1. Espropriazione per pubblica utilità – Vincolo di PRG – Natura – Vincolo conformativo – Decadenza – Non sussiste
2. Espropriazione per pubblica utilità – Decreto di esproprio – Frazionamento immobile – Mancata indicazione delle particelle frazionate – Irreversibile trasformazione del fondo – Occupazione sine titulo – Sussiste
3. Risarcimento del danno – Occupazione sine titulo del bene – Irreversibile trasformazione del fondo – Destinazione urbanistica del bene impressa dal PRG – Occupazione acquisitiva del fondo – Quantificazione
4. Risarcimento del danno – Giudizio di ottemperanza – Occupazione sine titulo del bene – Destinazione urbanistica – Verde pubblico – Occupazione acquisitiva del fondo – Quantificazione – Metodo sintetico – comparativo – àˆ applicabile
1. La natura conformativa del vincolo impresso al fondo di proprietà privata esclude la sua decadenza prevista, dall’art. 2 della l. 1187/1968 (mancata approvazione dei piani particolareggiati o delle convenzioni di lottizzazione nei cinque anni dall’approvazione del PRG che impone il vincolo) per i vincoli di natura ablativa.
2. Qualora il decreto di esproprio determini l’espropriazione definitiva di un fondo – precedentemente oggetto di decreto di occupazione – sul quale medio tempore sia intervenuto un frazionamento non menzionato nel decreto stesso, le particelle che sono rimaste escluse dal provvedimento ablativo definitivo risultano occupate sine titulo dall’amministrazione procedente, con conseguente diritto del proprietario alla restituzione del fondo o al risarcimento del danno derivante dall’occupazione acquisitiva attuata dall’amministrazione.
3. Nelle ipotesi di occupazione sine titulo di un fondo determinata da scopi di pubblica utilità tali da non consentire al giudice amministrativo di ordinare all’amministrazione occupante la restituzione dello stesso al privato, il risarcimento del danno dovuto ai sensi dell’art. 43 d.P.R. 327/2001 – nel testo vigente prima della riforma dell’istituto della cosiddetta occupazione acquisitiva avvenuta ad opera della l. 111/2011, che ha introdotto l’art. 42 bis del d.P.R. 327/2001 – deve essere commisurato esclusivamente al valore venale dell’area tenuto conto della concreta destinazione urbanistica impressa alla stessa dal piano regolatore vigente (nel caso di specie la destinazione a servizi), sebbene l’art 43 richiamato rimandasse al criterio della cosiddetta edificabilità di fatto indicato dall’art. 37 commi 2 e 5 dello stesso d.P.R.:quest’ultimo criterio, infatti, soccorre solo in via suppletiva nei casi di carenza di classificazione urbanistica, oppure in via complementare ed integrativa ai fini della determinazione del concreto valore di mercato delle aree che nello strumento urbanistico vigente siano classificate come edificabili.
4. Nelle ipotesi in cui le parti non abbiano raggiunto l’accordo previsto dal comma 4 art. 34 del c.p.a. sulla quantificazione del risarcimento del danno dovuto – nel caso di specie per l’occupazione sine titulo – il verificatore nominato dal giudice in sede di giudizio instaurato per la determinazione e liquidazione della somma dovuta, può applicare il metodo sintetico – comparativo, che appare giustificato dalla difficoltà di calcolare un valore venale (attraverso un percorso analitico-ricostruttivo, che presuppone l’edificabilità ) per una zona di uso collettivo. Nel caso di specie, peraltro, la conformità della scelta di metodo effettuata dal verificatore alla sentenza oggetto di esecuzione è determinata dall’assenza di un’espressa indicazione del giudice della sentenza stessa di un metodo diverso da utilizzare per la liquidazione del risarcimento dovuto.
