1. Processo amministrativo – Natura ordinatoria termine ex art. 2, L. n. 241/1990 – Vizi formali – Disamina – Non necessità  


2. Pubblica sicurezza – Revoca autorizzazione servizio vigilanza – Verifica sussistenza e permanenza presupposti licenza – Discrezionalità  p.A.

1. La complessità  della vicenda esaminata e la natura ordinatoria del termine ex art. 2, L. n. 241/1990, esime il Collegio dall’esame approfondito delle censure relative a meri vizi formali, non rilevanti ai fini della decisione sul merito della causa. 


2. La P.A., nella materia della c.d. “polizia di sicurezza”, al fine di prevenire fenomeni di illegalità  diffusa sul territorio, deve ponderare in maniera rigorosa la sussistenza dei presupposti, non solo di rilascio dell’autorizzazione, ma anche di permanenza, e quindi revoca, della licenza già  rilasciata (nel caso di specie, il Collegio ha ritenuto legittimo il provvedimento prefettizio di revoca emanato sulla base di circostanze di fatto, assurgenti non al rango di piena prova penalmente intesa, ma indicative di una probabilità  di un condizionamento nella gestione, secondo l’id quod plerumque accidit).

N. 01174/2014 REG.PROV.COLL.
N. 00220/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 220 del 2014, integrato da motivi aggiunti, proposto da: 
-OMISSIS-, in proprio e quale legale rappresentante pro tempore della -OMISSIS- s.r.l. rappresentato e difeso dagli avv.ti Stefania Miccoli e Massimo Malena, con domicilio eletto presso lo studio Malena & Associati in Bari, via Amendola, 170/5; 
contro
U.T.G. – Prefettura di Foggia, Questura di Foggia, Ministero dell’Interno, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, tutti rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari, presso la quale domiciliano in Bari, via Melo, 97; 
Ipzs – Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato; 
e con l’intervento di
ad opponendum:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avv.ti Gennaro Rocco Notarnicola e Andrea Petito, con domicilio eletto presso il primo in Bari, via Piccinni, 150; 
per l’annullamento
previa sospensione
– del decreto prefettizio prot. 0003223 del 29.1.2014, Area 1 Bis, con il quale il Prefetto della Provincia di Foggia ha disposto la revoca del provvedimento prefettizio n. 1434/PA del 5.12.1994 e successive integrazioni con i quali il sig. -OMISSIS- è autorizzato, in qualità  di legale rappresentante ad espletare, mediante guardie particolari giurate, servizi di vigilanza generica nel territorio della provincia di Foggia e nei Comuni di San Ferdinando di Puglia, Trinitapoli e Margherita di Savoia;
e, ove occorra:
– della nota prefettizia n. 4192/Area I bis del 15.2.2013 di comunicazione dell’avvio del procedimento di revoca dell’autorizzazione ai sensi dell’art. 257-quater, comma 1, lett. c) Reg. Tulps;
– della nota prefettizia n. 1447/area I bis del 14.5.2013 ad asserita integrazione del precedente avvio;
– ove occorra della nota snp Div. PASI del 28.1.2013 con la quale la Questura di Foggia riferiva alla Prefettura l’esito di alcuni accertamenti;
– della nota Cat. 16/a del 14.1.2014 della Questura, ancorchè sconosciuta alla ricorrente;
e con motivi aggiunti depositati in data 26 Marzo 2014:
previa sospensione degli effetti
– dell’atto della Prefettura di Foggia privo di numero protocollo, datato 6.3.2014, e conosciuto soltanto a seguito del deposito in giudizio in data 24.3.2014 da parte dell’Avvocatura dello Stato, con il quale è stata revocata la comunicazione antimafia, emessa su richiesta dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato in riferimento al ricorrente -OMISSIS- con nota prot. 8156/12.B.7/Area 1^ del 18.6.2013;
e, ove occorra:
– della nota Cat. 16/a del 4.1.2014 della Questura, alla quale sono allegate le note della Squadra Mobile del 13.4.2013 e 5.12.2013;
– della circolare Ministero Interno – Ufficio di Gabinetto prot. n. 11001/119/208(8) Uff. II-Ord.Sic.Pub. del 24.1.2014, ancorchè sconosciuta alla ricorrente;
– dell’eventuale atto con il quale l’IPZS provvederà  (qualora non abbia provveduto) alla revoca del contratto sottoscritto con -OMISSIS- per il servizio di vigilanza presso la sede di Foggia;
