Pubblico impiego – Rapporto di Servizio – Ricostruzione della carriera – Ricercatori universitari – Questione di legittimità costituzionale art. 9 comma 21 D.L. n. 78/2010, convertito con modificazioni nella L. n. 122/2010 – Rilevanza e non manifesta infondatezza
Appare rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità dell’art. 9, comma 21 D.L. n. 78/2010, come convertito in L. n. 122/2010, per contrasto con gli artt. 3, 36, 97 e 53 della Costituzione. L’estensione del blocco alla maturazione delle classi e scatti di stipendio ad un triennio crea infatti una paralisi nella progressione stipendiale dei ricercatori universitari. Inoltre, la doverosità della prestazione e il fatto che il gettito scaturente dal prelievo sia destinato alla pubblica spesa permettono di attribuire natura tributaria alla normativa in questione e, indirizzandosi questa ad una limitata categoria di contribuenti, si pone in violazione dell’art. 53 Cost., dunque in violazione dei canoni di uniformità . Da ultimo, la norma, nella parte in cui esclude qualsiasi possibilità di “successivo recupero” degli incrementi stipendiali oggetto del blocco, determina un’evidente alterazione del meccanismo di adeguamento delle retribuzioni di cui all’art. 24 della L. n. 448/1998, finalizzato a salvaguardarne il valore reale rispetto all’aumento del costo della vita.
N. 00428/2013 REG.PROV.COLL.
N. 02006/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 2006 del 2011, proposto da:
Fulvio Ciriaco, Edmondo Ceci, Elvira De Giglio, Anna Rosa Mangone, Lucia D’Accolti, Daniela Mastrorilli, Custode Fiorello, Paolo Buono, Antonio Piccinno, Giuseppina Piazzolla, Stefania Massaro, Elibetta Venezia, Rocco Addante, Luisa Derosa, Annalisa Vinnella, Paolo Resta, Eugenio Cazzato, Angela Muschitiello, Maria Benedetta Saponaro, Vito Marchione, Fabio Manca, Ylenia De Luca, Fabio Milillo, Vera Amicarelli, Annarita Paiano, Anna Vita, Paola Bianco, Paola Serlenga, Annalisa De Boni, Domenico Carlucci, Anna Civita, Mauro Gianfranco Bisceglia, Pasquale Ardimento, Pierluca Massaro, Claudia Marin, Maria Teresa Baldassare, Danilo Caivano, Giuseppe Visaggio, Caterina Rizzo, Anna Loreta Concetta De Macina, rappresentati e difesi dagli avv.ti Angela Rotondi e Massimo Vernola, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Bari, via Dante, 97;
contro
Università degli Studi di Bari, in persona del Rettore pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Gaetano Prudente e Simona Sardone, con domicilio eletto in Bari, presso l’Ufficio Legale dell’Ateneo in piazza Umberto I 1;
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari, domiciliata in Bari, via Melo, 97;
per l’annullamento
delle comunicazioni datate 13.9.2011, tutte dal contenuto identico, del Rettore dell’Università degli Studi di Bari inviate singolarmente a tutti i ricorrenti, rispettivamente con i numeri di protocollo progressivi meglio indicati nell’indice dei documenti, con cui in relazione alla richiesta sull’ applicazione in loro favore dell’art. 9, comma 21, della legge 30.7.2010 n. 122 (blocco progressione automatica) è stato comunicato che per la relativa applicazione non vi è necessità di alcun provvedimento;
nonchè per l’accertamento
del diritto dei ricorrenti ad ottenere il riconoscimento e l’applicazione per il triennio 2011, 2012 e 2013 della progressione automatica delle classi e degli scatti di stipendio previsti per lo status e l’anzianità di servizio dei ricercatori universitari ed il conseguente accertamento del diritto ai relativi adeguamenti della retribuzione;
e per la conseguente condanna
dell’Università degli Studi di Bari alla ricostruzione della carriera sotto il profilo giuridico ed economico, ed al pagamento delle somme dovute per i conseguenti scatti stipendiali dei ricorrenti con riferimento al triennio 2011/2013, oltre rivalutazione monetaria ed interessi sino al soddisfo.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi di Bari e del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 febbraio 2013 la dott. Francesca Petrucciani e uditi per le parti i difensori avv.ti Massimo Vernola, Cecilia Antuofermo, per delega dell’avv. Simona Sardone, e Grazia Matteo;
Con il ricorso in epigrafe vengono impugnate le note, indirizzate a ciascuno dei ricorrenti, con le quali l’Università di Bari ha comunicato che l’applicazione dell’art. 9, comma 21, L. 122/2010, di conversione del D.L. 78/2010, opera in modo automatico senza necessità di alcun provvedimento da parte dell’amministrazione.
