1. Energia da fonti rinnovabili – Impianti eolici – Autorizzazione unica – Pareri endoprocedimentali – Tutela di interessi sensibili – Discrezionalità – Motivazione delle valutazioni discrezionali – Insindacabilità giurisdizionale
2. Procedimento amministrativo – Provvedimento – Conferenza di servizi – Pareri – Acquisizione in forma irrituale – – Principio del contraddittorio – Rispetto – Ammissibilità
3. Tutela dei beni culturali del paesaggio – Autorizzazione unica per impianti di energia da fonti rinnovabili – Parere negativo della Soprintendenza – Effetti
4. Procedimento amministrativo – Principio di conservazione degli atti – Unico motivo insindacabile del diniego – Sufficienza – Altri motivi di ricorso impugnatorio – Assorbimento
5. Energia da fonti rinnovabili – Impianti eolici – Autorizzazione unica della Regione – Diniego – Istanza – Documentazione allegata – Carenza – Improcedibilità – Valutazione – Insindacabilità
6. Procedimento amministrativo – Responsabilità per danno da ritardo – Autorizzazione unix per impianti di energia da fonti rinnovabili – Complessità – Rilevanza interessi coinvolti – Esclusione
1. Il principio che riconosce l’amplissima discrezionalità esercitata dalla amministrazione in materia di valutazioni ambientali è estensibile anche ad altri pareri tecnici espressi da amministrazioni portatrici di interessi sensibili nell’ambito della conferenza di servizi di cui all’art. 12 D.Lgs. n. 387/2003 ai fini del rilascio dell’autorizzazione unica per la realizzazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili. Ne consegue che anche in tali casi il sindacato giurisdizionale sulla motivazione delle valutazioni discrezionali deve essere rigorosamente mantenuto sul piano della verifica della non pretestuosità della valutazione degli elementi di fatto acquisiti, anche mediante c.t.u. o verificazione.
2. Nell’ambito del procedimento svolto in conferenza di servizi, l’acquisizione di taluni pareri resi al di fuori della conferenza di servizi non può considerarsi violativa delle disposizioni dettate in materia dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, quando sia comunque rispettato il principio del contraddittorio. Nel caso di specie la ricorrente ha avuto la possibilità di far pervenire le proprie osservazioni (di cui si dà conto nella motivazione del gravato diniego) rispetto alle manifestazioni di dissenso espresse in forma irrituale – e cioè fuori dalla sede conferenziale – da parte di autorità preposte alla tutela di interessi sensibili quali il paesaggio.
3. Nell’ambito dei procedimenti di rilascio dell’autorizzazione unica alla realizzazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili, il dissenso espresso da un’Amministrazione preposta alla cura di un interesse sensibile e preminente quale il paesaggio, è superabile unicamente attraverso la rimessione della questione al Consiglio dei Ministri ai sensi dell’art. 14 quater, comma 3, L. n. 241/1990 e non attraverso il meccanismo della “prevalenza” delle posizioni di cui all’art. 14 ter, comma 6 bis, della legge medesima.
4. In via generale, è sufficiente per la conservazione del provvedimento amministrativo sorretto da più ragioni giustificatrici tra loro autonome e non contraddittorie, che sia fondata anche una sola di esse. In materia di realizzazione di impianti per energie rinnovabili, ai fini della conservazione della determina di diniego al rilascio dell’autorizzazione unica da parte della Regione, è sufficiente la legittimità di un’unica ragione di rigetto dettagliatamente indicata e non sindacabile in sede giurisdizionale con consequenziale “assorbimento” delle altre censure dedotte.
5. Nell’ambito del procedimento per il rilascio di autorizzazione unica per impianti di energia da fonti rinnovabili, secondo la disciplina di settore, dettata alla deliberazione di Giunta regionale n. 3029/2010, in esecuzione delle linee guida di cui al D.Lgs. 387/2003 la valutazione espressa dalla Regione Puglia in ordine all’incompletezza della domanda originaria rispetto al contenuto minimo previsto dalla deliberazione di giunta richiamata, rappresenta apprezzamento tecnico non sindacabile in sede giurisdizionale in mancanza di errori macroscopici.
6. Nel procedimento amministrativo diretto di rilascio dell’autorizzazione unica per la realizzazione di impianto eolico, i profili di complessità , peculiarità e rilevanza degli interessi coinvolti e la complessità dei fatti riscontrata dagli atti di causa, costituiscono elementi che integrano la fattispecie dell’errore scusabile e che escludono la responsabilità colposa dell’Amministrazione per danno da ritardo.
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La sentenza n. 718/2014 è identica nelle massime.
