1. Pubblico impiego –  Rapporto di servizio – Forze armate –  Sospensione del servizio – Misura cautelare – Procedimento disciplinare


2. Pubblico impiego –  Rapporto di servizio – Forze armate –  Procedimento disciplinare – Procedimento penale – Rapporti 

1. La sospensione dal servizio costituisce una mera misura cautelare che non riveste natura disciplinare. Essa prescinde dall’accertamento della responsabilità  dell’inquisito ed è fondata su valutazioni di opportunità  relative alla necessità  di rimuovere il pregiudizio derivante dalla permanenza del militare nelle funzioni proprie. Ne consegue che, con riferimento alla sospensione dal servizio, non rilevano eventuali carenze del procedimento disciplinare, destinate ad influire, eventualmente, sul provvedimento conclusivo.


2. La potestà  disciplinare opera in una sfera diversa da quella che inerisce al magistero penale, al punto tale che anche le formule assolutorie (fatta eccezione dalla pronuncia con formula “perchè il fatto non sussiste” ovvero “l’imputato non lo ha commesso”) non precludono l’ingresso all’azione disciplinare. Neppure la sentenza penale di proscioglimento esclude che lo stesso fatto possa essere qualificato dall’amministrazione come illecito disciplinare.

N. 00466/2013 REG.PROV.COLL.
N. 00263/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 263 del 2012, proposto da: 
E. L., rappresentato e difeso dagli avv.ti Raffaele Irmici e Teresa Lavanga, con domicilio eletto presso l’avv. Antonio Distaso in Bari, corso Vittorio Emanuele 60; 

contro
Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari, domiciliataria in Bari, via Melo, 97; 

per l’annullamento
del decreto del 10.11.2011, n. 0570/III-7/2011, notificato il 26.11.2011, con cui la Direzione Generale per il Personale Militare del Ministero della Difesa ha disposto la sospensione dal servizio del ricorrente, a decorrere dal 31.5.2011;
della contestazione di addebito contenuta nell’atto prot. n. 88/53 in data 20.9.2011 del Comando Interregionale Carabinieri “Ogaden”;
della nota prot. n. 364/175 in data 7.6.2011 del Comando Legione Carabinieri “Puglia”;
della nota n. 364/162-2003-Disc. in data 9.12.2010 del Comando Interregionale Carabinieri “Ogaden”, non conosciuta;
di ogni altro atto presupposto, connesso, consequenziale, anche se non conosciuto, in quanto lesivo.
 

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 febbraio 2013 la dott. Francesca Petrucciani e uditi per le parti i difensori avv.ti Raffaele Irmici e Grazia Matteo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 

