1. Leggi, decreti, regolamenti – Pubblico impiego – Rapporto di servizio – Trattamento di quiescenza – Limiti d’età  –  Interpretazione art. 24 co. 3 D.L. n. 201/2011 (convertito nella L. n. 214/2011)


2. Processo amministrativo – Giudizio impugnatorio –  Circolare interpretativa – Contenuto non vincolante – Impugnazione – Non necessaria

1. In materia di trattamenti pensionistici, l’interpretazione dell’art. 24, comma 3 del D.L. n. 201/2011 (convertito nella L. 22.12.2011, n. 214), più coerente con la ratio sottesa a tale specifica normativa, porta a ritenere che la sottrazione alla sopravvenuta disciplina di coloro che abbiano maturato, alla data del 31.12.2011, i requisiti per il pensionamento, sia funzionale a impedire la compromissione di diritti quesiti attraverso la salvaguardia di aspettative ormai qualificate sulla scorta della previgente disciplina; non può pertanto essere precluso, a chi versa nelle condizioni di cui all’articolo succitato, di esercitare l’opzione per il nuovo regime essendo, in tali casi, la rinunzia alle aspettative di pensionamento già  maturate legittima solo qualora provenga dallo stesso avente diritto. 


2. Alcun vincolo può discendere dal contenuto della circolare della Presidenza del Consiglio giacchè, per consolidata giurisprudenza, tali fonti normative nè vincolano l’interprete, nè necessitano di specifica impugnazione ove meramente interpretative.
*
Vedi Cons. St., sez. VI, sentenza 17 giugno 2014, n. 3046 – 2014ordinanza 26 giugno 2013, n. 2382 – 2013; ric. n. 3581 – 2013.
*

N. 00566/2013 REG.PROV.COLL.
N. 01311/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1311 del 2012, proposto da: 
Giuseppe Indellicati, rappresentato e difeso dall’avv. Felice Eugenio Lorusso, con domicilio eletto presso il suo studio in Bari, alla via Amendola n.166/5; 

contro
Università  degli Studi di Bari, in persona del Rettore p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Cecilia Antuofermo e Simona Sardone, con domicilio eletto presso la sede dell’Avvocatura interna dell’Università , in Bari alla piazza Umberto I n. 1 (palazzo Ateneo); Azienda Ospedaliera Universitaria Consorziale Policlinico di Bari; 

per l’annullamento
– del decreto del Rettore n. 2841 del 4 giugno 2012, con cui è stato disposto il collocamento in quiescenza del ricorrente a far data dal giorno 1 novembre 2012, per raggiunti limiti di età ;
– delle note prot. 36821 del 12 giugno 2012, prot. 38228 del 15 giugno 2012 e prot. 40298 del 26 giugno 2012″.
 

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Università  degli Studi di Bari;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 gennaio 2013 la dott.ssa Giacinta Serlenga e uditi per le parti i difensori avv.ti Felice Eugenio Lorusso; Cecilia Antuofermo e Simona Sardone;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 

