1. Giurisdizione  – Giudizio impugnatorio- Successivo giudizio di danno – Giurisdizione del G.A. – Permane 


2. Processo amministrativo  – Giudizio di condanna   – Domanda per condanna a quantificazione di una condanna generica – Costituisce giudizio di ottemperanza


3. Processo amministrativo  – Giudizio di ottemperanza – Caratteri


4.  Giurisdizione  – A seguito di giudicato del G.A. in giurisdizione esclusiva – Permane in capo al G.A. per profili esecutivi della decisione di merito 


5. Processo amministrativo – Attuazione giudicato – Costituisce attuazione di un diritto soggettivo

1. La giurisdizione del G.A. resta ferma anche per il successivo giudizio concernente la qualificazione del danno, quando lo stesso giudice  ha deciso sul merito.


2. La domanda di condanna alla quantificazione di un titolo di condanna generica è uno strumento processuale per la liquidazione del credito riconosciuto ed è rappresentato dal giudizio di ottemperanza ex art. 112 c.p.a.; tale conclusione assicura  il rispetto del principio di effettività  della tutela.
 
3. L’art. 112 c.p.a. va interpretato nel senso che il G.A. deve individuare le catteristiche e le condizioni dell’esercizio dell’actio iudicatii. La disposizione si caratterizza per tre aspetti: 1) perchè codifica l’obbligo di esecuzione delle sentenze amministrative, facendo da pendant (per il giudicato amministrativo) con l’antica disposizione contenuta nell’art. 4, L. n. 2248/1865, all. E) nella parte in cui pone l’obbligo per le amministrazioni di conformarsi al giudicato dei Tribunali ordinari; 2) perchè estende la declaratoria dell’obbligo di esecuzione delle decisioni anche alle altre parti (anche private) che hanno partecipato al processo nel quale il giudicato si è formato; 3) perchè ritiene proponibile il giudizio di ottemperanza anche nei confronti di soggetti diversi dalla p.A. che sono comunque tenuti – proprio in base al primo comma – a eseguire i provvedimenti del giudice amministrativo.


4. Se il rapporto originario, conosciuto e vagliato nell’ambito del giudizio di cognizione, è affidato alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, è logico, coerente e consequenziale affermare che tale giurisdizione permanga in via esclusiva in capo allo stesso giudice anche quando si profili la necessità  di avviare rimedi esecutivi per ottenere l’ottemperanza della sentenza passata in giudicato, e ciò nei confronti di tutte le parti che partecipano al giudizio di cognizione.


5. L’attuazione di un giudicato corrisponde alla tutela di un diritto soggettivo affidata dal legislatore ordinario al giudice amministrativo.

N. 01409/2012 REG.PROV.COLL.
N. 01527/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1527 del 2010, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Giuseppe Francesco Margherita, rappresentato e difeso dall’avv. Piero Lorusso, con domicilio eletto presso Piero Lorusso in Bari, via P. Amedeo, n.234;
contro
Ferrovie del Sud Est e Servizi Automobilistici S.r.l., rappresentata e difesa dagli avv. Lucio Riccardi e Angelo R. Schiano, con domicilio eletto presso Lucio Riccardi in Bari, p.zza Umberto, n.32;
per
la condanna al pagamento di competenze retributive pretese in virtù della sentenza di condanna generica del Tar Puglia – Bari- n. 789/99;
nonchè (domanda proposta con ricorso per motivi aggiunti)
per il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti a seguito del ritardo nella esecuzione della sentenza.
 
