’Amministrazione dimostrare che si è trattato di un errore scusabile, configurabile in caso di contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di rilevante complessità  del fatto, di influenza determinante di comportamenti di altri soggetti, di illegittimità  derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità  della norma applicata (C.d.S., Sez. VI, n. 1114/2007)”, così Tar Bari, sez. 2, sent. 1/4/14 n. 407.
Venendo al caso in esame, si osserva che i ricorrenti sono stati destinatari di due dinieghi di C.E. ritenuti entrambi illegittimi da G.A.: il primo, fondato sull’asserito contrasto tra l’intervento edilizio progettato e l’art. 54 del PRG; il secondo fondato sul presunto contrasto con gli artt. 35 e 58 del regolamento edilizio. Non va sottaciuto, poi, che il secondo diniego risulta adottato solo in adempimento dell’obbligo di pronunciamento espresso derivante dall’ordinanza 380/2002, emessa al fine di dare esecuzione alla precedente ordinanza cautelare n. 34/2002 rimasta ineseguita dal Comune; nè va ignorato che in questo si palesano ragioni ostative all’accoglimento della domanda che il Comune ben avrebbe potuto esplicitare nel primo provvedimento.
La difesa comunale sottolinea, a sua discolpa, la complessità  della vicenda, dimostrata anche dalla durata del primo giudizio, omettendo di considerare, però, che quel giudizio ha subito un arresto dal 2003 al 2009 (anno in cui risulta depositata la domanda di fissazione di udienza) e che dall’11/01/2011 (data della successiva udienza) in soli dieci mesi il processo è pervenuto alla definitiva conclusione, previo esperimento anche di una verificazione.
Ve infine evidenziato che:
– come osservato dalla difesa dei ricorrenti, nella specie l’ente era chiamato, nell’esercizio di un’attività  del tutto vincolata, a dare applicazione a uno strumento urbanistico vigente da decenni;
– non si comprendono appieno le deduzioni del Comune in ordine all’influenza sul R.E. delle disposizioni recate dal D.M. Segr. Stato per i LL.PP. n. 6630;
– eventuali omissioni/carenze contenute nella relazione di verificazione (relative all’applicazione del predetto D.M.) e recepite nella sentenza definitiva, avrebbero potuto essere fatte valere dal Comune in sede di impugnazione.
Può conclusivamente ritenersi provata la condotta colposa del Comune.
àˆ certa, poi, la verificazione del danno lamentato dai ricorrenti, da qualificarsi come non iure, siccome derivante da provvedimenti illegittimi e come contra ius, ovvero lesivo di interessi giuridicamente rilevanti, quali, in primis, quello all’integrità  del patrimonio, pregiudicato dalla definitiva perdita della capacità  edificatoria del suolo e, dunque (secondo quanto sostenuto dai ricorrenti), dall’impossibilità  di conseguire l’utile derivante dalla programmata vendita degli alloggi. Nè può fondatamente dubitarsi dell’esistenza di un nesso eziologico tra l’ageredell’Amministrazione e tale danno.
Parte ricorrente ha chiesto in via principale la condanna dell’Amministrazione al risarcimento in forma specifica, consistente nell’adozione di apposita variante all’attuale strumento urbanistico, in modo da consentire l’intervento edificatorio illegittimamente negato.
La domanda non merita accoglimento. Va osservato in punto di diritto che “quantomeno a seguito dell’entrata in vigore del Codice del processo amministrativo approvato con D.lgs. 2 luglio 2010 n.104, deve ritenersi possibile per il g.a., anche in sede di giurisdizione generale di legittimità , l’emanazione di pronunce di tipo dichiarativo e di condanna (adempimento) allorchè non vi osti la sussistenza di profili di discrezionalità  amministrativa o tecnica (Consiglio di Stato Adunanza Plenaria, 23 marzo 2011, n.3; id. 29 luglio 2011, n.15). Infatti, nonostante l’apparente silenzio del Codice (nel testo originario) al riguardo, gli artt. 30, 1° comma, e 34 lett. c) c.p.a. consentono al g.a., nei limiti della domanda, di emanare sentenze di condanna “all’adozione di misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio e disporre misure di risarcimento in forma specifica ai sensi dell’art 2058 c.c.” Tale norma, che si pone in stretta correlazione con il generale principio di effettività  e pienezza della tutela giurisdizionale amministrativa, sancisce dunque l’ingresso nell’ordinamento processuale dell’azione tipica di adempimento (c.d. condanna pubblicistica) nell’ottica della soddisfazione completa della posizione sostanziale di interesse legittimo di cui si chiede tutela, pur nel limite della necessaria contestualità  con l’azione di annullamento, nonchè dell’assenza di profili di discrezionalità  amministrativa o tecnica. In recepimento del suesposto orientamento pretorio, il legislatore mediante il secondo correttivo al Codice del Processo amministrativo (D.Lgs. 14 settembre 2012, n.160) novellando l’art. 34 comma 1 lett c) del Codice, ha introdotto l’azione di condanna al rilascio di un provvedimento, da esercitarsi nei limiti di cui all’art. 31 c. 3 (ovvero in presenza di attività  vincolata) e contestualmente all’azione di annullamento”, (TAR Umbria, sent. 21/2/13 n. 105).
