1. Ambiente ed ecologia – Cave e miniere – Rifiuti non pericolosi – Smaltimento – Procedura semplificata – Riempimento di cave – Ammissibilità
2. Ambiente ed ecologia – Ambiente (tutela) – Attività di riempimento di cave e attività di smaltimento rifiuti – Criterio di distinzione – Attività in concreto esercitata
1. E’ da ritenersi ammissibile la procedura “semplificata” ex artt. 214 e 216, d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152 – cui sono sottoposti i produttori di rifiuti non pericolosi per lo smaltimento degli stessi nei luoghi di produzione – attivata da una società in relazione al riempimento di una porzione dismessa di una cava di sua proprietà , in quanto tale attività non è assimilabile a quella, ben diversa, di smaltimento dei rifiuti speciali inerti. In tale caso trattasi invero di rimodellamento geomorfologico delle aree di cava già coltivate attraverso il loro riempimento con rifiuti non pericolosi, e tale fattispecie rientra tra quelle classificate nell’All. C) al D.Lgs. n. 152/2006 e nell’All. 1) al D.M. 5.2.1998.
2. Non sussiste l’assoggettabilità delle attività di riempimento delle cave alla speciale autorizzazione di cui all’art. 208 del Codice dell’Ambiente, prevista per le attività di discarica, ogniqualvolta esse risultino preordinate al mero ripristino ambientale e vengono condotte con i materiali previsti; il discrimen, dunque, tra le due diverse fattispecie, va individuato nell’attività in concreto esercitata dal richiedente (coltivazione di cava o smaltimento rifiuti), secondo quanto previsto dalla nota del 30.6.2011, prot. n. AE/03/2011 adottata dal Ministero dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare.
N. 00471/2014 REG.PROV.COLL.
N. 00090/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 90 del 2013, proposto da:
Edilizia Mastrodonato s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Massimo Ingravalle e Maria Carmela Palermo, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Bari, alla piazza Garibaldi n.63;
contro
Provincia di Bari, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Giuseppe Mariani, con domicilio eletto presso il suo studio in Bari, alla via Amendola n. 21;
per l’annullamento
-della nota prot. PG 0196033 del 15.11.2012, a firma del Dirigente del Servizio Polizia Provinciale – Protezione Civile e Ambiente della Provincia di Bari, ad oggetto “D.Lgs. n. 152/2006, artt. 214 e 216. Comunicazione di inizio attività di recupero rifiuti non pericolosi. Iscrizione nel registro Provinciale. Iter Procedimentale – Archiviazione”;
-di ogni atto presupposto, connesso e/o consequenziale, ancorchè non conosciuto;
nonchè per l’accertamento
dell’obbligo, in capo all’Amministrazione Provinciale, di procedere all’iscrizione della Società ricorrente nel “Registro delle Imprese che effettuano attività di recupero” ex art. 206, comma 3, d.lgs. n. 152/2006;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Provincia di Bari;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 gennaio 2014 la dott.ssa Giacinta Serlenga e uditi per le parti i difensori avv.ti Massimo F. Ingravalle; Giuseppe Mariani;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.- Con il presente gravame, la società “Edilizia Mastrodonato s.r.l.” impugna la nota del Dirigente del Servizio Polizia Provinciale – Protezione Civile e Ambiente in epigrafe meglio specificata, con cui la Provincia di Bari ha archiviato la procedura “semplificata” ex artt. 214 e 216 d.lgs. n. 152/2006 attivata dall’interessata in relazione al riempimento di una cava di sua proprietà , sita nel comune di Gravina alla contrada “Castello-Vasciolella”. Siffatta determinazione si fonda sul presupposto che la fattispecie integri un progetto di discarica per rifiuti speciali inerti, della volumetria complessiva di mc. 1.200.000, in quanto tale soggetta alle procedure autorizzatorie di cui all’art. 208 dello stesso decreto legislativo, al d.lgs. n. 36/2003 nonchè alla procedura di V.I.A. di cui alla l.r. n.11/2001.
