1. Edilizia e urbanistica – Piano esecutivo –  Recupero urbanistico ed edilizio – P.d.L. – Diffida a contrarre ex art. 27, c. 5, L. n. 166/2002 – Modalità  attuativa non prevista in piano esecutivo – Non è atto attuativo


2. Edilizia e urbanistica – Piano esecutivo – Recupero urbanistico ed edilizio – P.d.L. – Impugnazione diffida a contrarre ex art. 27, c. 5, L. n. 166/2002 – Modalità  attuativa non prevista in piano esecutivo – Omessa impugnazione piano esecutivo – Ricorso ammissibile 


3. Edilizia e urbanistica – Piano esecutivo – Recupero urbanistico ed edilizio – P.d.L. – Piano Attuativo ex art. 27, c. 5, L. n. 166/2002 – E’ il programma di riabilitazione urbana


4. Edilizia e urbanistica – Piano esecutivo – Recupero urbanistico ed edilizio – P.d.L. – Art. 27, c. 5, L. n. 166/2002 – E’ disposizione di carattere speciale – Interpretazione restrittiva 


5. Edilizia e urbanistica – Piano esecutivo – Recupero urbanistico ed edilizio – P.d.L. – Programma di riabilitazione urbana – Attuazione mediante strumenti urbanistici di secondo grado 

1. L’atto di diffida a contrarre ex art. 27, c. 5, della L. n. 166/2002 non costituisce atto meramente attuativo di delibere di adozione e di approvazione di un piano di lottizzazione ove in esse non risulti prevista tale specifica modalità  di attuazione. 


2. E’ infondata l’eccezione di inammissibilità  del gravame avverso un atto di diffida ex art. 27, c. 5. della L. n. 66/2002 per omessa previa impugnazione delle delibere di adozione e di approvazione di un P.d.L., non costituendo l’oggetto della diffida la specifica modalità  di attuazione del piano in parola.


3. Il “Piano attuativo” al quale fa riferimento l’art. 27, c. 5, della L. n. 166/2002, è rappresentato soltanto dal “programma di riabilitazione urbana”, previsto dai commi precedenti la disposizione citata.


4. L’art. 27, c. 5, della L. n. 166/2002 è disposizione speciale riferibile esclusivamente ai programmi di riabilitazione urbana  e, in quanto tale, non è estensibile a fattispecie diverse da quelle  in essa previste.


5. I programmi di riabilitazione urbana, non costituendo un nuovo e autonomo tipo di strumento urbanistico attuativo a contenuto speciale, sono suscettibili di attuazione attraverso strumenti urbanistici di secondo grado.

N. 00295/2014 REG.PROV.COLL.
N. 00640/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 640 del 2010, integrato da motivi aggiunti, proposto da: 
Rosa Regano, rappresentata e difesa anche disgiuntamente, dagli avv.ti Graziano Carlo Montanaro e Tommaso Di Gioia, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Bari, via Argiro, n. 135; 

contro
Comune di Andria, in persona del Sindaco, legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso anche disgiuntamente dagli avv.ti Giuseppe Di Bari e Giuseppe De Candia, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Alberto Bagnoli in Bari, via Dante Alighieri, n. 25; 

nei confronti di
Consorzio Tonnoconte, in persona legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Francesco Bruno, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Alberto Bagnoli in Bari, via Dante Alighieri, n. 25; 

per l’annullamento,
previa sospensione dell’efficacia,
“della diffida a contrarre ex art. 27, c. 5, l. 166/2002, prot. n. 15254 del 17 febbraio 2010, a firma del Sindaco di Andria, notificata alla ricorrente in data 24 febbraio 2010, nonchè di tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali.”
 