Ciò premesso, ritiene il Collegio di escludere nella fattispecie i descritti presupposti per l’ammissibilità  dell’azione di adempimento, poichè l’adozione di una variante si colloca nel novero dell’attività  di pianificazione urbanistica in cui l’Amministrazione gode di ampio margine di discrezionalità , diversamente da quanto accade nel caso di rilascio di titoli abilitativi edilizi.
Residua, pertanto, la possibilità  del risarcimento del danno per equivalente.
In ordine alla sua quantificazione, i ricorrenti hanno articolato la richiesta nei seguenti termini:
– euro 5.816.200,00 derivanti dalla mancata vendita degli immobili “edificandi”;
– euro 110.400,00 a titolo di mancata locazione degli immobili esistenti;
– euro 85.262,00 a titolo di spese per consulenza tecnica;
tenuto conto dei costi di costruzione (quantificati in euro 2.170.381,00) e del valore degli edifici esistenti da ristrutturare (pari ad euro 602.050,00) e computando gli interessi legali nella somma di euro 59.532,00.
Orbene, osserva il Collegio che non spetta il riconoscimento della somma che sarebbe derivata dalla locazione degli immobili esistenti, liberati dai ricorrenti nella convinzione dell’imminente rilascio della C.E. richiesta, mancando la prova dell’esistenza dei contratti di locazione e del pattuito corrispettivo e rilevandosi, in ogni caso, che la scelta del recesso anticipato dagli stessi è imputabile esclusivamente ai ricorrenti, che, per contro, avrebbero potuto prudentemente attendere l’esito dell’iter procedimentale.
Nè spetta quanto richiesto a titolo di ristoro delle spese affrontate per i rilievi dei fabbricati, la progettazione, ecc., difettando la necessaria prova documentale dei relativi esborsi.
Di talchè, ai fini della quantificazione del danno patito, il Collegio ritiene di utilizzare la previsione di cui all’art. 34 comma 4 del c.p.a., in forza della quale disporre che il Comune di Foggia provveda ad acquisire tramite la competente Agenzia delle entrate – Osservatorio del mercato immobiliare – le quotazioni commerciali medie di immobili assimilabili (per sede e destinazione urbanistica) a quelli oggetto della C.E. per la quale è causa e la percentuale di utile medio conseguibile dalla loro vendita all’epoca del primo diniego, somma da cui detrarre, poi, i costi di costruzione e il valore degli immobili esistenti. Trattandosi di debito di valore, la somma dovrà  essere rivalutata alla data della presente sentenza e sulla stessa dovranno essere riconosciuti gli interessi al tasso legale sino all’effettivo soddisfo; gli interessi andranno calcolati sull’importo “concordato”, svalutato all’epoca dell’illecito (data del primo diniego) e di anno in anno rivalutato a partire da tale data (Cass. SS.UU. sent. n. 1712/1995), con applicazione degli indici di rivalutazione dei prezzi al consumo. Non spettano interessi per il periodo 2003-2009, ex art. 1227 co.2 c.c., non avendo i ricorrenti dato alcun impulso al giudizio avverso gli atti del Comune durante tutto il predetto arco temporale.
L’Amministrazione resistente, a tal fine, dovrà  formulare una proposta ai ricorrenti entro sessanta giorni dalla notificazione o comunicazione – se anteriore – della presente sentenza.
Va, infine, assegnato il termine di 120 giorni per il raggiungimento di un accordo. Ove non giungano a un’intesa, le parti potranno proporre, ai sensi del cit. art. 34, IV comma, c.p.a., il ricorso in ottemperanza ex artt. 112 c.p.a..
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo, previa compensazione in ragione di metà , stante il riconoscimento solo parziale delle ragioni creditorie dei ricorrenti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e per l’effetto, ordina al Comune di Foggia di presentare alla ricorrente, entro gg. 60 dalla data di pubblicazione/notificazione della presente sentenza, una proposta di risarcimento dei danni sulla base dei criteri descritti in motivazione.
Condanna il Comune di Foggia al rimborso delle spese di lite sostenute dai ricorrenti, che si liquidano – previa compensazione in ragione di metà – in complessivi € 1.500,00 per diritti e onorari, oltre contributo unificato, CAP e IVA come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità  amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 18 dicembre 2014 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Sergio Conti, Presidente
Viviana Lenzi, Referendario, Estensore
Cesira Casalanguida, Referendario
 
 
 
 

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 29/01/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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