Il provvedimento giunge all’esito della procedura attivata con istanza in data 16.3.2010 prot. n. 2027, con la quale l’odierna ricorrente presentava domanda di “ampliamento” della cava in questione corredata -in recepimento delle indicazioni del Servizio Attività estrattive- di un piano di coltivazione, di un piano di gestione rifiuti ex d.lgs. n. 117/2008 e, infine, di un progetto esecutivo per il recupero ambientale delle aree interessate dall’attività estrattiva in parola. In particolare, tale ultimo progetto aveva previsto che lo scoprimento delle aree non ancora oggetto di coltivazione sarebbe avvenuto parallelamente alle operazioni di recupero ambientale delle aree già sfruttate. Le operazioni di recupero sarebbero state invero espletate in un arco temporale di vent’anni, attraverso il progressivo utilizzo di materiali di cui al D.M. 5.2.1998 pari a complessivi mc. 1.200.000; e il predetto periodo di riferimento si sarebbe perfettamente sovrapposto alla durata della richiesta autorizzazione alla coltivazione dell’ulteriore superficie.
Nelle more, l’odierna ricorrente chiedeva ed otteneva proroga del parere favorevole di V.I.A. di cui alla determinazione dirigenziale n. 410/2007 (cfr. determinazione del Dirigente regionale del Settore ecologia n. 6 del 19.1.2011).
In data 21 settembre 2011 l’ampliamento della cava veniva autorizzato, giusta determinazione n.75 del Dirigente del Servizio regionale Attività estrattive, con espresso condizionamento -per quel che qui rileva- alla realizzazione delle “opere di recupero delle aree di cava in oggetto, secondo le modalità previste dal progetto¦”; il progetto cioè di cui si è detto, allegato alla domanda di autorizzazione ed evidentemente contestualmente approvato.
E’ in questo contesto che si inserisce l’atto gravato, oggetto del presente giudizio che -si ribadisce- ha disposto l’archiviazione della procedura semplificata avviata dall’interessata per dare inizio alle attività di recupero ambientale, cui l’ulteriore sfruttamento della cava in questione era stato condizionato in sede di autorizzazione dell’ampliamento.
Un’ultima notazione. Secondo le risultanze del certificato di destinazione urbanistica versato in atti, la cava ricade in zona E1 dello strumento urbanistico vigente, destinata ad ospitare proprio industrie estrattive e cave, giusta l’art.21 delle N.T.A..
Con atto depositato in data 2 febbraio 2013, si è costituita in giudizio la Provincia di Bari chiedendo il rigetto del ricorso.
Con ordinanza di questa Sezione n. 81/2013 è stata accordata la richiesta tutela cautelare; la decisione è stata riformata in Consiglio di Stato, giusta ordinanza n. 1667/2013, ma per ragioni collegate alla ritenuta prevalenza del pubblico interesse alla salvaguardia ambientale e nell’espresso convincimento che la questione risultasse meritevole di approfondimento in sede di merito.
All’udienza del 15 gennaio 2014 la causa è stata trattenuta in decisione.
2.- Il ricorso è affidato ad un unico motivo che appare fondato e va, pertanto, accolto.
Il punto centrale della controversia ruota intorno alla definizione del regime autorizzatorio cui l’attività di riempimento di cave dismesse deve soggiacere: l’autorizzazione ex art. 208 d.lgs. n. 152/2006 (cod. amb.) ovvero la procedura semplificata ex artt. 214 e 216 dello stesso decreto.
La società ricorrente qualifica la specifica attività di riempimento per cui è causa quale attività di “recupero ambientale”, in particolare invocando il progetto esecutivo per il recupero di cui si è detto sub 1, presentato -ai sensi dell’art. 12, l.r. n. 37/1985- in sede di richiesta di ampliamento della concessione di sfruttamento della cava de qua; con la precisazione che la procedura semplificata di cui si tratta è stata attivata in relazione all’attività di riempimento riferita a soli cinque anni e ad una porzione limitata della cava stessa (quella dismessa), non già all’intero periodo di vent’anni per la complessiva volumetria, effettivamente pari a mc. 1.200.000.