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ferrovie del Sud Est e Servizi Automobilistici S.r.l.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 31 maggio 2012 il dott. Desirèe Zonno e uditi per le parti i difensori avv. Carmen Lucia Porta, sud elega dell’avv. P. Lorusso e avv. Pierfrancesco Ursini, su delega dell’avv. L. Riccardi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 
FATTO e DIRITTO
Espone in fatto il ricorrente, che il giudizio proviene da un lungo iter processuale iniziato con una azione dinanzi al Tar di condanna generica al pagamento dei compensi spettanti, accolta, per come riferisce parte ricorrente, nel ricorso, con sentenza di questo Tar, di condanna generica, n.789/99 (tale il numero testualmente indicato in ricorso, pagg. 2,3 e ss).
Il ricorrente ha successivamente adito questo stesso Tar per l’ottemperanza alla citata sentenza, ma il Giudice ha declinato la propria giurisdizione con sentenza n.2523/2003 (tale il numero testualmente indicato in ricorso, v. pag. 2), sul dirimente rilievo che il soggetto nei cui confronti si agiva in ottemperanza aveva perso la propria personalità  di diritto pubblico, in ragione della intervenuta privatizzazione, con conseguente inammissibilità  del giudizio di ottemperanza.
Ha, pertanto, adito il Giudice del lavoro (con procedimento monitorio da cui è scaturita un’opposizione del debitore, respinta in primo grado) per ottenere la liquidazione di quanto dovuto ma, in sede di appello sull’opposizione, la Corte d’Appello ha declinato la propria giurisdizione, ritenendola del G.A.
Proposto ricorso per Cassazione (che parte ricorrente definisce di regolamento di giurisdizione, ma che in realtà  deve qualificarsi come ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello, come è reso palese dalla circostanza che è stato definito con sentenza), la Suprema Corte, con decisione n.16193/2010, ha confermato la giurisdizione del G.A. sul presupposto che ” avendo il Tar Puglia, con la sentenza del 1999, affermato la propria giurisdizione e deciso il merito della causa con condanna generica al pagamento dei compensi spettanti, la giurisdizione AGA resta ferma anche per il successivo giudizio concernente la quantificazione.”
Con il presente ricorso il ricorrente chiede, pertanto, la liquidazione di quanto dovuto e accertato con condanna generica di cui alla sentenza “n.789/1999”.
Con motivi aggiunti chiede anche il risarcimento dei danni patrimoniali e non patititi per il ritardo nella liquidazione.
La difesa delle Ferrovie si incentra in primo luogo su di un’eccezione processuale.
La parte rappresenta l’intervenuta inammissibilità  del ricorso per intervenuta decadenza, essendo la controversia inerente pubblico impiego ormai privatizzato proposta (pur a considerare la data di instaurazione del giudizio monitorio dinanzi al G.L . 30.7.2003), dopo il previsto termine del 15.9.2000.
L’eccezione di parte resistente, sarebbe fondata, se non soccorresse il principio di riqualificazione e conversione della domanda di cui all’art. 32, co 2, c.p.a.
Se la domanda dovesse considerarsi domanda di condanna alla quantificazione di un titolo di condanna generica (per come chiarito dalla sentenza della Suprema Corte già  citata), dovrebbe rilevarsi che, anche a considerare come data iniziale di proposizione del ricorso quella del ricorso in ottemperanza dinanzi al Tar, non potrebbe che rilevarsi che esso risulta notificato e depositato nel 2003, quando cioè il termine decadenziale – di cui all’art. 69, co 7, d.lgs. 165/2001 – del 15 settembre 2000, era ormai decorso.(v. art. 69, co 7, d.lgs cit.: “Sono attribuite al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, le controversie di cui all’art. 63 del presente decreto, relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998. Le controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore a tale data restano attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo solo qualora siano state proposte, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000.”).
Si sarebbe, per ciò, verificata la decadenza prevista dalla legge.
Non può però rilevarsi che una conclusione di tal fatta determinerebbe un vuoto di tutela per il ricorrente, in quanto, la sentenza di condanna generica a sè favorevole, non troverebbe possibilità  alcuna di esecuzione, venendo a mancare lo strumento processuale per la liquidazione del credito riconosciuto in termini solo generici.
Siffatta conclusione urterebbe quindi, con il principio di effettività  della tutela e con un’interpretazione costituzionalmente orientata della fattispecie processuale oggetto di controversia.