*
Vedi Cons. St., sez. IV, sentenza 19 marzo 2014, n. 1344 – 2014; ric. n. 7969 – 2013
N. 01213/2013 REG.PROV.COLL.
N. 00903/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 903 del 2010, proposto da Marco Campanile, Michele Campanile, Anna Campanile, Rosaria Campanile, Teresa Campanile, Liliana Campanile, rappresentati e difesi dall’avv. Costantino Ventura, con domicilio eletto in Bari, via Dante, 11;
contro
Comune di Bari, rappresentato e difeso dall’avv. Alessandra Baldi, con domicilio eletto in Bari presso l’Avvocatura comunale, via Principe Amedeo n. 26;
per l’ottemperanza
alla sentenza 25 novembre 2009 n. 2908, resa inter partes dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, terza Sezione.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Bari;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 luglio 2013 il cons. Giuseppina Adamo e uditi per le parti i difensori, l’avv. Silvia Doronzo, su delega dell’avv. Ventura, e Alessandra Baldi;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. I signori Campanile erano proprietari di un’area nel centro urbano di Bari, compreso tra le vie Omodeo, Dorso, Salvemini e strada di nuova viabilità , tipizzato dalla variante al P.R.G., approvata con D.P.G.R. n. 1475 datato 8 luglio 1976, per la maggior parte a “verde pubblico – verde di quartiere” e in parte minima a viabilità .
Con decreto dirigenziale n. 54 del 7 ottobre 2002 veniva disposta l’occupazione d’urgenza dell’area in parola per la dichiarata realizzazione di un piazzale alberato.
Avverso tale decreto gli interessati proponevano gravame con ricorso iscritto al n. 1753/2002, lamentando che lo scopo effettivo della procedura avviata fosse la realizzazione di una struttura funzionale all’ubicazione del mercato settimanale, incompatibile con la destinazione a verde dell’area in questione; e che in ogni caso tale destinazione dovesse ritenersi caducata per effetto del decorso del termine di cui all’art. 2 della legge n. 1187/68.
Questo Tribunale (III Sezione), con sentenza n. 1630 del 16 marzo 2004, confermata dal Consiglio di Stato (Sezione Quarta) con decisione 25 maggio 2005 n. 2718, rigettava il ricorso ritenendo tra l’altro che fosse ancora efficace la destinazione a verde in quanto vincolo conformativo e che alla destinazione stessa fosse conforme la realizzazione di un piazzale alberato. Successivamente, non ancora pronunziata la definitiva espropriazione, l’Amministrazione comunale disponeva il trasferimento del mercato settimanale sull’area con determinazioni gravate dagli interessati con il ricorso n. 234/2005, con cui chiedevano l’annullamento degli atti impugnati e la conseguente restituzione dell’immobile; in subordine, il risarcimento dei danni.
Emanato il decreto di esproprio (n. 364 del 24 aprile 2007), a firma del Dirigente della Ripartizione Lavori Pubblici, i signori Campanile proponevano l’ulteriore ricorso n. 1287/2008, chiedendo altresì il risarcimento dei danni conseguenti all’illegittima trasformazione dell’area.
Con lo stesso ricorso lamentavano anche l’occupazione e la trasformazione di una porzione di suolo pari a mq 1.426, costituita dalle particelle nn. 1147, 1148, 1150 e 1151, rinvenenti dal frazionamento delle particelle nn. 177 e 72, che sarebbero state oggetto di occupazione e non invece del decreto di esproprio stesso, conseguentemente formulando richiesta di restituzione dell’area in parte qua.
Con la sentenza 10 luglio 2009 n. 1421, la terza Sezione rigettava il ricorso n. 1287/2008 (con riferimento sia alla domanda di annullamento sia alla conseguente richiesta risarcitoria) e dichiarava in parte inammissibile per carenza di interesse il ricorso n. 234/2005, non potendo i ricorrenti ottenere dall’annullamento delle relative delibere alcun’utilità , stanti i giudizi a loro sfavorevoli sugli atti presupposti.
Quanto invece alla richiesta di restituzione della porzione di suolo che gli istanti ricorrenti assumevano non ricompresa nel provvedimento finale di esproprio ma effettivamente occupata e trasformata, il Tribunale ordinava al Comune di fornire chiarimenti in ordine all’effettiva trasformazione in strada delle particelle nn. 1147, 1148, 1150 e 1151, non ricomprese nel decreto di esproprio e rinvenenti dal frazionamento delle originarie particelle nn. 72 e 177.
