1. Giurisdizione – Istanza di certificazione ex artt. 75 e ss. D.Lgs. n. 276/2003 – Del G.A. –  Limiti
2. Procedimento amministrativo – Istanza di certificazione ex artt. 75 e ss. D. lgs. n. 276/2003 – Rigetto – Motivazioni 

1. Ai sensi dell’art. 80 del D.Lgs n. 276/2003, il ricorso avverso il provvedimento di rigetto dell’istanza di certificazione ex artt. 75 ss. del D.Lgs. n. 276/2003 riguardante i contratti di collaborazione a progetto , può essere esaminato dal giudice amministrativo senza tuttavia che possa farsi luogo ad operazioni di qualificazione dei contratti in questione, essendo rimessa ogni valutazione al riguardo al giudice del lavoro.
2. L’istanza di certificazione ex artt. 75 ss. del D.Lgs. n. 276/2003 per i contratti di collaborazione a progetto (di lavoro intermittente e a tempo parziale) deve essere rigettata se, in tali contratti stipulati, non sia rilevabile uno specifico progetto, programma o fase  che sia non coincidente con l’attività  principale dell’impresa e se vi sia carenza dell’elemento dell’autonomia nella definizione della tempistica della prestazione da parte del lavoratore. 

N. 00639/2014 REG.PROV.COLL.
N. 02069/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2069 del 2011, proposto da: 
Cesvim Academy S.a.s., rappresentata e difesa dall’avv. Domenico Garofalo, con domicilio eletto presso il suo studio in Bari, via Dante Alighieri, n. 396 

contro
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Bari, presso i cui uffici è domiciliato in Bari, via Melo, n. 97; Ufficio Provinciale del Lavoro – Direzione Provinciale di Foggia 

per l’annullamento
del provvedimento prot. 19543/MA001.AA004 del 20.7.2011, di rigetto dell’istanza di certificazione dei contratti di lavoro presentata in data 7.2.2011 avente prot. n. 3470/06.01.
 

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 dicembre 2013 il dott. Oscar Marongiu e udito per le parti il difensore, avv. Madia Rita Favia, su delega dell’avv. Domenico Garofalo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 