La norma citata prevede che i meccanismi di adeguamento retributivo previsti per il personale non contrattualizzato dall’art. 24 L. 448/98 non si applicano per gli anni 2011, 2012 e 2013 e non danno luogo a successivi recuperi; inoltre per le categorie di personale che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti previsti dai rispettivi ordinamenti, mentre le progressioni di carriera hanno effetto a fini solo giuridici.
Con il primo motivo i ricorrenti hanno contestato l’erronea applicazione di tale norma, dell’art. 6, comma 14, L. 240/2010, dell’art. 3 ter L. 1/2009 e l’eccesso di potere sotto vari profili.
L’art. 3 ter della L. 1/2009, infatti, ha previsto che gli scatti stipendiali biennali, a decorrere dal 2011, debbano essere disposti previo accertamento dell’effettuazione, nel biennio precedente, di pubblicazioni scientifiche e che la mancanza di tale requisito comporta la diminuzione della metà dello scatto; allo stesso modo con l’art. 6, comma 14 della L. 240/2010, che ha disposto la trasformazione dello scatto da biennale in triennale, è stato introdotto un meccanismo di valutazione ogni tre anni dell’attività svolta al fine dell’attribuzione degli scatti.
Per effetto di tali riforme, quindi, i ricercatori universitari non usufruirebbero più di un meccanismo di progressione stipendiale automatica, con conseguente esclusione dall’applicazione del blocco degli scatti previsto dall’art. 9 D.L. 78/2010.
Con il secondo motivo è stata richiesta la disapplicazione del citato art. 9 per contrasto con gli artt. 36 e ss. del Trattato U.E. e con gli artt. 1 e 2 della Dir. C.E. 2000/78, non essendo giustificata la disparità di trattamento tra i dipendenti universitari e le altre categorie non contrattualizzate.
Infine, per il caso in cui questo Tribunale dovesse ritenere applicabile l’art. 9, comma 21. D.L. 78/2010, non aderendo all’interpretazione offerta dai ricorrenti, è stata contestata l’illegittimità costituzionale della norma in questione, per violazione degli artt. 1, 3, 36, 53 e 97 Cost..
L’Università resistente si è costituita in giudizio, contestando la fondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto.
Alla pubblica udienza del 6 febbraio 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.
La questione di legittimità costituzionale dell’art. 9 comma 21 D.L. 31.5.2010 n. 78, convertito con modificazioni nella L. 30.7.2010 n. 122, appare rilevante e non manifestamente infondata per le motivazioni che seguono.
I ricorrenti censurano l’art. 9 comma 21 D.L. 31.5.2010 n. 78 secondo cui “per le categorie di personale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti. Per il personale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici”.
Le norme di cui all’art. 9, comma 21, del D.L. n. 78 del 2010 prevedono dunque il blocco, per il triennio 2011 – 2013 e senza possibilità di “successivi recuperi”: a) dei “meccanismi di adeguamento retributivo” previsti dall’articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448; b) degli automatismi stipendiali (classi e scatti) correlati all’anzianità di servizio; c) di ogni effetto economico delle “progressioni di carriera”, comunque denominate, conseguite nel triennio 2011 – 2013.