Al Collegio si impone, pertanto, di verificare se vi siano altri strumenti processuali percorribili (diversi dalla qualificazione della domanda come azione di cognizione per la liquidazione di una condanna generica) che consentano di assicurare piena effettività  al ricorrente.
Tale strumento è senz’altro rappresentato dal giudizio di ottemperanza ex art. 112 c.p.a (il richiamo alla norma codicistica sopravvenuta non è casuale).
La qualificazione nei termini suddetti non incontra il limite del pregresso giudicato rappresentato dalla sentenza di questo Tar del 2003, con cui è stato dichiarato inammissibile il giudizio di ottemperanza per le ragioni innanzi esposte.
Infatti, la giurisprudenza all’epoca pacifica, fondata sul dato normativo vigente ratione temporis, che individuava nella (sopravvenuta) natura privata della parte condannata un limite all’ammissibilità  del giudizio esecutivo, risulta superata alla luce della novella normativa contenuta nel codice del processo.
Sul punto si ritiene opportuno rinviare al recente orientamento espresso dal Tar Sicilia – Catania, SEZ. I – sentenza 24 maggio 2012 n. 1312, secondo cui esiste un primo elemento di carattere testuale che indurrebbe a considerare ammissibile l’azione di ottemperanza “(anche) nei confronti della società  privata. Ci si riferisce in particolare alla disposizione di apertura del Titolo I del libro IV dedicato al Giudizio di ottemperanza nel Codice del processo amministrativo: l’art. 112 del c.p.a., infatti, esordisce affermando che “I provvedimenti del giudice amministrativo devono essere eseguiti dalla pubblica amministrazione e dalle altre parti”.
La disposizione si caratterizza per tre aspetti:
a) in primo luogo, perchè codifica l’obbligo di esecuzione delle sentenze amministrative, facendo da pendant (per il giudicato amministrativo) con la antica disposizione contenuta nell’art. 4 della L. 2248/1865, all. E, nella parte in cui pone l’obbligo per le amministrazioni di conformarsi al giudicato dei Tribunali (ordinari);
b) in secondo luogo, perchè estende la declaratoria dell’obbligo di esecuzione delle decisioni anche alle “altre parti” (in ipotesi, anche private) che hanno partecipato al processo nel quale il giudicato si è formato;
c) infine, perchè – relazionandola con il comma immediatamente successivo, che individua l’oggetto dell’azione di ottemperanza – autorizza ad operare un collegamento fra le due norme (ed in questo sta forse la novità  principale), ed a ritenere proponibile il giudizio di ottemperanza anche nei confronti di quei soggetti diversi dalla PA, che sono comunque tenuti – proprio in base al primo comma – ad eseguire i “provvedimenti del giudice amministrativo”. Si noti, sul punto, che mentre le norme previgenti che si occupavano del giudizio di ottemperanza innanzi al giudice amministrativo (segnatamente, l’art. 27, n. 4, del T.U. Consiglio di Stato, e l’art. 37 della L. Tar) si limitavano a disciplinare, sotto il profilo della competenza, l’azione volta “ad ottenere l’adempimento dell’obbligo dell’autorità  amministrativa” di conformarsi al giudicato, la nuova norma del Codice del processo amministrativo agisce su due fronti: stabilisce chi deve eseguire il giudicato – includendovi (oltre che l’autorità  amministrativa) anche le parti private -, e successivamente fissa le caratteristiche e le condizioni per l’esercizio dell’actio iudicati.
Quelli evidenziati sono, dunque, chiari segnali presenti nel Codice che inducono a ritenere ammissibile l’azione oggi in esame. A ciò si aggiunga il fatto che, se inteso con questa connotazione “allargata”, il giudizio di ottemperanza va a realizzare quel principio di effettività  della tutela (art. 1 c.p.a.), che per espressa disposizione di legge “(¦) è realizzato attraverso la concentrazione davanti al giudice amministrativo di ogni forma di tutela degli interessi legittimi e, nelle particolari materia indicate dalla legge, dei diritti soggettivi” (art. 7, co. 7, c.p.a.). E’ evidente che non vi sarebbe tutela giurisdizionale effettiva se il giudice amministrativo – una volta emessa la sentenza, con statuizione definitiva e vincolante per tutte le parti – vedesse paralizzati i propri poteri di intervento esecutivo per il fatto che la mancata esecuzione del giudicato sia imputabile alla parte privata.
