1. Procedimento amministrativo – Autotutela – Revoca – Presupposti – Fattispecie
2. Risarcimento del danno – Revoca di gara – Responsabilità  precontrattuale – Situazione di fatto – Complessità  – Colpa della p.A. – Esclusione
3. Risarcimento del danno – Responsabilità  – Presupposti – Colpa della p.A. – Necessità  – Esclusione – Ambito di applicazione – Appalti pubblici – Ragioni

1. Ai sensi dell’art.21-quinquies della l. 7.8.1990, n.241, il provvedimento amministrativo può esser revocato a seguito di una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario (nella specie, il T.a.r. ha rilevato che l’esercizio del potere di revoca era intervenuto in un lasso temporale che appariva ragionevole in considerazione della complessità  della vicenda; inoltre, che erano stati considerati gli interessi del privato, come provato sia dalla possibilità  offertagli di rideterminare i termini dell’accordo con la p.A., sia dall’aver assicurato la sua partecipazione alla fase procedimentale della revoca).
2. Non può esser accolta la domanda risarcitoria per responsabilità  precontrattuale derivante dalla  revoca di una procedura di gara allorchè l’evidente complessità  della situazione di fatto non consenta di rilevare profili di colpa da imputarsi alla p.A..
3. Il principio dettato dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza del 30.11.2010, emessa nel contenzioso C-314/09, sulla irrilevanza dell’elemento soggettivo della colpa, ordinariamente necessaria per poter ravvisare la responsabilità  della p.A., trova applicazione esclusivamente nel settore specifico degli appalti pubblici, e ciò sia in ragione della esigenza di garantire l’esplicazione del principio di libera concorrenza ed apertura dei mercati, sia in quanto costituisce una deroga all’autonomia processuale degli Stati membri. Ne discende che il principio in esame non può trovare applicazione in una procedura di alienazione di immobili pubblici. 

N. 00448/2014 REG.PROV.COLL.
N. 01525/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1525 del 2011, proposto dalla Società  Gestione Strutture per Anziani – So.Ge.St.A. s.r.l., rappresentata e difesa dall’avv. Luigi D’Ambrosio, con domicilio eletto in Bari, piazza Garibaldi, 23;

contro
Comune di Sammichele di Bari, rappresentato e difeso dall’avv. Vincenzo Caputi Iambrenghi, con domicilio eletto in Bari, via Abate Eustasio, 5;

per l’annullamento
– della deliberazione del Consiglio comunale n. 16 del 7.5.2011, pubblicata nell’Albo Pretorio dal 4 al 20 giugno 2011 (comunicata alla ricorrente in data 15 giugno 2011), avente ad oggetto “Autotutela procedimento di alienazione dell’immobile comunale di via Quasimodo ed atti connessi. Provvedimenti”;
– delle deliberazioni della Giunta comunale n. 88 del 18.4.2011 e n. 33 del 24.2.2011;
– della relazione del Responsabile dell’Area Tecnica prot. n. 7363 del 12.8.2009;
– della relazione del Responsabile dell’Area Tecnica prot. n. 3689 del 15.4.2011;
– di tutti gli atti connessi, presupposti e conseguenti, compresa la nota prot. n. 5546 del 9.6.2011, con la quale il Responsabile dell’Area Tecnica ha comunicato alla ricorrente la deliberazione di Consiglio Comunale n. 16/2011;
nonchè per la condanna del Comune di Sammichele di Bari al pagamento del risarcimento del danno arrecato alla società  ricorrente;
 

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Sammichele di Bari;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore il dott. Francesco Cocomile e uditi nell’udienza pubblica del giorno 15 gennaio 2014 per le parti i difensori avv.ti Luigi D’Ambrosio e Vincenzo Caputi Jambrenghi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
 

FATTO e DIRITTO
Il Comune di Sammichele di Bari è proprietario di un immobile sito in via Quasimodo, realizzato negli anni 70 per essere destinato ad asilo nido.
Detta struttura è in disuso ed in stato di abbandono dal 1990.
A seguito di sopralluogo nel 2006 il Responsabile del Servizio concludeva per l’inagibilità  dell’immobile e l’integrale demolizione dello stesso.
In data 26.6.2006 il Responsabile dell’Area Tecnica certificava la non agibilità  dell’immobile.
Con deliberazione n. 46 del 31.7.2006 il Consiglio comunale forniva indirizzo alla Giunta ed agli uffici in ordine al riutilizzo dell’immobile con destinazione a struttura socio-sanitaria e/o socio-assistenziale mediante l’apporto di capitale privato.
Con nota dell’11.9.2006 il Segretario comunale notificava tale determinazione alla Regione Puglia.
Successivamente il Consiglio comunale con deliberazione n. 20/2008 decideva di modificare il precedente deliberato e di consentire l’alienazione dell’immobile e delle relative aree di pertinenza, fermo rimanendo l’obbligo per il concessionario e/o acquirente di destinare la struttura ad attività  socio-assistenziale e/o socio-sanitaria.
Con delibera n. 164/2008 la Giunta comunale forniva l’indirizzo al Responsabile dell’Area Tecnica perchè procedesse ad indire la gara per l’alienazione dell’immobile con modalità  che assicurassero il rispetto dei principi di trasparenza, non discriminazione e massima partecipazione.
Con relazione del 3.10.2008 il Responsabile dell’Area Tecnica determinava in € 127.000,00 il valore dell’immobile da porre a base di gara.
Con determina n. 293/2008 veniva indetta la procedura per l’alienazione del compendio immobiliare.
La società  ricorrente presentava manifestazione di interesse e con lettera prot. n. 12073 veniva invitata a presentare offerta.
La lettera di invito prevedeva, quale sistema di aggiudicazione, quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Secondo il punto 4 (pag. 6) della lettera di invito l’aggiudicatario era tenuto a realizzare ed avviare la struttura da destinare a finalità  socio-assistenziale e/o socio-sanitaria entro il termine di tre anni decorrente dal ritiro del permesso di costruire.
La mancata realizzazione o il mancato avvio della struttura nel termine innanzi detto comportava la risoluzione di diritto del contratto.
La società  offriva un corrispettivo di acquisto pari ad € 128.270,00 e proponeva la realizzazione di una residenza per anziani composta da quattro nuclei per complessivi 98 posti letto.
La Commissione giudicatrice scrutinava positivamente l’offerta della ricorrente e le aggiudicava provvisoriamente la gara.
Successivamente, con nota del 23.3.2009 il Comune di Sammichele invitava la società  ricorrente a rimodulare l’offerta, avviando la procedura di rinegoziazione ai sensi della clausola sub E della Parte Seconda della lettera d’invito.
Nel corso dell’incontro del 27.3.2009 il Responsabile dell’Area Tecnica invitava la società  ricorrente ad incrementare il prezzo ad € 180.000,00 (cfr. relativo verbale).
La So.Ge.St.A. incrementava il corrispettivo sino a € 160.000,00.
Il Responsabile del Procedimento con atto del 3.4.2009 esprimeva parere favorevole.
Con deliberazione n. 9/2009 il Consiglio comunale concedeva il richiesto nulla osta per il rilascio del permesso di costruire in deroga, riconoscendo e dichiarando l’interesse pubblico dell’opera.
Con determinazione n. 133/2009 il Responsabile dell’Area Tecnica procedeva alla aggiudicazione definitiva in favore della società  interessata, invitando la stessa a versare il corrispettivo di acquisto e le ulteriori somme necessarie alla stipula del contratto di alienazione.