– di tutti gli atti che fanno parte del predetto procedimento, ancorchè sconosciuti al ricorrente;
– di ogni provvedimento consequenziale, presupposto e connesso ai precedenti, ancorchè sconosciuti al ricorrente;
e per il risarcimento del danno personale e della società  da determinarsi in corso di causa;
 
Visti il ricorso, i motivi aggiunti ed i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’U.T.G. – Prefettura di Foggia, della Questura di Foggia e del Ministero dell’Interno, nonchè del sig. -OMISSIS-;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 52 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, commi 1 e 2;
Relatore nell’Udienza Pubblica del giorno 26 giugno 2014 la dott.ssa Paola Patatini e uditi per le parti i difensori, avv.ti Massimo Malena e Stefania Miccoli, per il ricorrente, avv. dello Stato Giovanni Cassano, per le Amministrazioni Statali, avv. Giuseppe D. Rizzi, su delega dell’avv. Gennaro R. Notarnicola, e avv. Teresa Totaro, quest’ultima su delega dell’avv. Andrea Petito, per l’interventore ad opponendum;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 
FATTO
Il sig. -OMISSIS-, in proprio e quale legale rappresentante della -OMISSIS- s.r.l., ha adito codesto Tribunale per chiedere l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia, del decreto prefettizio, e degli altri atti indicati in epigrafe, con cui è stata disposta la revoca dell’autorizzazione allo svolgimento del servizio di vigilanza mediante guardie particolari giurate, per gravi motivi di ordine pubblico ed il concreto pericolo di infiltrazioni ambientali all’interno dell’istituto di vigilanza.
Avverso i provvedimenti impugnati, la parte deduce invero numerosi e articolati motivi di illegittimità , tutti riconducibili in sintesi all’eccesso di potere.
Premette in fatto il -OMISSIS-, titolare della licenza prefettizia sin dal 1994, di essere stato destinatario tra il 2012 ed il 2013 di altri due procedimenti di revoca: il primo conclusosi con la revoca della licenza, poi annullata dalla Terza Sezione di questo Tribunale (sent. n. 586/2013); il secondo, avviato con nota del 15.2.2013, sul presupposto dell’esistenza di un concreto pericolo di infiltrazioni ambientali tali da condizionare la corretta gestione o amministrazione dell’istituto, dato dalla presenza nell’assetto organizzativo di alcuni dipendenti della -OMISSIS- s.r.l. aventi rapporti di parentela e frequentazioni con la criminalità  organizzata locale.
A tale procedimento, cui il ricorrente partecipava presentando diverse memorie, non faceva tuttavia seguito, nel termine conclusionale di trenta giorni, alcun formale provvedimento, nè di revoca nè di archiviazione.
In data 29.5.2013, il Prefetto notificava però all’Istituto una nuova nota, datata 14.5.2013, quale “integrazione alla comunicazione di avvio del procedimento del 15.2.2013”, ravvisando, nello svolgimento dell’attività  di vigilanza da parte dello stesso, circostanze tali da configurare gli estremi dell’abuso dell’autorizzazione di polizia ex art. 134 TULPS.
Anche a seguito di tale nota, che è stata interpretata dalla parte quale terzo procedimento autonomo di revoca in quanto sarebbero in essa contenute nuove contestazioni indipendenti da quelle mosse col primo avvio e relative a fatti risalenti al 2010-2011, già  oggetto del primo procedimento del 2012, il -OMISSIS- presentava comunque memorie.
Tuttavia, in data 31.1.2014 la Questura notificava allo stesso il provvedimento di revoca, oggetto dell’odierno ricorso.
Per resistere al gravame, si sono costitute le Amministrazioni intimate, chiedendo il rigetto delle domande avanzate, previa reiezione dell’istanza cautelare incidentalmente proposta.
Con atto di motivi aggiunti, notificato e depositato in data 24.2.2014, parte ricorrente ha presentato ulteriori motivi di gravame, a seguito dell’acquisizione delle due note PASI nel loro testo integrale, nonchè degli altri atti del fascicolo procedimentale, avvenuta in virtù dell’accesso agli atti consentito in data successiva alla presentazione del ricorso stesso.