Per quanto riguarda i criteri di adeguamento retributivo di cui all’art. 24 L. 448 del 1998, tale disposizione prevede che “a decorrere dal 1° gennaio 1998 gli stipendi, l’indennità integrativa speciale e gli assegni fissi e continuativi dei docenti e dei ricercatori universitari (¦) sono adeguati di diritto annualmente in ragione degli incrementi medi, calcolati dall’ISTAT, conseguiti nell’anno precedente dalle categorie di pubblici dipendenti contrattualizzati sulle voci retributive, ivi compresa l’indennità integrativa speciale, utilizzate dal medesimo Istituto per l’elaborazione degli indici delle retribuzioni contrattuali” (comma 1); ai sensi del comma 2 della stessa disposizione, “la percentuale dell’adeguamento annuale prevista dal comma 1 è determinata entro il 30 aprile di ciascun anno con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta dei Ministri per la funzione pubblica e del tesoro, del bilancio e della programmazione economica”; sempre il comma 2 stabilisce che “a tal fine, entro il mese di marzo, l’ISTAT comunica la variazione percentuale di cui al comma 1”, e che “qualora i dati necessari non siano disponibili entro i termini previsti, l’adeguamento è effettuato nella stessa misura percentuale dell’anno precedente, salvo successivo conguaglio”.
Per quanto concerne invece gli automatismi stipendiali legati all’anzianità di servizio, il vigente sistema (a partire dal D.P.R. n. 382 del 1980, recante “Riordinamento della docenza universitaria”, e con le modifiche e gli aggiustamenti susseguitisi negli anni) prevede che la progressione economica dei ricercatori delle università si sviluppa in una serie di “classi” biennali di stipendio, al conseguimento di ciascuna delle quali corrisponde uno “scatto” stipendiale. In applicazione del citato comma 21 dell’art. 9, pertanto, per l’intero triennio 2011 – 2013 le retribuzioni dei ricercatori sono escluse tanto dai meccanismi di adeguamento di cui all’art. 24 della L. n. 448 del 1998, tanto dall’applicazione degli aumenti retributivi (“scatti” e “classi” di stipendio) collegati all’anzianità di ruolo; adeguamenti ed aumenti ricominceranno a decorrere a partire dal 2014, con espressa esclusione, però, di ogni possibilità di “recupero” degli adeguamenti e degli scatti che sarebbero spettati per il triennio 2011 – 2013.
Preliminarmente deve evidenziarsi la rilevanza nel presente giudizio della questione prospettata, in quanto la normativa richiamata è stata correttamente applicata ai ricorrenti, con ciò incidendo sulla relativa retribuzione.
La rilevanza della questione discende, infatti, dalla infondatezza del primo motivo di impugnazione, relativo alla dedotta inapplicabilità del blocco stipendiale nei confronti dei ricercatori universitari atteso il venir meno del sistema di progressione stipendiale automatica (presupposto per l’operatività dei tagli secondo il disposto dell’art. 9 D.L. 78/2010) per effetto delle successive riforme dell’ordinamento universitario.
In primo luogo deve evidenziarsi, al riguardo, come l’art. 6, comma 14, e l’art. 8 della L. 240/2010 abbiano espressamente fatto salvo quanto disposto dallo stesso D.L. n. 78/2010, di tal che, dato il tenore letterale della norma, deve ritenersi che le modifiche introdotte non incidano negativamente sull’applicazione delle disposizioni finalizzate al contenimento della spesa.
A ciò si aggiunga che, come già evidenziato dalla giurisprudenza in materia, la nozione di “progressione automatica” contenuta nel detto comma 21 non va riferita al singolo lavoratore interessato, il quale non ha effettivamente giuridica certezza del conseguimento dell’aumento di stipendio, rimesso in concreto ad una valutazione del datore di lavoro, ma va riguardata dal punto di vista del bilancio pubblico, alla cui salvaguardia è preordinato lo stesso D.L. n. 78/2010, bilancio che viene “automaticamente” intaccato, a seguito della maturazione degli scatti stipendiali, dovendosi stanziare appositi fondi a copertura di tutti gli interessati potenzialmente idonei (T.A.R. Lombardia, Milano, 8 giugno 2012, n. 1627, T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, ord. n. 311/2012).
Deve pertanto ritenersi che, benchè per i singoli interessati l’attribuzione degli scatti stipendiali sia eventuale, dipendendo dalle valutazioni previste dalla legge, il fatto che gli scatti non siano dipendenti dall’esito di procedure selettive, tali da ridurre l’importo complessivo dell’incremento degli oneri per il personale, ai fini della previsione della spesa nel bilancio dello Stato, comporta la necessaria previsione e l’accantonamento di un finanziamento pari agli incrementi stipendiali spettanti a “tutti” coloro che potenzialmente sono in grado di conseguire gli scatti medesimi.