Le considerazioni precedenti, in punto di effettività  della tutela, valgono ancor di più con riferimento ai casi in cui il g.a. esercita giurisdizione esclusiva: se il rapporto originario, conosciuto e vagliato nell’ambito del giudizio di cognizione, è affidato alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (come avviene nel caso oggi in esame), è logico, coerente e consequenziale affermare che tale giurisdizione permanga in via “esclusiva” in capo allo stesso giudice anche quando si profili la necessità  di avviare rimedi esecutivi per ottenere l’ottemperanza alla sentenza passata in giudicato, e ciò nei confronti di tutte le parti (nessuna esclusa) che parteciparono al giudizio di cognizione.
Nè – sotto altro profilo – può dirsi che derivi dai principi costituzionali, e dal ruolo ivi assegnato al giudice amministrativo, alcun ostacolo a concepire nella descritta maniera “allargata” il giudizio di ottemperanza. Infatti, in base alle disposizioni costituzionali (art. 103 Cost.) il g.a. non è il giudice esclusivo dell’amministrazione, ma il giudice dell’interesse legittimo – ed in particolari materie, anche dei diritti soggettivi – sicchè, appare costituzionalmente legittima l’attribuzione del compito di garantire l’attuazione del giudicato (anche nei casi in cui l’obbligo di esecuzione gravi su una parte privata), venendo in rilievo la tutela di un vero e proprio diritto soggettivo, affidata dal legislatore ordinario al giudice amministrativo (che sulla materia esercita addirittura una giurisdizione estesa al merito: art. 134 c.p.a.).
Si deve poi aggiungere che l’idea di un’azione di ottemperanza da proporre nei confronti di un privato non è comunque del tutto nuova, ed ha dei precedenti in giurisprudenza. Infatti, superando un precedente orientamento restrittivo (C. di S., IV, 5624/01 e VI, 5729/04), il Consiglio di Stato ha più di recente ammesso l’avvio del giudizio di ottemperanza nei confronti del soggetto privato medio tempore subentrato nelle competenze originariamente spettanti alla pubblica amministrazione che era stata parte resistente nel processo di cognizione (C. di S., VI, 1776/06 e 6818/06: ipotesi di giudizio di ottemperanza esperito nei confronti della società  privata che era subentrata nella gestione di una ferrovia originariamente governativa). Non si disconosce che l’ipotesi appena descritta riguarda il caso in cui si sia verificata una successione fra enti (da pubblico a privato) nella titolarità  di un determinato rapporto, sicchè il subentrante non potrebbe non essere tenuto – ai sensi dell’art. 2909 c.c. – alla esecuzione del giudicato formatosi nei confronti del dante causa; ma è anche vero che – se è stata ammessa l’azione di esecuzione del giudicato da esperire nei confronti di un soggetto privato succeduto alla PA resistente – non vi sarebbero ostacoli logici ad ammettere un analogo intervento in funzione esecutiva del giudice amministrativo, da disporre nei confronti di un soggetto (sempre privato) che è stato già  parte (in veste di controinteressato) nel processo di cognizione sul quale si è formato il giudicato.”
Sulla scorta delle sopravvenienze normative, pertanto, deve ritenersi ammissibile il giudizio di ottemperanza alla sentenza di condanna generica di questo Tar.
In tal senso depone, peraltro, la circostanza che il ricorso, sia pure instaurato come giudizio cognitorio (e per ciò trattato in pubblica udienza), risulta instaurato dopo l’entrata in vigore del codice, sicchè può senz’altro giovarsi della modifica legislativa da questo introdotta.
Tanto premesso in punto di qualificazione della domanda, deve rilevarsi che in atti non risulta la sentenza per la cui ottemperanza si agisce.
Completezza del fascicolo processuale impone al Collegio di chiedere a parte ricorrente di produrre copia della sentenza – con attestazione di giudicato- per la cui esecuzione si agisce.
Riserva all’esito la nomina di un commissario ad acta e la decisione della domanda risarcitoria.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Seconda), non definitivamente e parzialmente pronunciando sul ricorso principale, come in epigrafe proposto, previa riqualificazione dello stesso come giudizio di ottemperanza, dispone che parte ricorrente provveda a depositare, entro i termini di cui agli artt. 73 e 87 c.p.a, copia della sentenza per la cui ottemperanza si agisce.
Rinvia all’udienza camerale del 25.10.2012 per il prosieguo.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dalle parti.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 31 maggio 2012 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Sabato Guadagno, Presidente
Antonio Pasca, Consigliere
Desirèe Zonno, Primo Referendario, Estensore
 
 
 
 

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/07/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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