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Andria e del Consorzio Tonnoconte;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Vista l’ordinanza n. 965 del 16 dicembre 2010, di rigetto dell’istanza incidentale di sospensione cautelare;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 gennaio 2014 la dott.ssa Rosalba Giansante e uditi per le parti i difensori, gli avv.ti Tommaso Di Gioia e Giuseppe De Candia;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 

FATTO e DIRITTO
Con ricorso, ritualmente notificato il 23 aprile 2010 e depositato il 6 maggio 2010, la sig.ra Rosa Regano ha chiesto l’annullamento della diffida a contrarre ex art. 27, comma 5, della legge n. 166 del 2002, prot. n. 15254 del 17 febbraio 2010, a firma del Sindaco di Andria, notificata in data 24 febbraio 2010.
A sostegno del gravame la ricorrente ha dedotto i seguenti motivi di censura: 1. violazione dell’art. 27, comma 5, della legge n. 166 del 2002; 2. carenza della motivazione, travisamento dei fatti ed eccesso di potere.
La sig.ra Regano premette innanzitutto di essere proprietaria di aree ricadenti all’interno della maglia D5/11 del Piano Regolatore Generale del Comune di Andria.
Riferisce che da oltre 15 anni, parte dei predetti fondi – un terreno per uso deposito di mq 3.000 con annesso capannone di mq 200 e un locale uso ufficio di mq 35 – sono concessi in locazione alla società  Magno Riccardo &; aggiunge che i terreni ricadono in un piano di lottizzazione della maglia D5/11 adottato con delibera n. 84 del 30 novembre 2004 e approvato con delibera n. 15 del 21 marzo 2006 dal Consiglio Comunale di Andria.
Espone altresì che la società  Iride s.r.l., proprietaria di fondi all’interno della stessa maglia, in data 20 ottobre 2009, aveva proceduto, ai sensi dell’art. 27, comma 5, della legge n. 166 del 2002, alla costituzione del Consorzio Tonnoconte con lo scopo di realizzare il suddetto piano di lottizzazione; aggiunge che nell’atto costitutivo del Consorzio a pag. 3 era rappresentato che i fondi di proprietà  della Iride s.r.l., “rappresentano il 56,97 % della superficie catastale delle aree comprese nella lottizzazione”.
Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente lamenta che l’impugnata diffida a contrarre prot. n. 15254 del 17 febbraio 2010 sarebbe stata adottata in violazione di legge per sotto due profili; in primo luogo il piano attuativo al quale fa riferimento l’art. 27, comma 5, della legge n. 166 del 2002 non sarebbe qualsivoglia strumento/piano di programmazione urbanistica, ma soltanto il programma di riabilitazione urbana previsto dai commi precedenti della stessa disposizione, mentre il piano di lottizzazione deliberato e approvato dal Consiglio Comunale di Andria (con le delibere n. 84 del 30 novembre 2004 e n. 15 del 21 marzo 2006), cui si riferiscono il Consorzio Tonnoconte e la diffida prot. n. 15254 del 17 febbraio 2010 del Sindaco di Andria, non rientrerebbe nella categoria degli strumenti urbanistici disciplinata dalla disposizione appena richiamata; in secondo luogo i dati illustrati nell’atto costitutivo del Consorzio – gli unici che, seppur implicitamente, sarebbero stati considerati nel provvedimento impugnato – riguarderebbero la maggioranza della superficie catastale e non il ben diverso valore degli immobili in base all’imponibile catastale.
Con il secondo motivo di ricorso la sig.ra Regano lamenta inoltre che la stessa diffida a contrarre sarebbe assolutamente carente sotto il profilo della motivazione; essa non conterrebbe alcun riferimento al fondamentale requisito della maggioranza previsto dal sopra richiamato art. 27, comma 5, della legge n. 166 del 2002, quasi che l’operatività  di questa disposizione fosse semplicemente condizionata dall’esistenza di un Consorzio e non dalla circostanza che il Consorzio stesso sia composto dai soci proprietari di immobili il cui valore in base all’imponibile catastale rappresenti la maggioranza assoluta nell’area oggetto del piano attuativo.