Il sistema retributivo in questione, pertanto, nonostante preveda comunque la ricorrenza di alcune condizioni il cui difetto comporta “la perdita del diritto all’aumento periodico di stipendio” (art. 11, comma 12, D.Lgs. 5.4.2006 n. 160), non perde la sua caratteristica fondamentale, incentrata su un sistema automatico di collegamento dell’andamento delle retribuzioni con quelle del pubblico impiego (T.A.R. Lombardia, Milano, ord. n. 59/2012).
Infatti la progressione stipendiale nell’ambito della vita professionale dei ricorrenti è prefigurabile ex ante, in relazione al decorso del tempo, ed alla conseguenze maturazione degli “scatti”, ed in ciò deve considerarsi “automatica”, in quanto non subordinata ad eventi estranei alla sfera lavorativa degli interessati, quali ad esempio determinazioni assunte in sede di contrattazione collettiva, o superamento di procedure concorsuali tra più aspiranti. Anche se il datore di lavoro può negare gli avanzamenti per coloro che non hanno dimostrato un minimo “impegno didattico, di ricerca e gestionale”, in applicazione della nuova normativa, ed in attuazione dei principi di cui all’art. 97 Cost., ciò non toglie che i ricorrenti continuino a fare parte di un sistema in cui gli avanzamenti stipendiali sono appunto “automaticamente” previsti, e concretamente ottenibili in conseguenza dell’anzianità di servizio.
Dunque, alla luce della ritenuta infondatezza di tale motivo di impugnazione, se non fosse posta la questione di costituzionalità , la pretesa dei ricorrenti sarebbe infondata e da respingersi sotto tutti i profili dedotti, in quanto l’Università di Bari ha fatto correttamente applicazione delle disposizioni di legge in vigore.
Passando all’esame della non manifesta infondatezza della questione, vanno vagliate le singole censure di incostituzionalità sollevate.
I ricorrenti hanno dedotto l’illegittimità costituzionale della disciplina in esame poichè violerebbe gli artt. 1, 3, 36, 53 e 97 della Costituzione.
Con un primo ordine di argomenti si deduce la violazione da parte del legislatore dei criteri di ragionevolezza e ponderazione, posti a presidio del principio di uguaglianza di cui all’art. 3, comma 2, Cost., non avendo i sacrifici imposti carattere meramente temporaneo, ma essendo al contrario destinati a produrre effetti permanenti.
In passato la Corte Costituzionale ha già scrutinato la legittimità di una normativa analoga a quella contestata nel presente giudizio.
In particolare, con riferimento all’art. 7 del D. L. n. 384 del 1992, convertito in L. n. 438 del 1992, che stabiliva che “per l’anno 1993 non trovano applicazione le norme che comunque comportano incrementi retributivi in conseguenza sia di automatismi stipendiali, sia dell’attribuzione di trattamenti economici, per progressione automatica di carriera”, la Corte, dato che atto che la normativa in questione era stata emanata “in un momento delicato della vita nazionale”, avente “la finalità di realizzare, con immediatezza, un contenimento della spesa pubblica”, ne ha riconosciuto la legittimità , atteso che il blocco “esauriva i suoi effetti nell’anno considerato, limitandosi a impedire erogazioni per esigenze di riequilibrio del bilancio” (sentenza 18 luglio 1997, n. 245), affermando che la siffatta norma, nell’imporre sacrifici anche onerosi, poteva ritenersi non lesiva del principio di cui all’art. 3 della Costituzione, sotto il duplice aspetto della non contrarietà sia al principio di uguaglianza sostanziale, sia a quello della non irragionevolezza, a condizione però che i suddetti sacrifici siano eccezionali, transeunti, non arbitrari e consentanei allo scopo prefisso.
La fattispecie in esame non pare pertanto riconducibile ai citati precedenti già esaminati dalla Corte Costituzionale poichè, a differenza di tali ipotesi, in cui le misure restrittive erano temporalmente circoscritte ad un solo anno, difetta ora nella sostanza quel requisito dell’eccezionalità e temporaneità della disciplina, che aveva consentito alla stessa Corte di rigettare le prospettate questioni di costituzionalità .
