1. Processo amministrativo – Giudizio cautelare – Deposito documenti – Dopo la scadenza del termine di due giorni liberi  ex art. 55 c.p.a. – Rinvio della trattazione – Conseguenze 


2. Processo amministrativo – Giudizio cautelare – Deposito documenti – Da parte della p.A.  convenuta –  Dopo la scadenza del termine di due giorni liberi  ex art. 55 c.p.a. – Non comporta decadenza – Ragioni 


3. Pubblica sicurezza  – Autorizzazioni di polizia – Divieto detenzione armi legalmente possedute – Per inaffidabilità  – Legittimità  – Fattispecie 

1. Nell’ambito del giudizio cautelare, ove il deposito dei documenti  sia avvenuto in violazione del termine previsto dall’art. 55, co. 5,  del c.p.a.  di due giorni liberi dalla camera di consiglio, ma sia stato concesso rinvio alla successiva camera di consiglio, l’originaria violazione del termine deve intendersi sanata, essendo stato comunque rispettato, proprio tramite il rinvio,  il diritto di difesa.


2. Poichè la p.A. convenuta nel giudizio amministrativo ha l’obbligo di depositare i documenti direttamente connessi con l’oggetto della domanda, siffatto  deposito deve ritenersi sempre ammesso, anche dopo la scadenza del termine di cui all’art. 55, co.5, del c.p.a. e sino alla data d’udienza, salva la possibilità  per il ricorrente di chiedere un rinvio a tutela del diritto di difesa.


3. Ai sensi dell’art.39 del TULPS il beneficiario del provvedimento concessivo dell’autorizzazione alla detenzione di armi deve mantenere una condotta irreprensibile sotto il profilo dell’osservanza delle norme penali e dell’ordine pubblico, con la precisazione che il comportamento deve essere valutato caso per caso anche a prescindere dal suo rilievo penale: è, pertanto, legittimo il divieto di detenzione di armi nei confronti del soggetto regolarmente autorizzato che, alla luce della valutazione autonoma del Prefetto dei  suoi comportamenti risultati contrari all’ordine pubblico,  si sia dimostrato inaffidabile. 

N. 01487/2013 REG.PROV.COLL.
N. 00855/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 855 del 2013, proposto da: 
M. S. A., rappresentato e difeso dall’avv. Pietro Ottolino, con domicilio eletto presso Segreteria T.A.R. Bari in Bari, Pza Massari; 

contro
U.T.G. – Prefettura Di Bari, Ministero Dell’Interno, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Distr.le Stato di Bari, domiciliata in Bari, via Melo, 97; 

per l’annullamento
– del decreto del Prefetto della Provincia di Bari n. Prot.458/6D/Area O.P.I° Bis 5 del 05 aprile 2013 notificato il giorno 06 aprile 2013 (cfr. all. nr. 1), con il quale si è fatto divieto al sig. M. S. A. di detenere armi, munizioni e materie esplodenti e con il quale è stato disposto il ritiro delle armi regolarmente detenute e le relative munizioni, ovvero,
¢ Pistola semiautomatica marca Beretta mod. 98/FS cal. 9×21
matricola H03955P, Cat. 4692;
¢ Pistola semiautomatica marca Tanfoglio mod. T95F cal. 9×21
matricola F34724, Cat. 9343;
¢ Nr. 88 cartucce cal. 9×21;
– di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale a quelli impugnati; – nonchè per l’accertamento del diritto del ricorrente alla detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti, con contestuale richiesta di restituzione di quanto sequestrato, ut supra indicato.
 

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di U.T.G. – Prefettura Di Bari e di Ministero Dell’Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 10 ottobre 2013 il dott. Sergio Conti e uditi per le parti i difensori Pietro Ottolino e Valter Campanile;
Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 