FATTO e DIRITTO
Con il ricorso in epigrafe E. L. ha impugnato il provvedimento con il quale il Ministero della Difesa ha disposto nei suoi confronti la sospensione dal servizio a decorrere dal 31 maggio 2011.
Il ricorrente ha esposto che, a seguito di una indagine penale che lo aveva coinvolto, con decreto del 21 giugno 2005 era stato rinviato a giudizio per i reati di cui agli artt. 314 e 416 del codice penale; dopo la formulazione dell’imputazione il Comando Compagnia Carabinieri di Cerignola gli aveva notificato la comunicazione di avvio del procedimento per l’irrogazione della sospensione precauzionale facoltativa dal servizio, che però inizialmente non era stata disposta tanto che, di contro, gli era stato affidato il comando della Stazione di Anzano di Puglia.
Il procedimento penale si era concluso con la condanna per il reato di cui all’art. 314 c.p. e l’assoluzione per l’imputazione di associazione a delinquere e falso, e l’amministrazione militare, con decreto del 21 settembre 2006, aveva disposto nei suoi confronti la sospensione precauzionale obbligatoria dal servizio.
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 15 maggio 2009, aveva ridotto la pena ad anni due e mesi tre di reclusione, dichiarandola contestualmente condonata per l’applicazione dell’indulto, ma non si era pronunciata sull’istanza formulata dall’imputato di patteggiamento in appello, di tal che, a seguito della proposizione del ricorso da parte dell’interessato, la Corte di cassazione aveva annullato la sentenza di appello disponendo il rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma.
Nelle more era spirato, in data 31 maggio 2011, il termine massimo quinquennale della sospensione obbligatoria, e il ricorrente aveva chiesto la riammissione in servizio con istanza del 6 giugno 2011; dopo quasi quattro mesi, il 2 ottobre 2011, l’amministrazione gli aveva notificato la commutazione del titolo della sospensione da obbligatoria in facoltativa, contestandogli l’illecito disciplinare, ma erroneamente aveva inserito nell’atto tutti i reati inizialmente contestatigli, senza tener conto della parziale assoluzione con riferimento all’associazione a delinquere.
Quindi, il 16 novembre 2011, gli era stato notificato il decreto di sospensione cautelare dal servizio a decorrere dal 31 maggio 2011, ai sensi degli artt. 919 e 917 D.Lgs. 66/2010.
A sostegno del ricorso sono state articolate le seguenti censure:
1. violazione e falsa applicazione degli artt. 2186, 2187, 917, comma 1, 919, comma 3, lett. a), D.Lgs. 66/2010, degli artt. 20, 21, 63, lett. a) e ss. L. 599/54, degli artt. 5 e 6 D.M. 603/93, degli artt. 3 e 7 L. 241/90, eccesso di potere sotto vari profili, non essendo applicabile al procedimento in questione il Codice dell’ordinamento militare, di cui al D.Lgs. 66/2010, in quanto l’art. 2187 di tale codice ne consentiva l’applicazione solo ai procedimenti iniziati dopo la sua entrata in vigore; di conseguenza, rientrando il procedimento nell’applicazione della previgente L. 599/54, non era prevista la possibilità  di commutare la sospensione obbligatoria in sospensione precauzionale facoltativa;
2. violazione e falsa applicazione degli artt. 917, comma 1, 919, comma 3, lett. a), 1392 e 1393 D.Lgs. 66/2010, degli artt. 5 e 6 D.M. 603/93, dell’art. 3 L. 241/90, eccesso di potere sotto vari profili, in quanto, anche a voler ritenere applicabili le disposizioni del D.Lgs. 66/2010, sarebbero stati violati i termini dallo stesso previsti per il procedimento disciplinare;
3. violazione e falsa applicazione degli artt. 1370, comma 1, D.Lgs. 66/2010, degli artt. 5 e 6 D.M. 603/93, dell’art. 7 L. 241/90, eccesso di potere sotto vari profili, in quanto la contestazione degli addebiti notificata il 2 ottobre 2011 non conteneva alcun invito o avvertimento al ricorrente in ordine alla possibilità  di produrre memorie e giustificazioni e il provvedimento impugnato non conteneva alcuna menzione delle spiegazioni inviate dall’interessato;
4. violazione e falsa applicazione dell’art. 919 D.Lgs. 66/2010, degli artt. 5 e 6 D.M. 603/93, dell’art. 7 L. 241/90, eccesso di potere sotto vari profili, in quanto il nuovo provvedimento era stato notificato al ricorrente dopo oltre 179 giorni dalla scadenza della precedente sospensione, nonostante l’art. 919 citato prevedesse, alla scadenza del quinquennio, la revoca di diritto della sospensione precauzionale;
5. violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 7 L. 241/90, eccesso di potere sotto vari profili, in quanto la contestazione di addebito era fondata sull’imputazione iniziale per tutti i reati oggetto dell’indagine, senza tenere conto del venir meno di alcune delle incolpazioni all’esito del giudizio.
Si è costituito il Ministero della Difesa chiedendo il rigetto del ricorso.
Alla pubblica udienza del 20 febbraio 2013 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Il ricorso deve essere respinto in quanto infondato.