Le somme venivano integralmente versate.
Stante l’inerzia del Comune, con missiva del 29.7.2009 la società  istante sollecitava la fissazione della stipula del contratto di trasferimento.
Successivamente la società  notificava al Comune nell’agosto del 2010 un atto di diffida.
Con nota del 14.9.2010 il Sindaco giustificava il ritardo in considerazione della necessità  di un approfondimento in atto relativamente alla legittimità  del procedimento di gara.
Con missiva del 1° ottobre 2010 la ricorrente contestava tale modo di procedere della Amministrazione comunale.
La società  avviava, quindi, un giudizio avverso il silenzio della Amministrazione ex art. 117 cod. proc. amm.
Con nota prot. n. 1998 del 2.3.2011 il Responsabile dell’Area Tecnica comunicava l’avvio del procedimento di secondo grado volto al ritiro degli atti della precedente gara.
Con missiva del 24.3.2011 l’odierna ricorrente replicava di non essere nelle condizioni di dedurre, stante l’assoluta genericità  della comunicazione di avvio del procedimento.
Con deliberazione n. 88/2011 la Giunta comunale prendeva atto dell’istruttoria espletata e decideva di non dare esecuzione alla gara.
Con la gravata deliberazione n. 16/2011 il Consiglio comunale disponeva l’annullamento in autotutela degli atti di gara.
La So.Ge.St.A. s.r.l. impugnava con il ricorso in esame la menzionata deliberazione n. 16/2011 e gli atti presupposti in epigrafe indicati, chiedendo, altresì, la condanna dell’Amministrazione comunale al risarcimento dei danni patiti.
Deduceva censure così sinteticamente riassumibili:
1) violazione e falsa applicazione di legge (artt. 7 e 8 legge n. 241/1990; principio del giusto procedimento); eccesso di potere per difetto di presupposto; ingiustizia manifesta: la comunicazione di avvio del procedimento di autotutela resa con nota prot. n. 1998 del 2.3.2011 sarebbe generica ed inidonea a svolgere la funzione assegnatale dalle disposizioni menzionate, e cioè l’esigenza di porre i destinatari dell’azione amministrativa nelle condizioni di far valere le proprie ragioni e nel contempo consentire alla Amministrazione di valutare accuratamente gli interessi coinvolti, specie in ipotesi di procedimenti finalizzati alla adozione di atti di secondo grado;
2) violazione e falsa applicazione di legge (artt. 42, 48 e 107 dlgs n. 267/2000; principi generali in tema di presupposizione degli atti amministrativi e di esercizio del potere di autotutela); incompetenza; sviamento dalla causa tipica del potere esercitato: il Comune con la gravata deliberazione consiliare n. 16/2011 non si sarebbe limitato ad annullare gli atti di propria competenza, ma avrebbe anche disposto il travolgimento dell’avviso pubblico del Responsabile dell’Area Tecnica pubblicato sul BURP n. 176 del 13.11.2008; pertanto, il Consiglio comunale avrebbe inteso conferire alla deliberazione in esame efficacia caducante, esautorando gli altri organi comunali dalla valutazione in ordine all’esistenza delle condizioni necessarie per procedere all’annullamento di ufficio; in forza dei principi generali l’annullamento dell’atto presupposto avrebbe efficacia caducante (e non solo viziante) sui successivi atti della sequela procedimentale, allorchè questi ultimi trovino nel primo l’unico presupposto legittimante la permanenza nel mondo giuridico; l’effetto caducante sarebbe ravvisabile unicamente qualora tra i due atti vi sia un rapporto di presupposizione e consequenzialità  immediata, diretta e necessaria nel senso che l’atto successivo si pone come inevitabile conseguenza di quello precedente, non essendovi nuove ed ulteriori valutazioni di interessi, nè del destinatario dell’atto presupposto, nè di altri soggetti; nel caso di specie non si verificherebbe detta situazione di presupposizione; l’autoannullamento d’ufficio, essendo espressione di un potere connotato da discrezionalità , richiederebbe la presenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ritiro dell’atto di primo grado la cui valutazione è rimessa in via esclusiva alla competenza del Responsabile dell’Area Tecnica ai sensi dell’art. 107 TUEL; il Consiglio comunale avrebbe sovrapposto con la gravata deliberazione la propria volontà  a quella del Responsabile dell’Area Tecnica, esautorandolo di fatto ed illegittimamente da un’attribuzione allo stesso riservata dalla legge in via esclusiva;
3) violazione e falsa applicazione di legge (art. 21 nonies legge n. 241/1990; principi generali in tema di annullamento d’ufficio, con particolare riferimento al principio del legittimo affidamento; art. 3 legge n. 241/1990; difetto di motivazione); eccesso di potere per motivazione apparente e pretestuosa, per difetto di presupposto valido ed efficace, nonchè per travisamento e contraddittorietà : nel caso di specie l’atto impugnato non motiverebbe adeguatamente in violazione dell’art. 21 nonies legge n. 241/1990 in ordine al legittimo affidamento consolidatosi nel soggetto destinatario dell’azione amministrativa; la motivazione della deliberazione gravata, nell’evidenziare che la ricorrente non poteva non essersi accorta dei notevoli vizi della procedura implicanti un suo illecito arricchimento, sarebbe pretestuosa e meramente apparente; l’Amministrazione sarebbe rimasta completamente inerte per due anni; il legittimo affidamento di So.Ge.St.A. deriverebbe dall’aver partecipato ad una gara pubblica, predisponendo un oneroso progetto, dall’essere risultata aggiudicataria, dall’aver migliorato la propria offerta, aderendo all’invito del Comune, dall’aver versato il prezzo già  nel maggio del 2009; pertanto, le circostanze affermate nella gravata delibera non sarebbero veritiere; peraltro, il corrispettivo di vendita del compendio immobiliare posto a base d’asta sarebbe stato determinato dall’Ufficio Tecnico Comunale in piena coerenza con il disposto dell’art. 7 del regolamento per l’alienazione degli immobili comunali vigente in Sammichele; al fine di escludere la tutela dell’affidamento sarebbe necessario dimostrare che il privato versi in malafede e che possa aver avuto conoscenza del vizio dell’atto di primo grado, essendo detto vizio palese e conclamato; nella presente fattispecie So.Ge.St.A. avrebbe agito in buona fede; non risponderebbe al vero la circostanza secondo cui vi sarebbero state trattative in corso tra alcuni soci di So.Ge.St.A. ed il Comune di Sammichele; inoltre, l’interesse pubblico richiesto dall’art. 21 nonies legge n. 241/1990 dovrebbe essere un interesse all’annullamento ex se (i.e. un interesse che rende incompatibile la permanenza dell’atto nel mondo giuridico); quello addotto dal Comune di Sammichele sarebbe invece un interesse relativo al riutilizzo dell’immobile e si porrebbe in una fase successiva all’annullamento; il Consiglio comunale, non riuscendo ad indicare un serio interesse pubblico che potesse giustificare l’autoannullamento, avrebbe surrettiziamente inteso individuarlo in un successivo e diverso utilizzo della struttura; il riutilizzo dell’immobile presupporrebbe già  l’avvenuto legittimo annullamento d’ufficio; la volontà  di destinare l’immobile ad altro uso avrebbe al limite potuto giustificare la revoca, ma non l’annullamento d’ufficio; l’interesse pubblico ex art. 21 nonies legge n. 241/1990 dovrebbe essere concreto ed attuale; la mera intenzione di partecipare ad un bando per concorrere ad un finanziamento onde adibire la struttura ad altro uso sulla base di un progetto futuro non potrebbe assumere quelle connotazioni di attualità  e concretezza dell’interesse pubblico che possono legittimare l’esercizio del potere di autotutela; secondo il provvedimento gravato il tempo in cui è intervenuto l’atto di ritiro sarebbe congruo; tuttavia, il completo versamento del corrispettivo di alienazione nel maggio del 2009 ben potrebbe essere ritenuto elemento tale da consolidare la posizione di affidamento della società  interessata;