FATTO e DIRITTO
Con decreto in data 5.4.2013 il Prefetto di Bari ha vietato a M. S. A., ai sensi dell’art. 39 del TU. delle leggi di P.S., di detenere armi e munizioni.
Il provvedimento del Prefetto è stato adottato a seguito di segnalazione da parte del Commissariato di P.S. Bari Nuova Carassi del 5.4.2013, con cui si evidenzia che:
– il predetto A., detentore di due pistole con relativo munizionamento (denunciate al Commissariato di Bari Nuova Carassi nel 2006) nonchè titolare di porto di fucile per tiro a volo rilasciato dalla Questura nel 2006 e scaduto di validità , è stato denunciato, a seguito di querela presentata da C.N.per le ipotesi di reato di ingiurie, lesioni e minacce, per averlo minacciato di sparargli, esibendo la licenza di porto d’armi;
– la detenzione di armi e munizioni esige una condotta assolutamente irreprensibile, un temperamento equilibrato ed un ambiente tranquillo, immune da atteggiamenti ostili o rissosi nella linea delle rlazioni sociali;
– in tale contesto sussistono i presupposti per l’adozione di un provvedimento cautelativo a tutela della pubblica e privata incolumità , sottraendo le stesse all’A. che non possiede più il requisito soggettivo dell’affidabilità ;
– le ragioni d’urgenza consentono di soprasedere alla comunicazione di avvio del procedimento.
Avverso tale decreto l’odierno ricorrente deduce: “Eccesso di potere per erronea presupposizione in fatto ed in diritto, disparità  di trattamento, carenza di motivazione, mancata applicazione, in assenza di ragioni d’urgenza, degli art. 7 e 8 della Legge 7 agosto 1990, n. 241. Violazione della normativa in subiecta materia”; sostenendo che i fatti si sarebbero svolti in maniera del tutto differente e per tale motivo egli ha proposto querela nei confronti del C. e che pertanto non ricorrerebbero i presupposti per l’adozione del provvedimento ex art. 39 TULPS e lamentando la mancata partecipazione procedimentale.
Preliminarmente, alla disamina del merito del gravame, il Collegio deve procedere alla valutazione dell’eccezione, sollevata dalla difesa del ricorrente con la memoria in data 7.10.2013, con la quale si contesta l’intempestività  del deposito documentale effettuato dall’Amministrazione resistente il giorno 22.7.2013 rispetto alla c.c del 23.7.2013 in quanto non rispettoso del termine, di due giorni liberi stabilito dall’art. 55 c.p.a.
L’eccezione va disattesa.
Invero, a seguito di tale tardivo deposito è stato disposto alla c.c. del 23.7.2013 – proprio a tutela del diritto di difesa e senza alcuna opposizione del legale del ricorrente – il rinvio alla c.c. del 10.10.2013; sicchè per effetto del suddetto rinvio violazione dell’art. 55 c. 5 c.p.a viene a perdere qualsiasi significato (cfr. TAR Brescia, Sez. 1°, 29.3.2011 n. 490).
Come ha osservato la giurisprudenza (cfr. Cons. St. Sez. V 11 settembre 2007 n. 4789) i termini che svolgono la duplice funzione di garantire la pienezza del contraddittorio e l’ordinato svolgimento del giudizio non sono qualificati espressamente come perentori, nè sono stabiliti a pena di decadenza, affidando all’interprete il compito di definire le conseguenze derivanti dalla loro inosservanza.
In particolare, riguardo ai documenti prodotti dall’amministrazione, purchè direttamente connessi con l’oggetto della domanda, non avrebbe alcun senso precluderne l’esibizione dopo lo spirare del termine suddetto (o anche il giorno stesso dell’ udienza ), dal momento che il deposito di tali documenti costituisce addirittura un obbligo (e non un mero potere difensivo) gravante sul soggetto pubblico, indipendentemente dalla circostanza che esso si sia costituito in giudizio per resistere alla domanda, e tenuto conto che di essi può sempre essere disposta dal giudice amministrativo, sia in primo che in secondo grado, la produzione in giudizio, salva restando la facoltà  della parte privata di chiedere ed ottenere il rinvio della discussione della causa al fine di apprestare le proprie difese.
Nel merito il gravame non risulta fondato.
Nell’esercizio dell’attività  di prevenzione, l’Autorità  di polizia è competente a rilasciare un’autorizzazione preventiva per il possesso di quei beni o per l’esercizio di quelle attività , che possono costituire un pericolo per l’ordine o la sicurezza pubblica.
Le autorizzazioni di polizia (art. 11 del R.D. 18.6.1931 n. 773 TULPS) presuppongono che il richiedente sia immune da determinati precedenti penali (condanna a pena superiore a tre anni per delitto non colposo, non seguita da riabilitazione), non sia sottoposto a misura di prevenzione o di sicurezza, non sia stato dichiarato delinquente abituale o professionale.
In difetto di tali presupposti (art. 11, 1° comma) l’autorizzazione deve essere negata.
Quando il soggetto abbia subito altre condanne penali, per reati espressamente indicati (art. 11, 2° comma) l’autorizzazione può essere negata.
E’ superfluo sottolineare la correlazione tra i requisiti soggettivi per il conseguimento delle autorizzazioni di polizia e la natura dell’interesse pubblico tutelato (sicurezza pubblica): i precedenti penali o la cattiva condotta lasciano presumere un uso scorretto o pericoloso dell’autorizzazione e per questo ne impediscono o ne sconsigliano il rilascio.
In particolare, per quanto viene in rilievo nella fattispecie all’esame, va rilevato che l’art. 39 del TULPS prescrive che “Il Prefetto ha facoltà  di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell’articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne”.
Si tratta di un divieto che interviene ad inibire la stessa detenzione e non già  il solo porto dell’arma, quindi con un ambito più vasto dell’art. 43 e con una finalità  di prevenzione ancora più marcata, anche se, va detto, spesso l’adozione di tale provvedimento è strettamente connesso con quello di revoca del porto d’armi.