Nè, ad avviso di parte ricorrente, potrebbe considerarsi esaustivo, a tal fine, il laconico richiamo alle disposizioni del citato art. 27, comma 5, che, semmai, evidenzierebbe un travisamento dei fatti; la motivazione del provvedimento impugnato rivelerebbe, infine, che il Sindaco si sarebbe limitato a registrare l’esistenza del Consorzio senza svolgere alcun ulteriore accertamento in ordine all’esistenza delle condizioni previste dalla legge per l’adozione della diffida, che risulterebbe pertanto viziata anche per eccesso di potere.
Si è costituito a resistere in giudizio il Consorzio Tonnoconte che ha eccepito l’inammissibilità  del ricorso per omessa impugnazione delle delibere di adozione e di approvazione del piano di lottizzazione di cui all’atto impugnato (la diffida a contrarre ex art. 27, comma 5, della 1egge n. 166 del 2002) nonchè per carenza di interesse; ha dedotto altresì la sua infondatezza e chiesto, pertanto, il rigetto del gravame.
Si è altresì costituito a resistere in giudizio il Comune di Andria eccependo l’inammissibilità  del ricorso per difetto di interesse a ricorrere.
Alle camere di consiglio del 27 maggio 2010, del 24 giugno 2010 e del 13 ottobre 2010 la causa è stata rinviata; alla camera di consiglio del 16 dicembre 2010, con ordinanza n. 965, è stata respinta la domanda incidentale di sospensione cautelare.
Con ordinanza n. 1415 del 30 marzo 2011, la Sezione IV del Consiglio di Stato ha rigettato l’appello proposto avverso la suddetta ordinanza di questo Tribunale.
A seguito di istanza di accesso, il Comune di Andria, in data 1° giugno 2011, ha rilasciato alla sig.ra Regano copia degli elaborati tecnici relativi al Piano di Lottizzazione approvato, dalla cui lettura sarebbero emerse ulteriori illegittimità .
Con atto notificato il 29 luglio 2011 e depositato il 30 agosto 2011, la ricorrente ha quindi proposto motivi aggiunti, deducendo l’illegittimità  della diffida impugnata con il ricorso introduttivo anche per sviamento, radicale difetto di istruttoria, ingiustizia manifesta ed in quanto avrebbe quale effetto la lesione del diritto di difesa ex art. 24 Cost..
Parte ricorrente lamenta che, in base al piano di lottizzazione presentato dai proponenti, i suoi immobili non risulterebbero stralciati dalla pianificazione e ne sarebbe stata, invece, prevista la demolizione mentre la normativa regionale (art. 27 della L.R. n. 56 del 1980), però, non consentirebbe ad un compartista di presentare un P.d.L. che preveda modificazioni dei manufatti di proprietà  degli altri privati. Nel P.d.L., a fronte della demolizione del capannone e del box ufficio di sua proprietà  non sarebbe previsto alcun adeguato ristoro: la volumetria indicata negli atti e spettante ad essa ricorrente sarebbe quella sviluppata in base alla mera superficie dei suoli, come se sugli stessi non vi fossero i manufatti di proprietà  della ricorrente.
La radicale illegittimità  degli atti di cui al P.d.L. si riverberebbe, peraltro, anche sul contenuto del piano di riparto degli utili ed oneri: come può rilevarsi dalla sua analisi, infatti, in esso non sarebbe previsto un importo da corrispondere a titolo di indennizzo e/o risarcimento per l’abbattimento dei suoi manufatti. Tale ultima deduzione assumerebbe una pregnanza particolare alla luce del ricorso proposto avverso la diffida a contrarre ex art. 27 della L. n. 166 del 2002. Se, infatti, essa ricorrente avesse prestato acquiescenza alla diffida a contrarre del Comune, ottemperando alla stessa attraverso l’adesione al Consorzio (e/o comunque ciò avvenisse in seguito), perderebbe (in caso di adesione avrebbe già  perduto) definitivamente il capannone commerciale ed il box uso ufficio, senza alcun riconoscimento in suo favore ed a totale illegittimo ed ingiusto vantaggio degli altri soggetti privati aderenti al Consorzio medesimo e tutte le predette radicali illegittimità  contenute negli atti di cui al P.d.L. ed il conseguente grave pregiudizio arrecato alla ricorrente sarebbero stati “sanati” a seguito della sua adesione al Consorzio Tonnoconte.