All’esito dell’istruttoria, questo Tribunale, con sentenza sempre della terza Sezione, 25 novembre 2009 n. 2908, accertava, tramite la determinazione prot. n. 192950 del 30 luglio 2009, a firma del Direttore della Ripartizione Edilizia Pubblica e Lavori Pubblici, che in effetti le predette particelle erano state interamente interessate e trasformate dal progetto di realizzazione del piazzale alberato e della viabilità di via Salvemini e via Sorrentino. Il Comune rappresentava inoltre l’inopportunità della loro restituzione, vista la l’utilizzazione per scopi d’interesse pubblico.
Il Tribunale quindi, facendo applicazione dall’art. 43, comma terzo, del D.P.R. n. 327/2001 (nella formulazione allora vigente), nella parte in cui prevedeva la condanna al risarcimento del danno, con esclusione della restituzione del bene stesso senza limiti di tempo, precisava, richiamando il sesto comma, “che il danno in tali casi debba essere rapportato al “valore del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità “, maggiorato degli interessi moratori, a decorrere dal giorno in cui il bene stesso sia stato occupato sine titulo; e che, se in particolare si tratta di “terreno edificabile”, il valore stesso debba essere determinato sulla base delle disposizioni dell’art. 37, commi 3, 4, 5, 6 e 7″.
In particolare, la sentenza osservava:
“Orbene, se è vero che tale ultima disposizione evoca il criterio dell’edificabilità di fatto, giacchè al comma 3 prescrive che la determinazione del valore venale debba tener conto delle “possibilità legali ed effettive di edificazione” esistenti al momento dell’emanazione del decreto di esproprio o dell’accordo di cessione (al momento cioè in cui la proprietà viene trasferita), è pur vero che, secondo il consolidato orientamento della Cassazione, il criterio stesso soccorre solo in via suppletiva nei casi di carenza di classificazione urbanistica, oppure in via complementare ed integrativa ai fini della determinazione del concreto valore di mercato delle aree che nello strumento urbanistico vigente siano classificate come edificabili.
In effetti, il T.U. lo ha richiamato nella norma che si occupa della determinazione dell’indennità con riferimento specifico a tali aree.
Ne discende che, in presenza di uno strumento urbanistico vigente ed efficace, è in primo luogo alla destinazione ivi prevista che deve farsi riferimento nella determinazione del valore di un’area, pur senza tener conto degli effetti del vincolo preordinato all’esproprio.
Questa è la regola generale, stabilita per le aree comunque classificate nei piani urbanistici. In tal senso dispone infatti espressamente l’art. 32 del T.U. espropri.
4.-Delineati dunque i principi generali non può dubitarsi, facendo applicazione degli stessi, che nel caso di specie il risarcimento del danno debba essere commisurato al valore venale dell’area tenuto conto della concreta destinazione urbanistica impressa alla stessa dal piano regolatore: la destinazione a servizi. Come anticipato in fatto, invero, tale destinazione è stata ritenuta tuttora efficace e vigente con sentenza di questa Sezione n.1630/04, confermata dal Consiglio di Stato e ormai passata in giudicato, che vi ha individuato un vincolo conformativo non soggetto a decadenza.
Quanto poi al momento cui rapportare la valutazione, è altrettanto indubitabile che debba farsi riferimento alla data di pubblicazione della presente sentenza. Inoltre l’Amministrazione sarà tenuta a corrispondere, in aggiunta al valore venale della porzione di suolo in questione, gli interessi moratori (calcolati nella misura degli interessi legali ex art.1224 c.c.) a decorrere dal giorno in cui il terreno è stato occupato sine titulo, ai sensi dell’art. 43 più volte richiamato, comma 6, lett. b); salva l’indennità di occupazione per il periodo di occupazione legittima”.