All’esito della Camera di Consiglio del 27.2.2014, il Collegio, dato atto del difetto dei termini minimi di legge relativamente ai motivi aggiunti del 24.2.2014 e ritenuto comunque opportuno mantenere integro lo stato di fatto e di diritto esistente nelle more della delibazione dell’istanza cautelare fissata per il successivo 27.3.2014, sospendeva in via interinale e provvisoria l’efficacia del provvedimento di revoca, con Ordinanza n. 126 del 28.2.2014.
In vista della nuova Camera di Consiglio così fissata, le parti hanno depositato memorie e documenti, insistendo per l’accoglimento delle rispettive argomentazioni.
Con atto di intervento ad opponendum del 24.3.2014, si costituiva inoltre il sig. -OMISSIS-, in proprio e quale legale rappresentante della Black Security s.r.l. – altro istituto di vigilanza privata operante nel territorio – chiedendo il rigetto del ricorso.
In data 26.3.2014, il -OMISSIS- depositava un nuovo ricorso per motivi aggiunti – con istanza di sospensiva e richiesta di provvedimento ex art.56 c.p.a. – avverso l’atto della Prefettura di Foggia recante la revoca della comunicazione antimafia, rilasciata precedentemente dalla stessa Prefettura su richiesta dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, e conosciuto a seguito del deposito in giudizio dei documenti del 24.3.2014 da parte dell’Avvocatura dello Stato.
Con Decreto n. 173/2014, il Presidente di questa Sezione rigettava la richiesta di misure urgenti formulata col ricorso per motivi aggiunti, rimettendo la trattazione collegiale dell’istanza cautelare alla successiva Camera di Consiglio del 10.4.2014.
Alla Camera di Consiglio del 27.3.2014, il Collegio, in considerazione dell’incidenza lesiva del provvedimento impugnato sulla situazione lavorativa dei dipendenti nonchè dell’opportunità  di mantenere integro lo stato di fatto e di diritto esistente fino alla definizione del merito, accoglieva l’istanza cautelare e fissava l’Udienza Pubblica del 26.6.2014 (Ordinanza n. 174 del 27.3.2014).
In data 4.4.2014, parte ricorrente ha infine depositato atto di rinuncia ai motivi aggiunti del 26.3.2014 e alla relativa Camera di Consiglio del 10.4.2014, atteso l’autonomo ricorso (RG n. 422/2014) frattanto presentato avverso la risoluzione del contratto stipulato con l’IPZS – intervenuta a seguito della revoca della certificazione antimafia impugnata appunto con i motivi aggiunti – per il quale, a seguito di accoglimento dell’istanza cautelare monocratica ivi contenuta, veniva fissata la Camera di Consiglio del 23.4.2014 in cui trattare anche la domanda di misure cautelari relativa alla revoca della certificazione antimafia suddetta.
In vista della trattazione del merito, le parti hanno infine depositato ulteriori documenti, memorie e repliche nel rispetto dei termini di legge, e all’esito dell’Udienza Pubblica del 26.6.2014, dopo aver approfonditamente sentito le parti, la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
La complessa vicenda, oggetto del presente giudizio, verte sulla revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività  di vigilanza privata mediante l’uso di guardie particolari giurate, emessa all’esito di una lunga, quanto articolata, attività  istruttoria, che ha portato a ritenere sussistenti gravi motivi di ordine pubblico ed un concreto pericolo di infiltrazioni della criminalità  locale nel settore della vigilanza privata.
La complessità  della vicenda, che ha asseritamente giustificato la lungaggine degli atti difensivi e la mole della produzione documentale, esime il Collegio dall’esame approfondito delle censure relative a vizi formali, come mosse dalla parte, in quanto non ritenute rilevanti ai fini della decisione sul merito della causa.
Tali censure vertono invero sulla violazione dei principi dell’azione amministrativa, del termine per la conclusione del procedimento, dell’obbligo di motivazione, dell’indicazione del termine per ricorre al TAR nonchè, con riferimento al primo atto di motivi aggiunti del 24.2.2014, sulla violazione della disciplina sull’accesso, censure tutte superabili in considerazione tanto della natura meramente ordinatoria del temine previsto all’art.2, l. n. 241/90 e delle particolari esigenze imposte evidentemente dallo svolgimento dell’istruttoria così complessa, quanto dell’inconfigurabilità  nella specie della violazione del diritto d’accesso e del generale diritto di difesa, essendo stata la parte messa in grado di visionare tutti gli atti non appena ottenuto il nulla osta della Questura di Foggia, Divisione PASI, come risultante dalla documentazione prodotta dalla difesa erariale (all. 1, 2, 3, 4, del 12.3.2014), nonchè di partecipare, anche con diverse memorie, al relativo procedimento e comunque di proporre tempestivamente ricorso giurisdizionale.