N. 00717/2014 REG.PROV.COLL.
N. 01051/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1051 del 2013, proposto da Wind Energy Project 2 s.r.l., rappresentata e difesa dagli avv.ti Jacopo Sanalitro, Luigi Valentino Damone, Stefano Grassi, con domicilio eletto presso l’avv. Nicola De Feudis in Bari, via Camillo Rosalba, 47/Z;
contro
Regione Puglia, rappresentata e difesa dall’avv. Antonella Loffredo, con domicilio eletto presso la sede dell’Avvocatura della Regione Puglia in Bari, Lungomare Nazario Sauro, 31-33;
Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Puglia e Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le Province di Bari, Barletta – Andria – Trani e Foggia, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari, domiciliataria in Bari, via Melo, 97;
Comune di Torremaggiore, rappresentato e difeso dall’avv. Vincenzo Antonucci, con domicilio eletto presso l’avv. Salvatore Basso in Bari, corso Mazzini, 134/B;
Provincia di Foggia;
nei confronti di
NCD – Divisione Eolica s.r.l.;
Edp Renewables Italia s.r.l.;
E.On Climate & Renewables Italia s.r.l.;
Terna – Rete Elettrica Nazionale s.p.a., rappresentata e difesa dagli avv.ti Filippo Di Stefano, Antonio Iacono, con domicilio eletto presso gli uffici di Terna s.p.a. in Bari, via Trisorio Liuzzi, 195;
per l’annullamento,
previa sospensione dell’efficacia,
– del provvedimento del Servizio Energia della Regione Puglia del 26 giugno 2013, prot. n. 5374, recante diniego dell’autorizzazione unica per l’impianto eolico di Crocella;
– di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale, anche se non conosciuto dalla ricorrente, ivi inclusi, gli atti specificati in ricorso tra cui: la nota della Regione Puglia – Politiche per la Mobilità e la Qualità Urbana – Servizio Assetto del Territorio – Ufficio Parchi e Tutela della Biodiversità , prot. n. 3899 del 14 maggio 2013 e la nota del Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le Province di Bari, Barletta – Andria – Trani e Foggia, prot. n. 0006976 del 15 maggio 2013;
nonchè per la condanna delle Amministrazioni resistenti al risarcimento dei danni subiti e subendi dalla società ricorrente a causa dell’illegittimità dei provvedimenti impugnati;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Puglia, del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Puglia, della Soprintendenza per Beni Architettonici e Paesaggistici per le Province di Bari, Barletta – Andria – Trani e Foggia, del Comune di Torremaggiore e di Terna – Rete Elettrica Nazionale s.p.a.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore il dott. Francesco Cocomile e uditi nell’udienza pubblica del giorno 26 marzo 2014 per le parti i difensori avv.ti Jacopo Sanalitro, Maria Liberti, su delega dell’avv. Antonella Loffredo, Donatella Testini, Vincenzo Antonucci, e Giancarlo Bruno, su delega dell’avv. Antonio Iacono;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
Con l’atto introduttivo del presente giudizio l’odierna ricorrente Wind Energy Project 2 s.r.l. contestava il diniego regionale (nota prot. n. 5374 del 26.6.2013) di autorizzazione unica richiesta per la realizzazione di un parco eolico nel territorio del Castelnuovo della Daunia – località Crocella.
Avverso detto diniego e gli atti presupposti in epigrafe indicati la società istante deduceva censure così sinteticamente riassumibili:
1) violazione e falsa applicazione dell’art. 12 dlgs n. 387/2003; violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 3 legge n. 241/1990; violazione e falsa applicazione degli artt. 41 e 97 Cost.; violazione e falsa applicazione del principio del divieto di aggravamento il procedimento di cui all’art. 1, comma 2 legge n. 241/1990; violazione e falsa applicazione degli artt. 41 e 97 Cost. e dei principi di buon andamento, efficacia ed efficienza alla pubblica amministrazione; violazione del principio del legittimo affidamento; eccesso di potere particolarmente sotto il profilo della contraddittorietà tra atti, nonchè erroneità dei presupposti, travisamento dei fatti, illogicità ed ingiustizia manifesta, difetto di istruttoria e carenza di motivazione;
2) violazione e falsa applicazione dell’art. 12 dlgs n. 387/2003; violazione e falsa applicazione dell’art. 26 dlgs n. 152/2006, nonchè della DGR n. 2122/2012; violazione e falsa applicazione degli artt. 3.1, 3.3, 3.4 e 13.1 delle Linee Guida statali per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti energetiche rinnovabili da cui al D.M. 10 settembre 2010; violazione e falsa applicazione del par. 2.2 della DGR n. 3029/2010; violazione e falsa applicazione del principio del divieto di aggravamento del procedimento di cui all’art. 1, comma 2 legge n. 241/1990; violazione e falsa applicazione degli artt. 41 e 97 Cost. e dei principi di buon andamento, efficacia ed efficienza alla pubblica amministrazione; violazione e falsa applicazione dell’art. 6 legge Regione Puglia n. 11/2001; eccesso di potere particolarmente sotto il profilo dell’erroneità dei presupposti, travisamento dei fatti, illogicità ed ingiustizia manifesta, nonchè del difetto di istruttoria e carenza di motivazione; sviamento di potere;
3) violazione e falsa applicazione dell’art. 12 dlgs n. 387/2003; violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 3, 10 bis e 14 ter, comma 6 bis legge n. 241/1990; violazione e falsa applicazione del principio del divieto di aggravamento del procedimento di cui all’art. 1, comma 2 legge n. 241/1990; violazione e falsa applicazione degli artt. 41 e 97 Cost. e dei principi di buon andamento, efficacia ed efficienza della pubblica amministrazione; eccesso di potere particolarmente sotto il profilo dell’erroneità dei presupposti, travisamento dei fatti, illogicità ed ingiustizia manifesta, nonchè del difetto di istruttoria e carenza di motivazione; sviamento di potere;
4) violazione e falsa applicazione dell’art. 12 dlgs n. 387/2003; violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 3 e 14 quater, comma 1 legge n. 241/1990; violazione e falsa applicazione degli artt. 14.1 e 14.11 delle Linee Guida statali per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti energetiche rinnovabili di cui al D.M. 10 settembre 2010; violazione e falsa applicazione del par. 3.2 e 3.13 della DGR n. 3029/2010; violazione e falsa applicazione del principio del divieto di aggravamento del procedimento di cui all’art. 1, comma 2 legge n. 241/1990; violazione e falsa applicazione degli artt. 41 e 97 Cost. e dei principi di buon andamento, efficacia ed efficienza alla pubblica amministrazione; eccesso di potere particolarmente sotto il profilo dell’erroneità dei presupposti, travisamento dei fatti, illogicità ed ingiustizia manifesta, nonchè del difetto di istruttoria e carenza di motivazione;
5) violazione e falsa applicazione dell’art. 12 dlgs n. 387/2003; violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 3, 10 bis e 14 ter, comma 6 bis legge n. 241/1990; eccesso di potere per erroneità dei presupposti, travisamento dei fatti, illogicità ed ingiustizia manifesta; eccesso di potere particolarmente sotto il profilo del difetto di istruttoria e della carenza di motivazione; sviamento di potere;
6) violazione e falsa applicazione dell’art. 12 dlgs n. 387/2003; violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 3 e 10 bis legge n. 241/1990; violazione e falsa applicazione del principio del divieto di aggravamento del procedimento di cui all’art. 1, comma 2 legge n. 241/1990; violazione e falsa applicazione degli artt. 41 e 97 Cost. e dei principi di buon andamento, efficacia ed efficienza della pubblica amministrazione; eccesso di potere particolarmente sotto il profilo dell’erroneità dei presupposti, travisamento dei fatti, illogicità ed ingiustizia manifesta, nonchè del difetto di istruttoria e della carenza di motivazione; violazione delle garanzie partecipative;
7) violazione e falsa applicazione dell’art. 12 dlgs n. 387/2003; violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 3 legge n. 241/1990; eccesso di potere particolarmente sotto il profilo dell’erroneità dei presupposti, travisamento dei fatti, illogicità ed ingiustizia manifesta, nonchè per difetto di istruttoria e carenza di motivazione;
8) violazione e falsa e applicazione dell’art. 12 dlgs n. 387/2003; violazione e falsa applicazione dei paragrafi 4.4, lett. h) e 5.3, lett. h) dell’allegato 4 alle Linee Guida statali per l’autorizzazione di impianti alimentati da fonti energetiche rinnovabili di cui al D.M. 10 settembre 2010; violazione e falsa applicazione dell’art. 6 legge Regione Puglia n. 11/2001; violazione e falsa applicazione dell’art. 5 d.p.r. n. 357/1997; violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 12 e 19 del regolamento del Piano di gestione del SIC del Fiume Fortore, approvato con la DGR Puglia n. 1084/2010; violazione e falsa applicazione di artt. 1 e 3 legge n. 241/1990; eccesso di potere per erroneità dei presupposti, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria e carenza di motivazione; eccesso di potere per illogicità ed ingiustizia manifesta, nonchè per violazione del principio di proporzionalità e adeguatezza.