Tale attività di recupero non avrebbe dovuto essere confusa con la diversa attività di smaltimento dei rifiuti, trattandosi di “rimodellamento geomorfologico delle aree di cava già coltivate attraverso il loro riempimento con rifiuti non pericolosi” e rientrando, pertanto, tra quelle classificate nell’All. C al d.lgs. n.152/2006 e nell’All. 1 al D.M. 5.2.1998; tanto confortato dal mero raffronto tra i rifiuti non pericolosi indicati nel predetto allegato 1, sub allegato 1, al D.M. 5.2.1998 e quelli che la società ricorrente ha elencato nella “comunicazione di inizio attività ” quali materiali da utilizzare nell’attività di recupero ambientale delle aree de quibus (cfr. ricorso, pag.13).
L’impostazione suggerita dalla società è condivisibile.
La norma di riferimento, che ha dato adito a dubbi interpretativi, è l’art. 10 del d.lgs. 30.5.2008 n.117 che, al terzo comma, così dispone: “Il riempimento di vuoti e delle volumetrie prodotti dall’attività estrattiva con rifiuti diversi dai rifiuti di estrazione di cui al presente decreto è sottoposto alle disposizioni di cui al decreto legislativo 13 gennaio 2003, n.36, relativo alle discariche di rifiuti” (il richiamo deve oggi essere sostituito con il riferimento all’art.208 cod. amb.).
Ai fini di una corretta interpretazione sistematica della norma, va chiarito che la disposizione in esame ha dato attuazione ad un’analoga previsione della direttiva comunitaria 2006/21/CE relativa alla gestione dei rifiuti delle industrie estrattive (art. 10, par. 2); e che a siffatta regolamentazione ne è seguita un’altra di carattere generale, in materia di rifiuti (la direttiva n. 2008/98/CE).
In particolare, per quel che qui rileva, la direttiva da ultimo adottata ha accolto una nozione di “recupero” estesa a “qualsiasi operazione il cui principale risultato sia di permettere ai rifiuti di svolgere un ruolo utile sostituendo altri materiali che sarebbero stati altrimenti utilizzati per assolvere una particolare funzione o di prepararli ad assolvere tale funzione, all’interno dell’ impianto o dell’economia generale..”, rinviando all’All. II per un elenco non esaustivo di tali operazioni (cfr. art. 3, comma 1, n. 15). E non solo. La stessa direttiva ha impegnato gli Stati membri all’adozione di misure necessarie a conseguire -in particolare- l’obiettivo dell’utilizzo dei rifiuti in sostituzione di altri materiali per operazioni di “colmatazione” (cfr. art. 11, comma 2, lett.b).
In disparte, dunque, la non immediata operatività dell’impegno richiesto (è stato infatti individuato come termine ultimo il 2020), l’impostazione che ne emerge è evidentemente orientata alla più ampia utilizzazione dei rifiuti nelle attività di recupero; in particolare nelle attività tipologicamente assimilabili a quella per cui è causa.
Una lettura comunitariamente orientata della normativa nazionale deve, perciò, condurre ad escludere l’assoggettabilità delle attività di riempimento delle cave alla speciale autorizzazione di cui all’art.208 cod. amb., prevista per le attività di discarica, quando risultino preordinate al mero ripristino ambientale e vengano condotte con i materiali previsti. Lo stesso dato testuale dell’art.208, appena richiamato, depone nella direzione indicata giacchè, nel sottoporre a specifica autorizzazione unica “i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti”, identifica i soggetti tenuti a richiedere l’autorizzazione ivi prevista con quelli che “¦intendono realizzare e gestire nuovi impianti di smaltimento e recupero di rifiuti, anche pericolosi..”