Parte ricorrente lamenta, infine, che se essa non avesse rilevato, a seguito del rilascio degli atti, che nelle pieghe del Piano di Lottizzazione i suoi immobili non erano stati tenuti in alcuna considerazione, in caso di ottemperanza alla diffida comunale avrebbe visto (o comunque vedrebbe) demoliti i propri immobili ed usurpata la relativa volumetria (ovvero il relativo risarcimento) illegittimamente distribuita, invece, a tutti gli altri compartisti. E tutto ciò senza poter opporre alcuna efficace difesa. Parimenti il Consorzio Tonnoconte, in virtù della diffida a contrarre comunale, sarebbe messo in condizione di dare seguito alla medesima, eseguendo un P.d.L., a suo avviso, manifestamente illegittimo.
Tutte le parti hanno prodotto documentazione.
Parte ricorrente e parte resistente hanno presentato memorie per le camere di consiglio e l’udienza di discussione.
All’udienza pubblica del 9 gennaio 2014 la causa è stata chiamata e assunta in decisione.
Il Collegio deve esaminare innanzitutto le eccezioni di inammissibilità  del ricorso sollevate dal Consorzio Tonnoconte per omessa impugnazione delle delibere di adozione e di approvazione del piano di lottizzazione di cui all’atto impugnato (la diffida a contrarre ex art. 27, comma 5, della 1egge n. 166 del 2002), in quanto ne costituirebbe un mero profilo attuativo, nonchè per carenza di interesse, sempre per la suddetta circostanza che l’atto impugnato darebbe solo attuazione allo stesso PdL.
L’eccezione di inammissibilità  per difetto di interesse è stata altresì sollevata dal Comune di Andria a causa dell’acquiescenza, a suo parere prestata da parte ricorrente nei confronti degli atti relativi al piano di lottizzazione di interesse, delle relative delibere di adozione e di approvazione, di cui all’atto impugnato, ivi inclusa la modalità  attuativa ex art. 27 citato; ciò in quanto la delibera di adozione di C.C. n. 84 del 30 novembre 2004, avendo fatto espresso richiamo all’attuazione dello stesso P.d.L., mediante applicazione della suddetta normativa, escluderebbe in radice la possibilità  di configurare un qualche interesse personale, attuale e concreto a ricorrere.
Le eccezioni sono infondate.
Infondati in punto di fatto è innanzitutto il presupposto posto a base dell’acquiescenza che, ad avviso del Comune sarebbe stata prestata da parte ricorrente nei confronti delle delibere di adozione e di approvazione relative al piano di lottizzazione di cui all’atto impugnato, ivi inclusa la modalità  attuativa ex art. 27, comma 5, della legge n. 166 del 2002, in quanto, contrariamente da quanto sostenuto dall’Ente locale, la delibera di adozione di C.C. n. 84 del 30 novembre 2004, depositata in giudizio dallo stesso Comune, non menziona affatto la suddetta normativa.
Il Collegio, condividendo la prospettazione di parte ricorrente, ritiene, che la frase “per quanto attiene le modalità  di attuazione del P.d.L. … dopo l’approvazione del P.d.L. la sua attuazione potrà  avvenire secondo le disposizioni contenute nell’art. 27 della legge n. 166/2002, da porre in essere comunque prima della stipula della convenzione;” è contenuta nel testo del provvedimento impugnato ma non nel testo della delibera consiliare di adozione, nè comunque in quella di approvazione, anch’essa versata in atti, che, invece, menzionano unicamente la L.R. 31-5-1980 n. 56 (Tutela ed uso del territorio); pertanto, la diffida impugnata non può ritenersi atto meramente attuativo delle suddette delibere.
Quanto sopra trova conferma proprio in una relazione a firma del Dirigente del Settore Pianificazione del Territorio, prot. n. 54559 del 22 giugno 2010, prodotta in atti dal medesimo Comune resistente, che “chiarisce in via preliminare che l’espressione posta nel primo capoverso della diffida ex art. 27” – ossia la frase sopra riportata – “è un refuso di stampa di altra diffida riferita al P.U. n. 34/URB, nella cui delibera di adozione n. 1 del 26/05/2004 a firma del Commissario ad acta (allegata in copia), si riporta testualmente “delibera di stabilire che per quanto attiene le modalità  di attuazione del P.d.L. ¦.. dopo l’approvazione del P.d.L. la sua attuazione potrà  avvenire secondo le disposizioni contenute nell’art. 27 della legge n. 166/2002, da porre in essere comunque prima della stipula della convenzione.”; si ritiene opportuno rilevare, seppure incidentalmente, che la citata delibera n. 1 del 26 maggio 2004, prodotta in giudizio, concerne una fattispecie completamente diversa rispetto a quella per cui è causa.