La ricorrente invocava, altresì, la condanna delle Amministrazioni resistenti al risarcimento del danno patito in conseguenza della adozione degli atti amministrativi asseritamente illegittimi.
Si costituivano l’Amministrazione regionale, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Puglia e la Soprintendenza per Beni Architettonici e Paesaggistici per le Province di Bari, Barletta – Andria – Trani e Foggia, resistendo al gravame. Si costituivano, altresì, Terna s.p.a. ed il Comune di Torremaggiore chiedendo l’accoglimento del ricorso.
Preliminarmente, va evidenziato che il presente ricorso non può essere dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse a causa della intervenuta inefficacia della originaria determina di esclusione da VIA (ottenuta dalla impresa interessata), poichè detta determina è stata prorogata con provvedimenti della Provincia di Foggia del 18.9.2013 e del 10.12.2013.
Ciò premesso, ritiene questo Collegio che il ricorso sia infondato.
Invero, tutte le doglianze di cui all’atto introduttivo sono suscettibili di disamina unitaria poichè aventi ad oggetto plurime e non censurabili valutazioni tecniche operate dalla Amministrazione regionale (e dalle altre Amministrazioni intervenute nel corso del procedimento amministrativo de quo) nella gravata determina n. 5374 del 26.6.2013 di diniego di autorizzazione unica (e negli atti presupposti in essa richiamati [parere ostativo della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le Province di Bari, Barletta – Andria – Trani e Foggia prot. n. 6976 del 15 maggio 2013 e parere dell’Ufficio Parchi e Tutela della Biodiversità della Regione Puglia del 14 maggio 2013]), valutazioni costituenti espressione di ampia discrezionalità tecnica, non inficiate da vizi macroscopici, a fronte di una motivazione estremamente dettagliata in ordine ai vari profili ostativi alla installazione del progetto proposto.
A tal riguardo, ha rimarcato Cons. Stato, Sez. V, 27 marzo 2013, n. 1783 con riferimento alle valutazioni tecniche espresse dalla Amministrazione in materia ambientale:
«¦ L’amministrazione, nel rendere il giudizio di valutazione ambientale, esercita un’amplissima discrezionalità che non si esaurisce in un mero giudizio tecnico, in quanto tale suscettibile di verificazione tout court sulla base di oggettivi criteri di misurazione, ma presenta al contempo profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa e istituzionale in relazione all’apprezzamento degli interessi pubblici e privati coinvolti (tra le tante, Cons. Stato, sez. quinta, 22 marzo 2012, n. 1640; sezione sesta, 13 giugno 2011, n. 3561; sezione quinta, 17 gennaio 2011, n. 220; sezione quarta, 5 luglio 2010, n. 4246; Corte giustizia, 25 luglio 2008, c – 142/07).
La natura schiettamente discrezionale della decisione finale risente dunque dei suoi presupposti sia sul versante tecnico che amministrativo, sicchè, pur essendo pacifico (a seguito della storica decisione n. 601 del 9 aprile 1999 della sezione quarta) che il sindacato giurisdizionale sugli apprezzamenti tecnici dell’amministrazione possa svolgersi attraverso la verifica diretta dell’attendibilità delle operazioni compiute da quest’ultima sotto il profilo della loro correttezza quanto a criterio tecnico ed a procedimento applicativo, è ugualmente pacifico che il controllo del giudice amministrativo sulle valutazioni discrezionali deve essere svolto ab extrinseco, nei limiti della rilevabilità ictu oculi dei vizi di legittimità dedotti, essendo diretto ad accertare il ricorrere di seri indici di invalidità e non alla sostituzione dell’amministrazione (cfr. Cass. Civ., sez. unite, 17 febbraio 2012, nn. 2312 e 2313).
La sostituzione da parte del giudice amministrativo della propria valutazione a quella riservata alla discrezionalità dell’amministrazione costituisce ipotesi di sconfinamento della giurisdizione di legittimità nella sfera riservata alla pubblica amministrazione (p.a.), a nulla rilevando che lo sconfinamento si compia attraverso una pronuncia il cui contenuto dispositivo si mantiene nell’area dell’annullamento dell’atto.
