1. Processo amministrativo – Giudizio impugnatorio –  Ricorso – Motivi generici – Condizioni e limiti


2. Edilizia e urbanistica – Attività  edilizia privata – Distanze fra costruzioni – Articolo 9 D.M. 2 aprile 1968 n. 1444 – Inderogabilità 


3. Edilizia e urbanistica – Attività  edilizia privata – Distanze fra costruzioni – Articolo 9 D.M. 2 aprile 1968 n. 1444 – Norme locali difformi – Sostituzione automatica – Necessità 


4. Edilizia e urbanistica – Attività  edilizia privata  – Computo


5. Edilizia e urbanistica – Attività  edilizia privata – Distanze tra costruzioni – Costruzione – Nozione

1. Non può ritenersi generico il motivo di ricorso qualora, pur non essendo stata indicata specificamente la norma violata, sia comunque possibile l’individuazione della stessa dal complessivo tenore del ricorso e dalla produzione documentale.


2. L’articolo 9 del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444 in tema di distanze tra costruzioni è norma inderogabile e, pertanto, l’adozione da parte dei Comuni contenenti disposizioni illegittime perchè in contrasto con tale norma devono essere disapplicate dal giudice amministrativo che deve applicare direttamente le prescrizioni di cui al citato D.M..


3. L’articolo 9 del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444, che detta disposizioni in tema di distanze tra costruzioni, stante la natura di norma primaria, sostituisce automaticamente eventuali disposizioni contrarie contenute nelle norme tecniche di attuazione.  


4. La distanza di 10 metri tra pareti finestrate di edifici antistanti, prevista dall’articolo 9 D.M. 2 aprile 1968 n. 1444 va calcolata con riferimento ad ogni punto del fabbricato e non alle sole parti che si fronteggiano e a tutte le pareti finestrate e non solo a quella principale, prescindendo anche dal fatto che esse siano o meno in posizione parallela.


5. Ai fini del computo delle distanze assumo rilievo tutti gli elementi costruttivi, anche accessori, qualunque ne sia la funzione, aventi i caratteri della solidità , della stabilità  e della immobilizzazione, salvo che non si tratti di sporti e di aggetti di modeste dimensioni con funzioni meramente decorativa e di rifinitura.

N. 01235/2012 REG.PROV.COLL.
N. 01819/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1819 del 2011, proposto da: 
Giovanni Palmisano, rappresentato e difeso dall’avv. Roberto D’Addabbo, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Bari, via Abate Gimma, 147; 

contro
Comune di Turi, in persona del Sindaco, legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Giuseppe Gallo, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Bari, via Argiro, n. 117; 

nei confronti di
Grazio Antonio Catalano e Maria Teresa Carbonara – non costituiti;

per l’annullamento,
previa sospensione dell’efficacia,
“del Permesso di Costruire n. 36 del 15.6.2011, Pratica Edilizia n. 55 del 24.9.2010, rilasciato dal Comune di Turi in favore dei sigg.ri Catalano Grazio Antonio e Carbonara Maria Teresa, in variante al Permesso di Costruire n. 58 del 08.10.2009, per la realizzazione di un immobile residenziale da realizzarsi in Turi alla via Putignano in Catasto al Fg. 28 ptc. 490; nonchè di ogni altro atto, antecedente e/o susseguente, comunque connesso, ancorchè non conosciuto
e per il risarcimento
del danno ingiusto subito o subendo per effetto del provvedimento impugnato.”
 