Del pari, da disattendere è anche l’eccezione di inammissibilità  sollevata dal ricorrente nella memoria del 26.5.2014, con riferimento all’intervento ad opponendum proposto dal sig. Annarelli, titolare dell’Istituto Black Security s.r.l.
Parte ricorrente sostiene infatti il difetto di legittimazione ad intervenire da parte della Black Security in quanto quest’ultima avrebbe una posizione contributiva e previdenziale irregolare che ne determinerebbe l’esclusione dalle gare pubbliche.
Tale circostanza, la cui fondatezza non è data accertare in questa sede, è tuttavia per il Collegio ininfluente sul giudizio de quo, rilevando semmai in un’eventuale controversia avente ad oggetto la partecipazione ad un appalto.
Il presente giudizio, si è detto, verte unicamente sulla revoca della licenza di polizia, per il quale è evidente l’interesse di fatto vantato dall’altro istituto di vigilanza, concorrente sul territorio, e che pertanto lo legittima ad intervenire a tutela della propria posizione.
Nel merito, il ricorso è infondato.
Gli atti impugnati sono stati invero censurati per lo più per vizi tutti sussumibili nell’eccesso di potere, posto che parte ricorrente si duole dello sviamento, dell’erroneità  ed illogicità , nonchè del travisamento dei fatti in cui sarebbe incorsa l’Amministrazione, dato che le circostanze invocate a sostegno del provvedimento gravato non sarebbero invece tali da concretizzare l’ingerenza criminale nella -OMISSIS- s.r.l. e quindi da giustificare la revoca adottata.
La circostanza infatti che sei dipendenti dell’istituto abbiano rapporti di parentela e frequentazioni con la criminalità  organizzata locale sarebbe, a dire del ricorrente, da un parte, priva di fondamento e, dall’altra, non sufficiente a motivare tale atto.
il -OMISSIS- deduce in particolare che i sigg. Spiritoso Francesco e D’Ascanio Antonello, entrambi assunti come portieri non armati, non sarebbero più alle dipendenze dell’Istituto; i sigg. Di Sibbio Francesco e Caione Gianluca, assunti quali guardie giurate, sarebbero stati invero soggetti a procedimento disciplinare e poi licenziati a seguito del mancato rinnovo dei titoli di polizia per mancanza dei requisiti ex art.138 TULPS; le sigg.re Spiritoso Roberta e Antoniello Caterina, infine, addette alla segreteria e al centralino dell’istituto e licenziate a seguito di quanto appreso sul loro conto dalla comunicazione di avvio del procedimento del 15.2.2013, sarebbero state invece reintegrate in servizio in virtù della pronuncia del giudice del lavoro che ha dichiarato l’illegittimità  del licenziamento così disposto.
Conclude quindi il -OMISSIS- per l’insussistenza nella specie dei presupposti necessari ad ipotizzare un condizionamento criminale nell’azienda, seppur sita in un territorio come quello dauno notoriamente caratterizzato da un alto tasso di criminalità , dovendosi invece individuare, ai fini di una revoca della licenza, specifici elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o possibili collegamenti con le organizzazioni malavitose, e considerare tali elementi in un quadro indiziario complessivo dal quale poter ritenere attendibile la presenza di tale condizionamento – elementi, a parere del ricorrente, assenti nella fattispecie.
Il Collegio, pur condividendo con la parte la necessità , ai fini della revoca, della ricorrenza di specifici elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete o possibili connessioni con ambienti malavitosi, non ravvisa comunque l’illegittimità  sotto i profili denunciati nell’adozione dell’atto qui impugnato, anzi ritiene realizzato nella specie proprio quel quadro indiziario complessivo da cui si evince il paventato pericolo di condizionamento.
Per comprendere meglio le conclusioni cui è pervenuto il Collegio, occorre necessariamente premettere che, come già  riconosciuto in giurisprudenza, lo svolgimento dell’attività  propria degli istituti di vigilanza si colloca nella materia della polizia di sicurezza per gli evidenti riflessi che esercita sulla sicurezza e l’ordine pubblico, sia in quanto la predetta attività  si pone come indiretto ausilio nel perseguimento delle finalità  di interesse generale della sicurezza e della prevenzione dei reati, sia in quanto deroga alla regola generale della spettanza del potere di controllo del territorio alle sole Forze dell’Ordine.