In base al principio di separazione dei poteri sotteso al nostro ordinamento costituzionale, solo l’amministrazione è in grado di apprezzare, in via immediata e diretta, l’interesse pubblico affidato dalla legge alle sue cure. Conseguentemente, il sindacato sulla motivazione delle valutazioni discrezionali deve essere rigorosamente mantenuto sul piano della verifica della non pretestuosità della valutazione degli elementi di fatto acquisiti; non può avvalersi di criteri che portano ad evidenziare la mera non condivisibilità della valutazione stessa; deve tenere distinti i poteri meramente accertativi da quelli valutativi (a più alto tasso di opinabilità ) rimessi all’organo amministrativo, potendo esercitare più penetranti controlli, anche mediante c.t.u. o verificazione, solo avuto riguardo ai primi. ¦».
Il principio espresso dal Consiglio di Stato nella predetta sentenza con riferimento al carattere schiettamente discrezionale della valutazione ambientale è evidentemente estensibile ad altri pareri tecnici espressi da Amministrazioni portatrici di interessi sensibili nell’ambito della conferenza di servizi di cui all’art. 12 dlgs n. 387/2003.
Nel caso di specie non sono ravvisabili nelle censure formulate da parte ricorrente elementi significativi in ordine alla pretestuosità della valutazione degli elementi di fatto acquisiti dall’Amministrazione regionale e posti a fondamento della determina n. 5374/2013 (ovvero dalle Amministrazioni in precedenza menzionate relativamente ai pareri “ostativi” richiamati nel gravato diniego), tenuto altresì conto del fatto che nel corpo motivazionale del gravato provvedimento di diniego (cfr. pag. 4 ) sono riportate le osservazioni formulate dalla società interessata e le puntuali controdeduzioni in risposta manifestate dalla stessa Amministrazione.
Quanto alle censure di carattere formale formulate della società ricorrente, va evidenziato che l’acquisizione al di fuori della conferenza di servizi di taluni pareri non può considerarsi violativa delle disposizioni in tema di conferenza di servizi contenute nella legge n. 241/1990.
Invero, come rilevato da costante giurisprudenza amministrativa (cfr. T.A.R. Bari, Sez. I, 26 agosto 2013, n. 1247; T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. I, 10 maggio 2012, n. 827; T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. I, 10 ottobre 2012, n. 1657) deve ritenersi ammissibile la trasmissione di note scritte alla conferenza di servizi quando, come accaduto nel caso di specie, sia comunque rispettato il principio del contraddittorio.
Ciò è, appunto, quanto avvenuto nella fattispecie oggetto del presente giudizio, dato che la ricorrente ha avuto la possibilità di far pervenire le proprie osservazioni (di cui si dà conto nella motivazione del gravato diniego) rispetto alle manifestazioni di dissenso espresse in forma irrituale (e cioè fuori dalla sede conferenziale) da parte di autorità preposte alla tutela di interessi sensibili (come è quello al paesaggio).
Recentemente, Cons. Stato, Sez. VI, 10 marzo 2014, n. 1144 ha evidenziato con argomentazioni condivisibili:
«La conferenza di servizi è il luogo, fisico e giuridico, dove devono confluire, per le evidenziate finalità di concentrazione perseguite dal legislatore nella materia, tutte le manifestazioni di volontà delle autorità coinvolte nel procedimento funzionale all’adozione, ai sensi dell’art. 12 del d.lg. n. 387 del 2003, dell’autorizzazione unica; ciò nondimeno, non può considerarsi “tamquam non esset” una manifestazione di dissenso espressa in forma irrituale (e cioè fuori dalla sede conferenziale) da parte di un’autorità preposta alla tutela di un interesse sensibile (come è quello al paesaggio). Pertanto, se per un verso il principio di leale collaborazione impone indubbiamente alle parti pubbliche di cooperare in vista del perseguimento dell’interesse di cui ciascuna risulti attributaria e di rispettare anzitutto le forme previste dalla legge per la manifestazione della volontà di ciascun soggetto coinvolto nel procedimento (dovendosi quindi ritenere irrituale il dissenso espresso fuori dalla conferenza di servizi), per altro verso, ove l’Ente preposto alla tutela di un interesse sensibile esprima comunque il proprio (irrituale) dissenso nell’ambito del procedimento funzionale all’adozione dell’autorizzazione unica, la Regione non può omettere di dare rilievo a tale dissenso espresso rilasciando (illegittimamente) l’autorizzazione unica.».
Nel caso in esame, avendo la Regione Puglia dato adeguato rilievo ai pareri ostativi della Soprintendenza e dell’Ufficio Parchi (ponendoli a fondamento del censurato diniego), pur se espressi in modo irrituale, non è in alcun modo contestabile – in forza del condivisibile principio di diritto di cui a Cons. Stato, Sez. VI, 10 marzo 2014, n. 1144 – il gravato provvedimento negativo del 26.6.2013.
Non può, inoltre, censurarsi l’operato dell’Amministrazione regionale, avendo la stessa ritenuto “prevalente” con motivazione non sindacabile, nell’esercizio di un potere tipicamente discrezionale, la posizione espressa da due Amministrazioni (tra cui la Sovrintendenza) preposte alla tutela di interessi sensibili che indubbiamente hanno un rilevante peso di carattere qualitativo – sostanziale nell’ambito del procedimento per cui è causa (cfr. T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I. 26 agosto 2013, n. 1247).
Come rimarcato da T.A.R. Umbria, Perugia, Sez. I, 5 giugno 2013, n. 322 “¦ La rilevanza dell’interesse paesaggistico che rappresenta principio fondamentale della Costituzione anche nelle zone non sottoposte a vincoli implica che la semplificazione procedimentale, giustificata dalle necessità di approvvigionamento energetico anche mediante tecnologie non inquinanti non possa invertire il rapporto sostanziale tra gli interessi: anche nell’art. 14 ter, co. 6 bis, come introdotto dall’art. 10 della legge n. 15/2005 e poi sostituito dall’art. 49, co. 2, lett. d) del decreto legge n. 78/2010, il motivato dissenso della Direzione Regionale per i beni e le attività culturali in sede di conferenza di servizi a tutela dell’interesse sensibile cui è istituzionalmente preposto, non può essere superato nella stessa sede conferenziale come avviene, ai sensi dell’art. 14 ter, per altri interessi non sensibili che dovessero risultare antagonisti, tenendo conto nella determinazione conclusiva delle posizioni prevalenti espresse in quella sede di conferenza (Cons. St., sez. VI, 23/05/2012, n. 3039). ¦”.