Il Giudice affidava poi al meccanismo di cui all’art. 35, comma secondo, del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 80 – oggi corrispondente all’articolo 34, comma quarto, del codice del processo amministrativo – la quantificazione del ristoro (con condanna del Comune di Bari al pagamento delle somme risultanti nel termine di novanta giorni), prevedendo che, in caso di mancato accordo, la liquidazione sarebbe stata effettuata in via giudiziale, secondo quanto stabilito dal medesimo art. 35.
Non avendo le parti raggiunto l’accordo sul quantum, i signori Campanile producevano il ricorso n. 903/2010, per l’ottemperanza alla sentenza n. 2908/2009 e dunque per la liquidazione delle somme dovute a titolo di risarcimento.
Con ordinanza 21 ottobre 2010 n. 244 nominava c.t.u. il dott. Giuseppe Garofalo, perchè determinasse l’ammontare dell’importo dovuto dall’Amministrazione ai ricorrenti secondo le indicazioni contenute nella motivazione della richiamata sentenza n. 2908/2009.
Con ordinanza 2 dicembre 2010 n. 284, su richiesta dell’Ente di chiarimenti sulle modalità di esecuzione, ai sensi dell’art. 112, ultimo comma, del codice del processo amministrativo, il Tribunale esplicitava che “quando si è statuito nella precedente sentenza di questa Sezione n.2908/2009 del 25.11.2009 che per la quantificazione del danno dovesse farsi riferimento -testualmente- “..al valore venale dell’area tenuto conto della concreta destinazione urbanistica impressa alla stessa dal piano regolatore: la destinazione a servizi” si è inteso far riferimento ai possibili servizi ivi allocabili secondo le previsioni dello strumento urbanistico generale della cui vigenza non si poteva -ne può- dubitarsi in virtù del giudicato formatosi sulla sentenza della terza Sezione di questo Tar n.1630/04 confermata dal C.d.S. (attrezzature per svago, come chioschi bar, teatri all’aperto, impianti sportivi per allenamento e spettacolo e simili, secondo un’elencazione evidentemente non esaustiva); nonchè si è inteso tener conto delle concrete possibilità di utilizzazione e di edificazione dell’area stessa, secondo le previsioni dello strumento urbanistico stesso.
Riformulava di conseguenza il quesito al perito incaricato nei termini seguenti: “Accerti il C.T.U. il valore venale dell’area tenendo conto delle concrete possibilità di utilizzazione ed edificazione della stessa secondo le previsioni dello strumento urbanistico vigente (art. 31 N.T.A.)”.
Il Consiglio di Stato, Sezione quarta, respingeva l’appello cautelare con ordinanza 15 marzo 2011 n. 1234, constatata la coerenza con l’impianto argomentativo della sentenza ottemperanda.
Il Comune reiterava poi la stessa istanza, dichiarata inammissibile con ordinanza 11 gennaio 2011 n. 98.
Al dott. Garofalo veniva concessa una proroga dei termini fissati per l’espletamento dell’incarico (ordinanza 16 febbraio 2011 n. 354) e veniva liquidato il compenso (ordinanza 21 luglio 2011 n. 1222).
A seguito della richiesta del professionista di un’integrazione delle competenze liquidate, veniva emessa l’ordinanza 26 ottobre 2011 n. 1629 che rigettava l’istanza, ritenendo il compenso, come calcolato dall’interessato, esorbitante, perchè a sua volta era reputata esorbitante la stessa stima dei beni posta a base del computo. In particolare, l’atto reiettivo si fondava sulle seguenti ragioni:
“Considerato che l’area oggetto di valutazione, che si compone di numero tre particelle catastali, ha una consistenza complessiva di appena 1.426 mq con indice planovolumetrico pari a 0,05 mc/mq, con destinazione a servizi;
Considerato che a fronte dell’offerta del Comune a titolo di risarcimento della somma di € 57.000 circa oltre accessori di legge, e di una proposta transattiva per l’importo di € 200.000,00 (importo ritenuta satisfattiva dai ricorrenti), proposta non andata a buon fine, il predetto C.T.U. ha invece determinato un valore venale del bene di € 4.800.000,00 ritenendo l’ipotesi di una edificazione sotterranea, la quale porterebbe ad un presunto reddito annuo di € 120.000,00.