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Turi;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Vista l’ordinanza n. 894 dell’11 novembre 2011 di accoglimento dell’istanza incidentale di sospensione cautelare e di fissazione dell’udienza pubblica del 3 maggio 2012 per la discussione del ricorso nel merito;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 3 maggio 2012 la dott.ssa Rosalba Giansante e uditi per le parti i difensori, gli avv.ti Roberto D’Addabbo e Giuseppe Gallo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 

FATTO
Espone in fatto il sig. Giovanni Palmisano di essere proprietario di un immobile per civile abitazione sito nel Comune di Turi, alla via SS 172 dei Trulli – tratto interno, contraddistinto in catasto al fg. 28, p.lla 485, composto di piano seminterrato destinato a garage ed abitazione e piano rialzato per abitazione ed ubicato con prospetto in arretramento di 5 metri dal confine nord della proprietà  dei coniugi Catalano-Carbonara ed in arretramento di 10 metri circa con prospetto e ingresso dalla SS 172 dei Trulli.
Riferiscono che, avendo appreso che sul suolo adiacente la sua proprietà  i sigg.ri Catalano Grazio Antonio e Carbonara Maria Teresa intendevano costruire una palazzina per civile abitazione per la quale in data 20 giugno 2011 avevano richiesto il permesso di costruire al Comune resistente, esso ricorrente aveva presentato istanza di acceso ai relativi atti; che l’8 luglio 2011 aveva ricevuto copia del permesso di costruire n. 36 del 15 giugno 2011, unitamente agli elaborati grafici della costruzione stessa; aggiunge, infine, che dall’esame di tali elaborati grafici sarebbero emerse gravi irregolarità  in ordine alle distanze con il fabbricato di sua proprietà .
Il sig. Palmisano ha quindi proposto il presente ricorso, ritualmente notificato il 30 settembre 2011 e depositato nella Segreteria del Tribunale il 26 ottobre 2011, con il quale ha chiesto l’annullamento del suddetto permesso di costruire n. 36 del 15 giugno 2011, pratica edilizia n. 55 del 24 settembre 2010, rilasciato dal Comune di Turi in favore dei sigg.ri Grazio Antonio Catalano e Maria Teresa Carbonara, in variante al permesso di costruire n. 58 dell’8 ottobre 2009, per la realizzazione di un immobile residenziale da realizzarsi in Turi alla via Putignano, contraddistinto in catasto al fg. 28, p.lla 490; ha chiesto altresì il risarcimento del danno ingiusto subito o subendo per effetto del provvedimento impugnato.
A sostegno del ricorso sono state articolate le seguenti censure: violazione ed erronea applicazione dell’art. 9 del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444 e delle previsioni di cui alle N.T.A. del Comune di Turi, eccesso di potere per erronea manifestazione dei presupposti di fatto e di diritto e per difetto di istruttoria, violazione dei principi costituzionali di buon andamento ed efficienza.
Parte ricorrente lamenta che sarebbe stato violato il citato art. 9 del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444 in quanto, nella fattispecie oggetto di gravame, la costruzione di cui all’impugnato permesso di costruire, ricadendo in zona B di completamento, avrebbe dovuto rispettare la distanza minima assoluta di mt. 10 tra pareti finestrate e pareti degli edifici antistanti; aggiunge che anche le N.T.A. del Piano di fabbricazione del Comune di Turi confermerebbero, per gli edifici in zona di completamento, la distanza minima di mt. 10 sia tra facciate, sia tra facciate e testate, mentre l’intero edificio per cui è causa, composto di un piano interrato e quattro piani, si porrebbe a distanza inferiore a quelle minime inderogabili previste dalla suddetta normativa; da quanto sopra discenderebbe il difetto assoluto o comunque l’insufficienza dell’istruttoria del procedimento di rilascio del permesso di costruire per cui è causa in quanto l’Amministrazione avrebbe rilasciato il permesso medesimo senza che fosse stato adeguatamente verificato il rispetto delle distanze minime di legge e senza che ne fosse stata rilevata la relativa violazione.