4) violazione e falsa applicazione di legge (art. 21 nonies legge n. 241/1990; principi generali in tema di annullamento d’ufficio, con particolare riferimento al principio del legittimo affidamento; art. 3 legge n. 241/1990; difetto di motivazione); violazione e falsa applicazione di legge (art. 62 delle NTA allegate al PRG di Sammichele di Bari; art. 14 d.p.r. n. 380/2001; d.m. n. 1444/1968); falsa applicazione di legge (artt. 16 e 45 legge Regione Puglia n. 19/2006); violazione e falsa applicazione di legge (art. 1 legge Regione Puglia n. 21/1995); eccesso di potere per difetto di presupposto valido ed efficace, nonchè per difetto di istruttoria e per travisamento; sviamento dalla causa tipica del potere esercitato: secondo la prospettazione di parte ricorrente sarebbero infondati i profili di illegittimità  degli atti di primo grado annullati con la gravata deliberazione n. 16/2011; un primo profilo di illegittimità  degli atti di primo grado viene individuato, dai provvedimenti impugnati, nell’esiguità  del valore attribuito al compendio immobiliare; il valore originario dell’immobile posto a base di gara (i.e. € 127.000,00, pari ad € 61,23 per metro quadro) sarebbe stato giustificato dalla inagibilità  della struttura; il Responsabile dell’Area Tecnica nel corso del procedimento di secondo grado contestato da parte ricorrente sarebbe giunto alla conclusione di un valore pari a € 300,00 per metro quadro; tuttavia, non sarebbe chiaro il criterio utilizzato a tal fine dal Responsabile dell’Area Tecnica; inoltre, il Comune assume l’illegittimità  della deroga edilizia (rispetto all’art. 14 d.p.r. n. 380/2001) autorizzata dalla precedente deliberazione n. 9/2009 adducendo che la stessa si porrebbe in contrasto con le prescrizioni dettate dal PRG per le zone B; detta argomentazione contenuta nella censurata deliberazione sarebbe scarsamente intellegibile, prima ancora che infondata; secondo l’art. 14 d.p.r. n. 380/2001 il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali potrebbe essere rilasciato esclusivamente per gli edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico, previa deliberazione del Consiglio comunale; in forza del comma 3 dell’art. 14 d.p.r. n. 380/2001 la deroga potrebbe riguardare unicamente i limiti di densità  edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati, fermo restando in ogni caso il rispetto delle disposizioni di cui agli artt. 7, 8 e 9 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444; il legislatore non avrebbe imposto limiti alle zone F (all’interno della quale si trova l’immobile per cui è causa), essendo destinate all’insediamento di edifici pubblici o di interesse pubblico; gli interessi potenzialmente speculativi cui allude il Comune nella gravata deliberazione non sarebbero configurabili, stante l’impossibilità  di mutare la destinazione urbanistico / edilizia di interesse pubblico dell’area de qua; nè dall’intervento proposto dalla ricorrente deriverebbe il congestionamento del traffico urbano; inoltre, l’immobile in esame sarebbe stato dichiarato inagibile e tale dichiarazione sarebbe tuttora valida ed efficace; il vincolo di cui alla legge Regione Puglia n. 21/1995 (invocato nel provvedimento impugnato) potrebbe operare unicamente se la struttura fosse ancora utilizzabile (situazione non ricorrente nel caso di specie); secondo il Consiglio comunale (cfr. deliberazione n. 16/2011) la clausola, prevista dalla lettera di invito, di impegno all’assunzione (da parte dell’aggiudicatario) di almeno cinque unità  di personale da destinare alla struttura sarebbe nulla, non essendo individuate la provenienza e le mansioni cui dovrebbe essere adibito il personale assunto; tuttavia, a dire di parte ricorrente l’impegno posto, dalla lettera di invito, a carico dell’aggiudicatario sarebbe chiaro e preciso; il Consiglio comunale, inoltre, con l’impugnata deliberazione sarebbe entrato nel merito dell’offerta presentata da So.Ge.St.A. con riferimento al numero dei posti letto a tariffa agevolata, pur essendo tale valutazione riservata in via esclusiva alla Commissione giudicatrice; il Comune con la deliberazione n. 16/2011 paventa, altresì, l’astratta possibilità , per la struttura socio-assistenziale, di non riuscire a conseguire l’autorizzazione al funzionamento ex art. 49 legge Regione Puglia n. 19/2006; tuttavia, non sarebbe possibile comprendere dove risiederebbe l’illegittimità  della procedura di primo grado ostativa al rilascio della suddetta autorizzazione; l’annullamento, operato dalla gravata deliberazione n. 16/2011, alla precedente deliberazione n. 39/2006 nella parte in cui aveva modificato il regolamento per l’alienazione degli immobili comunali sarebbe immotivato; inoltre, la menzionata deliberazione n. 39/2006 non avrebbe previsto soltanto l’alienazione del bene con trattativa privata, peraltro in ipotesi eccezionali, ma anche altre differenti modalità  di alienazione (asta pubblica o licitazione privata, ovvero complesso accordo tra Amministrazione e privato, che non attribuisce a quest’ultimo un vantaggio sproporzionato), così garantendo il necessario confronto concorrenziale a tutela dell’interesse pubblico.
Parte ricorrente chiedeva, altresì, la condanna dell’Amministrazione comunale al risarcimento del danno da atto illecito ovvero da atto lecito per comportamento scorretto tenuto dalla stessa Amministrazione nel corso delle trattative precontrattuali.
Si costituiva l’Amministrazione comunale, resistendo al gravame.
Ciò premesso in punto di fatto, ritiene questo Collegio che il ricorso sia infondato.
Quanto al primo motivo di ricorso (i.e. asserita genericità  della comunicazione di avvio del procedimento ed assenza dell’indicazione in detta comunicazione dell’oggetto del procedimento), va evidenziato che la nota del Responsabile del Procedimento – Area Tecnica n. 1998 del 2.3.2011 appare essere inequivoca nell’oggetto: “Alienazione del compendio immobiliare del Comune di Sammichele di Bari in via S. Quasimodo (BURP n. 176 del 13 novembre 2008). Avviso di avvio del procedimento ai sensi degli artt. 7, 8, 10 della l. 241/1990 s.m.i.”.
La stessa nota è chiara nell’indicare che il procedimento consiste nello svolgimento di un’attività  istruttoria finalizzata alla autotutela della quale è stato investito, con richiesta di parere, lo stesso Responsabile dell’Area Tecnica del Comune; ed è preliminarmente alla redazione di detto parere che viene richiesta la partecipazione della società  aggiudicataria.
