1. Pubblico impiego – Rapporto di servizio – Procedimento disciplinare – Sentenza condanna ex art. 444 c.p.p. – Equiparata a a sentenza irrevocabile condanna – Assenza autonoma istruttoria P.A. – Irrilevanza
2. Pubblico impiego – Rapporto di servizio – Procedimento disciplinare – Atti di avvio – Anticipazione della valutazione – Lesione garanzie difesa – Illegittimità .
3. Pubblico impiego – Rapporto di servizio – Procedimento disciplinare – Sanzione – Discrepanza tra motivazione sanzione e accusa penale – Illegittimità
1. La sentenza penale di condanna ex art. 444 c.p.p., poichè espressamente equiparata a quella irrevocabile di condanna, ha piena efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso: non possono configurarsi, dunque, profili d’illegittimità del provvedimento disciplinare nel caso in cui l’Amministrazione non proceda a un’autonoma attività istruttoria.
2. Il procedimento disciplinare, rappresentando un archetipo per le garanzie offerte in chiave difensiva, risulta viziato da illegittimità qualora contenga un’anticipazione di valutazione negli atti di avvio del procedimento medesimo.
3. Il provvedimento con il quale viene disposta una sanzione disciplinare è illegittimo se presenta una discrepanza tra la motivazione a sostegno della sanzione e l’accusa (differente) mossa in sede penale.
N. 00212/2014 REG.PROV.COLL.
N. 00728/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 728 del 2013, proposto da N. I., rappresentato e difeso dall’avv. Claudio D’Amato, con domicilio eletto in Bari, via Bengasi n. 24;
contro
Ministero della Difesa, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Bari e domiciliato in Bari, via Melo, 97;
per l’annullamento
del D.M. 0145/III-7/2013 del 6/3/2013, notificato in data 14/3/2013, riguardante la perdita di grado per rimozione per motivi disciplinari del C.le Magg. Ca. Sc. N. I.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 gennaio 2014 il cons. Giuseppina Adamo e uditi per le parti i difensori, avv.ti Claudio D’Amato e Grazia Matteo;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il Caporal Maggiore Scelto N. I. impugna il decreto del Ministro della Difesa n. 0145/ III-7/2013 del 6 marzo 2013, con cui è stata disposta la sanzione disciplinare della perdita di grado, con la seguente motivazione: “Graduato dell’Esercito, nelle giornate del 3, 4 e 5 marzo 2010, nonchè in quelle del 4 e 14 aprile 2010, in numerose località , illecitamente acquistava, riceveva, deteneva e metteva in vendita sostanze stupefacenti […]”.
L’interessato espone che, dopo 17 anni di servizio, è stato coinvolto in un’indagine condotta dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Nocera Inferiore. Accusato del reato di cui all’art. 73, primo comma, nn. 1 e 6, del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, accedeva al patteggiamento e, con sentenza di applicazione della pena su richiesta n. 86/2012 Reg. Sent., emessa dal G.I.P. del Tribunale di Torre Annunziata in data 15 febbraio 2012, ai sensi degli artt. 444 e seguenti del codice di procedura penale, veniva condannato alla pena (sospesa) di un anno e otto mesi di reclusione e ad € 2.400 di multa.
In data 20 agosto 2012, preso atto della suddetta sentenza, il Generale Comandante delle Forze Operative Terrestri, Gen. C.A. Roberto Bernardini, disponeva che il Caporal Maggiore Scelto N.I. fosse sottoposto ad inchiesta formale disciplinare ai sensi del decreto legislativo 15 marzo 2010 n. 66 e, perciò, con atto in data 21 agosto 2012, prot. n. 0084148, nominava, quale Ufficiale Inquirente, il Ten. Col. Federico Scotto di Tella.
Nella sua “Relazione Finale”, dopo aver sentito l’interessato, l’Ufficiale Inquirente ha concluso per la sussistenza di profili di responsabilità e su tale base veniva emesso il D.M. poi impugnato.