Con il primo motivo il ricorrente ha lamentato l’erronea applicazione al procedimento in questione del Codice dell’ordinamento militare, di cui al D.Lgs. 66/2010, in quanto l’art. 2187 di tale codice ne consentirebbe l’applicazione solo ai procedimenti iniziati dopo la sua entrata in vigore, avvenuta il 7 ottobre 2010; non sarebbe stato possibile, quindi, commutare la sospensione obbligatoria, decorso il termine di cinque anni, in sospensione precauzionale facoltativa, come invece ritenuto dall’amministrazione sulla base del combinato disposto degli artt. 917 e 919 del decreto citato.
Al riguardo va evidenziato che il provvedimento impugnato è stato pronunciato sull’istanza del ricorrente di riammissione in servizio, presentata all’Amministrazione il 6 giugno 2011: di conseguenza il procedimento in questione, iniziato sull’istanza del ricorrente e conclusosi con l’irrogazione della sospensione dal servizio, rientra senza dubbio nell’ambito temporale di applicazione del D.Lgs. 66/2010, entrato in vigore il 9 ottobre 2010; il legislatore, infatti, ha circoscritto l’applicazione della nuova disciplina ai procedimenti iniziati dopo la sua entrata in vigore.
Il motivo va quindi respinto.
Con la seconda doglianza è stata contestata la violazione dei termini previsti per il procedimento disciplinare; in particolare sarebbero stati violati il termine di giorni 60 dalla conclusione degli accertamenti preliminari per la contestazione degli addebiti di cui all’art. 1392, comma 2, D.Lgs. 66/2010, e il termine di 90 giorni tra l’ultimo atto della procedura e il successivo adempimento, previsto a pena di estinzione del procedimento dal comma 4 della norma citata.
Il procedimento disciplinare, infatti, sarebbe stato avviato con atto del 17 novembre 2005, mentre la conclusione degli accertamenti preliminari è avvenuta il 7 giugno 2011 e la contestazione di addebito è stata adottata il 20 settembre 2011.
Inoltre, sarebbero decorsi oltre 90 giorni tra la nota del 9 dicembre 2009 e l’adozione, il 7 giugno 2011, dell’atto conclusivo degli accertamenti, nonchè tra quest’ultimo atto e la contestazione di addebito del 20 settembre 2011.
Anche tale doglianza è infondata.
L’art. 1392 del D.Lgs. 66/2010 prevede, per quanto qui interessa, che “il procedimento disciplinare di stato a seguito di infrazione disciplinare deve essere instaurato con la contestazione degli addebiti all’incolpato, entro 60 giorni dalla conclusione degli accertamenti preliminari, espletati dall’autorità  competente, nei termini previsti dagli articoli 1040, comma 1, lettera d), numero 19 e 1041, comma 1, lettera s), numero 6 del regolamento.
Il procedimento disciplinare di stato, instaurato a seguito di giudizio penale, deve concludersi entro 270 giorni dalla data in cui l’amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza o del decreto penale, divenuti irrevocabili, ovvero del provvedimento di archiviazione.
In ogni caso, il procedimento disciplinare si estingue se sono decorsi novanta giorni dall’ultimo atto di procedura senza che nessuna ulteriore attività  è stata compiuta”.
Al riguardo va evidenziato, in primo luogo, che nel caso di specie non viene impugnato il provvedimento conclusivo del procedimento disciplinare ma il provvedimento di sospensione cautelare emesso sull’istanza di riammissione in servizio del ricorrente.
Per costante affermazione della giurisprudenza la sospensione dal servizio costituisce una mera misura cautelare, che non riveste natura disciplinare, in quanto prescinde del tutto da un accertamento finale della responsabilità  dell’inquisito, ed è fondata solo su valutazioni di opportunità  relative alla necessità  di rimuovere il pregiudizio derivante dalla permanenza del militare nelle funzioni proprie; non implica, quindi, alcun giudizio, neppure approssimativo e provvisorio, circa la colpevolezza dell’interessato (T.A.R. Abruzzo, Pescara, n. 718 del 21 dicembre 2011; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. IV, 3 agosto 2009, n. 4622, e Sez. VI, 2 aprile 2008, n. 1735).
La sospensione si pone piuttosto quale rimedio provvisorio a tutela del superiore interesse pubblico dell’Amministrazione, il cui perseguimento risulta minacciato dalla permanenza del dipendente al quale sono contestati fatti che assumono rilievo penale con pregiudizio del regolare svolgimento del servizio.
Ne consegue che, con riferimento a tale provvedimento, non rilevano eventuali carenze del procedimento disciplinare, destinate ad influire, eventualmente, sul provvedimento conclusivo dello stesso.
Inoltre, secondo l’orientamento dominante nella giurisprudenza, espresso con riferimento alla disciplina previgente poi confluita nel nuovo Codice dell’ordinamento militare di cui al D.Lgs. 66/2010, i termini intermedi del procedimento disciplinare sono meramente ordinatori e la loro inosservanza non ha effetti invalidanti sulla sanzione assunta (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 27 giugno 2006, n. 10; Cons. Stato, Sez. VI, 17 gennaio 2008, n. 80; Cons. Stato, Sez. VI, 3 maggio 2010, n. 2506; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 14 febbraio 2012, n. 1491).
Anche il terzo motivo, relativo alle controdeduzioni difensive del ricorrente, va respinto.