Inoltre, da quanto espressamente sottolineato nella contestata comunicazione del 2.3.2011 (“questa Amministrazione intende riconsiderare, mediante un procedimento di secondo grado, l’opportunità  di quanto sin ora operato dal Comune o, in alternativa, di sperimentare l’autotutela sugli atti emanati”) e nella deliberazione della Giunta comunale n. 33 del 24.2.2011 (relativa al conferimento di incarico al Responsabile del Procedimento al fine di valutare tutti gli aspetti della vicenda in vista della conferma di quanto operato dal Comune o, in alternativa, di una eventuale autotutela sul procedimento di alienazione dell’immobile di Via S. Quasimodo, tentando soprattutto di conseguire il consenso della società  So.Ge.St.A.) emerge un’inequivoca volontà  dell’Amministrazione comunale di avviare un’istruttoria di secondo grado estesa a tutti gli aspetti procedurali e tecnici, istruttoria affidata – mediante il conferimento dell’apposito incarico – al Responsabile dell’Area Tecnica comunale.
La Giunta comunale ha, infatti, investito con la citata deliberazione n. 33/2011 il tecnico comunale della redazione del parere, premettendo che la ricerca di chiarimenti con la società  ricorrente era stata determinata:
“¦ allo scopo di saggiare la possibilità  di rettificare gli elementi essenziali dell’assetto di interessi risultanti dalla gara, ovviamente tentando soprattutto di conseguire il consenso della società  So.Ge.St.A., ma cercando di superare, con le difficoltà  relative, il vincolo derivante dalla permanenza in vita della gara in sè stessa.
Ciò ha impegnato gli organi tecnici come il responsabile dell’area tecnica e quelli politici amministrativi come segreteria e Sindaco per alcuni mesi.
Atteso che, facendo seguito a quanto dichiarato nella nota a firma del Sindaco del 14.9.2010 (prot. n. 7538), è volontà  di questa amministrazione procedere all’annullamento in autotutela del procedimento di alienazione dell’immobile in questione.
Ritenuto che a tal fine si renda opportuna un’integrazione della relazione del responsabile dell’Area Tecnica redatta il 12 agosto 2009 (prot. n. 7363) e già  acquisita agli atti, rispetto ai seguenti profili:
– individuare il prezzo potenziale di mercato del bene in questione in relazione alla nuova volumetria ammessa in deroga;
– valutare l’offensività  dell’altezza dell’immobile come progettata dalla società  aggiudicataria, eccedente i tre piani;
– ripercorrere le decisioni assunte dall’amministrazione in un primo tempo relativamente alla concessione del diritto di superficie sull’immobile con demolizione del fabbricato e costruzione sul suolo da riservare alla proprietà  privata per non meno di 30 anni e non più di 99 e, viceversa, in un secondo tempo, relativamente alla classificazione del fabbricato dal patrimonio indisponibile comunale in quanto struttura di servizio pubblico – asilo nido – peraltro con costruzione finanziata con fondi regionali nel 1976, a bene disponibile con conseguente alienabilità  realizzata attraverso un contratto di compravendita in favore della vincitrice della gara; ¦”.
Nella comunicazione di avvio del procedimento del 2.3.2011 il responsabile del procedimento investito dell’incarico di cui alla deliberazione giuntale n. 33 del 24.2.2011 chiedeva alla società  ricorrente di formulare osservazioni in questi termini: “le eventuali osservazioni, anche corredate da documenti, verranno prese nel dovuto esame prima della redazione del parere”.
Tale comunicazione, pertanto, ben evidenzia l’oggetto del procedimento promosso come richiesto dall’art. 8, comma 2, lett. b) legge n. 241/1990.
Inoltre, era nota alla società  ricorrente la necessità  del procedimento di secondo grado; ciò per i contatti avuti tra le parti, finalizzati ai chiarimenti e alla ridefinizione degli interessi in gioco, come evidenziato nella delibera n. 33/2011, nonchè dalla nota del Sindaco del 14 settembre 2010.
In conclusione, si può affermare che il contraddittorio procedimentale e le garanzie partecipative siano stati assicurati e che la censura di cui al punto 1) debba, conseguentemente, essere disattesa.
Con la doglianza sub 2) la società  deduce la violazione dei principi generali in materia di esercizio del potere di autotutela ed in particolare l’incompetenza del Consiglio comunale che non si sarebbe limitato ad annullare con la deliberazione n. 16/2011 (cfr. pag. 23) gli atti di sua competenza, ma avrebbe espressamente disposto che da tale ritiro derivi il “travolgimento” dell’avviso pubblicato sul BURP n. 176 del 13 novembre 2008 e di “tutti gli atti esecutivi conseguenti alle deliberazioni consiliari summenzionate”.
Secondo la prospettazione di parte ricorrente non vi sarebbe un rapporto di presupposizione e di consequenzialità  immediata e diretta (comportante un effetto caducante) tra le deliberazioni annullate in autotutela (n. 39/2006; n. 46/2006; n. 20/2008), da un lato, e l’avviso pubblico e gli altri provvedimenti esecutivi “travolti”, dall’altro.
Tuttavia, non è condivisibile la valutazione, operata dalla società  istante, in ordine al rapporto di presupposizione esistente tra i suddetti atti.
Infatti, con la deliberazione consiliare n. 39 del 10 luglio 2006 – annullata in parte qua dalla censurata deliberazione n. 16/2011 – si modificava il regolamento comunale (art. 18) estendendo le ipotesi di ricorso alla trattativa privata anche (cfr. comma 2, lett. e) “qualora l’alienazione del bene avvenga nell’ambito del più generale accordo tra Comune ed acquirente e la peculiarità  dello stesso, anche in ragione delle obbligazioni assunte dalle parti o da una di queste, sia tale da non consentire l’esperimento dell’asta pubblica o della licitazione privata e sempre che risulti la convenienza per il Comune e l’utilità  generale”.
Con la deliberazione di Consiglio comunale n. 46/2006 (anch’essa annullata dalla deliberazione n. 16/2011) l’Amministrazione forniva dettagliate indicazioni circa la natura del procedimento di alienazione:
“¦ emerge in maniera chiara ed inequivoca che la demolizione dello stabile e la sua ricostruzione è addirittura più conveniente rispetto ad un’eventuale ristrutturazione finalizzata al recupero dello stesso; ¦ si rende necessario assumere atto di indirizzo in ordine alla cessazione della destinazione di asilo nido della struttura in questione in via Quasimodo, fornendo alla Giunta Comunale ed agli Uffici Comunali indirizzo per la realizzazione di una struttura socio – assistenziale e/o socio sanitaria mediante l’apporto di capitale privato; ¦ la realizzazione di tale struttura dovrà  essere disciplinata dai seguenti criteri e principi cui dovrà  uniformarsi anche la convenzione che legherà  il concessionario al Comune: ¦ b) concessione del diritto di superficie con la specifica finalità  di costruire una struttura socio assistenziale; c) individuazione del concessionario in diritto di superficie secondo le procedure previste nel Regolamento di alienazione degli immobili comunali, approvato con delibera del Consiglio Comunale n. 53 del 28.10.1998 e modificato con delibera dello medesimo organo n. 30 del 10.7.2006 ¦ delibera ¦ 3) di fornire alla Giunta Comunale ed agli Uffici Comunali i criteri generali e gli indirizzi espressi in premessa per l’utilizzo dell’ex asilo nido di via Quasimodo a struttura socio assistenziale e/o socio sanitaria; ¦”.