In sintesi il signor I. contesta
– che sia mancata qualsiasi autonoma istruttoria sui fatti costituenti reato e poi valutati ai fini della sanzione espulsiva;
– che, in contrasto con gli articoli 1375 e seguenti del decreto legislativo n. 66/2010 e della guida tecnica sulle “Norme e procedure disciplinari” (III edizione- 2011) del 21 febbraio 2011, gli atti di avvio del procedimento disciplinare (e, in particolare, la nomina dell’Ufficiale inquirente in data 21 agosto 2012) già contenevano una precisa valutazione (“la condotta tenuta nell’occasione evidenzia gravi profili di responsabilità disciplinari contraria alle norme di comportamento, lesivi del prestigio dell’Istituzione, della categoria di appartenenza e della dignità del grado rivestito”);
– che, in contrasto con il principio di proporzionalità , non sia stata in alcun modo valutata l’intera carriera del militare e sia stata comunque prescelta la sanzione più grave;
– che inoltre la motivazione del D.M. è contraddittoria rispetto alle risultanze del procedimento, in quanto il suo fondamento giustificativo espresso (“Graduato dell’Esercito, nelle giornate del 3, 4 e 5 marzo 2010, nonchè in quelle del 4 e 14 aprile 2010, in numerose località , illecitamente acquistava, riceveva, deteneva e metteva in vendita sostanze stupefacenti […]”) non corrisponde all’accusa su cui si è pronunciato il G.I.P. e allo stesso addebito contestatogli in sede disciplinare; ciò in violazione anche delle garanzie di difesa procedimentale.
Si è costituito il Ministero della Difesa, chiedendo il rigetto del ricorso. Inoltre, invocando quanto affermato nella sentenza del Consiglio di Stato, quarta Sezione, 8 gennaio 2013 n. 28, ha anche eccepito una parziale inammissibilità , in quanto nell’ambito disciplinare vengono effettuate valutazioni discrezionali, riservate all’amministrazione e quindi non sindacabili.
L’istanza cautelare è stata respinta con ordinanza 19 giugno 2013 n. 333, ritenuto, in particolare, “che il provvedimento impugnato è espressione dell’ampia discrezionalità di cui è titolare l’Amministrazione in materia disciplinare e che, nel caso di specie, il provvedimento trova adeguato fondamento nella sentenza di applicazione della pena nei confronti del ricorrente per il reato di cui all’art. 73 D.P.R. 309/90, avendo, peraltro, l’Amministrazione acquisito nel corso del procedimento le giustificazioni addotte dal ricorrente, che sono state motivatamente disattese”.
Sulle conclusioni delle parti all’udienza del 15 gennaio 2014, la causa è stata riservata per la decisione.
2.a. Occorre innanzitutto ricordare che, ai sensi del combinato disposto dell’art. 445, comma 1-bis, del codice di procedura penale e dell’art. 653, comma 1-bis, come introdotti dall’art. 1, lett. a) e c), della legge 17 marzo 2001, n. 97 (e anche in dipendenza della sostituzione poi operata dall’art. 2 della legge 12 giugno 2003, n. 134), la sentenza ex art. 444 del codice di procedura penale è espressamente equiparata a quella irrevocabile di condanna e assume ora efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso.
La Corte costituzionale, nella sentenza n. 336/2009 ha valutato la compatibilità costituzionale della suddetta normativa, come evolutasi nel tempo, ritenendo che rientri nel normale esercizio della discrezionalità legislativa la scelta dei limiti dell’equiparazione della sentenza di condanna pronunciata all’esito del patteggiamento rispetto alla condanna pronunciata all’esito del giudizio ordinario, che non possono reputarsi “ontologicamente” differenti.
In particolare, ha osservato che, essendo mutata “la configurazione originaria del patteggiamento come rito circoscritto alle vicende di criminalità “minore”, ed assunta una dimensione più “matura”, anche per ciò che attiene allo spazio delibativo riservato al giudice e, conseguentemente, alla relativa “base fattuale””, [¦], “ben si potevano prefigurare corrispondenti ampliamenti anche sul versante degli effetti “esterni” del giudicato scaturente dal rito speciale, se riferiti al giudizio disciplinare davanti alle pubbliche autorità , per lo specifico risalto degli interessi coinvolti”, ampliamenti effettivamente trasfusi nelle modifiche all’art. 653 del codice di procedura penale.