La disciplina dettata dall’art. 39 del TULPS è diretta al presidio dell’ordine e della sicurezza pubblica, alla prevenzione del danno che possa derivare a terzi da indebito uso ed inosservanza degli obblighi di custodia, nonchè a prevenire la commissione di reati che possano essere agevolati dall’utilizzo del messo di offesa.
Il beneficiario del provvedimento concessivo dell’autorizzazione alla detenzione di armi deve quindi mantenere una condotta di vita improntata a puntuale osservanza delle norme penali e di tutela dell’ordine pubblico, nonchè delle comuni regole di buona convivenza civile, sì che non possano emergere sintomi e sospetti di utilizzo improprio dell’arma in pregiudizio ai tranquilli ed ordinati rapporti con gli altri consociati (cfr. Cons. St. Sez. VI, 13 luglio 2006 , n. 4487, Sez. VI,. 12 febbraio 2007 n. 535).
Secondo la richiamata giurisprudenza, peraltro, la revoca dell’autorizzazione del porto d’armi può essere sufficientemente sorretta anche da valutazioni della capacità  di abuso fondate su considerazioni probabilistiche e su circostanze di fatto assistite da meri elementi di fumus, in quanto nella materia de qua l’espansione della sfera di libertà  dell’individuo è, appunto, destinata a recedere di fronte al bene della sicurezza collettiva (cfr. Cons. St., Sez. VI, 20 luglio 2006 n. 4604).
In tale prospettiva un ampio filone giurisprudenziale, nel valutare la logicità  dell’apprezzamento discrezionale posto in essere dall’Amministrazione, si è orientato verso una visione non meramente formalistica, quale risulterebbe quella che ritenesse rilevanti esclusivamente i precedenti penali dell’interessato, ma sostanzialistica.
Infatti, la repressione penale e la prevenzione di pubblica sicurezza rispondono a finalità  diverse ed hanno distinti presupposti.
Da tale postulato discende, per un verso, che l’esistenza di precedenti penali non vale, di per sè, a sorreggere il diniego, ove il medesimo non sia fondato su di un’autonoma valutazione in ordine all’incidenza degli elementi considerati, ai fini della qualificazione in termini di buona condotta della personalità  complessiva del richiedente stesso.
Per converso, non ostano al diniego dell’autorizzazione fatti che, pur non assumendo o non avendo più rilievo nell’ambito dell’ordinamento penale, siano tuttavia considerati tali da far ritenere il richiedente non affidabile, ai fini del rispetto da parte sua della sicurezza pubblica, nell’espletamento dell’attività  da autorizzare.
In siffatto quadro sistematico, in sede di giudizio di legittimità , deve quindi valutarsi se tale approfondito e complessivo accertamento della pregressa condotta del richiedente vi sia stato, al fine di pronunciare quel giudizio di probabilità , in positivo ovvero in negativo, di cui si è detto, senza preconcette preclusioni ovvero automatici collegamenti fra passato e futuro che lo stesso art. 11 del T.U. di P.S., al primo comma, evidenzia per i casi di diniego obbligatorio dell’autorizzazione.
Venendo ora a fare concreta applicazione di siffatti criteri ermeneutica alla fattispecie all’esame, il Tribunale deve concludere – alla luce della documentazione prodotta dall’Amministrazione resistente – che la situazione venutasi a creare tra il ricorrente e il querelante N.C. è stato oggetto di corretta valutazione da parte degli organi preposti alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica.
Il provvedimento pone in luce che l’A. “avrebbe minacciato a morte il querelante in un modo inequivocabile dicendogli che gli avrebbe sparato esibendo anche in visione la licenza del porto d’armi con il chiaro intento di fargli capire che era in possesso di armi”.
Non sussiste il difetto di istruttoria lamentato posto che il Commissariato di PS che ha avanzato al Prefetto la proposta di adozione del provvedimento ex art. 39 TULPS ha acquisito sommarie informazioni da due testimoni in data 4.4.2013, dalle quali è risultata confermata la sussistenza dell’aspro diverbio e delle minacce e lesioni.
Va soggiunto che la querela da parte del ricorrente nei confronti del C. è stata presentata solo successivamente all’adozione del decreto prefettizio, in data 8.4.2013.
Fermo restando l’accertamento dei fatti da parte dell’Autorità  giudiziaria competente, è certo che il ricorrente è stato comunque coinvolto in un episodio di aspra (ed esagerata in relazione al motivo del contendere: l’attribuzione di bollini per rifornimento di carburante) rissosità , il che ben può sorreggere (per quanto si è detto in precedenza) il provvedimento qui in contestazione.
Da ultimo, in relazione alla mancata comunicazione dell’avvio del procedimento, va rilevato che l’atto ne ha espressamente dato atto, rilevando l’urgenza del procedere, al cui ricorrere l’art. 7 L. n. 241/90 consente l’omissione. Del resto la sequenza temporale del procedimento (segnalazione del Commissariato di PS e adozione del decreto avvenuti in data 5.4.2013) conferma la detta urgenza del provvedere.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio a favore della resistente Amministrazione, che liquida in € 900 oltre ad accessori di legge, ove dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità  amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 10 ottobre 2013 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Sergio Conti, Presidente, Estensore
Antonio Pasca, Consigliere
Rita Tricarico, Consigliere
 
 
 
 

 
 
IL PRESIDENTE, ESTENSORE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 06/11/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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