1. Risarcimento del danno – Danno non patrimoniale – Quantificazione – Cumulabilità di svalutazione ed interessi – Presupposti
2. Risarcimento del danno – Danno non patrimoniale – Quantificazione – Cumulabilità di svalutazione – Fattispecie
1. In caso di risarcimento del danno c.d. biologico, il debito risarcitorio è debito di valore, perchè la moneta costituisce solo la misura economica della lesione subita e deve essere espressione del valore del bene quantificato al momento della liquidazione. In questa fattispecie la rivalutazione ha lo scopo di sottrarre il creditore al rischio della svalutazione ed ha funzione diversa rispetto agli interessi. La prima mira, infatti, alla reintegrazione effettiva della situazione patrimoniale del danneggiato mentre i secondi hanno natura compensativa per la mancata disponibilità della somma. Conseguentemente, le due voci sono cumulabili.
2. Sebbene in materia di risarcimento del danno vi sia un recente orientamento giurisprudenziale che esclude la cumulabilità di interessi e rivalutazione monetaria, in mancanza di esplicita indicazione in tal senso nella motivazione della sentenza si deve escludere che il Giudice abbia inteso aderirvi, trattandosi di orientamento non ancora consolidato.
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Vedi Cons. St., sez. III, sentenza 7 marzo 2013, n 1384 – 2013 ric. n. 876 – 2013
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N. 01890/2012 REG.PROV.COLL.
N. 00668/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 668 del 2012, proposto da:
G. D. C., rappresentato e difeso dall’avv. Domenico Porcelluzzi, con domicilio eletto presso Giuseppe Trisorio Liuzzi in Bari, via Andrea Da Bari n.35;
contro
Ministero della Salute, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari, domiciliata in Bari, via Melo, n.97;
per l’ottemperanza
per l’esecuzione del giudicato formatosi sulla sentenza n. 1444/10 emessa dal Tribunale di Bari il 14.04.2010 e depositata il 26.04.2010;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero della Salute;
Viste le memorie difensive;
Visto l ‘art. 114 cod. proc. amm.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 25 ottobre 2012 il dott. Desirèe Zonno e uditi per le parti i difensori avv. D.co Porcelluzzi e avv. dello Stato Giovanni Cassano;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Il ricorrente agisce in questa sede per ottenere la corretta esecuzione della sentenza del Tribunale di bari n. 1444/2010 con cui il Ministero della Salute è stato condannato a risarcirgli il danno biologico derivante da emotrasfusione con conseguente contagio di epatite C.
La condanna ha contemplato una somma a titolo di sorte capitale (Euro 70.151,95), oltre interessi legali da marzo 1982 sulla somma via via rivalutata con cadenza annuale dal marzo 1982 alla data odierna (cioè del deposito della sentenza, n.d.e.), secondo gli indici ISTAT del costo della vita.
In sede di esecuzione spontanea della stessa, il Ministero ha liquidato sulla somma capitale – ed a titolo di accessori – solo gli interessi legali, escludendo qualsivoglia voce accessoria a titolo di rivalutazione, ritenendo che la sentenza tanto imponesse (in quanto la condanna contemplava solo gli interessi legali).
Il ricorrente sostiene, invece, che trattandosi di debito di valuta, la rivalutazione competa necessariamente e per ciò vada liquidata dal Ministero.
All’udienza del 25.10.2012 la causa è stata trattenuta in decisione.
Il ricorso è fondato.
La motivazione della sentenza chiarisce che la condanna è stata pronunciata a titolo di risarcimento del c.d. danno biologico.
E’ principio pacifico in giurisprudenza e dottrina che il debito risarcitorio è debito di valore – e non di valuta – perchè la moneta costituisce solo la misura economica della lesione subita.
La rivalutazione ha funzione, nei debiti di valore, di sottrarre il creditore al rischio di svalutazione, poichè la somma di danaro deve essere espressione del valore del bene rapportato al momento della liquidazione.
Non a caso la liquidazione viene concessa dal giudice anche in assenza di una esplicita domanda.
Essa, infatti, ha funzione diversa rispetto agli interessi, mirando la prima alla reintegrazione effettiva della situazione patrimoniale del danneggiato, mentre i secondi hanno natura compensativa per la mancata disponibilità della somma.
Le due voci sono, pertanto, cumulabili.
Per ciò il credito del ricorrente comporta necessariamente la rivalutazione, per adeguare il valore che il bene della vita, di cui il danneggiato è stato privato, ha al momento dell’illecito (cioè il marzo 1982) all’attualità (cioè alla data della pronuncia giudiziaria).
D’altro canto il chiaro riferimento, nel corpo della motivazione della sentenza de qua, alle somme via via rivalutate non può che significare che la sorte capitale vada effettivamente rivalutata (non solo ai fini del calcolo degli interessi), in quanto è contrario a logica che si possano calcolare gli accessori (cioè gli interessi) su di una somma comprensiva della rivalutazione, se la rivalutazione della stessa non compete.
In altri termini: se la rivalutazione concorre a determinare la base capitale su cui calcolare gli interessi, allora essa è dovuta quale voce accessoria autonoma. Ovvero, se non è dovuta, allora non va computata nemmeno nella base di calcolo su cui computare gli interessi.
E’ ben vero che esiste un diverso orientamento della più recente giurisprudenza che tende ad escludere il cumulo, ma, da un lato esso è tutt’altro che consolidato (sicchè in mancanza di esplicita motivazione che aderisca a tale orientamento si deve escludere che il Giudice civile ad esso abbia voluto aderire); dall’altro tale orientamento, nell’escludere il cumulo non concede la rivalutazione ad alcun fine (cioè neppure per individuare la base di calcolo degli interessi).
Pertanto, il chiaro ed esplicito riferimento alle somme via via rivalutate quale base di calcolo degli accessori non può che significare che il Giudice abbia aderito all’orientamento prevalente e consolidato.
Il ricorso va per ciò accolto ed il Ministero dovrà adeguare il calcolo della somma da corrispondere, in ottemperanza della sentenza del Tribunale di Bari n. 1444/2010, ai principi di diritto appena enunciati.
All’Amministrazione va assegnato, per provvedere, in favore del ricorrente, il termine di giorni 60 (sessanta) dalla comunicazione, in via amministrativa (o dalla sua notificazione se anteriore), della presente decisione. Laddove non adempia correttamente, il Collegio provvederà a nominare un commissario ad acta con ulteriore aggravio delle spese a carico dell’amministrazione ed configurabilità di danno erariale a carico del funzionario che non ha tempestivamente adempiuto.
In del principio della soccombenza, il Ministero deve essere condannato a rimborsare al ricorrente le spese del giudizio, nonchè il compenso eventualmente dovuto al Commissario, così come successivamente liquidato.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Seconda), accoglie il ricorso e per l’effetto dichiara l’obbligo del Ministero della salute di adottare le determinazioni amministrative e contabili necessarie per dare esecuzione alla sentenza indicata in epigrafe, secondo il principio di diritto indicato in motivazione.
All’uopo assegna alla predetta Amministrazione il termine di giorni sessanta (60) dalla comunicazione o notificazione, anche a cura di parte, della presente sentenza, per ottemperare al giudicato.
Condanna il Ministero al pagamento, in favore della parte ricorrente delle spese e degli onorari del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 1.000, 00 .
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 25 ottobre 2012 con l’intervento dei magistrati:
Sabato Guadagno, Presidente
Antonio Pasca, Consigliere
Desirèe Zonno, Primo Referendario, Estensore
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 07/11/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)