La doglianza concerne, da un lato, l’omissione, nella contestazione degli addebiti, dell’avvertimento circa la facoltà  di proporre memorie difensive, dall’altro la mancata considerazione delle note prodotte dal ricorrente.
Il primo rilievo deve ritenersi superato alla luce del fatto che lo stesso L. deduce poi di avere presentato memorie che non sono state adeguatamente considerate dall’amministrazione, di tal che non sussiste alcun interesse a far valere tale omissione; quanto al secondo profilo deve per contro osservarsi come il provvedimento gravato contenga una dettagliata ricostruzione delle risultanze acquisite, ripercorrendo dettagliatamente tutti gli adempimenti istruttori svolti e riportando correttamente gli esiti del procedimento penale, dando specificamente conto anche delle vicende successive rispetto all’originaria imputazione; la motivazione dell’atto è quindi esaustiva, anche con riferimento alle esigenze cautelari sottese al provvedimento di sospensione, e non evidenzia omissioni in ordine alle osservazioni proposte dall’interessato.
Con il quarto motivo il ricorrente ha evidenziato che il nuovo provvedimento gli è stato notificato dopo oltre 179 giorni dalla scadenza della precedente sospensione, nonostante l’art. 919 citato prevedesse, alla scadenza del quinquennio, la revoca di diritto della sospensione precauzionale.
Deve tuttavia rilevarsi che il provvedimento gravato è stato adottato sulla base del disposto dell’art. 919 D.Lgs. 66/2010, secondo cui “Scaduto il quinquennio di cui al comma 1, se è ancora pendente procedimento penale per fatti di eccezionale gravità , l’amministrazione, valutato specificamente ogni aspetto oggettivo e soggettivo della condotta del militare, previa contestazione degli addebiti:
a) sospende l’imputato dal servizio ai sensi dell’articolo 917;
b) sospende il procedimento disciplinare ai sensi dell’articolo 1393”.
A sua volta l’art. 917 prevede la sospensione precauzionale dal servizio durante lo svolgimento del procedimento disciplinare di stato instaurato per fatti di notevole gravità  da cui possa derivare la perdita del grado.
Nel caso di specie, benchè sia caduta nel corso del giudizio penale l’accusa di associazione a delinquere, il ricorrente è stato condannato in primo grado e in appello per il reato di peculato; la condanna in appello è stata annullata con rinvio dalla Corte di Cassazione unicamente in relazione alla mancata considerazione dell’istanza del ricorrente di “patteggiamento in appello”, ovvero di applicazione della pena concordata con il pubblico ministero.
Di conseguenza l’Amministrazione ha fatto corretta applicazione della norma citata, ricorrendo la pendenza del procedimento penale per fatti di eccezionale gravità  per un appartenente alle forze dell’ordine quale il ricorrente.
Con il quinto motivo di doglianza questi ha lamentato violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 7 L. 241/90 ed eccesso di potere sotto vari profili, in quanto la contestazione di addebito era fondata sull’imputazione iniziale per tutti i reati oggetto dell’indagine, senza tenere conto del venir meno di alcune delle incolpazioni all’esito del giudizio.
La censura deve essere disattesa.
La potestà  disciplinare, infatti, opera in sfera diversa da quella che inerisce al magistero penale, tant’è che di regola anche le formule assolutorie, fatta eccezione della pronuncia perchè il fatto non sussiste, ovvero l’imputato non lo ha commesso, non precludono l’ingresso all’azione disciplinare e neanche la sentenza penale di proscioglimento preclude che il medesimo comportamento possa essere qualificato dall’amministrazione come illecito disciplinare; nel caso in esame, essendo caduta come detto solo una delle ipotesi accusatorie, quella di associazione a delinquere, non può ritenersi venuto meno il disvalore del fatto e, quindi, il potenziale discredito per l’istituzione della quale il L. fa parte, con conseguente permanenza delle condizioni che giustificano il ricorso alla sospensione precauzionale.
Alla luce di tali considerazioni va respinta anche la censura di contraddittorietà  nell’operato dell’Amministrazione, in quanto il primo provvedimento è stato adottato a seguito del rinvio a giudizio per tutti i reati ed il secondo dopo la condanna in grado di appello per peculato, di tal che, pur essendo venuta meno una delle contestazioni, si è invece aggravato il quadro accusatorio relativo all’altra.
La valutazione dell’Amministrazione appare quindi immune dalle censure dedotte.
Conclusivamente il ricorso va respinto.
La peculiarità  della controversia e la novità  di alcune delle questioni prospettate giustificano la compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sede di Bari (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità  amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 20 febbraio 2013 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Corrado Allegretta, Presidente
Francesco Cocomile, Referendario
Francesca Petrucciani, Referendario, Estensore
 
 
 
 

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 03/04/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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