Il sig. Palmisano ha altresì richiesto il risarcimento del danno ingiusto subito o subendo per effetto del provvedimento impugnato.
Si è costituito a resistere in giudizio il Comune di Turi eccependo l’inammissibilità  del ricorso, per la genericità  e contraddittorietà  dell’unico motivo di ricorso in quanto non vi sarebbe alcun riferimento alla N.T.A. che si assume violata, deducendo l’infondatezza del ricorso stesso e chiedendo il rigetto del gravame.
Alla camera di consiglio del 10 novembre 2010, con ordinanza n. 894, è stata accolta la domanda incidentale di sospensione cautelare ed è stata disposta la fissazione dell’udienza pubblica del 3 maggio 2012 per la discussione del ricorso nel merito.
Entrambe le parti hanno prodotto documentazione ed hanno presentato una memoria per l’udienza di discussione; parte ricorrente ha altresì depositato note di replica.
Alla udienza pubblica del 3 maggio 2012 la causa è stata chiamata e assunta in decisione.
DIRITTO
Il Collegio deve esaminare innanzitutto l’eccezione di inammissibilità  del ricorso, sollevata dal Comune di Turi, per genericità  e contraddittorietà  dell’unico motivo di ricorso in quanto non vi sarebbe alcun riferimento alla N.T.A. che si assume violata.
L’eccezione è infondata in quanto, seppure parte ricorrente non ha indicato specificamente la norma ritenuta violata, quest’ultima si evince chiaramente avendo il sig. Palmisano comunque prodotto, quale allegato n. 5) al ricorso notificato, “stralcio N.T.A. allegate al P.d.F. del Comune di Turi” e precisamente la tavola 2 che prevede, per gli edifici in zona di completamento quale quella, pacifica in ricorso, della costruzione per cui è causa, la distanza minima di mt. 10 sia tra facciate, sia tra facciate e testate.
Passando al merito del ricorso esso è fondato e deve, pertanto, essere accolto.
Colgono nel segno le seguenti censure, di cui all’unico motivo di ricorso, con il quale parte ricorrente ha dedotto: la violazione ed erronea applicazione dell’art. 9 del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444 e delle previsioni di cui alle N.T.A. del Comune di Turi ed il vizio di eccesso di potere per erronea manifestazione dei presupposti di fatto e di diritto; parte ricorrente lamenta che sarebbe stato violato il citato art. 9 del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444 in quanto, nella fattispecie oggetto di gravame, la costruzione di cui all’impugnato permesso di costruire, ricadendo in zona B di completamento, avrebbe dovuto rispettare la distanza minima assoluta di mt. 10 tra pareti finestrate e pareti degli edifici antistanti; aggiunge che anche le N.T.A. del Piano di fabbricazione del Comune di Turi confermerebbero, per gli edifici in zona di completamento, la distanza minima di mt. 10 sia tra facciate, sia tra facciate e testate, mentre l’intero edificio per cui è causa, composto di un piano interrato e quattro piani, si porrebbe a distanza inferiore a quelle minime inderogabili previste dalla suddetta normativa; da quanto sopra discenderebbe il difetto assoluto o comunque l’insufficienza dell’istruttoria in quanto il titolo edilizio sarebbe stato rilasciato senza che fosse stato adeguatamente verificato il rispetto delle distanze minime, nè pertanto che fosse stata rilevata la loro violazione.
Il Comune di Turi sostiene la legittimità  del provvedimento rappresentando che, per quanto concerne il piano interrato, non rileverebbe la violazione della distanza minima di mt. 10 in quanto, trattandosi di locali a parcheggio, peraltro totalmente interrati, non sussisterebbe nessuna prescrizione ostativa alla loro realizzazione ai sensi dell’art. 9 della legge n. 122 del 1989 (cosiddetta legge Tognoli), legge che anzi ne incentiverebbe la realizzazione anche in deroga agli strumenti urbanistici.