Infatti, per quanto la conferenza di servizi di cui al combinato disposto degli artt. 12 dlgs n. 387/2003 e 14 ter legge n. 241/1990 costituisca un modulo procedimentale di semplificazione, rimane comunque fermo che il dissenso espresso da un’Amministrazione preposta alla tutela di un interesse sensibile quale il paesaggio (di carattere preminente costituendo la relativa tutela principio fondamentale della Costituzione [cfr. art. 9]) è superabile unicamente attraverso la rimessione della questione al Consiglio dei Ministri ai sensi dell’art. 14 quater, comma 3 legge n. 241/1990 e giammai attraverso il meccanismo della “prevalenza” delle posizioni di cui all’art. 14 ter, comma 6 bis legge n. 241/1990.
Ne consegue che, se l’Amministrazione regionale procedente ritiene – come nella vicenda oggetto del presente giudizio – di allinearsi alle posizioni espresse dalla Amministrazione portatrice dell’interesse sensibile (nel caso di specie la Soprintendenza), non vi sarà necessità di rimessione al Consiglio dei Ministri ai sensi dell’art. 14 quater, comma 3 legge n. 241/1990; nè vi sarà necessità di alcuna motivazione in ordine alla prevalenza della valutazione “ostativa” espressa, posto che il carattere ostativo del parere manifestato dall’Amministrazione portatrice dell’interesse sensibile deriva automaticamente dalla previsione di legge (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 23 maggio 2012, n. 3039).
Pertanto, non è possibile contestare l’omessa rimessione della questione al Consiglio dei Ministri ai sensi dell’art. 14 quater, comma 3 legge n. 241/1990, dal momento che l’Amministrazione resistente con il gravato diniego ha legittimamente ritenuto di uniformarsi alle posizioni espresse dalle Amministrazioni dissenzienti portatrici di interessi sensibili (tra cui la Soprintendenza ai beni architettonici e paesaggistici). All’opposto unicamente in ipotesi di contrasto sarebbe stata immaginabile una rimessione della questione al Consiglio dei Ministri.
Ciò premesso in linea generale in ordine alla legittimità e non sindacabilità in sede giurisdizionale delle ragioni “ostative” alla realizzazione dell’impianto proposto dalla società Wind Energy Project 2 s.r.l. (poste a fondamento della gravata determina n. 5374/2013), nel caso di specie può trovare applicazione il principio – ormai costante nella giurisprudenza amministrativa – secondo cui: “In via generale, è sufficiente per la conservazione del provvedimento amministrativo sorretto da più ragioni giustificatrici tra loro autonome e non contraddittorie, che sia fondata anche una sola di esse; pertanto, nel giudizio promosso contro un siffatto provvedimento, il giudice, ove ritenga infondate le censure dedotte avverso una delle autonome ragioni poste alla base dell’atto impugnato, idonea, di per sè, a sorreggere la legittimità del provvedimento impugnato, ha la potestà di respingere il ricorso su tale base, con declaratoria di “assorbimento” delle censure dedotte contro altro capo del provvedimento, indipendentemente dall’ordine in cui le censure sono articolate dall’interessato nel ricorso, in quanto la conservazione dell’atto (indipendentemente dalla eventuale invalidità di taluna delle autonome argomentazioni che lo sorreggono) fa venir meno l’interesse del ricorrente all’esame dei motivi dedotti contro tali ulteriori argomentazioni.” (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 10 giugno 2005, n. 3052).
In tal senso si è di recente pronunciato Cons. Stato, Sez. VI, 10 maggio 2013, n. 2543: “Ove l’atto impugnato (provvedimento o sentenza) sia legittimamente fondato su una ragione di per sè sufficiente a sorreggerlo, diventano irrilevanti, per difetto di interesse, le ulteriori censure dedotte dal ricorrente avverso le altre ragioni opposte dall’autorità emanante a rigetto della sua istanza.”.
Nella presente fattispecie è sufficiente, per la conservazione della determina n. 5374/2013 (che, nel richiamare – facendoli propri – i presupposti pareri negativi della Soprintendenza del 15.5.2013 e dell’Ufficio Parchi del 14.5.2013, è sorretta da più ragioni giustificatrici tra loro autonome e non contraddittorie), la legittimità di un’unica ragione di rigetto dettagliatamente indicata e non sindacabile – per le ragioni esposte – in questa sede (in particolare, quella fondata sull’esistenza delle “criticità ” rilevate dalla Soprintendenza nel citato parere del 15.5.2013 e ritenute dalla Amministrazione regionale nel provvedimento del 26.6.2013 in concreto non superate dalla società ricorrente).
La contestata valutazione, operata dalla Amministrazione regionale con la gravata determina n. 5374 del 26.6.2013, in ordine alla esistenza delle menzionate criticità di cui al parere della Soprintendenza del 15.5.2013, alla rilevanza “ostativa” ed al non superamento in concreto, da parte della società interessata, delle stesse costituisce apprezzamento di carattere tecnico non sindacabile in sede giurisdizionale in quanto non inficiato da vizi macroscopici.
Ne consegue che l’insindacabilità della rilevanza “ostativa” delle menzionate criticità riscontrate dalla Soprintendenza nel parere del 15.5.2013 di per sè sola vale a fondare la legittimità del gravato diniego di autorizzazione unica, con consequenziale “assorbimento” delle altre censure dedotte.
In definitiva, legittimamente l’Amministrazione regionale con la determina gravata trae la conclusione in ordine alla non definitività ex art. 2.2, lett. a) DGR n. 3029/2010 del progetto proposto dalla società istante.