FATTO e DIRITTO
1. Oggetto del presente giudizio è il decreto del Rettore con cui è stato disposto il collocamento in quiescenza del dott. Indellicati, odierno ricorrente, a far data dal 1° novembre 2012, per raggiunti limiti di età .
Dalla ricostruzione della vicenda, quale emerge in modo incontestato dagli atti di causa, il suddetto all’atto della cessazione del rapporto rivestiva il ruolo di ricercatore-medico confermato, presso la Facoltà  di Medicina e Chirurgia -III U.O. di Ginecologia ed Ostetricia dell’Università  degli studi di Bari, con mansioni istituzionali universitarie ed assistenziali in regime di convenzione; da ultimo era stato nominato “professore aggregato” ed incaricato dell’insegnamento di Ginecologia oncologica (cfr. decreto del Rettore n.1561 del 16.4.2012 versato in atti).
Emerge inequivocabilmente dal dato testuale, il motivo fondante la determinazione impugnata: “..il dott. Giuseppe Indellicati ha maturato i requisiti per l’accesso al trattamento pensionistico entro il 31.12.2011 e¦ pertanto rimane soggetto al regime previgente il D.L. n. 201/2011”.
Con due distinti mezzi di gravame, il ricorrente lamenta l’erronea interpretazione logico-sistematica del quadro normativo di riferimento, come da ultimo modificato dal richiamato D.L. n. 201/2011 (primo motivo); nonchè il contrasto tra l’opzione ermeneutica seguita dall’Amministrazione e la ratio sottesa alla disciplina legislativa in materia pensionistica. Questa, invero, alla luce delle più recenti innovazioni, sarebbe inequivocabilmente tesa ad elevare l’età  pensionabile, nel perseguimento di obiettivi di risparmio di spesa (secondo motivo).
Si è costituita in giudizio l’Amministrazione universitaria opponendo un’interpretazione della normativa in esame di segno diverso, incentrata sia sulla – asserita – obbligatorietà  della scelta operata, in doverosa applicazione della disciplina pensionistica vigente prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 201/2011 (ex art. 24, comma 3 dello stesso D.L.), come interpretata dalla circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Funzione pubblica, n. 2 dell’8.3.2012 (par.2); sia sul richiamo all’art.72, comma 11, D.L. 112/08 conv. in legge n. 133/08.
All’udienza del 9 gennaio 2013, la causa è stata trattenuta in decisione.
2. In via preliminare, è necessario sgombrare il campo da riferimenti normativi che questo Collegio reputa inconferenti.
Tale il rinvio al citato art. 72, il quale afferisce a fattispecie del tutto distinta: risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro in ipotesi di raggiungimento dell’anzianità  massima contributiva di 40 anni da parte del personale dipendente, nell’esercizio dei poteri organizzativi dell’Amministrazione di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 165/2001.
La norma non può invero trovare applicazione al caso di specie per una serie di ragioni: disciplina evidentemente una fattispecie diversa; in ogni caso, non è stata richiamata nel decreto gravato sicchè può ragionevolmente inferirsene che l’Amministrazione non abbia inteso esercitare quella che – alla luce del dato testuale – va qualificata come mera “facoltà ” di legge; la stessa Amministrazione, nell’arco di svolgimento della vicenda che ci occupa, ha espressamente chiarito di non essersi mai avvalsa di tale facoltà , in generale nei rapporti con i suoi dipendenti (cfr. nota del Rettore prot. n. 36821 del 12.6.2012 (pag.2).
Ad ogni buon conto va rimarcato che, nella fattispecie in esame, non ne sussisterebbero i presupposti; più precisamente, non ricorrerebbe l’anzianità  massima di servizio – testualmente – “¦effettivo di 40 anni..”. Non è infatti in discussione che il ricorrente, al 31.12.2011, potesse vantare solo 38 anni di servizio effettivo; e che la più corposa anzianità  fosse ascrivibile al volontario ricongiungimento figurativo di periodi oggetto di riscatto, come per legge.
 

 

 

3. Ciò premesso, la soluzione della presente controversia appare strettamente collegata all’interpretazione del richiamato terzo comma dell’art. 24 del D.L. n. 201/2011 che, per quanto qui rileva, così recita: “Il lavoratore che maturi entro il 31 dicembre 2011 i requisiti di età  e di anzianità  contributiva, previsti dalla normativa vigente, prima della data di entrata in vigore del presente decreto, ai fini del diritto all’accesso e alla decorrenza del trattamento pensionistico di vecchiaia o di anzianità , consegue il diritto alla prestazione pensionistica secondo tale normativa e può chiedere all’ente di appartenenza la certificazione di tale diritto.”
L’interpretazione suggerita dalla Presidenza del Consiglio e condivisa dall’Università  è che, una volta verificatisi i presupposti previsti dalla normativa previgente per il pensionamento, non residui alcun margine di discrezionalità  in capo alle Amministrazioni o agli interessati. Più precisamente, sul presupposto della necessaria soggezione a tale regime dei soggetti che al 31 dicembre 2011 abbiano maturato i requisiti per l’accesso al pensionamento (sia per età , sia per anzianità  contributiva di 40 anni indipendentemente dall’età , sia per somma dei requisiti di età  e anzianità  contributiva, la cd. quota), l’amministrazione – testualmente – “¦dovrà ” disporre il collocamento a riposo al compimento dei 65 anni; tanto meno sarebbe consentito ai dipendenti, sebbene ancora in servizio, di manifestare un’opzione per il nuovo regime.
Orbene, a parere del Collegio, una simile interpretazione non può essere condivisa. Contrasta, infatti, sia con il dato testuale, sia con la ratio della più recente normativa in subiecta materia.
 