La deliberazione n. 46/2006 è stata integrata dalla deliberazione consiliare n. 20 del 26.6.2008 che ha trasferito il bene nel patrimonio disponibile del Comune e ha trasformato la cessione all’acquirente del diritto di superficie, prevista dalla deliberazione n. 46/2006, in alienazione del diritto di proprietà  dell’immobile da prevedersi già  in sede “di predisposizione del bando afferente l’individuazione del soggetto deputato alla concessione e/o all’acquisto, atteso che l’alienazione è, senz’altro, più appetibile per gli operatori economico – commerciali in ragione della non certezza, alla scadenza della concessione, di reale alienazione del bene avuto riguardo alle ingenti somme da investire nella realizzazione dell’opera di cui trattasi”.
E’ evidente che dette deliberazioni (n. 39/2006; n. 46/2006; n. 20/2008) costituivano il fondamento giuridico su cui poggiava l’intero procedimento, con quanto ne consegue in termini di caducazione dello stesso derivante dall’annullamento, con la censurata deliberazione n. 16/2011, di tali atti di indirizzo.
Infatti, in esecuzione dei menzionati atti consiliari, la deliberazione di Giunta comunale n. 164 del 23 settembre 2008 (avente ad oggetto “Alienazione immobile ex Asilo Nido Via Quasimodo e indirizzi volti all’individuazione del contraente”) investiva il responsabile dell’area tecnica del compito di procedere “¦ ad indire gara per mezzo di trattativa privata finalizzata alla individuazione del contraente per l’alienazione del compendio immobiliare di via S. Quasimodo (ex Asilo Nido), con modalità  che assicurino i principi di trasparenza, non discriminazione e di massima partecipazione dei contraenti interessati, fermo rimanendo, altresì, il rispetto dei criteri stabiliti nelle delibere di Consiglio Comunale n. 46/2006 e n. 20/2008; ¦”.
Nelle premesse della deliberazione giuntale n. 164/2008 si circostanziavano dette direttive attraverso il mero riferimento alle delibere consiliari (la n. 46/2006 e la n. 20/2008) citate e richiamate anche nell’avviso pubblicato in BURP del 13 novembre 2008, n. 176.
Ne consegue che, nel momento in cui sono state annullate in autotutela la disposizione regolamentare che apriva la possibilità  di esperire la gara con trattativa privata ai casi quali quello di specie (deliberazione di Consiglio comunale n. 39 del 10 luglio 2006), la decisione di prendere atto della cessata destinazione ad asilo nido dell’immobile de quo e di trasformarlo in struttura socio assistenziale con la cessione del diritto di superficie del suolo sul quale esso insiste (deliberazione n. 46 del 31 luglio 2006) e la scelta di inserire l’immobile nel patrimonio disponibile del Comune stesso e di cederne non più il solo diritto di superficie, ma l’intero diritto di proprietà  (deliberazione n. 20/2008), ogni atto successivo (peraltro indicato ed allegato alla deliberazione n. 16/2011) teso a dare esecuzione a dette scelte, anche se adottato dalla Giunta, è posto nel nulla (i.e. caducato), essendo venuto meno lo stesso oggetto dell’alienazione (l’immobile inserito nell’elenco dei beni alienabili che è tornato nel patrimonio indisponibile del Comune ex art. 826, comma 3 cod. civ. in quanto bene destinato ad un pubblico servizio).
Allo stesso modo vi è un rapporto di concreta presupposizione tra la deliberazione del Consiglio comunale n. 9 del 16 aprile 2009 (espressamente annullata dalla deliberazione n. 16/2011 in uno al parere reso dal Responsabile del Procedimento in data 9 aprile 2009 sulla ammissibilità  della deroga, parere costituente parte integrante della deliberazione n. 9/2009), con la quale veniva rilasciato il permesso di costruire in deroga, e tutti gli atti (travolti con efficacia caducante) successivi all’invio, da parte del Comune, della lettera d’invito alla società  ricorrente in quanto risultata l’unica offerente all’esito della gara esplorativa.
La proposta presentata dalla società  ricorrente risulta, infatti, articolata intorno ad un progetto assentibile soltanto in deroga, quella stessa deroga prevista dalla lettera d’invito del 22.12.2008 in ordine all’offerta tecnico – economica: “saranno ammesse anche soluzioni che prevedano deroghe ai parametri urbanistico – edilizi purchè coerenti con l’art. 14 del d.p.r. 380/2001”.
Detta deroga veniva successivamente concessa con la deliberazione di Consiglio comunale n. 9 del 16 aprile 2009, all’esito dell’esame, in data 13.3.2009, della proposta progettuale presentata da So.Ge.St.A., ad opera della Commissione nominata con determinazione gestionale n. 64 del 2 marzo 2009.
La deroga in esame veniva annullata in autotutela dalla gravata deliberazione n. 16/2011.
Il responsabile del procedimento, quindi, alla luce della necessità  che il progetto presentato potesse essere assentito unicamente in deroga e in applicazione di quanto disposto dalla lettera e) dell’allegato alla lettera d’invito, aveva chiesto alla società  odierna ricorrente una proposta migliorativa (allegato 25 del dispositivo della delibera di annullamento), proposta formulata con nota del 1° aprile 2009 (allegato 27 del suddetto dispositivo) e resa oggetto di parere favorevole da parte dell’allora responsabile dell’area tecnica il 3 aprile 2009 (allegato n. 30 al dispositivo), con conseguente aggiudicazione della proposta, avvenuta con determinazione gestionale n. 133 del 27 aprile 2009 (allegato n. 23 del dispositivo: atto dichiarato a ragione “travolto” dalla deliberazione n. 16/2011).
àˆ evidente che ogni singola fase anche di detta parte del procedimento non avrebbe potuto avere luogo se il Consiglio comunale non avesse rilasciato il permesso di costruire in deroga, successivamente annullato in autotutela.
àˆ fisiologico, quindi, il travolgimento automatico di detti atti derivante dall’annullamento in autotutela di quello a monte.
Si rileva, inoltre, che la deliberazione impugnata si fonda sulle relazioni istruttorie del responsabile del procedimento, nonchè responsabile dell’area tecnica comunale, n. 7363 del 12.8.2009 e n. 3689 del 15.4.2011 che manifestano dubbi circa la legittimità  del procedimento di primo grado.
Nessuna prevaricazione, quindi, è stata posta in essere dal Consiglio comunale nei confronti dei poteri gestionali della dirigenza, costituendo la deliberazione n. 16/2011 una non censurabile manifestazione dell’esercizio dello ius poenitendi rispetto a precedenti deliberazioni di propria emanazione con l’adozione del contrarius actus.
Discende da ciò la reiezione del secondo motivo di ricorso.
In ordine alle doglianze di cui a motivi sub 3 e 4 (suscettibili di trattazione unitaria), volti a contestare la sussistenza dei presupposti di legge (art. 21 nonies legge n. 241/1990) alla cui ricorrenza è subordinato l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio (i.e. illegittimità  dell’atto di primo grado annullato ed interesse pubblico concreto ed attuale all’annullamento), va evidenziato quanto segue.
La gravata deliberazione n. 16/2011 contiene adeguata motivazione in ordine alle suddette condizioni.
Relativamente al primo presupposto di legge, si ritiene non condivisibile l’affermazione di parte ricorrente (di cui alla doglianza sub 4) secondo cui sarebbero infondati i profili di illegittimità  degli atti di primo grado annullati con la gravata deliberazione.
