1. Processo amministrativo – Giudizio di ottemperanza – Decisione  Consiglio di Stato  confermativa di sentenza TAR con integrazioni  –  Competenza  – Resta del TAR
2. Edilizia e urbanistica – Attività  edilizia pubblica – Espropriazione – Acquisizione coattiva ex art. 42 bis del D.P.R. 327/2001 – Efficacia ex nunc
3. Edilizia e urbanistica – Attività  edilizia pubblica – Espropriazione –  Occupazione sine titulo – Danno – Criteri di determinazione
4. Giurisdizione – Indennizzo ex articolo 42 bis D.P.R. 327/2001 – Quantificazione – Giurisdizione G.O.

1. Ai sensi dell’articolo 113, primo comma, del decreto legislativo 2 luglio 2010 n. 104, in ipotesi di decisione di appello del Consiglio di Stato che conferma il contenuto dispositivo e conformativo di una sentenza del TAR, limitandosi solo ad aggiungere delle indicazioni rinvenenti da sopravvenute modifiche normative, la competenza sul relativo ricorso per ottemperanza resta incardinata dinanzi al TAR medesimo.
2. La norma dell’articolo 42 bis del d.p.r. 327/2001, è sensibilmente diversa nel suo contenuto precettivo rispetto a quella del previgente art. 43 d.p.r. n. 327/2001, pur conservando la medesima rubrica “Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di pubblico interesse”, in quanto il provvedimento di acquisizione coattiva introdotto dall’intervenuta norma si configura come un nuovo atto, omogeneo a quello di esproprio, previsto per il caso in cui la p.A. già  detenga il bene e lo utilizzi per ragioni di pubblico interesse, che opera ex nunc e che quindi non vale a sanare ed eliminare un precedente illecito.
3. Ai sensi dell’art. 42 bis del D.P.R. 327/2001 al fine di ristorare il proprietario  dall’illegittima occupazione andrà  corrisposto un interesse del 5% annuo sul valore venale del bene salvo che non emerga in atti la prova di un danno diverso e ulteriore (nella specie, trattandosi di un giudizio di ottemperanza di sentenza passata in giudicato, il criterio di calcolo del valore venale del bene stabilito da quest’ultima era stato individuato nel “valore di trasformazione del suolo”, che ricava dal presumibile valore del costruito quello della relativa superficie di suolo ablato).
4. La lettera e la ratio dell’articolo 42 bis del D.P.R. 327/2001 inducono a qualificare la somma ivi riconosciuta al proprietario come “indennizzo”, la cui quantificazione è  tuttora sottratta alla  giurisdizione del G.A., a norma dell’articolo 133, primo comma, lett. g), del codice del processo amministrativo e prima dell’articolo 53 del T.U. espropriazione.
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Vedi Cons. di Stato, sez. IV, sentenza 17 settembre 2013, n. 4613 -2013; ric. n. 5596 – 2012. Ricorso per revocazione della sentenza n. 7236 – 2013, sez. IV, sentenza 26 agosto 2014, n. 4297 – 2014
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N. 00924/2012 REG.PROV.COLL.
N. 01826/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1826 del 2011, proposto da Antonio Pio Salvatore Dattoli, rappresentato e difeso dagli avv.ti Enrico Follieri e Giovanni Maggiano, con domicilio eletto presso l’avv. Fabrizio Lofoco in Bari, via Pasquale Fiore, 14; 

contro
il Comune di Rodi Garganico, rappresentato e difeso dall’avv. Vito Aurelio Pappalepore, con domicilio eletto in Bari, via Pizzoli, 8; 
Acquedotto Pugliese S.p.A., rappresentata e difesa dall’avv. Costantino Ventura, con domicilio eletto in Bari, via Dante Alighieri n. 11; 

per l’ottemperanza
alla sentenza del T.A.R. Puglia, prima Sezione, 17 agosto 2010 n. 3402.
 

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Rodi Garganico e dell’Acquedotto Pugliese S.p.A.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 8 marzo 2012 il cons. Giuseppina Adamo e uditi per le parti i difensori, avv.ti Enrico Follieri, Vito Aurelio Pappalepore e Costantino Ventura;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
 

FATTO e DIRITTO
A. Con ricorso numero di registro generale 1521 del 2009 il signor Antonio Pio Salvatore Dattoli, in qualità  di proprietario, ha adito questo Tribunale contro il Comune di Rodi Garganico e l’Acquedotto pugliese per ottenere la restituzione dei suoli, siti nel territorio di Rodi Garganico e occupati per accogliere l’impianto di depurazione e varie opere della rete fognaria, il risarcimento del danno per l’indebita occupazione, l’indennità  di occupazione, i danni ulteriori subiti e, in subordine, ove ritenuto ancora vigente l’istituto dell’occupazione acquisitiva, il risarcimento del danno, pari al valore degli immobili, subito per l’illegittima perdita della proprietà .