Quanto al primo, secondo e terzo piano, il Comune resistente sostiene che nel permesso di costruire sarebbe stato previsto l’obbligo da parte dei controinteressati di ridurre “gli aggetti dei balconi sul prospetto nord-ovest del piano primo, secondo e terzo, da mt. 1,60 a mt. 1,10”; tale limitazione sarebbe stata prevista, come risulterebbe dalla relazione istruttoria del responsabile del procedimento che ha dato parere favorevole al rilascio del permesso di costruire impugnato, proprio “al fine del rispetto della distanza da altro manufatto esistente nella adiacente proprietà  Palmisano”, per conformare il progetto presentato al regolamento edilizio comunale che al comma 5 dell’art. 26 – “Aggetti e sporgenze” – che prevede che i balconi ed i marciapiedi non devono sporgere dal filo del fabbricato più del decimo della larghezza della strada o del distacco.”; tale regolamento, del quale viene eccepita la mancata impugnazione, consentirebbe una tolleranza per i balconi aggettanti quali quelli in esame, tolleranza rispettata con la suddetta prescrizione; le previsioni del suddetto regolamento legittimerebbero anche i balconi del quarto piano.
In riferimento, infine, al terzo piano il Comune resistente reputa che il pergolato in legno ivi previsto non sarebbe computabile ai fini delle distanze.
Le suddette censure dedotte da parte ricorrente sono tutte fondate e, di contro, la prospettazione di parte resistente non può essere condivisa per quanto di seguito esposto.
In punto di diritto il D.M. 2 aprile 1968 n. 1444, recante Limiti inderogabili di densità  edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività  collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della L. 6 agosto 1967, n. 765, all’art. 9 – Limiti di distanza tra i fabbricati, per quello che in questa sede interessa, al comma 1 prevede: “Le distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee sono stabilite come segue: 1) Zone A): ¦2) Nuovi edifici ricadenti in altre zone: è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti;¦” ed al successivo comma 3 dispone: “Qualora le distanze tra fabbricati, come sopra computate, risultino inferiori all’altezza del fabbricato più alto, le distanze stesse sono maggiorate fino a raggiungere la misura corrispondente all’altezza stessa¦.”.
Il Collegio, aderendo alla consolidata giurisprudenza amministrativa, ritiene che la disposizione di cui all’art. 9, comma 1, n. 2 del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444, essendo tassativa ed inderogabile, impone al proprietario dell’area confinante col muro finestrato altrui di costruire il proprio edificio ad almeno dieci metri da quello, senza alcuna deroga, neppure per il caso in cui la nuova costruzione sia destinata ad essere mantenuta ad una quota inferiore a quella dalle finestre antistanti e a distanza dalla soglia di queste conforme alle previsioni dell’art. 907 comma 3, c.c.
Le prescrizioni di cui al D.M. 2 aprile 1968 n. 1444 integrano con efficacia precettiva il regime delle distanze nelle costruzioni, sicchè l’inderogabile distanza di 10 m. tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti vincola anche i Comuni in sede di formazione o revisione degli strumenti urbanistici.
In materia di distanze legali, l’art. 136 del D.P.R. n. 380 del 2001 ha mantenuto in vigore l’art. 47 quinquies, commi 6, 8, 9, della legge nazionale n. 1150 del 1942, per cui in forza dell’art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968 la distanza minima inderogabile di 10 metri tra le pareti finestrate e di edifici antistanti è quella che tutti i Comuni sono tenuti ad osservare, ed il giudice è tenuto ad applicare tale disposizione anche in presenza di norme contrastanti incluse negli strumenti urbanistici locali, dovendosi essa ritenere automaticamente inserita nel prg al posto della norma illegittima (Cassazione civile, Sez. II, 29 maggio 2006, n.12741, Consiglio Stato, Sezione IV, n. 7731 del 2 novembre 2010).
Inoltre, se la deroga è consentita solo per piani particolareggiati e le lottizzazioni convenzionate, in tale previsione non può ricomprendersi il permesso di costruire.