Occorre peraltro rilevare che la delibera di approvazione di C.C. n. 15 del 21 marzo 2006 al n.4) del deliberato prevede: “- di stabilire che, dopo l’esecutività  del presente atto, si procederà  ai sensi del 10° comma dell’art. 21 della Legge Regionale n. 56 del 31/05/1980.”; il predetto 10° comma dispone: “Tale delibera è pubblicata, anche per estratto, sul B.U. della Regione, è depositata nella Segreteria del Comune ed è notificata, a norma del codice di procedura civile o tramite messo comunale, entro due mesi dall’avvenuto deposito, a ciascun proprietario degli immobili vincolati dal Piano.”.
Considerato che, a seguito dell’accesso agli atti effettuato da parte ricorrente, in base al piano di lottizzazione presentato dai proponenti gli immobili della sig.ra Regano non risulterebbero stralciati dalla pianificazione e ne sarebbe stata, invece, prevista la demolizione, l’amministrazione avrebbe dovuto provvedere alla notifica della deliberazione nei suoi confronti, notifica che non risulta essere stata effettata dal Comune nei confronti di parte ricorrente.
Alla luce di quanto sopra esposto e considerato che la diffida impugnata non può ritenersi atto meramente attuativo delle delibere di adozione e di approvazione del PdL, il Collegio, concordando con la prospettazione di parte ricorrente ritiene che sia proprio l’atto di diffida a contrarre che, in quanto adottato ex art. 27, comma 5, della legge n. 166 del 2002, deve ritenersi il primo atto della procedura che incide direttamente e concretamente sulle facoltà  di disposizione e di godimento del proprietario, la sig.ra Regano, alla quale viene imposta l’alternativa tra l’adesione alla convenzione ovvero l’immediata perdita del godimento del bene allo scadere del termine di 90 giorni.
Ritenuto ammissibile il ricorso, passando al merito, esso è fondato e deve, pertanto, essere accolto.
Coglie nel segno il primo motivo di ricorso con il quale la ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 27, comma 5, della legge n. 166 del 2002, in quanto il Comune di Andria ha illegittimamente utilizzato la citata previsione normativa al di fuori del suo ambito oggettivo di applicazione.
Parte ricorrente lamenta che l’impugnata diffida a contrarre prot. n. 15254 del 17 febbraio 2010 sarebbe stata adottata in violazione del citato articolo in quanto il piano attuativo al quale fa riferimento l’art. 27, comma 5, della legge n. 166 del 2002 non sarebbe qualsivoglia strumento/piano di programmazione urbanistica, ma soltanto il programma di riabilitazione urbana previsto dai commi precedenti della stessa disposizione, mentre il piano di lottizzazione deliberato e approvato dal Consiglio Comunale di Andria (con le delibere n. 84 del 30 novembre 2004 e n. 15 del 21 marzo 2006), cui si riferiscono il Consorzio Tonnoconte e la diffida prot. n. 15254 del 17 febbraio 2010 del Sindaco di Andria, oggetto di impugnazione, non rientrerebbe nella categoria degli strumenti urbanistici disciplinata dalla disposizione appena richiamata.
Non è condivisibile, infatti, la prospettazione del Comune di Andria, come rappresentata nelle difese che richiamano la medesima citata relazione prot. n. 54559 del 22 giugno 2010 del Dirigente del Settore Pianificazione del Territorio del Comune di Andria, nella quale si sostiene che “da una verifica degli atti in possesso dell’ufficio risulta la corretta applicazione dell’art. 27 L. n. 166/02 e in particolare dell’art. 16 comma 1 lett. b) L.R. Puglia n. 20/01 applicabile anche ai piani di lottizzazione come previsto dall’art. 37 L. n. 22/06, stante il rapporto della superficie catastale tra le aree di proprietà  del consorzio Tonnoconte e l’intera superficie interessata dalla lottizzazione superiore al 51%”.
Il Collegio deve altresì evidenziare che tale prospettazione sarebbe, peraltro, anche da considerare integrazione postuma della motivazione e, come tale, inammissibile (tenuto conto che nella diffida si fa solo un generico riferimento all’art. 27, comma 5, della legge n. 166 del 2002 e che parte ricorrente nel secondo motivo di ricorso ha dedotto la carenza di motivazione del provvedimento impugnato).