Ciò giustifica l’ampio potere discrezionale di cui è investita l’Amministrazione in tale materia, che quindi impone alla stessa di ponderare con particolare rigore ed estrema oculatezza la sussistenza dei presupposti, non solo di rilascio dell’autorizzazione, ma anche di permanenza, e quindi revoca, della licenza già  rilasciata (ex multis Cons. St., sez. VI, 7 giugno 2006, n. 3433; 19 maggio 2008, n. 2277; 23 gennaio 2008, n. 143).
E’evidente che l’Amministrazione debba esercitare il suo potere nel rispetto dei canoni tipici della discrezionalità  amministrativa, sia sotto il profilo motivazionale, che sotto quello della coerenza logica e della ragionevolezza, dandosi conto in motivazione dell’adeguata istruttoria espletata al fine di evidenziare le circostanze di fatto alla base del provvedimento adottato.
Con particolare riferimento all’autorizzazione allo svolgimento dell’attività  di vigilanza privata, l’art. 257-quater del Reg. Esec. TULPS prevede il diniego al rilascio della licenza quando “sussistono gravi motivi di ordine e sicurezza pubblica, ovvero il concreto pericolo di infiltrazioni ambientali tali da condizionare la corretta gestione o amministrazione dell’istituto”, con la precisazione che le licenze già  rilasciate sono revocate quando vengono a mancare i requisiti richiesti per il loro rilascio e sono revocate o sospese per gravi violazioni delle disposizioni che regolano le attività  assentite o delle prescrizioni imposte nel pubblico interesse, ovvero “per altri motivi di ordine e sicurezza pubblica”, come anche previsto dall’ultimo comma dell’art. 136 del TULPS, ove si ribadisce che l’autorizzazione può essere negata o revocata per ragioni di sicurezza pubblica o di ordine pubblico.
In tale quadro, la revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività  di vigilanza privata, che risponde ad esigenze di prevenzione avanzata di fenomeni di illegalità  diffusa sul territorio e di tutela della pubblica sicurezza anche mediante il contrasto in via amministrativa di tentativi di ingerenza di organizzazioni criminali in settori particolarmente sensibili quale quello oggetto del giudizio, si collega ad una ampia nozione di pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica – più ampia di quella riferita all’interdittiva antimafia – che, pur potendo ricomprendere i profili di infiltrazione mafiosa, non si esaurisce in essi, essendo estendibile a qualunque situazione di fatto tale da evidenziare una situazione di pregiudizio per i primari interessi coinvolti, nei sensi emergenti dall’impianto normativo di riferimento di cui agli artt. 257 quater e 136 sopra citati.
Il riferimento al “pericolo” di condizionamento evidenzia poi come per l’adozione del provvedimento de quo non sia necessario nè la prova della commissione di reati da parte del titolare della licenza, nè che il condizionamento risulti da prove inconfutabili, essendo sufficienti semplici elementi, e quindi circostanze di fatto, assurgenti non al rango di piena prova penalmente intesa, ma indicativi di una probabilità  di un condizionamento nella gestione, secondo l’id quod plerumque accidit.
Il Collegio conosce e condivide la posizione della giurisprudenza sul punto, per cui non basta il semplice rapporto di parentela con la criminalità  a giustificare aprioristicamente il diniego dei titoli di polizia, tuttavia è emerso dalla documentazione prodotta, e quindi dall’istruttoria condotta accuratemente dall’Amministrazione, che accanto a questo rapporto ci fossero frequentazioni ancora in essere – si pensi ad esempio al Caione Gianluca, rimasto ferito nell’agguato teso al cognato pregiudicato, Moretti Pasquale, mentre lo accompagnava in auto accanto ad un altro noto pregiudicato, oppure alla Antoniello Caterina, imputata per resistenza a pubblico ufficiale, in concorso col padre ed il coniuge, entrambi noti pregiudicati, elementi tutti che fanno ritenere che accanto alla semplice parentela, vi sia anche un rapporto di contiguità  e frequentazioni con la malavita locale.