In particolare, la società  ricorrente assume che la valutazione compiuta dal responsabile del procedimento in ordine al valore del compendio immobiliare “è assolutamente apodittica ed errata” (cfr. pag. 22 del ricorso), mentre si limita a rimarcare, rispetto alla valutazione effettuata dall’allora responsabile del procedimento (in data 3.10.2008), il quale aveva concluso la stima dell’intero immobile per un valore di appena 127.000,00 euro, che con essa era stato determinato “il valore dell’area ricavandola dal valore di mercato delle aree omogenee (€ 60,00 al mq) ed ha determinato il valore dello stabile tenendo conto dell’inagibilità  e del costo per la demolizione dello stesso” (cfr. pag. 22 del ricorso).
àˆ evidente che l’assunta inagibilità  dell’immobile (posta in chiaro collegamento con l’intera operazione finanziaria) ha influito sulla valutazione, operata dal precedente responsabile del procedimento, al fine di definire il prezzo di gara (con relazione di stima del 3.10.2008).
Tuttavia, detta dichiarazione di inagibilità  dell’immobile è stata strumentale all’esigenza commerciale di demolire il fabbricato adibito ad asilo nido per superare i vincoli autorizzativi imposti dalla Regione per effetto della legge n. 1044/1971 e della legge regionale n. 6/1973.
Infatti, pur essendo stato l’immobile dichiarato inagibile, quanto detta inagibilità  abbia potuto incidere sulla stima finale del suo valore non è dato comprendere dalla relazione di stima del 3.10.2008 dalla quale è scaturito il prezzo di vendita, come ha condivisibilmente rilevato il responsabile del procedimento di autotutela nella relazione del 12 agosto 2009.
Si è ben lungi, quindi, da una relazione (quella del 3.10.2008) elaborata secondo parametri tecnici affidabili.
Correttamente, viceversa, nella relazione di stima del 12 agosto 2009 che ha preceduto l’autotutela impugnata si è proceduto – ai sensi dell’art. 7 del regolamento per l’alienazione dei beni di proprietà  comunale – a valorizzare l’immobile, “con riferimento al valore corrente di mercato di beni aventi caratteristiche similari” – dovendo rendere congrua e opportuna, a scopi finanziari per l’ente, la sua alienazione.
L’area di interesse, infatti, in quanto ricadente in zona F1 non sarebbe suscettibile di alienazione, ma nel momento in cui il Comune ha deciso di privarsene, per collocarla sul libero mercato, la collettività  deve trarre vantaggio dalla vendita implicante detto sacrificio: il giusto vantaggio, derivante dalla sua assimilabilità  ad aree con caratteristiche similari.
La destinazione impressa all’immobile dal PRG vigente (zona F1) collocato, tuttavia, in piena area residenziale del paese, non può comportare l’ammissibilità  di un prezzo di “svendita” del bene stesso.
Ciò, infatti si era verificato con l’alienazione bloccata dalla deliberazione n. 16/2011: in precedenza era stata posta sul libero mercato una porzione di territorio comunale destinata a servizi con la fictio di vincolare l’acquirente alla destinazione d’uso “pubblica” per servizi (impressa all’immobile erigendo) per soli dieci anni.
Tuttavia, in contrasto con detta valutazione, il responsabile del procedimento di autotutela nella sua relazione del 12 agosto 2009 rileva che nella stima posta a base d’asta si utilizza:
“¦ un metodo da contabili, per calcolare i valori immobiliari tassabili ai fini ICI, non già  una stima per alienazione con tutti i parametri necessari.
Al contempo risultano alquanto dubbi sia il valore di mercato attribuito alle aree omogenee, che quello, piuttosto generico, quantificato per le demolizioni.
Parimenti pare dubbia, e non supportata da considerazioni e calcoli, la percentuale di deprezzamento per l’inagibilità  del fabbricato.
Resta da comprendere il criterio secondo il quale la media dei valori (area e stabile) determina il valore finale più attendibile. ¦”.
Prosegue, pertanto, il tecnico comunale:
“¦ volendo soltanto considerare il valore del suolo secondo la volumetria esprimibile dal suo i.f.f. (indice di fabbricabilità  fondiaria), nella considerazione già  operata che l’immobile è inagibile ed è da demolirsi per far posto ad una nuova costruzione, potendo solo parametrarlo al suolo edificatorio (zona B1 di completamento, l’unico che abbia un vero valore di mercato) che, alla data odierna, oscilla dai € 300,00 ai € 350.00 /mq (5 mc/mq) ed operando una semplice proporzione con la potenzialità  edificatoria del suolo in parola (3 mc/mq) si otterrebbe un valore unitario oscillante da € 180,00 ad € 210,00 x mq.
Il che determinerebbe un valore di vendita (x mq. 2074) da € 373.000,00 a € 435.000,00.
Senza tenere in alcun conto la possibilità  concessa di edificare in deroga addirittura a 6,58 mc/mq. ¦”.
Pertanto, alla laconicità  della stima del 3.10.2008 quantificata su incomprensibili valori medi di mercato delle aree omogenee a partire da valori catastali immobiliari tassabili ai fini ICI (giammai individuabili per le zone F1) si contrappone una stima, quale quella del responsabile del procedimento di autotutela risalente al 12.8.2009, che prende le mosse da un presupposto logico, quello della quantificazione dell’alienabilità  del bene.
Nel parere integrativo reso con nota n. 3689 del 15 aprile 2011, posto, unitamente a quello del 12 agosto 2009, a fondamento della contestata autotutela, il tecnico comunale ha valutato il valore di mercato del bene in termini oggettivi.
Con il menzionato parere del 15 aprile 2011 il tecnico ha quantificato anche il prezzo dell’aumento di potenzialità  edificatoria ottenuta dal bene in questione per effetto del rilascio del permesso di costruire in deroga.
Con il permesso di costruire in deroga fino a 6,58 mc/mq, infatti, si consente, all’immobile di acquisire una potenzialità  edificatoria in realtà  pari a 5 mc/mq in considerazione dei limiti entro i quali la deroga è ammessa.
Siffatta potenzialità  edificatoria è dunque pari a quella delle zone B1 con valore medio di mercato pari ad € 300 – 350 per mq.
Seguendo detto iter logico, quindi il tecnico comunale nel parere del 15.4.2011 conclude:
“¦ Prezzo potenziale del bene in questione in relazione alla nuova volumetria ammessa in deroga, non con indice 6,58 come concesso in precedenza e conseguente prezzo potenziale di circa 360 euro x mq, bensì con indice 5 mc x mq, indice massimo consentibile anche in deroga per le zone B1 (art. 7 D.M. 1444/1968) intorno ad € 620.000,00 dalla quale somma si potrebbe, eventualmente, detrarre l’onere della demolizione stimata sommariamente in € 20.000,00 (circa mc 1200 vuoto per pieno) comprensivo dell’onere di conferimento in discarica dei rifiuti inerti, e, quindi, per ottenere un prezzo finale di € 600.000. ¦”.
Rispetto ai valori di stima dell’immobile oggetto del procedimento di alienazione, emerge l’illegittimità  di siffatto iter, illegittimità  della quale si dà  atto nella deliberazione impugnata (cfr. 16), secondo cui la possibilità  offerta di alienare l’immobile:
“¦ a privati che rimangono vincolati soltanto per un minimo di dieci anni alla gestione dell’immobile come struttura socio – assistenziale e/o socio – sanitaria fa venir meno la certezza della destinazione dell’immobile a finalità  di interesse pubblico, rivelando in concreto il rischio che l’esito del procedimento consista nella mera alienazione di un immobile comunale, dal valore effettivo stimato in circa 400.000,00 euro – a prescindere dall’aumento di valore determinato dalla rilasciata deroga – per un importo assai inferiore, quale quello di 127.000,00 euro poi aumentato dalla SO.GE.ST.A. a 160.000,00; ¦”.