L’estensione del blocco alla maturazione delle classi e scatti di stipendio ad un triennio crea infatti una vera e propria paralisi nella progressione stipendiale dei ricorrenti, non comparabile ai seppur gravosi effetti prodotti dal citato art. 7 D.L. n. 384/1992, che in quanto circoscritti ad un anno potevano essere considerati una limitata parentesi meramente temporanea, priva di un vero e proprio carattere di stabilità ; in tal senso, peraltro, la Corte si è pronunciata con la sentenza n. 223/2012 in materia di blocco dell’adeguamento automatico del trattamento economico dei magistrati, previsto dal medesimo art. 9 D.L. 78/2010.
Ad ulteriore conferma della natura non “eccezionale” e non “transeunte” della disciplina, si consideri come di recente il D.L. n. 98 del 2011, convertito nella l. n. 111 del 2011, all’art. 16, comma 1, lett. b, preveda la “proroga fino al 31 dicembre 2014 delle vigenti disposizioni che limitano la crescita dei trattamenti economici anche accessori del personale delle pubbliche amministrazioni previste dalle disposizioni medesime”.
Inoltre, alla luce delle considerazioni sopra svolte emerge anche che la riduzione stipendiale non è legata alla situazione economica contingente, proprio in quanto idonea a protrarre i propri effetti per le annualità successive lungo tutta la carriera del dipendente, di tal che anche sotto profilo risultano violati i parametri individuati dalla Corte per la legittimità di norme di tale contenuto.
Per la ragioni sopra esposte deve dubitarsi della legittimità costituzionale dell’art. 9 comma 21 del D.L. n. 78/2010, per violazione dell’art. 3 comma 2 Cost..
Le considerazioni sopra svolte inducono, altresì, ad affrontare il tema della possibile natura tributaria della normativa in questione, ciò che porterebbe a dubitare della sua compatibilità con i principi espressi dall’art. 53 Cost..
In base alla consolidata giurisprudenza della Corte Costituzionale, il nomen juris di volta in volta utilizzato dal legislatore non è infatti qualificante ai fini dell’individuazione della natura tributaria di una norma, dato che la stessa deve essere considerata istitutiva di un prelievo quando abbia le caratteristiche essenziali dell’imposizione tributaria, essendo infatti ininfluente, ai fini del giudizio di costituzionalità , l’autoqualificazione legislativa del prelievo e la conseguente necessità di desumere la natura del prelievo stesso dalla sola disciplina posta dal legislatore ordinario (Corte Costituzionale 8 maggio 2009 n. 141).
Premesso quanto precede, ritiene il Collegio che la normativa impugnata possieda i caratteri sostanziali richiesti dalla Corte Costituzionale, onde riconoscere la natura tributaria di una disposizione (Corte Cost. 23 maggio 2008, n. 168, 14 marzo 2008, n. 64).
In primo luogo, pare evidente la doverosità della prestazione, posta in essere mediante l’imposizione di un sacrificio economico individuale, realizzata attraverso un atto autoritativo di carattere ablatorio, venendo ad incidere su un trattamento economico già prefigurato, con una modalità unilateralmente predeterminata dal legislatore, alla quale nè l’ente datore nè lo stesso lavoratore possono sottrarsi.
Secondariamente, il gettito scaturente dal prelievo è destinato alla pubblica spesa, come desumibile dallo stesso tenore letterale della normativa in esame; il D.L. n. 78/2010 detta infatti “misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria”, laddove l’articolo in questione è espressamente dedicato al “contenimento delle spese in materia di impiego pubblico”.
La natura tributaria della normativa in questione trova infine conferma nel carattere non sinallagmatico dell’imposizione, operata senza che a fronte di essa possa individuarsi una controprestazione da parte dell’ente pubblico, o una riduzione delle prestazioni contrattualmente richieste, nel “presupposto economicamente rilevante” dei sacrifici imposti, e nella più volte evidenziata stabilità nel tempo delle disposizioni di cui al citato comma 9 dell’art. 21 D.L. n. 78/2010.