L’articolo, rubricato “Programmi di riabilitazione urbana”, stabilisce che con decreto ministeriale vengano definiti i criteri e le modalità  di predisposizione e di realizzazione di “programmi volti alla riabilitazione di immobili ed attrezzature di livello locale e al miglioramento della accessibilità  e mobilità  urbana, denominati programmi di riabilitazione urbana, nonchè di programmi volti al riordino delle reti di trasporto e di infrastrutture di servizio per la mobilità  attraverso una rete nazionale di autostazioni per le grandi aree urbane”, rimessi all’iniziativa degli enti locali e cofinanziabili mediante investimenti di soggetti privati interessati.
Le opere ricomprese nei programmi di riabilitazione urbana possono riguardare anche la demolizione e ricostruzione di edifici ed attrezzature esistenti, al fine di riqualificare zone caratterizzate da degrado fisico, economico e sociale.
Il quinto comma dell’art. 27 così dispone: “Il concorso dei proprietari rappresentanti la maggioranza assoluta del valore degli immobili in base all’imponibile catastale, ricompresi nel piano attuativo, è sufficiente a costituire il consorzio ai fini della presentazione al comune delle proposte di realizzazione dell’intervento e del relativo schema di convenzione. Successivamente il sindaco, assegnando un termine di novanta giorni, diffida i proprietari che non abbiano aderito alla formazione del consorzio ad attuare le indicazioni del predetto piano attuativo sottoscrivendo la convenzione presentata. Decorso infruttuosamente il termine assegnato, il consorzio consegue la piena disponibilità  degli immobili ed è abilitato a promuovere l’avvio della procedura espropriativa a proprio favore delle aree e delle costruzioni dei proprietari non aderenti. L’indennità  espropriativa, posta a carico del consorzio, in deroga all’articolo 5-bis del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, deve corrispondere al valore venale dei beni espropriati diminuito degli oneri di urbanizzazione stabiliti in convenzione. L’indennità  può essere corrisposta anche mediante permute di altre proprietà  immobiliari site nel comune”.
Il Collegio, aderendo all’orientamento assunto in merito dalla Sezione I di questo Tribunale, confermata dal Consiglio di Stato (cfr. TAR Bari, Sezione I, n. 1845 del 6 dicembre 2011), ritiene che si tratta di una previsione speciale riferibile esclusivamente ai programmi di riabilitazione urbana, la cui concreta messa in opera nella maggior parte dei casi non potrà  che avvenire, da parte degli enti locali, attraverso la previa approvazione di strumenti urbanistici di secondo grado, siano essi di iniziativa privata o pubblica: ciò che spiega la presenza della locuzione, apparentemente generica, di “piano attuativo” nel primo periodo del quinto comma dell’art. 27.
I programmi di riabilitazione urbana, infatti, non rappresentano un nuovo ed autonomo tipo di strumento urbanistico attuativo a contenuto speciale. Essi, al contrario, sono uno strumento di programmazione, non privo di riflessi sull’assetto urbanistico e sulle relative scelte di pianificazione, volto essenzialmente a favorire le iniziative degli enti locali per il miglioramento della mobilità  urbana e per il recupero di aree degradate (porzioni di centri storici, aree industriali dismesse, quartieri ad alta densità  abitativa, etc.), alla cui formazione ed attuazione i Comuni concorrono insieme a tutte le Amministrazioni centrali e periferiche competenti ad esprimersi sulla realizzazione degli specifici interventi: significativamente, nella terminologia adoperata dal legislatore, gli enti locali sono meri “promotori” di detti programmi, ai quali devono normalmente partecipare altri soggetti pubblici o privati (con gli istituti, ormai da tempo noti all’ordinamento, della conferenza di servizi e dell’accordo di programma).