Infatti, ai sensi del menzionato art. 2.2, lett. a) DGR n. 3029/2010 “La domanda per il rilascio dell’autorizzazione unica, fermo restando quanto previsto dai punti 2.3 e 2.4, è corredata dai seguenti documenti predisposti secondo le Istruzioni Tecniche per l’informatizzazione dell’Autorizzazione Unica, approvate con determina dirigenziale del Dirigente del Servizio Energia, Reti e Infrastrutture Materiali per lo Sviluppo: a) progetto definitivo dell’iniziativa comprensivo delle opere per la connessione alla rete, delle altre infrastrutture indispensabili previste, della dismissione dell’impianto e del ripristino dello stato dei luoghi. Il ripristino, per gli impianti idroelettrici, è sostituito da misure di reinserimento e recupero ambientale.”.
Precisa l’art. 3.3 DGR n. 3029/2010 che “La documentazione elencata al punto 2.2 ferma restando la documentazione imposta dalle normative di settore, è considerata contenuto minimo dell’istanza ai fini della sua procedibilità .”.
Ne consegue che la valutazione, espressa dalla Regione Puglia con il censurato diniego, in ordine al carattere non definitivo del progetto presentato, anche in relazione alla parte delle opere necessarie all’immissione dell’energia nella rete ed alla soluzione di connessione elettrica (costituenti presupposti fondamentali per il rilascio della autorizzazione) e, quindi, in termini di improcedibilità della originaria istanza ritenuta incompleta, rappresenta apprezzamento tecnico non sindacabile in mancanza di errori macroscopici.
Peraltro, parte ricorrente nell’ambito del motivo di ricorso sub 3 (cfr. pagg. 46 e ss.) non dimostra di aver proposto soluzioni modificative dopo l’adozione del parere della Soprintendenza del 15.5.2013 al fine di conformarsi alle indicazioni contenute in detto parere.
Dalle argomentazioni espresse in precedenza discende la reiezione del ricorso.
Essendo stata riscontrata la legittimità dei provvedimenti censurati, non può trovare accoglimento la domanda risarcitoria azionata dalla società per danni da provvedimento illegittimo.
Quanto alla domanda risarcitoria per danno da ritardo, formulata dalla Wind Energy Project 2 s.r.l., va evidenziato quanto segue.
In passato, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (15 settembre 2005, n. 7) aveva sostenuto che il giudice amministrativo riconosce il risarcimento del danno causato al privato dal comportamento dell’Amministrazione inerte solo quando fosse stata accertata la spettanza del cd. bene della vita, non essendo risarcibile il danno da ritardo provvedimentale “mero” ed occorrendo appunto verificare se il bene della vita finale sotteso all’interesse legittimo azionato fosse, o meno, dovuto.
A seguito della introduzione dell’art. 2 bis legge n. 241/1990 ad opera dell’art. 7 legge 18 giugno 2009, n. 69 (previsione normativa, priva del carattere delle retroattività , secondo cui “Le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’articolo 1, comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.”) si deve ritenere che il ritardo della Amministrazione nella conclusione del procedimento sia stato riconosciuto come bene della vita autonomamente risarcibile.
In tal senso (i.e. rilevanza – a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 69/2009 – del tempo come bene della vita autonomo) si sono espressi Cons. Stato, Sez. V, 28 febbraio 2011, n. 1271; Cons. Stato, Sez. V, 21 marzo 2011, n. 1739; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 18 settembre 2012, n. 7840; Cons. Stato, Sez. III, 31 gennaio 2014, n. 468; Cons. Stato, Sez. III, 30 aprile 2014, n. 2279.
La più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato ha evidenziato la necessità di individuare con esattezza la collocazione temporale della fattispecie concreta al fine di determinare la disciplina normativa ratione temporis applicabile (i.e. le coordinate ermeneutiche fornite dalla decisione dell’Adunanza Plenaria n. 7/2005 in tema di illecito aquiliano omissivo della P.A. secondo cui il tempo non è un bene della vita autonomamente risarcibile, ovvero l’innovativa previsione normativa di cui all’art. 2 bis legge n. 241/1990 da cui, all’opposto, si desume che il tempo è un bene della vita autonomamente ristorabile), in considerazione della portata non retroattiva della novella del 2009.
Per esempio, Cons. Stato, Sez. V, 24 marzo 2011, n. 1796 ha affermato:
«¦ la ricorrente non è in condizione, ratione temporis, di invocare la nuova previsione di cui all’articolo 2 bis della legge n. 241/1990 (“Conseguenze per il ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento”), innovazione che è stata introdotta dall’articolo 7, comma 1, lettera c), della legge 18 giugno 2009, n. 69 (“Le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’articolo 1, comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento”), senza previsione di retroattività (va rimarcata, anzi, la gradualità degli adempimenti prescritti per l’operatività della disciplina, inscindibilmente connessa, del novellato art. 2 della stessa legge n. 241: v. l’art. 7, comma 3, della legge n. 69/2010).
La fattispecie concreta ricade, pertanto, nel quadro previgente, e soggiace alle coordinate tracciate in materia dall’interpretazione della giurisprudenza dominante.
Va allora ricordato come l’Adunanza Plenaria di questo Consiglio (15 settembre 2005 n. 7) abbia chiarito che il G.A. riconosce il risarcimento del danno causato al privato dal comportamento dell’Amministrazione solo quando sia stata accertata la spettanza del c.d. bene della vita: non è invece risarcibile il danno da ritardo provvedimentale c.d. “mero”, occorrendo appunto verificare se il bene della vita finale sotteso all’interesse legittimo azionato sia, o meno, dovuto. ¦».
Analogamente Cons. Stato, Sez. V, 3 maggio 2012, n. 2535 ha escluso l’operatività , nella fattispecie concreta oggetto del giudizio, dell’art. 2 bis legge n. 241/1990 per ragioni legate alla collocazione temporale della stessa fattispecie (in epoca precedente rispetto all’entrata in vigore della legge n. 69/2009), ritenendo quindi di applicare al caso sottoposto al suo esame il principio di diritto (di segno opposto) di cui ad Ad. Plen. n. 7/2005.