Tali circostanze di fatto, determinate e constatabili, si aggiungono agli esposti anonimi che denunciano l’esistenza di una situazione poco serena all’interno dell’azienda, comprovata anche dalle note di diverse sigle sindacali che lamentano il mancato pagamento di alcune mensilità , dal che l’Amministrazione ha tratto, secondo l’id quod plerumque accidit, anche in considerazione dell’alto tasso di criminalità  operante nel territorio – rilevato pure dal ricorrente – e delle modalità  operative delle stesse associazioni criminose, un quadro preoccupante ed una situazione di turbolenza in grado di incidere negativamente sull’ordine e la sicurezza nel territorio provinciale, nonchè il serio pericolo di condizionamenti criminali all’interno dell’istituto stesso.
L’ordinanza di custodia cautelare, poi, emessa nei confronti dei sigg. Laccetti Michele, La Salvia Luigi e Zippari Vincenzo – rispettivamente, ex Ispettore Capo della P.S., guardia giurata già  dipendente della -OMISSIS- s.r.l. e guardia particolare giurata in servizio presso il medesimo istituto – sia pur successiva alla revoca e pertanto non costituente un suo presupposto, comprova invero che all’interno dell’azienda operava un sistema di mercimonio dei posti di lavoro, di cui erano parte due dipendenti stessi, e che il -OMISSIS-, pur ritenuto persona attendibile e affidabile dal Gip, si era comunque prestato a tale sistema, lasciando che fosse un terzo (il Laccetti) a far ottenere all’istituto nuovi incarichi in virtù delle sue “conoscenze”, in cambio però dell’assunzione di specifiche persone.
La situazione dell’istituto invero, specie se considerata nella pluralità  delle contestazioni mosse – tra cui, le gravi infrazioni degli artt.256-bis e 257-quater, Reg Esec., per l’utilizzo di personale sfornito di nomina a guardia giurata presso obiettivi sensibili, sia pure assorbite nel provvedimento impugnato, ma pur sempre rappresentanti fatti gravi per l’ordine pubblico – offre una prova sufficiente della sussistenza di numerose, reiterate e gravi anomalie, tali da integrare senz’altro i gravi motivi di ordine pubblico posti alla base del provvedimento di revoca ed il pericolo di infiltrazioni ambientali all’interno.
Nè può accogliersi in ultimo, a sostegno dell’illegittimità  della revoca, la censura relativa alla contraddittorietà  del provvedimento impugnato rispetto all’informativa antimafia del 18.6.2013, con cui la Prefettura certificava all’IPZS l’assenza di tentativi di infiltrazione mafiosa.
Anche a prescindere infatti dalle considerazioni svolte dalla difesa erariale sulla diversità  dei due provvedimenti, sia sotto il profilo delle finalità  perseguite, che sotto quello dei procedimenti adottati, l’apparente contradditorietà  tra i due atti non è sufficiente ad inficiare la legittimità  della revoca, tanto più che le risultanze della scarna istruttoria condotta per l’emissione del certificato antimafia sono state invero confutate da quelle emerse dalla più approfondita e complessa istruttoria svolta nel procedimento di revoca (che hanno persino portato a loro volta a revocare la certificazione stessa con l’emanazione di una interdittiva antimafia).
In conclusione, alla luce delle considerazioni sopra fatte, non emergono nell’operato dell’Amministrazione illogicità  o altri profili di eccesso di potere come denunciati, risultando invero la legittimità  del provvedimento impugnato, da cui consegue il rigetto del ricorso.
Il mancato accoglimento del gravame rende conseguentemente infondata anche la richiesta risarcitoria, stante l’assenza dei presupposti soggettivi ed oggettivi.
Le spese seguono la soccombenza, da liquidarsi in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Bari, Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna il ricorrente al pagamento in favore dell’ Amministrazione resistente della somma di euro 1500,00 (millecinquecento/00) a titolo di spese processuali, oltre ad accessori come per legge. Compensa le spese di lite con l’interventore ad opponendum.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità  amministrativa.
Ritenuto che sussistono i presupposti di cui all’art. 52, commi 1, 2, D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, manda alla Segreteria di procedere, in caso di diffusione del provvedimento, all’annotazione di cui ai commi 1 e 2 della medesima disposizione.
Così deciso in Bari nella Camera di Consiglio del giorno 26 giugno 2014 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Antonio Pasca, Presidente
Giacinta Serlenga, Primo Referendario
Paola Patatini, Referendario, Estensore
 
 
 
 

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10/10/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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