La prescrizione di cui all’art. 9 del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444, relativa alla distanza minima di 10 m. tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, è volta non alla tutela del diritto alla riservatezza, bensì alla salvaguardia di imprescindibili esigenze igienico-sanitarie, ed è, dunque, tassativa ed inderogabile (cfr. per tali principi consolidati, ex multis, Consiglio Stato, Sezione IV, n. 5759 del 27 ottobre 2011 e n. 3094 del 12 giugno 2007); la citata norma, laddove prescrive la distanza di dieci metri tra le pareti finestrate di edifici antistanti, va rispettata in tutti i casi, trattandosi di norma volta ad impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico-sanitario, e pertanto non è eludibile.
Pertanto, le distanze tra le costruzioni sono predeterminate con carattere cogente in via generale ed astratta, in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza, di modo che al giudice non è lasciato alcun margine di discrezionalità  nell’applicazione della disciplina in materia di equo contemperamento degli opposti interessi (Consiglio Stato , sez. IV, 05 dicembre 2005 , n. 6909).
Se quanto sopra è vero, ad avviso del Collegio, deve ritenersi che, in materia di distanze tra costruzioni, l’adozione da parte dei Comuni di strumenti urbanistici contenenti disposizioni illegittime, perchè contrastanti con la norma di superiore livello dell’art. 9 del D.M. 2 aprile 1968 n.1444 – che fissa in dieci metri la distanza minima assoluta tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti – comporta l’obbligo per il giudice di applicare, in sostituzione delle disposizioni illegittime, quelle dello stesso strumento urbanistico, nella formulazione derivate, però, dalla inserzione in esso della regola sulla distanza fissata nel decreto ministeriale (così Cassazione civile, II, 27 marzo 2001, n.4413 ed anche Consiglio di Stato, IV, 12 giugno 2007, n.3094, richiamati da Consiglio Stato, Sezione IV, n. 5759 del 27 ottobre 2011 cit.).
Conseguentemente, ogni previsione regolamentare in contrasto con l’anzidetto limite minimo è illegittima e va annullata ove oggetto di impugnazione, o comunque disapplicata, stante la sua automatica sostituzione con la clausola legale dettata dalla fonte sovraordinata.
L’art. 9 del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444, che detta disposizioni in tema di distanze tra costruzioni, stante la natura di norma primaria, sostituisce eventuali disposizioni contrarie contenute anche nelle norme tecniche di attuazione.
Occorre inoltre aggiungere che, ad avviso del Collegio, la distanza di dieci metri tra pareti finestrate di edifici antistanti, prevista dal suddetto articolo, va calcolata con riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non alle sole parti che si fronteggiano e a tutte le pareti finestrate e non solo a quella principale, prescindendo anche dal fatto che esse siano o meno in posizione parallela (così, Consiglio Stato, Sezione IV, n. 7731 del 2 novembre 2010 e n. 6909 del 5 dicembre 2005, ivi richiamata).
Ai fini del computo delle distanze assumono rilievo tutti gli elementi costruttivi, anche accessori, qualunque ne sia la funzione, aventi i caratteri della solidità , della stabilità  e della immobilizzazione, salvo che non si tratti di sporti e di aggetti di modeste dimensioni con funzione meramente decorativa e di rifinitura, tali da potersi definire di entità  trascurabile rispetto all’interesse tutelato dalla norma riguardata nel suo triplice aspetto della sicurezza, della salubrità  e dell’igiene.
Gli sporti, cioè le sporgenze da non computare ai fini delle distanze perchè non attinenti alle caratteristiche del corpo di fabbrica che racchiude il volume che si vuol distanziare, sono i manufatti come le mensole, le lesene, i risalti verticali delle parti con funzione decorativa, gli elementi in oggetto di ridotte dimensioni, le canalizzazioni di gronde e i loro sostegni, non invece le sporgenze, anche dei generi ora indicati, ma di particolari dimensioni, che siano quindi destinate anche ad estendere ed ampliare per l’intero fronte dell’edificio la parte utilizzabile per l’uso abitativo (così, Consiglio Stato, Sezione IV, n. 7731 del 2 novembre 2010 e n. 6909 del 5 dicembre 2005, ivi richiamata cit.).