La fattispecie concreta oggetto del presente giudizio (istanza di autorizzazione unica presentata in data 31 marzo 2009) si colloca temporalmente in fase antecedente rispetto alla introduzione dell’art. 2 bis legge n. 241/1990 (avvenuta con legge 18 giugno 2009, n. 69) e quindi ratione temporis soggiace alle coordinate tracciate in materia di illecito aquiliano omissivo della Amministrazione dall’interpretazione della giurisprudenza dominante (Adunanza Plenaria 15 settembre 2005, n. 7).
Dovendosi valutare la fattispecie per cui è causa alla luce del principio di diritto affermato da Ad. Plen. n. 7/2005, è emerso che nel caso di specie non è stata accertata la spettanza del bene della vita in capo alla società Wind Energy Project 2 s.r.l., essendosi il procedimento amministrativo di cui lamenta il ritardo concluso con provvedimento sfavorevole (i.e. diniego di autorizzazione unica n. 5374/2013, riconosciuto legittimo da questo Giudice).
Pertanto, in base al principio di diritto affermato da Ad. Plen. n. 7/2005, ratione temporis applicabile alla fattispecie per cui è causa, deve escludersi la risarcibilità del danno da ritardo.
Va, altresì, evidenziato che la peculiare complessità del procedimento in esame ha contribuito a determinare il ritardo della Amministrazione, così incidendo (nel senso di escluderlo) sul profilo della colpa della stessa Amministrazione (colpa rilevante sia in forza della espressa previsione di cui all’art. 2 bis legge n. 241/1990 ove si opera un esplicito riferimento alla “inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento”, sia alla luce dell’art. 2043 cod. civ. cui era comunque riconducibile l’illecito aquiliano omissivo della P.A. prima dell’introduzione dell’art. 2 bis legge n. 241/1990).
Per quanto qui interessa, deve escludersi la sussistenza di una colpa dell’Amministrazione regionale nel ritardo.
Con l’ulteriore conseguenza della non ravvisabilità di un comportamento illecito colpevole della stessa Amministrazione (“fatto colposo” ex art. 2043 cod. civ.; ovvero “inosservanza colposa” secondo la dizione dell’art. 2 bis legge n. 241/1990), suscettibile di fondare una sua responsabilità aquiliana per danni risarcibili, in via diretta, ai sensi dell’art. 2043 cod. civ. (disposizione quest’ultima, applicabile – per quanto esposto in precedenza – ratione temporis alla fattispecie per cui è causa), ovvero ai sensi dell’art. 2 bis legge n. 241/1990 (previsione, la cui essenza è comunque riconducibile all’illecito aquiliano ex art. 2043 cod. civ. [cfr. T.A.R. Puglia, Bari, Sez. II, 12 ottobre 2012, n. 1766; Cons. Stato, Sez. V, 15 aprile 2010, n. 2150]).
In tal senso si è espresso T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VII, 25 gennaio 2013, n. 605 peraltro proprio relativamente al procedimento ex art. 12 dlgs n. 387/2003: “Laddove non sia riscontrabile una colpa dell’Amministrazione Regionale nel superamento del prescritto termine di 180 giorni per la definizione del procedimentoex art. 12 d.lg. n. 387 del 2003, non è ravvisabile alcun comportamento illecito della stessa Amministrazione suscettibile di fondare una sua responsabilità per danni ai sensi dell’art. 2 bis l. n. 241 del 1990.”.
Infine, sul punto ha evidenziato Cons. Stato, Sez. IV, 7 marzo 2013, n. 1406 (indirizzo confermato da Cons. Stato, Sez. III, 30 aprile 2014, n. 2279):
«La richiesta di accertamento del danno da ritardo ovvero del danno derivante dalla tardiva emanazione di un provvedimento favorevole, se da un lato deve essere ricondotta al danno da lesione di interessi legittimi pretensivi, per l’ontologica natura delle posizioni fatte valere, dall’altro, in ossequio al principio dell’atipicità dell’illecito civile, costituisce una fattispecie sui generis, di natura del tutto specifica e peculiare, che deve essere ricondotta nell’alveo dell’art. 2043 c.c. per l’identificazione degli elementi costitutivi della responsabilità . Di conseguenza, l’ingiustizia e la sussistenza stessa del danno non possono, in linea di principio, presumersi “iuris tantum”, in meccanica ed esclusiva relazione al ritardo nell’adozione del provvedimento amministrativo favorevole, ma il danneggiato deve, ex art. 2697 c.c., provare tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda. In particolare, occorre verificare la sussistenza sia dei presupposti di carattere oggettivo (prova del danno e del suo ammontare, ingiustizia dello stesso, nesso causale), sia di quello di carattere soggettivo (dolo o colpa del danneggiante): in sostanza, il mero “superamento” del termine fissato “ex lege” o per via regolamentare alla conclusione del procedimento costituisce indice oggettivo, ma non integra “piena prova del danno”. Peraltro, la valutazione che il giudice è sollecitato a svolgere, è di natura relativistica, e deve quindi tenere conto della specifica complessità procedimentale, ma anche – in senso negativo per le ragioni dell’amministrazione intimata – di eventuali condotte dilatorie.».
Nel caso di specie parte ricorrente non ha dimostrato la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda risarcitoria, ed in particolare dell’elemento soggettivo (colpa dell’Amministrazione), tenuto altresì conto della specifica complessità del procedimento amministrativo in questione.
Cons. Stato, Sez. V, 13 gennaio 2014, n. 63 ha affermato, con riferimento alla azione di risarcimento per danno da ritardo cagionato dalla Amministrazione, che “¦l’ingiustizia e la sussistenza stessa del danno non possono, in linea di principio, presumersi “iuris tantum”, in meccanica ed esclusiva relazione al ritardo o al silenzio nell’adozione del provvedimento amministrativo, ma il danneggiato deve, ex art. 2697 c.c., provare la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda e, in particolare, sia dei presupposti di carattere oggettivo (prova del danno e del suo ammontare, ingiustizia dello stesso, nesso causale), sia di quello di carattere soggettivo (dolo o colpa del danneggiante). ¦”.