Il riportato testo del terzo comma dell’art. 24 del richiamato D.L. 201/2011, invero, esplicitamente ancora alla precedente disciplina il “diritto” all’accesso e alla decorrenza del trattamento pensionistico di vecchiaia o di anzianità ; nonchè il conseguente “diritto” alla prestazione pensionistica secondo tale normativa, con la precisazione che il lavoratore interessato può chiederne la certificazione all’ente di appartenenza.
Ciò stante, la sottrazione alla sopravvenuta disciplina di coloro che abbiano maturato alla predetta data i requisiti per il pensionamento deve ritenersi, nell’ottica della richiamata norma, funzionale ad impedire la compromissione di diritti quesiti, attraverso la salvaguardia di aspettative ormai qualificate sulla scorta della previgente disciplina. Nulla quaestio, dunque, se la rinunzia alle aspettative di pensionamento già  maturate provenga dallo stesso avente diritto.
Tale opzione normativa è peraltro coerente con la ratio del D.L. 201 in esame e di tutta la più recente normativa in tema di pensioni, complessivamente preordinata ad elevare la soglia dell’età  pensionabile per obiettivi di ridimensionamento della spesa pubblica; e dà  peraltro ragione della volontorietà  dell’intervenuto riscatto a fini pensionistici di periodi valutabili – per legge – agli stessi fini.
Nè un qualche vincolo può discendere dall’impostazione seguita dalla richiamata circolare della Presidenza del Consiglio giacchè, per consolidata giurisprudenza, tali fonti normative non vincolano l’interprete nè necessitano di specifica impugnazione ove meramente interpretative (cfr. da ultimo C.d.S., ad. Plen., 14.11.2011 n. 19).
In ultima analisi, non può dunque ragionevolmente essere precluso a chi versa nelle condizioni di cui all’art. 24, comma 3, D.L. n. 201/2011 di esercitare l’opzione per il nuovo regime; in particolare, dovrà  essere consentito all’odierno ricorrente.
4. D’altro canto, a conclusioni sostanzialmente non dissimili, si perviene quand’anche ci si ponga nella non condivisibile prospettiva suggerita dall’Amministrazione; nell’ottica cioè di sostenere, in dispregio del dato testuale, che dall’art. 24, comma 3°, del D.L. n.201/2011 discenda non già  un divieto di applicazione coattiva della disciplina sopravvenuta a chi vanti legittime aspettative di pensionamento sulla scorta della previgente disciplina, bensì un dovere di collocamento a riposo in capo alla pubblica Amministrazione degli stessi soggetti e una sorta di correlativo “obbligo” di pensionamento a carico di questi.
4.1 In ogni caso, infatti, non potrebbe trovare ingresso la pretesa identificazione dell’anzianità  contributiva con quella figurativa, poichè risultante quest’ultima dall’esercizio di una facoltà  – economicamente onerosa – che l’ordinamento contempla a tutela dei lavoratori (il “riscatto” cioè dei pregressi periodi di studio o del servizio di leva o di quant’altro consentito dalla legge). Si finirebbe con il trasfigurare la ratio e la natura dell’istituto del ricongiungimento, correlato ad un “diritto” disponibile e in quanto tale rinunziabile. Si trasformerebbe, cioè, uno strumento apprestato dall’ordinamento per il perseguimento di un vantaggio (consistente nell’accrescimento della complessiva anzianità  contributiva) in una possibilità  foriera – ex post – di danni per lo stesso avente diritto.
Anche in tale ottica, pertanto, la determinazione di collocare in quiescenza l’odierno ricorrente non trova adeguato aggancio normativo; il dott. Indellicati, invero, alla data del 31.12.2012, non aveva compiuto sessantacinque anni (e questo è un dato incontrovertibile) nè aveva maturato l’ulteriore requisito dell’anzianità  contributiva superiore a 40 anni (aveva infatti all’attivo soltanto 38 anni di servizio effettivo); e anche quest’ultimo dato è incontroverso.
4.2. Veniamo, infine, all’ultimo argomento utilizzato dalla difesa dell’Amministrazione per superare le censure articolate in ricorso: il collocamento in quiescenza troverebbe comunque giustificazione nella circostanza che l’interessato avrebbe raggiunto – alla solita data del 31.12.2011 – in ogni caso la cd. “quota 96”, ottenuta dalla sommatoria di età  anagrafica e anzianità  contributiva, di cui alla tabella B allegata alla legge n. 243/2004.
In realtà , anche analizzando la questione sotto tale distinto profilo, non pare possa dubitarsi, ancora una volta considerando in primis il dato testuale, che il legislatore abbia inteso attribuire un “diritto” al pensionamento, nella piena disponibilità  dell’interessato; consentendo di accedervi, in ultima analisi, in presenza di una certa anzianità  contributiva (risultato del servizio effettivo ovvero dell’esercizio del diritto al ricongiungimento di cui si è detto) e pur in assenza del raggiungimento della soglia minima dell’età  pensionabile prevista dalla legge.
Ne sia riprova che la richiamata tabella fa espressamente riferimento all’età  anagrafica minima per la maturazione del requisito indicato in colonna 1″ (ossia la quota 96 in questione); età  anagrafica che risulta inferiore alla normale soglia dell’età  pensionabile (60 anzichè 65) ma compensata da un’anziantà  di servizio (- si ribadisce – effettiva o figurativa) ben più consistente di quella di norma sufficiente ad accedere al pensionamento (minimo 46 anni di contribuzione a fronte del limite massimo pari a 40).
5. In conclusione, il gravame merita accoglimento sulla scorta delle censure articolate nei due motivi di ricorso. Trattandosi tuttavia di una questione complessa e sulla quale non si rinviene giurisprudenza consolidata, il Collegio ritiene opportuno procedere alla compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla gli atti gravati. Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità  amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 9 gennaio 2013 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Corrado Allegretta, Presidente
Giacinta Serlenga, Primo Referendario, Estensore
Francesco Cocomile, Referendario
 
 
 
 

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 16/04/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Share on facebook
Facebook
Share on twitter
Twitter
Share on linkedin
LinkedIn
Share on whatsapp
WhatsApp

Tag

Ultimi aggiornamenti

Galleria