Passando ad analizzare alla luce delle suddette coordinate la fattispecie oggetto di gravame, il Collegio deve rilevare che le N.T.A. allegate al Piano di Fabbricazione del Comune di Turi sono conformi a quanto disposto dal D.M. 2 aprile 1968 n. 1444, come risulta dalla citata tavola 2 del PdF stesso allegata al ricorso introduttivo da parte ricorrente, che prevede, per gli edifici in zona di completamento quale quella, pacifica in ricorso della costruzione per cui è causa, la distanza minima di mt. 10 sia tra facciate, sia tra facciate e testate; inoltre, in riferimento al regolamento comunale, sulla base dei su richiamati principi, ne deriva che, a differenza di quanto sostenuto dal Comune resistente al fine di sostenere la legittimità  del provvedimento impugnato, non rileva la sua mancata impugnazione perchè in ogni caso prevale la regola di cui al suddetto decreto ministeriale in tema di distanze.
Alla luce della sopra richiamata e condivisa giurisprudenza il Collegio, per quello che in questa sede interessa, in particolare in riferimento al primo, secondo e quarto piano dell’edificio per cui è causa, ritiene che nel calcolo delle distanze tra costruzioni devono prendersi in considerazione le sporgenze costituenti per il loro carattere strutturale e funzionale veri e propri aggetti implicanti perciò un ampliamento dell’edificio in superficie e volume, come appunto i balconi formati da solette aggettanti anche se scoperti di apprezzabile profondità , ampiezza e consistenza (in tal senso cfr.T.A.R. Parma, Sezione Unica, n. 6 del 19 gennaio 2004, confermata da Consiglio Stato, Sezione IV, n. 7731 del 2 novembre 2010 cit., T.A.R. Napoli, Sezione Unica n. 3598 del 17 giugno 2002, T.A.R. Bari, Sezione II, n. 1480 del 14 dicembre 1994); nè, pertanto, alla luce di quanto sopra, è condivisibile la prospettazione del Comune resistente che, in riferimento al terzo piano, reputa che il pergolato in legno ivi previsto non sarebbe computabile ai fini delle distanze.
A diverse conclusioni deve giungersi, invece, per il piano interrato.
Quanto sopra esposto, infatti, alla luce del tenore letterale dell’art. 9 del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444 sopra riportato, deve ritenersi applicabile solo alla parte emergente del fabbricato; pertanto non si ravvisa alcuna violazione della distanza minima di mt. 10, prevista dalla suddetta normativa, per il piano interrato dell’immobile di cui al permesso di costruire oggetto di gravame.
Conclusivamente, il Collegio ritiene che i profili di illegittimità  dedotti con le sopra illustrate censure abbiano una indubbia valenza assorbente rispetto alle altre censure di cui all’unico motivo di gravame, sicchè la fondatezza delle dedotte censure comporta l’accoglimento in parte del ricorso stesso, nei limiti sopra specificati, e, conseguentemente, l’annullamento del provvedimento impugnato in parte qua, senza necessità  di pronunziarsi sulle ulteriori censure.
Il Collegio rigetta, invece, la domanda per la condanna al risarcimento del danno, pure formulata con il gravame in esame, in quanto genericamente formulata e non quantificata.
Quanto alle spese, si ritiene che sussistono giusti motivi per disporre la compensazione parziale tra le parti, nell’importo liquidato nel dispositivo, considerato il parziale rigetto della domanda demolitoria ed il rigetto della domanda di risarcimento del danno.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, accoglie in parte la domanda demolitoria, nei limiti di cui in motivazione, e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato in parte qua.
Respinge la domanda risarcitoria.
Condanna il Comune di Turi al pagamento parziale delle spese processuali e degli onorari di giudizio, che liquida in complessivi € 1.500,00 (millecinquecento/00) in favore del sig. Giovanni Palmisano.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità  amministrativa.
Così deciso in Bari nelle camere di consiglio del giorno 3 maggio 2012 e del giorno 24 maggio 2012 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Pietro Morea, Presidente
Giuseppina Adamo, Consigliere
Rosalba Giansante, Referendario, Estensore
 
 
 
 

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 22/06/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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