Rilevato che, ferma restando la discrezionalità tecnica riservata al C.T.U. nell’espletamento dell’incarico di che trattasi, emerge ictu oculi l’abnormità della stima del valore venale del bene;
Rilevato che detto importo di € 4.800.000,00 ha costituito la base di calcolo utilizzata dal medesimo C.T.U. per la quantificazione del cospicuo compenso professionale richiesto dal suddetto tecnico”.
Con ordinanza 26 ottobre 2011 n. 1742 veniva disposta una verificazione (sempre per la valutazione del fondo), nominando, a tal fine, il Dirigente dell’Agenzia del territorio di Bari, con facoltà di delega e fissando, quale anticipo, sul compenso la somma € 1.000,00, a carico di entrambe le parti in via solidale.
Con ordinanza 17 maggio 2012 n. 1094, il T.A.R. ha disposto un approfondimento istruttorio, investendo il verificatore della questione relativa alle opere e ai manufatti che sul suolo espropriato si trovavano al momento dell’occupazione legittima, quali risultano dalla nota integrativa al verbale di consistenza del 5 novembre 2002, redatto all’atto dell’immissione in possesso, laddove risultano stimati per un valore complessivo di 75 milioni di lire.
Dopo il deposito della relazione del verificatore sul punto, i ricorrenti lamentavano sia il persistente mancato inserimento del valore di tali opere nel calcolo dell’indennità di occupazione sia la mancata considerazione nella stima del valore delle opere stesse (consistenti in opere di recinzione) delle fondazioni e degli oneri di sicurezza; perciò, con ordinanza 8 novembre 2012 n. 2110, la Sezione disponeva un ulteriore approfondimento sulla questione, nel contraddittorio delle parti, al fine eventualmente di rideterminare il valore delle opere, sia ai fini del calcolo dell’indennità di esproprio sia di quella di occupazione.
Infine, sulle conclusioni delle parti, la causa è stata riservata per la decisione all’udienza del 25 luglio 2013.
2. Il complesso svilupparsi della dialettica processuale che si è riportato non impedisce di focalizzarsi sulle questioni fondamentali coinvolte in questa controversia, riguardanti la delimitazione dell’oggetto del giudizio di ottemperanza proposto dai signori Campanile e le modalità con le quali la sentenza n. 2908/2009 dev’essere eseguita, sulla base delle motivazioni nella stessa contenute.
Si deve essenzialmente determinare l’importo dovuto ai signori Campanile a titolo di risarcimento del danno, visto che non è stato raggiunto un accordo tra le parti.
Non è superfluo al proposito rammentare che (a prescindere dal quantum che sarà infine attribuito agli interessati) il ricorso è volto ad ottenere il risarcimento dal Comune, che non ha ristorato i proprietari dopo aver occupato senza titolo il loro terreno.
Di tale terreno, in sè, il verificatore, ing. Marco Percoco Morea, ha calcolato, con riferimento all’epoca della sentenza, il valore in euro 42.780,00. A tale stima vengono opposti una serie di rilievi, soprattutto da parte dei signori Campanile, per rispondere ai quali deve tenersi presente che in ogni caso l’ottemperanza deve parametrarsi alla sentenza n. 2908/2009 e al relativo petitum.
Alla luce di questa premessa (per quanto ovvia), deve ritenersi che al presente giudizio siano estranei sia l’indennità di occupazione (legittima), che esula tra l’altro dalla giurisdizione amministrativa, e il risarcimento del danno non patrimoniale (sia perchè mai richiesto, sia perchè inscindibilmente legato al meccanismo – ovvero all’azione della amministrazione – di cui all’articolo 42-bis del D.P.R. n. 327 del 2001, introdotto dall’art. 34 del D.L. 6 luglio 2011, n. 98, convertito nella legge 15 luglio 2011, n. 111- v. Consiglio di Stato, Sez. IV, 9 gennaio 2013, n. 76).