Inoltre, in contrasto con quanto sostenuto da parte ricorrente, il permesso di costruire in deroga di cui alla deliberazione n. 9/2009 appare illegittimo (come correttamente evidenziato dalla impugnata deliberazione n. 16/2011 a pag. 17).
A tal riguardo, la società  ricorrente assume la presunta legittimità  del permesso di costruire in deroga rilasciato con la citata deliberazione n. 9/2009 in quanto titolo edilizio per la realizzazione di un’opera individuata come di interesse pubblico.
Tuttavia, anche sotto detto profilo, la prospettiva della società  ricorrente, ricalca quella che ha informato il procedimento di primo grado, viziato da difetto di istruttoria e sviamento di potere.
Infatti, la limitatezza dell’efficacia temporale del vincolo di destinazione ad interesse pubblico del bene oggetto del permesso di costruire (limitato a dieci anni), non consente di accedere alla disciplina derogatoria prevista dal legislatore per siffatte tipologie di immobili.
Il procedimento in questione va qualificato soltanto quale esso realmente è: immissione sul libero mercato di un immobile di proprietà  comunale trasferito nel patrimonio disponibile dell’ente locale.
L’interesse preminente dell’ente, quindi, non poteva essere considerato quello di realizzare un’opera di interesse pubblico, bensì in realtà  quello di alienare un immobile disponibile del patrimonio comunale: per far ciò, attesa la destinazione urbanistica impressa allo stesso dal vigente PRG, al fine di renderlo oggetto di scambio sul libero mercato, è stato necessario immaginare la realizzazione di un’opera di interesse pubblico, con un vincolo, per tale finalità , simbolico, di appena dieci anni, trascorsi i quali la struttura rimane sottratta alla sua originaria destinazione di servizi alla residenza.
Di tanto, quindi, si prende atto nella deliberazione impugnata (cfr. pag. 17) dove si afferma:
“¦ con l’alienazione, il perseguimento delle finalità  di interesse pubblico perde l’intrinseco carattere della temporaneità , con l’effetto che trascorsi i dieci anni, l’acquirente, proprietario del bene sarebbe libero di modificare la destinazione d’uso dell’immobile che manterrebbe, tuttavia, un notevole impatto strutturale con la destinazione urbanistica di zona dell’abitato circostante, sicchè la deroga investirebbe l’intero strumento urbanistico piuttosto che singoli parametri edilizi, compromettendo altresì l’interesse pubblico originario ed attuale ad un ordinato e coerente sviluppo dell’intera zona; ¦”.
L’esiguità  del prezzo di vendita e l’illegittimità  della deroga ex art. 14 d.p.r. n. 380/2001 sono presupposti di per sè sufficienti a giustificare l’adozione del gravato provvedimento di ritiro in autotutela, potendosi conseguentemente prescindere dalla disamina degli altri profili pur considerati dalla deliberazione de qua.
Peraltro, è possibile addivenire ad una qualificazione giuridica del citato provvedimento anche in termini di revoca exart. 21 quinquies legge n. 241/1990, apparendo gli elementi esposti (in particolare l’esiguità  del prezzo indicato negli atti ritirati in autotutela) idonei a sostenere e giustificare la decisione della Amministrazione in termini di “nuova valutazione dell’interesse pubblico originario”.
Infatti, secondo Cons. Stato, Sez. V, 8 novembre 2012, n. 5681, alle cui conclusioni questo Collegio ritiene di aderire, “Deve qualificarsi come vero e proprio atto di revoca del provvedimento l’atto che, ancorchè denominato dalla p.a. quale annullamento d’ufficio, sia stato adottato per ritirare (per ragioni di opportunità  e per motivi di interesse pubblico) tutti gli atti di una gara.”.
Quanto alla decisione di procedere con la gravata delibera n. 16/2011 all’annullamento in parte qua delle modificazioni (apportate dalla deliberazione n. 39/2006) al regolamento per l’alienazione degli immobili di proprietà  comunale, è evidente che si è trattato di una scelta determinata dalla necessità  di caducare l’intero procedimento di alienazione articolato in quella struttura di atti di indirizzo espressi con le deliberazioni comunali oggetto di autotutela, rispetto alle quali il regolamento in esame si colloca come primo provvedimento: infatti, soltanto a partire dall'”apertura” della trattativa privata a casi come quello di specie, si è potuto avviare l’intero procedimento.
Per la scansione temporale e logica che informa il susseguirsi delle deliberazioni annullate in autotutela la predetta norma regolamentare appare caratterizzata da una tale specificità  da potersi considerare adottata ad hoc, come presupposto logico – giuridico dell’intera costruzione.
Il suo annullamento era necessario corollario di una scelta a monte: eliminare ogni atto relativo al procedimento in questione ed espressione di sviamento di potere nell’esercizio della funzione amministrativa, pertanto reso interamente oggetto dello ius poenitendi del Comune.
Relativamente al secondo presupposto cui l’art. 21 nonies legge n. 241/1990 subordina l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio (i.e. sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale all’annullamento entro un termine ragionevole, tenuto conto dell’interesse del destinatario dell’azione amministrativa), ritiene questo Collegio di escludere la fondatezza della censura di cui al motivo di ricorso sub 3).
Peraltro, detto presupposto può essere valutato, in considerazione della differente qualificazione giuridica (di cui si è detto in precedenza in relazione alla esiguità  del prezzo indicato negli atti ritirati in autotutela) della gravata deliberazione n. 16/2011, alla stregua di una “nuova valutazione dell’interesse pubblico originario” ex art. 21 quinquieslegge n. 241/1990, alla cui ricorrenza la citata disposizione condiziona l’esercizio del potere di revoca.
Anche sotto tale profilo la motivazione della censurata deliberazione non appare sindacabile.
Dalla motivazione risulta che l’interesse all’annullamento è scaturito dall’esigenza di evitare la vendita di un bene di proprietà  comunale ad un prezzo eccessivamente basso.
L’istruttoria espletata ha dimostrato l’incongruità  del prezzo di vendita dell’immobile (come evidenziato in precedenza).
Verificata l’incongruità  del prezzo di vendita, nonchè delle condizioni offerte dal Comune alla controparte, l’interesse pubblico che ha animato l’annullamento è stato quello di riappropriarsi del bene, tanto da prevederne subito un utilizzo in un progetto di rete come quello del GAL “Terra dei trulli e di Barsento” citato nella delibera n. 16/2011 (cfr. pag. 19) al dichiarato fine del Comune di rientrare nella disponibilità  del bene per poterlo riutilizzare per fini di interesse generale o rivendere ad un giusto prezzo.
Tanto più che l’imponenza della costruzione – assentita con una deroga eccessiva ed illegittima – in quella determinata zona del centro abitato, ha messo in discussione anche la stessa realizzabilità  del progetto, in rapporto all’ingombro volumetrico (cfr. pagg. 13, 17 e 21 della deliberazione n. 16/2011).
Nè può affermarsi che non siano stati tenuti in debito conto gli interessi della società  ricorrente.