Secondo il Giudice delle leggi, tale opzione rappresenta “una linea di maggiore rigore per garantire il corretto svolgimento dell’azione amministrativa”, pur incidendo negativamente sulla portata deflattiva del contenzioso penale dell’istituto del patteggiamento che in sè non lede gli artt. 24, secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione. La stessa scelta del patteggiamento infatti “rappresenta un diritto per l’imputato – espressivo, esso stesso del più generale diritto di difesa (v., al riguardo, l’excursus contenuto nella ordinanza n. 309 del 2005)-, al quale si accompagna la naturale accettazione di tutti gli effetti – evidentemente, sia favorevoli che sfavorevoli – che il legislatore ha tassativamente tracciato come elementi coessenziali all’accordo intervenuto tra l’imputato ed il pubblico ministero ed assentito dalla positiva valutazione del giudice. Effetti tra i quali – per quel che si è detto, non irragionevolmente – il legislatore ha ritenuto di annoverare anche il valore di giudicato sul fatto, sulla relativa illiceità e sulla responsabilità , ai fini del giudizio disciplinare davanti alle pubbliche autorità “.
Quanto premesso rende evidente che, in presenza di tale sistema normativo, le censure dedotte dal militare in ordine alle lacune dell’istruttoria procedimentale siano prive di fondamento, non essendo necessario alcun’ulteriore attività conoscitiva in ordine ai profili coperto dall’anzidetto effetto di giudicato.
2.b. Diversamente deve concludersi con riferimento alle restanti censure.
Il procedimento disciplinare ha sempre rappresentato un archetipo per le garanzie offerte all’interessato in chiave difensiva.
In concreto, nella fattispecie, i dati che emergono dal fascicolo processuale confermano la sussistenza dei vizi formali denunciati, sia con riguardo all’anticipato giudizio presente nell’atto di nomina dell’ufficiale inquirente sia con riguardo alla discrepanza tra la motivazione a sostegno della sanzione, come sopra già riportata, e la (diversa) accusa mossa in sede penale e disciplinare al militare (“Nel periodo compreso tra il 3 marzo 2010 e 14 aprile 2010 il C.le Magg. Ca. Sc. N. I. cedeva a terze persone, in almeno cinque episodi documentati tramite intercettazioni telefoniche, sostanza stupefacente del tipo marijuana. Per tali fatti il Tribunale di Torre Annunziata, con sentenza n. 86/12 divenuta irrevocabile il 24 marzo 2012 ed acquisita dall’AD il 29 giugno 2012, ha condannato il C.le Magg. Ca. Sc. I. alla pena, patteggiata e sospesa, di anni uno e mesi otto di reclusione ed euro 2.400 di multa in ordine al reato di produzione, traffico e detenzione illecita di sostanze stupefacenti continuati e in concorso (artt. 110 e 81 c.p. , 73 co. 1 e 6 D.P.R. 309/1990)”).
Ora, pur potendosi ipotizzare, sul piano logico, una verifica dell’effettiva incidenza di tali elementi sulla decisione finale (anche se essa comunque sfocerebbe sempre in risultati assai opinabili), tale operazione (data la natura non vincolata dell’atto) è preclusa dall’articolo 21 octies della legge 7 agosto 1990 n. 241; nè può trascurarsi nella fattispecie che le anomalie presenti nel procedimento finiscono per innestarsi, restringendola, nella residua sfera di apprezzamento della pubblica amministrazione, relativa alla rilevanza/gravità del fatto-reato ai fini disciplinari e alla misura della sanzione.
Di conseguenza, il ricorso dev’essere accolto, per l’effetto, va annullato il decreto del Ministro della Difesa n. 0145/ III-7/2013 del 6 marzo 2013.
Le peculiarità della vicenda giustificano l’integrale compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il decreto del Ministro della Difesa n. 0145/III-7/2013 del 6 marzo 2013.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 15 gennaio 2014 con l’intervento dei magistrati:
Corrado Allegretta, Presidente
Giuseppina Adamo, Consigliere, Estensore
Giacinta Serlenga, Primo Referendario
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 12/02/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)