In particolare al punto 7.4 della motivazione il Consiglio di Stato ha precisato:
«7.4.- Quanto all’elemento della colpa va precisato che la sua sussistenza non può essere dichiarata in base al solo dato oggettivo della illegittimità del provvedimento adottato o dell’illegittimo ed ingiustificato procrastinarsi dell’adozione del provvedimento finale, essendo necessaria anche la dimostrazione che la P.A. abbia agito con dolo o colpa grave, di guisa che il difettoso funzionamento dell’apparato pubblico sia riconducibile ad un comportamento gravemente negligente od ad una intenzionale volontà di nuocere, in palese ed inescusabile contrasto con i canoni di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, di cui all’art. 97 della Costituzione.
Quindi, ai fini dell’ammissibilità dell’azione risarcitoria, deve in concreto accertarsi se l’adozione o la mancata o ritardata adozione del provvedimento amministrativo lesivo sia conseguenza di comportamento doloso o della grave violazione delle regole di imparzialità , correttezza e buona fede, alle quali deve essere costantemente ispirato l’esercizio della funzione, e se tale comportamento sia stato posto in essere in un contesto di fatto ed in un quadro di riferimento normativo tale da palesare la negligenza e l’imperizia degli uffici o degli organi dell’amministrazione, ovvero se, per converso, la predetta violazione sia ascrivibile all’ipotesi dell’errore scusabile, per la ricorrenza di contrasti giurisprudenziali, per l’incertezza del quadro normativo o per la complessità della situazione di fatto (Consiglio di Stato, Sez. V, 7 giugno 2013, n. 3133; Sez. VI, 6 maggio 2013, n. 2419; Sez. IV, 7 marzo 2013, n. 1406).
Ebbene, sulla scorta di dette regole in proposito fissate dalla giurisprudenza, il Collegio ritiene che, nel caso di specie, ricorresse l’elemento psicologico della fattispecie risarcitoria, sub specie della colpa, essendo ravvisabili gli estremi identificativi di una colposa inerzia dell’Amministrazione causativa di danno da ritardo, per il fatto che sussiste, oltre all’elemento oggettivo dell’illecito, costituito dall’antigiuridicità , l’elemento soggettivo, costituito da un colpevole comportamento dilatorio addebitale quanto meno a grave negligenza o imperizia degli uffici dell’amministrazione comunale complessivamente considerati (non essendo necessario provare la sussistenza dell’elemento psicologico in capo ad ogni singolo agente, dipendente, responsabile o dirigente degli uffici comunali di volta interessati che hanno contribuito causalmente ai singoli atti e/o comportamenti commissivi od omissivi, ciò costituendo una irragionevole ed inammissibile limitazione del diritto di difesa consacrato nell’art. 24 della Costituzione).
Non sono invero emerse nella fattispecie in esame quelle peculiari circostanze di complessità dei fatti, di contrasti giurisprudenziali ovvero di incertezza normativa, che integrano la fattispecie dell’errore scusabile e che escludono l’elemento psicologico della responsabilità .
Ciò senza contare che l’onere di provare l’esistenza di tali circostanze (che costituiscono delle eccezioni di merito, in quanto modificative, impeditive o estintive dei fatti adotti in giudizio dalla controparte) incombeva proprio sull’amministrazione appellata (e non è stato adempiuto).
Sussiste infatti in materia di risarcimento del danno da parte della P.A., sul piano processuale, un’inversione dell’onere della prova (analoga a quella che caratterizza la responsabilità contrattuale) e quindi spettava nel caso di specie al debitore il dovere di fornire la prova negativa dell’elemento soggettivo (ad es. per errore scusabile) e non al creditore quella della sua esistenza (Consiglio di Stato, Sez. IV, 4 settembre 2013, n. 4439; Sez. VI, 20 gennaio 2003, n. 204; Sez. IV, 14 giugno 2001, n. 3169).
E nel caso che occupa l’Amministrazione non ha prodotto alcun elemento utile a rappresentare situazioni di fatto idonee ad escludere la sussistenza della responsabilità , limitandosi ad una sola, peraltro generica, contestazione dell’ammissibilità e della fondatezza del ricorso di parte avversa e deducendo che questa avrebbe potuto usufruire del silenzio rifiuto sin dalla sua formazione per decorso del termine di legge.
A fronte di ciò, sussistono invece plurimi elementi positivi che depongono nel senso della colpa della medesima Amministrazione: ciò, in particolare, per il notevole ritardo con il quale il Comune ha riscontrato l’istanza di sanatoria e per la grave pretermissione dell’istanza di rilascio della concessione per il formatosi silenzio accoglimento della domanda dopo l’ormai intervenuto decorso del termine biennale di cui all’art. 35, comma 12, della l. n. 47/85.».
Nel caso in esame dal complesso degli atti di causa emerge la circostanza della complessità dei fatti e del procedimento amministrativo, elementi che integrano la fattispecie dell’errore scusabile e che escludono l’elemento psicologico della responsabilità della pubblica amministrazione.
Nè emergono nel caso di specie circostanze idonee ad evidenziare comportamenti dell’apparato amministrativo regionale intenzionalmente e neppure incolpevolmente dilatori e/o omissivi (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 4 settembre 2013, n. 4452), specie in un procedimento amministrativo – quale quello per cui è causa – caratterizzato da continua interlocuzione tra le parti in conseguenza della sua complessità e peculiarità e della rilevanza degli interessi coinvolti (cfr., per una fattispecie simile, Cons. Stato, Sez. IV, 7 marzo 2013, n. 1406).
Ne consegue che la domanda risarcitoria azionata da Wind Energy Project 2 s.r.l. va disattesa.
In considerazione della natura e della peculiarità della presente controversia, nonchè della qualità delle parti, sussistono gravi ed eccezionali ragioni di equità per compensare le spese di giudizio.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sede di Bari, Sez. I, definitivamente pronunciando sul ricorso come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 26 marzo 2014 con l’intervento dei magistrati:
Corrado Allegretta, Presidente
Francesco Cocomile, Primo Referendario, Estensore
Alfredo Giuseppe Allegretta, Referendario
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 12/06/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)