Le pretese attoree riguardavano due procedimenti diversi, incidenti su due particelle vicine e finalizzati alla realizzazione d’infrastrutture collegate. Essi soprattutto erano accomunati dal fatto che alla dichiarazione di pubblica utilità  e al decreto di occupazione d’urgenza, nonchè alla stessa realizzazione dell’opera pubblica, non erano seguiti l’emanazione del decreto di esproprio e il pagamento della relativa indennità . In particolare, si trattava
a) del procedimento relativo alla particella 371 del foglio 5 (estesa mq 6106), occupata in forza del decreto di occupazione d’urgenza del Prefetto di Foggia del I luglio 1978 n. 3446, per allocarvi opere terminali della fognatura comunale, riguardo alla quale il signor Dattoli, non essendo intervenuto al 2000 alcun decreto di esproprio, proponeva azione di danno innanzi al Tribunale di Lucera – Sezione distaccata di Rodi Garganico, causa oggi pendente in appello;
b) di quello relativo alla particella 409 del foglio 5 (per una superficie di mq 2075), occupata in forza del decreto di occupazione d’urgenza del Comune di Rodi Garganico del 15.11.2000, per realizzare opere di adeguamento del depuratore consortile, riguardo alla quale nel 2007 l’interessato proponeva altra azione dinanzi al giudice civile, del quale le Sezioni unite della Corte di cassazione, con ordinanza n. 15237 del 30 giugno 2009, ravvisavano il difetto di giurisdizione.
L’istante allora adiva questo Tribunale in relazione ad ambedue i suoli, con ricorso deciso in parte con sentenza della prima Sezione 17 agosto 2010 n. 3402, che sospendeva il processo, ai sensi dell’articolo 295 del codice di procedura civile, in attesa della pronuncia della Corte d’appello di Bari sul procedimento promosso dal signor Dattoli con atto di citazione notificato il 19 febbraio 2007 (in ordine alla pretesa concernente la particella 371 del foglio 5), e per il resto accoglieva le domande attoree.
In relazione alla particella 409 del foglio 5, in applicazione dei principi già  più volte enunciati da questo Tribunale con le sentenze, prima Sezione, 17 settembre 2009 n. 2081; terza Sezione, 17 settembre 2008 n. 2131 e 14 luglio 2008 n. 1751, veniva disposta a carico del Comune di Rodi Garganico e in favore del signor Antonio Pio Salvatore Dattoli la restituzione del suolo e la rimozione delle opere realizzate sui suddetti terreni e veniva condannata l’Amministrazione municipale resistente a pagare al ricorrente il risarcimento del danno subito per effetto dell’occupazione senza titolo, meramente detentiva (dallo scadere del quinto anno dall’immissione in possesso in esecuzione del decreto di occupazione d’urgenza in data 15 novembre 2000 a tutt’oggi).
A tal proposito si puntualizzava che “in mancanza d’indicazione e deduzioni più puntuali, deve ritenersi che il risarcimento per il mancato godimento debba calcolarsi assumendo a valore-base quello di mercato del bene, come stimato dal perito, e applicando ad esso il tasso d’interesse legale, da ritenersi quale presumibile e normale indice di redditività  dell’immobile.
D’altra parte, a monte, il valore base del suolo dev’essere attualizzato anno per anno (a partire dal 2007), con utilizzo dell’indice ISTAT, e solo sul relativo risultato dev’essere computato il danno per la perdita della possibilità  di utilizzo del bene, calcolato attraverso il tasso di interesse legale, che rappresenta la commisurazione equitativa dei c.d. frutti civili, in mancanza di una più puntuale dimostrazione dei frutti e di altra utilità  perduti (similmente: Cassazione, Sez. I, 5 maggio 2005 n. 9361; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, 11 maggio 2009 n. 2520).
A tali importi devono aggiungersi poi gli interessi legali per il ritardo nell’erogazione delle somme, da computarsi anno per anno (Cassazione, Sez. I, 29 ottobre 2008 n. 25983) sino al soddisfo.
Nell’operare tali pagamenti devono naturalmente essere sottratte le eventuali somme già  versate, per esempio, a titolo di indennità  di occupazione per gli anni presi in considerazione.
L’effettiva determinazione del quantum debeatur, secondo gli enunciati parametri, dovrà  essere effettuata dall’Amministrazione intimata, che dovrà  provvedere, ai sensi dell’art. 35, comma secondo, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, entro il termine di sessanta giorni (decorrente dalla notificazione o comunicazione in via amministrativa della presente decisione, ove anteriore), a formulare una proposta alla parte ricorrente, indicante l’ammontare complessivo del dovuto, corredata dall’analisi delle varie voci”.