La stessa, infatti, già  all’indomani della prima verifica sul prezzo di vendita dell’immobile da parte del Comune, è stata invitata con nota del Responsabile dell’Area Tecnica del 23.3.2009 a rivedere – ai sensi della clausola sub E della Parte Seconda della lettera d’invito – le condizioni di vendita, proprio con la finalità  di far conseguire al Comune il giusto prezzo per il valore dell’immobile e di ridefinire i termini dell’operazione di alienazione immobiliare.
Nel corso dell’incontro del 27.3.2009 – come visto in precedenza – il Responsabile dell’Area Tecnica invitava la società  ricorrente ad incrementare il prezzo a € 180.000,00.
La So.Ge.St.A. aumentava il corrispettivo sino a € 160.000,00.
Nè tale circostanza può essere negata, risultando appunto dai citati atti (nota prot. n. 2569 del 23.3.2009 e verbale dell’incontro del 27.3.2009).
Inoltre, la considerazione dell’affidamento della ricorrente si desume dalla possibilità  offerta alla stessa di partecipare compiutamente al contraddittorio procedimentale, come emerso nella analisi del motivo di ricorso sub 1), e dalla vistosità  – in precedenza rimarcata – dei vizi emersi in sede di riesame (profili di cui si dà  adeguatamente conto a pag. 20 della deliberazione impugnata).
Peraltro, l’azione dell’Amministrazione resistente si è compiuta entro un ragionevole lasso di tempo – due anni (a partire dalla aggiudicazione definitiva in favore della ricorrente di cui alla determinazione n. 133 del 27.4.2009) – che ben si giustificano in ragione della complessità  della vicenda.
Sono state annullate, infatti, diverse deliberazioni comunali tutte tra di loro interconnesse ed incidenti sull’aggiudicazione definitiva che ne è risultata travolta.
Dalle argomentazioni espresse in precedenza discende la reiezione della domanda impugnatoria di cui al ricorso introduttivo.
Essendo stata riscontrata la legittimità  dei provvedimenti censurati con il ricorso, non può trovare accoglimento la domanda risarcitoria da provvedimento amministrativo illegittimo azionata dalla società .
Quanto alla domanda di risarcimento dei danni da responsabilità  precontrattuale della Amministrazione, la stessa deve essere esclusa, stante l’assenza di colpa della stessa Amministrazione.
Come evidenziato da Cons. Stato, Sez. III, 21 gennaio 2013, n. 339, “Alcuna responsabilità  precontrattuale è addebitabile alla stazione appaltante che decida di revocare l’aggiudicazione provvisoria in ragione di un sopraggiunto mutamento organizzatorio determinato da mutamenti normativi: invero, in questo caso non sussistono i presupposti necessari per il prodursi della responsabilità  precontrattuale, mancando sia l’elemento soggettivo della colpa in capo all’Amministrazione, sia l’ingiustizia del danno; così pure non è configurabile una violazione dei principi di correttezza e buona fede ex art. 1337 c.c., nè la violazione delle regole di buona amministrazione; senza dimenticare, infine, che il sopraggiungere di un nuovo assetto normativo rappresenta una circostanza del tutto indipendente dalla volontà  dell’Amministrazione.”.
Inoltre, l’elemento della colpa può escludersi in ipotesi (quale quella ricorrente nel caso di specie) di dimostrata (da parte della Amministrazione resistente soggetto su cui gravava il relativo onere probatorio) evidente complessità  della situazione di fatto, costituente il presupposto di adozione della gravata deliberazione n. 16/2011 (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 4 settembre 2013, n. 4439: “L’ingiustizia del danno imputato alla pubblica amministrazione non può considerarsi in re ipsa nella sola illegittimità  dell’esercizio della funzione amministrativa o pubblica in generale, dovendo in realtà  il giudice procedere a verificare e giudicare: che sussista un evento dannoso; che il danno sia qualificabile come ingiusto in relazione alla sua incidenza su un interesse rilevante per l’ordinamento; che l’evento dannoso sia riferibile, sotto il profilo causale, ad una condotta della pubblica amministrazione; che l’evento dannoso sia imputabile a responsabilità  della pubblica Amministrazione anche sotto il profilo soggettivo del dolo o della colpa, con la conseguenza che la responsabilità  può e deve essere negata quando l’indagine presupposta conduce al riconoscimento dell’errore scusabile per la sussistenza di contrasti giurisprudenziali, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità  della situazione di fatto.”).
Nè, peraltro, a tal proposito, potrebbe trovare applicazione nel caso di specie il principio di diritto affermato da Corte Giust. UE n. 314/2010 in ordine alla irrilevanza dell’elemento della colpa ai fini della responsabilità  (da considerarsi “oggettiva”) della P.A. in caso di violazione della disciplina sugli appalti pubblici (“La direttiva 89/665 osta ad una normativa nazionale, la quale subordini il diritto ad ottenere il risarcimento, conseguente alla violazione della disciplina sugli appalti pubblici da parte di un’amministrazione aggiudicatrice, al carattere colpevole di tale violazione, anche nel caso in cui l’applicazione della normativa in questione sia incentrata su una presunzione di colpevolezza in capo all’amministrazione suddetta, nonchè sia prevista l’impossibilità  per quest’ultima di far valere la mancanza di proprie capacità  individuali e, dunque,il difetto di imputabilità  soggettiva della violazione lamentata.”).
Infatti, come rilevato sempre da Cons. Stato, Sez. IV, 4 settembre 2013 n. 4439, “Nel settore dei contratti pubblici non grava sul ricorrente danneggiato l’onere di provare che il danno derivante dal provvedimento amministrativo illegittimo è conseguenza di un comportamento colposo dell’Amministrazione, con la conseguenza che questa non può sottrarsi all’obbligo di risarcire i danni cagionati dal suo provvedimento illegittimo adducendo l’inesistenza di dolo o colpa da parte sua; in effetti si tratta di regola imposta dalla Corte di giustizia CE con sentenza 30 settembre 2010, causa C-314/09 limitatamente al settore degli appalti pubblici, resasi necessaria dall’esigenza di garantire effettività  ai principi della libera concorrenza e dell’apertura dei mercati e che, costituendo deroga all’autonomia processuale degli Stati membri, non è applicabile in settori diversi da quelli degli appalti pubblici.”.
Nella fattispecie oggetto del presente giudizio si versa chiaramente in una fattispecie di astratta configurabilità  di una responsabilità  precontrattuale della Amministrazione, peraltro non legata alla adozione di un atto amministrativo illegittimo, in un settore differente dagli appalti pubblici disciplinati dalla direttiva 89/665.
E’ evidente che non ricorrono i presupposti di operatività  del principio di diritto sancito dalla Corte di giustizia CE con sentenza 30 settembre 2010, causa C-314/09.
In conclusione, alla stregua delle considerazioni tutte fin qui svolte, devono essere respinte siccome infondate entrambe le azioni avanzate in ricorso, sia quella impugnatoria che quella risarcitoria.
Attesa, tuttavia, la natura e la peculiarità  della presente controversia, nonchè la qualità  delle parti, si ritiene che sussistono gravi ed eccezionali ragioni di equità  per compensare le spese di giudizio.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sede di Bari, Sez. I, definitivamente pronunciando sul ricorso come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità  amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 15 gennaio 2014 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Corrado Allegretta, Presidente
Giuseppina Adamo, Consigliere
Francesco Cocomile, Primo Referendario, Estensore
 
 
 
 

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 02/04/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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