Il piano urbanistico attuativo costituisce, perciò, soltanto uno dei normali mezzi di realizzazione del programma di riabilitazione, specialmente per il caso in cui la demolizione e ricostruzione di immobili degradati e la correlata risistemazione di infrastrutture ed aree del territorio cittadino richiedano la predisposizione di una disciplina di dettaglio, attraverso uno strumento urbanistico di secondo livello cui segua, alfine, il rilascio dei relativi titoli edilizi per nuove costruzioni o per trasformazione di immobili esistenti.
Per l’ipotesi dei programmi di riabilitazione urbana ad iniziativa privata, la norma sancisce la possibilità  di attuare in via coattiva il relativo piano attuativo, su istanza dei proprietari della maggioranza del valore catastale degli immobili (aree ed edifici), attraverso la formazione del consorzio e l’avvio della procedura espropriativa.
La collocazione sistematica della norma ed il suo tenore letterale inducono a negare che il legislatore abbia inteso dettare una disciplina di carattere generale, valida per tutti i tipi di strumenti urbanistici attuativi conosciuti dal nostro ordinamento (cfr. TAR Bari, Sezione I, n. 1845 del 6 dicembre 2011 cit., alla cui ampia motivazione comunque si rinvia in merito ai rapporti delle norme urbanistiche statali e regionali vigenti in materia di piani di lottizzazione ad iniziativa privata).
Il Consiglio di Stato, con motivazione condivisa dal Collegio, nel confermare la citata sentenza di questo Tribunale, ha chiarito che trattasi, ictu oculi, di normativa speciale dedicata a specifici profili di “riabilitazione” di immobili, accessibilità  e, soprattutto, mobilità  urbana, che proprio in relazione alla peculiarità  ed all’interesse pubblico dellamission urbanistica stimolata, introduce un meccanismo forzoso atto a contrastare il dissenso dei proprietari rispetto ad iniziative proposte dalla maggioranza consorziata. L’estensione della previsione anche ad ipotesi come quella del Piano di lottizzazione, ispirata da ben diverse esigenze urbanistiche, è operazione interpretativa analogica ardita ed inammissibile, soprattutto ove di consideri il necessario rispetto del principio di legalità  al quale soggiacciono tutti poteri amministrativi ed a fortiori quelli che intercettano diritti proprietari, rendendoli cedevoli (cfr. Consiglio di Stato, Sezione IV, n. 323 del 21 gennaio 2013).
Analizzando sulla base di dette coordinate la fattispecie concreta oggetto di gravame, rilevato che risulta in atti che il Piano di lottizzazione della maglia D5/11 è stato adottato con delibera di C.C. n. 84 del 30 novembre 2004 e approvato con delibera di C.C. n. 15 del 21 marzo 2006 del Comune di Andria ai sensi della legge L.R. 31-5-1980 n. 56 (Tutela ed uso del territorio) e non quale piano attuativo di un Programma di riabilitazione urbana, l’atto di diffida impugnato deve ritenersi illegittimamente adottato.
Conclusivamente, il Collegio ritiene che i suillustrati profili di illegittimità  abbiano una indubbia valenza assorbente rispetto agli altri motivi di gravame, sicchè la fondatezza delle dedotte censure comporta l’accoglimento del ricorso, con l’assorbimento degli ulteriori motivi d’impugnazione.
Le spese, secondo la regola della soccombenza, devono porsi a carico delle parti resistente e controinteressata, nell’importo liquidato nel dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato.
Condanna al pagamento di complessivi € 3.000,00 (tremila/00), di cui € 1.500,00 (euro millecinquecento/00) a carico del Comune di Andria e € 1.500,00 (euro millecinquecento/00) a carico del Consorzio Tonnoconte, in favore della sig.ra Rosa Regano, a titolo di spese, diritti ed onorari di causa, oltre IVA e C.P.A..
Contributo unificato rifuso ex art. 13, comma 6-bis.1, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità  amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 9 gennaio 2014 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Sergio Conti, Presidente
Desirèe Zonno, Primo Referendario
Rosalba Giansante, Primo Referendario, Estensore
 
 
 
 

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 04/03/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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