Chiarite le ragioni che inducono il Collegio ad attribuire natura tributaria alla detta norma, occorre chiedersi se la stessa superi il vaglio di compatibilità con l’art. 53 Cost..
Osserva in proposito il Collegio che, come già evidenziato nelle ordinanze di rimessione alla Corte Costituzionale n. 311/2012 del T.A.R. Calabria e n. 1691/2012 del T.A.R. Lombardia-Milano, il detto prelievo si è indirizzato nei confronti di una ben limitata categoria di contribuenti, accomunati dall’avere la parte pubblica quale datore di lavoro, risultando così esentati dall’imposizione straordinaria, nonostante l’eccezionalità della situazione economica, tutti gli altri contribuenti, pure in possesso di rilevanti redditi, non rientranti nella predetta categoria, da cui la possibile violazione dei principi di cui all’art. 53 Cost..
L’imposizione contributiva e fiscale deve infatti essere improntata a canoni di uniformità , che nell’ammontare dei cespiti patrimoniali, individuino un criterio certo e non discriminatorio di identificazione della capacità contributiva.
La Costituzione non impone affatto una tassazione fiscale uniforme, con criteri assolutamente identici e proporzionali per tutte le tipologie di imposizione tributaria, ma esige invece un indefettibile raccordo con la capacità contributiva, in un quadro di sistema informato a criteri di progressività , come svolgimento ulteriore, nello specifico campo tributario, del principio di eguaglianza, collegato al compito di rimozione degli ostacoli economico-sociali esistenti di fatto alla libertà ed eguaglianza dei cittadini-persone umane, in spirito di solidarietà politica, economica e sociale (Corte Costituzionale, 24 luglio 2000, n. 341).
Il principio di capacità contributiva, come criterio diretto ad orientare la discrezionalità del legislatore in ordine alla prefigurazione e configurazione degli obblighi tributari, comporta che a situazioni uguali, sul piano della capacità contributiva, corrispondano obblighi uguali, di tal che il sacrificio patrimoniale che per contingenti ragioni di contenimento della spesa pubblica, incida solo sulla condizione e sul patrimonio di una determinata categoria di lavoratori, lasciando indenni, a parità di capacità reddituale, altre categorie, dà adito a dubbi di compatibilità costituzionale per contrasto con l’art. 53 Cost..
Tale articolo pare peraltro violato anche sotto altro profilo, evidenziato dagli stessi ricorrenti, sebbene con riferimento al solo art. 3 Cost, poichè il legislatore non avrebbe regolamentato la sospensione degli scatti di anzianità , modulando le disposizioni di legge in modo differente, a seconda del momento in cui doveva intervenire lo scatto.
Infatti, per chi aveva già maturato lo scatto nel 2010, risulterebbe perso solo uno scatto, quello del 2012, ricominciando poi la progressione stipendiale a decorrere nel 2014, mentre, a titolo esemplificativo, per chi abbia maturato lo scatto nel 2009 si perderanno due aumenti, quello del 2011 e quello del 2013, con conseguente irragionevole sperequazione sulla carriera e sul trattamento economico degli interessati.
Infine il blocco presenta una spiccata incidenza regressiva, in violazione dell’art. 53 Cost..
La decurtazione in questione influisce effettivamente nella stessa misura percentuale praticamente per tutti i ricercatori, incidendo quindi nella medesima proporzione su tutti gli stipendi, a prescindere dalla loro consistenza, mentre, ai sensi dell’art. 53 della Costituzione, nell’imporre a tutti i dipendenti universitari un sacrificio in nome di esigenze di contenimento della spesa pubblica, una corretta applicazione, oltre che del principio di “capacità contributiva”, anche del criterio della “progressività ” (art. 53 cost.), avrebbe imposto una partecipazione più significativa, in termini percentuali, per coloro che sono titolari di stipendi più alti.
Il blocco in questione non solo non rispetta alcun criterio di progressività ma, al contrario, produce un effetto addirittura regressivo, colpendo pertanto in misura maggiore proprio gli stipendi più bassi. Gli “scatti” stipendiali conseguenti alla maturazione delle diverse “classi” di stipendio non operano infatti in modo omogeneo, ma sono profondamente diversificati, decrescendo con il progredire dell’anzianità di ruolo. E’ quindi palese che, a seguito del blocco degli scatti, l’effetto sulle retribuzioni è di gran lunga più incisivo sulle classi di stipendio più basse.