Il discrimen, quindi, tra le due fattispecie che vengono in rilievo ai fini della decisione del presente gravame, va individuato nell’attività in concreto esercitata dal richiedente (coltivazione di cava o smaltimento rifiuti), tenuto conto delle autorizzazioni e delle iscrizioni di cui risulta in possesso.
Nella stessa direzione sembra orientato il Ministero dell’Ambiente, della tutela del territorio e del mare posto che, in una nota adottata all’esito di un tavolo tecnico di esperti (del 30.6.2011, prot. n. AE/03/2011), versata in atti, ha ritenuto correttamente interpretata l’intenzione del legislatore comunitario (anche con l’ausilio di una risposta fornita dall’help desk istituito dalla Commissione europea ad una domanda posta dalla Direzione generale dello stesso Ministero) nei termini di seguito riportati: circoscrivendo l’applicabilità della direttiva discariche alle attività di smaltimento di rifiuti all’interno dei siti estrattivi ed escludendola invece per le “..operazioni di recupero ambientale”; con l’esplicitaprecisazione che “¦parrebbe accettabile che quanto stabilito dall’art.10 par. 2 della Direttiva 2006/21 (e il corrispondente art. 10 comma 3 del decreto 117/08) possa essere applicato alle sole operazioni di smaltimento rifiuti e non a quelle di recupero”.
La conclusione che se ne è ricavata è che “..sia che si tratti di operazioni di ripristino effettuate con rifiuti di estrazione sia che si tratti invece di operazioni di ripristino con rifiuti diversi dai rifiuti di estrazione, tali operazioni devono essere oggetto, al pari delle operazioni di riempimento dei vuoti, di specifiche previsioni nell’ambito del progetto di coltivazione e di gestione dei rifiuti estrattivi e come tali debitamente autorizzate dalla competente autorità mineraria in sede di rilascio del titolo di legittimazione estrattivo”; ferma restando la valutazione rimessa all’Autorità mineraria stessa, da condursi caso per caso, diretta all’eventuale individuazione -con riferimento alla concreta fattispecie- di comportamenti elusivi delle norme attraverso la preordinata creazione di vuoti da colmare (cfr. la nota ministeriale su richiamata).
Orbene, nella fattispecie che ci occupa, è incontestato che la società ricorrente svolga attività di coltivazione di cava; attività ancora in esercizio e il cui proseguimento è -alla stregua di quanto disposto dalla specifica autorizzazione rilasciata con determinazione n.75 del Dirigente del Servizio regionale Attività estrattive- condizionato all’attività di recupero ambientale (rectius: riempimento della porzione di cava già sfruttata con materiali inerti), che la Provincia ha inteso inibire con l’atto gravato.
In altri termini, il riempimento della cava esaurita, con le modalità di cui al più volte richiamato progetto di recupero, è stato imposto come contromisura del richiesto e concesso ampliamento.
L’Amministrazione provinciale non può, pertanto, subordinare tale attività , che -per quanto detto- va evidentemente qualificata di recupero ambientale in considerazione delle concrete caratteristiche della fattispecie, all’autorizzazione di cui all’art.208 cod. amb.; fermo restando il controllo circa le concrete modalità con cui il riempimento in questione verrà realizzato, che dovrà essere conforme a legge e al piano di recupero già approvato, in particolare quanto alla tipologia di rifiuti utilizzabili (esclusivamente rifiuti non pericolosi di cui all’all.1, sub all.1 del D.M. 5.2.1998, nelle quantità consentite).
3.- In conclusione, il gravame va accolto e, per l’effetto, annullato il gravato provvedimento di archiviazione della procedura semplificata per cui è causa, il cui iter dovrà essere ripreso ai sensi di legge. Considerate, tuttavia, la novità e complessità delle questioni trattate, il Collegio ritiene opportuno procedere alla compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla l’atto impugnato. Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 15 gennaio 2014 con l’intervento dei magistrati:
Corrado Allegretta, Presidente
Giuseppina Adamo, Consigliere
Giacinta Serlenga, Primo Referendario, Estensore
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/04/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)