Anche di una condanna al separato risarcimento per il periodo d’illegittima occupazione non vi è traccia nella sentenza di merito; il dato non appare casuale, se si pone mente alle statuizioni della pronuncia, per la quale il risarcimento del danno deve “essere commisurato al valore venale dell’area tenuto conto della concreta destinazione urbanistica impressa alla stessa dal piano regolatore”, con “riferimento alla data di pubblicazione della presente sentenza” e che inoltre l’Amministrazione è “tenuta a corrispondere, in aggiunta al valore venale della porzione di suolo in questione, gli interessi moratori (calcolati nella misura degli interessi legali ex art. 1224 c.c.) a decorrere dal giorno in cui il terreno è stato occupato sine titulo”, così inglobando i frutti sottratti ai proprietari per effetto dell’illegittima sottrazione del possesso.
Per quanto riguarda il metodo sintetico-comparativo, utilizzato dal verificatore, esso è ammesso dalla giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. IV, 15 luglio 2011, n. 4311) e appare comunque giustificato dalla difficoltà di calcolare un valore venale (attraverso un percorso analitico-ricostruttivo, che presuppone l’edificabilità ) per una zona di uso collettivo. In concreto, è altresì conforme alla sentenza n. 2908/2009, che ha indicato il criterio di valutazione e non il metodo (non specificato, diversamente da quanto, ad esempio, risulta espresso in altre sentenze del T.A.R., come quella della prima Sezione, 17 agosto 2010 n. 3402); le operazioni di stima, così inquadrate non presentano aspetti di illogicità attendendosi alle indicazioni della giurisprudenza in materia (Cass., Sez. I, 16 marzo 2012, n. 4210).
Infine, nella determinazione di quanto dovuto dal Comune deve tenersi conto del valore della recinzione (accedendo al suolo e risultando espressamente dai verbali d’immissione in possesso), che l’ing. Percoco Morea ha determinato in euro 26.000,00, sulla base dei detti verbali e delle relative fotografie, non essendo l’opera di protezione più esistente.
Per tali manufatti invero non è stato prodotto alcun atto autorizzativo formale. Tuttavia la recinzione medesima non può ritenersi abusiva e quindi non commerciabile (oggi, in base all’articolo 46 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), in quanto, come dimostrato dagli istanti, essa è stata realizzata in ossequio all’ordinanza sindacale 23 settembre 1996 prot. 49102. Alla medesima è seguita, da parte dei proprietari, la comunicazione protocollata il 9 maggio 1997, con relazione tecnica di asseveramento, e la comunicazione di ultimazione dei lavori, pervenuta al Comune il 3 settembre 1997.
In conclusione, accogliendo il ricorso dei signori Campanile per l’ottemperanza della sentenza n. 2908/2009, determina il risarcimento del danno in euro 42.780,00 più euro 26.000,00, oltre agli interessi legali a partire dal giorno dal giorno in cui il terreno è stato occupato sine titulo, condannando pertanto il Comune al pagamento della predetta somma.
Occorre precisare, quanto al dies a quo per il computo di tali accessori, che dalle sentenze del Tribunale (III Sezione) 16 marzo 2004, n. 1630 e del Consiglio di Stato (Sezione quarta) 25 maggio 2005 n. 2718 risulta che il termine fissato per il perfezionamento della procedura espropriativa era fissato in 24 mesi, sicchè gli interessi decorrono dal 5 novembre 2004 (risalendo l’immissione in possesso al 5 novembre 2002).
Al medesimo Ente incombe l’obbligo del pagamento delle spese processuali e di quelle dovute per la verificazione, come da liquidazione in dispositivo.
P.Q.M.
il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione.
Condanna il Comune di Bari al pagamento delle spese processuali in favore dei ricorrenti nella misura di euro 3.000,00, oltre CU, CPI e IVA.
Condanna l’Ente al pagamento del saldo dovuto al verificatore, ing. Marco Percoco Morea, pari a euro 3.000,00.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 25 luglio 2013 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppina Adamo, Presidente FF, Estensore
Desirèe Zonno, Primo Referendario
Oscar Marongiu, Referendario
IL PRESIDENTE, ESTENSORE | ||
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 29/07/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)