FATTO e DIRITTO
1. La ricorrente, società  operante nel settore dell’organizzazione di corsi di formazione professionale, realizzati con l’ausilio di docenti collaboratori esterni, impugna il provvedimento con il quale la Commissione di certificazione istituita presso la Direzione Provinciale del Lavoro di Foggia ha rigettato l’istanza di certificazione, ai sensi degli artt. 75 ss. del D. lgs. n. 276/2003, dei contratti di collaborazione a progetto con alcuni docenti.
Il ricorso è articolato nei seguenti motivi:
1) Illegittimità  per vizi procedurali: violazione del termine di cui all’art. 3, comma 1, del D.M. del Ministero del Lavoro n. 15236 del 21.7.2004;
2) Illegittimità  per vizi procedurali: violazione dell’art. 5, ultimo comma, del citato D.M. n. n. 15236 del 21.7.2004;
3) Violazione di legge ed eccesso di potere: motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria.
Si è costituito il Ministero intimato, chiedendo il rigetto del ricorso in quanto infondato.
All’udienza pubblica del giorno 12 dicembre 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.
2. Preliminarmente il Collegio rileva che il giudice amministrativo ha giurisdizione nei confronti degli atti di certificazione di cui è causa, nei limiti stabiliti dall’art. 80 del D. lgs. n. 276/2003.
Tale norma così dispone:
“1. Nei confronti dell’atto di certificazione, le parti e i terzi nella cui sfera giuridica l’atto stesso è destinato a produrre effetti, possono proporre ricorso, presso l’autorità  giudiziaria di cui all’articolo 413 del codice di procedura civile, per erronea qualificazione del contratto oppure difformità  tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione. Sempre presso la medesima autorità  giudiziaria, le parti del contratto certificato potranno impugnare l’atto di certificazione anche per vizi del consenso.
¦ omissis ¦
5. Dinnanzi al tribunale amministrativo regionale nella cui giurisdizione ha sede la commissione che ha certificato il contratto, può essere presentato ricorso contro l’atto certificatorio per violazione del procedimento o per eccesso di potere”.
Ai sensi della richiamata disposizione, quindi, il ricorso potrà  essere esaminato da questo Tribunale, tenuto conto delle censure dedotte dalla ricorrente, senza tuttavia che possa farsi luogo ad operazioni di qualificazione dei contratti in questione, essendo rimessa ogni valutazione al riguardo al giudice del lavoro.
3. Nel merito, il ricorso è infondato, per le ragioni che di seguito si espongono.
3.1. Con riguardo al primo motivo, con il quale si deduce il mancato rispetto del termine di conclusione del procedimento, è sufficiente rilevare che il predetto termine, in assenza di espressa indicazione normativa, deve ritenersi non già  perentorio, ma ordinatorio; dalla violazione dello stesso, pertanto, non può farsi derivare l’invalidità  del provvedimento.
3.2. Il secondo motivo va respinto alla luce del disposto di cui all’art. 21 – octies della L. n. 241/90, posto che la mancata verbalizzazione, nel corpo motivazionale del provvedimento finale, delle dichiarazioni rese dalle parti (alle quali peraltro si fa rinvio per relationem) e dell’attività  svolta dalla Commissione, alla luce delle risultanze dell’istruttoria risultano mere violazioni formali, che non avrebbero comunque potuto incidere sulla sostanza dell’atto in questione.
3.3. In relazione al terzo motivo, il Collegio rileva che la motivazione del provvedimento impugnato risulta congrua, non inficiata da evidenti profili di contraddittorietà  e idonea a evidenziare il percorso logico sulla cui base la Commissione è pervenuta alle proprie valutazioni.
3.3.1. Ai limitati fini dello scrutinio della censura è utile soffermarsi sulla tipologia lavorativa della collaborazione a progetto, introdotta dal D. lgs. n. 276/2003.
Si tratta di una tipologia contrattuale precipuamente finalizzata (insieme alle altre figure di “nuovi lavori” regolate dal D. lgs. n. 276/2003) alla gestione flessibile delle risorse umane; nondimeno, la figura è stata introdotta anche allo scopo, nient’affatto secondario, di scongiurare il ripetersi, in futuro, dell’abusivo fenomeno dell’utilizzo improprio e talora fraudolento delle collaborazioni coordinate e continuative.
Nella fisionomia, ora positivamente tipizzata, del “lavoro a progetto”, gli eventuali tratti della continuità  e del coordinamento della prestazione lavorativa non si presentano più in rapporto di radicale antitesi e di irriducibile alterità  rispetto al modello normativo, ancorchè quest’ultimo rimanga indubbiamente all’interno dell’ampio alveo dell’autonomia organizzativa.
3.3.2. I peculiari connotati della forma di rapporto di lavoro in questione, destinata a sostituire i vecchi “co.co.co.”, è stata ben messa in luce dalla circolare del Ministro del lavoro e delle politiche sociali n. 1 dell’8 gennaio 2004, avente ad oggetto la «Disciplina delle collaborazioni coordinate e continuative nella modalità  c.d. a progetto. Decreto legislativo n. 276/03».
Nella circolare si chiariva, tra l’altro, che, in forza della normativa introdotta nel 2003, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all’art. 409, n. 3, c.p.c. devono ora potersi ricondurre «a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione della attività  lavorativa» (così l’art. 61 del D. Lgs. n. 276/2003).
Sono state quindi precisate le modalità  di svolgimento della prestazione di lavoro del collaboratore, onde consentirne una più agevole qualificazione nel senso della autonomia o della subordinazione.