Va infine rilevata la possibile illegittimità costituzionale della norma in questione, nella parte in cui esclude qualsiasi possibilità di “successivo recupero” degli incrementi stipendiali oggetto del blocco, per violazione del principio di eguaglianza e ragionevolezza (art. 3 Cost.) e del principio di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.), anche con riferimento al diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato (art. 36 Cost.).
Il meccanismo introdotto con l’art. 9, comma 21, comporta l’esclusione di qualsiasi recupero successivo degli scatti, rispetto ai “meccanismi di adeguamento retributivo”, di cui all’articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448; ogni possibilità di recupero è poi esclusa anche per quanto attiene alla “maturazione delle classi e degli scatti di stipendio”, e l’anzianità di servizio riprenderà a decorrere, a partire dal 2014, come se il triennio 2011 – 2012 – 2013 non fosse mai esistito.
Ne deriva che non solo per il triennio in esame ciascun ricercatore non gode nè dei meccanismi di adeguamento retributivo nè degli aumenti automatici legati all’anzianità , ma, a partire dal 2014, i meccanismi di adeguamento e gli scatti riprenderanno a decorrere, saltando del tutto lo stesso triennio, i cui effetti sull’anzianità di carriera e sui correlati istituti saranno perduti definitivamente.
Si genera così un’evidente alterazione del meccanismo di adeguamento delle retribuzioni di cui all’art. 24 della l. n. 448 del 1998, finalizzato a salvaguardarne il valore reale rispetto all’aumento del costo della vita; ne consegue la violazione, per irragionevolezza ed illogicità , degli artt. 3, 36 e 97 Cost. per le ragioni esposte in epigrafe.
Peraltro, quando in passato si è ritenuto di dover intervenire sui meccanismi di “adeguamento retributivo” di cui all’art. 24 della l. n. 448 del 1998 per ridimensionarne temporaneamente la portata (in misura e con effetti, peraltro, nettamente più modesti di quanto accade oggi), è stato previsto espressamente che, pur rimanendo esclusa la corresponsione di arretrati, l’adeguamento riprendesse a decorrere al cessare della misura temporanea, senza cancellare gli effetti del tempo decorso (cfr. l’art. 1, comma 576, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 – finanziaria 2007; l’art. 69 del D. L. n. 112 del 2008).
L’irragionevolezza della preclusione si apprezza maggiormente con la comparazione delle posizioni dei dipendenti “contrattualizzati”, per i quali non sembra essere operante il medesimo vincolo.
Tanto premesso, ai sensi dell’art. 23, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, ritenendola rilevante e non manifestamente infondata, questo Tribunale solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, del D.L. 31 marzo 2010 n. 78, come convertito in L. 30 luglio 2010 n. 122, per contrasto con gli artt. 3, 36, 97 e 53 della Costituzione, secondo i profili e per le ragioni sopra indicate, con sospensione del giudizio fino alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana della decisione della Corte Costituzionale sulle questioni indicate, ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 79 ed 80 c.p.a. e 295 c.p.c..
Va riservata alla sentenza definitiva ogni ulteriore decisione, nel merito e sulle spese.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sede di Bari (Sezione Prima), visti gli artt. 79, comma 1, c.p.a. e 23 L. 11.3.1953, n. 87, ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21 del D.L. 31.5.2010 n. 78 convertito, con modificazioni, in L. 30.7.2010 n. 122, in relazione agli artt. 3, 36, 97, e 53 della Costituzione, dispone la sospensione del giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.
Rinvia ogni definitiva statuizione in rito, nel merito e sulle spese di lite all’esito del promosso giudizio incidentale, ai sensi dell’art. 79 ed 80 del c.p.a..
Ordina che, a cura della Segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei Ministri.
Manda alla Segreteria per gli adempimenti di rito.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 6 febbraio 2013 con l’intervento dei magistrati:
Corrado Allegretta, Presidente
Giacinta Serlenga, Primo Referendario
Francesca Petrucciani, Referendario, Estensore
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 25/03/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)