Non rientrano poi, per espressa previsione normativa, nel campo applicativo della nuova figura le prestazioni occasionali, intendendosi come tali i rapporti, intrattenuti con lo stesso committente, di durata complessivamente non superiore a trenta giorni nel corso dell’anno solare (salvo che il compenso percepito nell’arco del medesimo periodo, con il medesimo committente, sia superiore a 5.000 euro); tanto perchè siffatte prestazioni, proprio in ragione della loro breve durata, sono state considerate incompatibili con lo svolgimento di un “progetto” o di un “programma o di una fase di esso” (alludendo il primo termine ad un tipo di attività  cui è direttamente riconducibile un risultato finale, e la seconda locuzione alla differente situazione in cui l’obiettivo perseguito consista unicamente nella produzione di un risultato parziale, destinato ad essere integrato, in vista di uno scopo comune, con altre lavorazioni).
3.3.3. Tra i requisiti qualificanti del modello contrattuale approntato dal legislatore vi sono dunque il progetto, il programma di lavoro o la fase di esso, cosicchè le coordinate destinate a delineare esattamente il perimetro esterno dell’autonomia del collaboratore vanno ravvisate:
a) nello svolgimento di un’attività  lavorativa, contrattualmente definita e funzionalizzata alla realizzazione del progetto, del programma di lavoro o della fase di esso (“vincolo teleologico”);
b) nella necessaria coordinazione tra il lavoratore “a progetto” con il committente (“nesso organizzativo”);
c) nell’irrilevanza del tempo impiegato per l’esecuzione della prestazione (“elemento negativo”).
Quest’ultimo connotato deve essere rettamente inteso: difatti vanno tenuti ben distinti i concetti di “assenza di orario di lavoro” e di “irrilevanza dell’orario di lavoro”. Affermare che l’orario di lavoro è irrilevante (ovviamente non in senso assoluto, nè in vista della determinazione della retribuzione in fine spettante) non significa affatto che alle parti di un “contratto a progetto” sia recisamente precluso di accordarsi su una prestabilita misura temporale della prestazione, ritenuta necessaria ai fini del conseguimento dello specifico obiettivo contrattualmente individuato; nondimeno siffatta eventuale predeterminazione resta comunque ai margini della configurazione negoziale e, in questa accezione, appare “irrilevante”, ovverosia non costituisce l’elemento caratterizzante il rapporto, il cui connotato essenziale è piuttosto rappresentato dallo scopo (progetto, programma o fase) da realizzare.
3.3.4. Alla luce dei superiori rilievi sono evidenti le differenze con il lavoro subordinato, in cui l’orario delimita esclusivamente il periodo in cui il lavoratore è a disposizione del datore di lavoro per lo svolgimento delle mansioni contrattualmente stabilite.
Si comprende altresì perchè solo il contratto di lavoro “a progetto”, diversamente da quello subordinato, si risolva automaticamente al momento della realizzazione del programma di lavoro o della fase di esso.
Insomma, volendo ricorrere ad una formula icastica, mentre nel “lavoro autonomo” tradizionalmente inteso la libertà  del lavoratore è piena e concerne anche la scelta dell’opus, così non avviene nel lavoro a progetto, in cui la definizione della dimensione finalistica verso la quale far convergere in modo coordinato ed organizzato le complessive energie lavorative aggregate pertiene unicamente alla parte committente.
3.4. Ciò posto, nel caso in esame la Commissione ha motivato la decisione con la quale ha rigettato l’istanza della ricorrente prendendo in considerazione tutti gli elementi caratterizzanti la tipologia contrattuale de qua.
In particolare, la Commissione ha ritenuto rilevanti, con motivazioni adeguate, ai fini del rigetto dell’istanza:
– l’assenza di uno specifico progetto, programma o fase di esso che sia non coincidente con l’attività  principale dell’impresa;
– la carenza dell’elemento dell’autonomia nella definizione della tempistica della prestazione da parte del lavoratore;
– le modalità  di determinazione del compenso;
– la circostanza rappresentata dalla reiterazione o dal rinnovo per il docente del contratto di collaborazione nella modalità  a progetto, oltre alla sussistenza di ipotesi di “monocommittenza”;
La Commissione, inoltre, ha evidenziato, motivandone le ragioni:
– che la dichiarazione del lavoratore sull’autonomia decisionale riguardo a tempi e modi della prestazione o l’affermazione di non essere soggetto al potere disciplinare e gerarchico del datore di lavoro non rivestono particolare rilevanza;
– che, ai fini certificatori, la volontà  del lavoratore di qualificare il contratto come collaborazione a progetto può essere considerata non vincolante.
Il provvedimento impugnato, quindi, è supportato da un apparato motivazionale articolato in sei profili, che non può ritenersi deficitario.
Non sono ravvisabili, pertanto, i vizi di eccesso di potere prospettati da parte ricorrente, fermo restando che il Collegio non può estendere il proprio sindacato agli aspetti concernenti la correttezza o meno della qualificazione del contratto operata dalla Commissione, essendo riservato tale ambito decisionale, come rilevato supra, sub 2, all’autorità  giudiziaria di cui all’articolo 413 c.p.c. (ossia al giudice del lavoro).
In ragione delle suesposte considerazioni il ricorso deve essere respinto.
La particolarità  della vicenda giustifica nondimeno la compensazione delle spese del giudizio tra le parti.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità  amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 12 dicembre 2013 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Antonio Pasca, Presidente FF
Francesca Petrucciani, Primo Referendario
Oscar Marongiu, Referendario, Estensore
 
 
 
 

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 29/05/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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