Si deve aggiungere che il valore ricostruibile in base a tale consulenza, pari a € 327.139,32, era stato contestato dal Comune e dall’Acquedotto pugliese, perchè reputato esorbitante sotto un duplice profilo: perchè al momento del perfezionamento della vicenda ablatoria, il terreno aveva, quale destinazione impressa dal piano di fabbricazione, quella di verde pubblico (e ciò fino al 14 maggio 2002, data di approvazione del piano regolatore, che ha tipizzato la zona CM – residenziale, commerciale, artigianale -, con l’indice di edificabilità  territoriale pari a 1 mc/mq), e perchè non era accoglibile la domanda risarcitoria per danni morali e/o esistenziali.
La sentenza ha rigettato il primo rilievo poichè l’illecito permanente costituito dall’abusiva occupazione si è realizzata nella vigenza del nuovo piano regolatore, mentre ha ritenuto infondata la pretesa di ristoro dei lamentati danni morali e/o esistenziali.
Il Consiglio di Stato, Sezione quarta, ha poi rigettato l’appello proposto dal Comune di Rodi Garganico e ha dichiarato inammissibile l’appello incidentale dell’Acquedotto pugliese (sfornito di legittimazione attiva, non essendo risultato soccombente in primo grado, non avendo “svolto alcun ruolo, nè nel procedimento nè nella gestione del bene”, come osservato dal T.A.R.) con decisione 2 agosto 2011 n. 4590.
Tale pronuncia tiene peraltro conto del mutato quadro normativo.
Infatti, l’articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica n. 327/2001, vigente al momento di emissione della sentenza del T.A.R., è stato espunto dall’ordinamento dalla Corte Costituzionale, con sentenza 8 ottobre 2010 n. 293, per eccesso di delega.
L’articolo 34, comma primo, del decreto-legge. 6 luglio 2011, n. 98 (non modificato dalla legge di conversione 15 luglio 2011, n. 111) ha poi inserito, dopo l’articolo 42 del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, l’articolo 42 bis, rubricato “Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico”, recante la seguente disciplina:
«1. Valutati gli interessi in conflitto, l’autorità  che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità , può disporre che esso sia acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, quest’ultimo forfetariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale del bene.
2. Il provvedimento di acquisizione può essere adottato anche quando sia stato annullato l’atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all’esproprio, l’atto che abbia dichiarato la pubblica utilità  di un’opera o il decreto di esproprio. Il provvedimento di acquisizione può essere adottato anche durante la pendenza di un giudizio per l’annullamento degli atti di cui al primo periodo del presente comma, se l’amministrazione che ha adottato l’atto impugnato lo ritira. In tali casi, le somme eventualmente già  erogate al proprietario a titolo di indennizzo, maggiorate dell’interesse legale, sono detratte da quelle dovute ai sensi del presente articolo.
3. Salvi i casi in cui la legge disponga altrimenti, l’indennizzo per il pregiudizio patrimoniale di cui al comma 1 è determinato in misura corrispondente al valore venale del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità  e, se l’occupazione riguarda un terreno edificabile, sulla base delle disposizioni dell’art. 37, commi 3, 4, 5, 6 e 7. Per il periodo di occupazione senza titolo è computato a titolo risarcitorio, se dagli atti del procedimento non risulta la prova di una diversa entità  del danno, l’interesse del cinque per cento annuo sul valore determinato ai sensi del presente comma.
4. Il provvedimento di acquisizione, recante l’indicazione delle circostanze che hanno condotto alla indebita utilizzazione dell’area e se possibile la data dalla quale essa ha avuto inizio, è specificamente motivato in riferimento alle attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico che ne giustificano l’emanazione, valutate comparativamente con i contrapposti interessi privati ed evidenziando l’assenza di ragionevoli alternative alla sua adozione; nell’atto è liquidato l’indennizzo di cui al comma 1 e ne è disposto il pagamento entro il termine di trenta giorni. L’atto è notificato al proprietario e comporta il passaggio del diritto di proprietà  sotto condizione sospensiva del pagamento delle somme dovute ai sensi del comma 1, ovvero del loro deposito effettuato ai sensi dell’art. 20, comma 14; è soggetto a trascrizione presso la conservatoria dei registri immobiliari a cura dell’amministrazione procedente ed è trasmesso in copia all’ufficio istituito ai sensi dell’art. 14, comma 2.
5. Se le disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 4 sono applicate quando un terreno sia stato utilizzato per finalità  di edilizia residenziale pubblica, agevolata o convenzionata, ovvero quando si tratta di terreno destinato a essere attribuito per finalità  di interesse pubblico in uso speciale a soggetti privati, il provvedimento è di competenza dell’autorità  che ha occupato il terreno e la liquidazione forfetaria dell’indennizzo per il pregiudizio non patrimoniale è pari al venti per cento del valore venale del bene.
6. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano, in quanto compatibili, anche quando è imposta una servitù e il bene continua a essere utilizzato dal proprietario o dal titolare di un altro diritto reale; in tal caso l’autorità  amministrativa, con oneri a carico dei soggetti beneficiari, può procedere all’eventuale acquisizione del diritto di servitù al patrimonio dei soggetti,privati o pubblici, titolari di concessioni, autorizzazioni o licenze o che svolgono servizi di interesse pubblico nei settori dei trasporti, telecomunicazioni, acqua o energia.
7. L’autorità  che emana il provvedimento di acquisizione di cui al presente articolo nè dà  comunicazione, entro trenta giorni, alla Corte dei conti mediante trasmissione di copia integrale.
8. Le disposizioni del presente articolo trovano altresì applicazione ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore ed anche se vi è già  stato un provvedimento di acquisizione successivamente ritirato o annullato, ma deve essere comunque rinnovata la valutazione di attualità  e prevalenza dell’interesse pubblico a disporre l’acquisizione; in tal caso, le somme già  erogate al proprietario, maggiorate dell’interesse legale, sono detratte da quelle dovute ai sensi del presente articolo».
Si può anticipare, perchè utile ai fini della decisione, che in realtà  tale articolo si pone solo parzialmente in una linea di continuità  rispetto al precedente articolo 43, in ordine al quale la sentenza n. 293/2010 della Corte costituzionale aveva sollevato alcune perplessità , in quanto la disposizione finiva per integrare una violazione del principio di legalità , configurando una discutibile alternativa ad un’espropriazione adottata secondo “buona e debita forma” (come incidentalmente osservato dalla stessa Corte europea dei diritti dell’uomo nella causa Sciarrotta ed altri c. Italia – Terza Sezione – sentenza 12 gennaio 2006 – ricorso n. 14793/02).
Il tenore dell’articolo 42 bis, infatti, è sensibilmente diverso nel suo contenuto precettivo rispetto al previgente art. 43 d.p.r. n. 327/2001, pur conservando la medesima rubrica “Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di pubblico interesse”.
Si deve osservare che il provvedimento di acquisizione coattiva introdotto dall’intervenuta norma si configura come un nuovo atto, omogeneo a quello di esproprio, previsto per il caso in cui la P.A. già  detenga il bene e lo utilizzi per ragioni di pubblico interessi, che opera ex nunc e che quindi non vale a sanare ed eliminare un precedente illecito.
In definitiva, attraverso tale procedimento espropriativo “semplificato”, il legislatore non tende a perpetuare le stesse negative conseguenze dell’espropriazione indiretta, bensì si limita a prevedere un meccanismo che permette – all’esito di una rigorosa motivazione sulle esigenze d’interesse pubblico, valutate comparativamente con gli interessi del privato, anche in relazione all’assenza di alternative possibili – a disporre l’acquisizione del bene al patrimonio della P.A. con effetti ex nunc, previa corresponsione al privato di un indennizzo (non quindi di un risarcimento) che copre il valore venale del bene (da calcolarsi al momento dell’acquisizione), oltre che di una somma ulteriore (forfetariamente determinata in misura pari al 10% del valore venale) a titolo di ristoro del pregiudizio non patrimoniale, nonchè, per il periodo di occupazione senza titolo, di un importo a titolo risarcitorio, pari all’interesse del cinque per cento annuo sul valore del bene, se dagli atti del procedimento non risulta la prova di una diversa entità  del danno.
Di fronte al perdurante diritto di proprietà  del titolare, malgrado l’avvenuta costruzione dell’opera pubblica o d’interesse pubblico, viene data in sostanza all’amministrazione dall’articolo 42 bis la scelta discrezionale – valutate le circostanze e comparati gli interessi in conflitto, anche per i “fatti anteriori” in base all’ottavo comma – di decidere se demolire in tutto o in parte l’opera (affrontando le relative spese) e restituire l’area al proprietario, oppure se disporre l’acquisizione (evitando che sia demolito, paradossalmente, quanto altrimenti risulterebbe meritevole di essere ricostruito).
Tenendo conto delle novità  normative intervenute, il Consiglio di Stato ha puntualizzato:
“Innanzi tutto, dalla lettura della sentenza impugnata risulta evidente che il T.A.R. non ha proceduto a una quantificazione specifica del danno risarcibile, limitandosi a dettare i criteri per la sua determinazione ai sensi dell’art. 35, comma 2, del decreto legislativo 31 marzo 1998, nr. 80 (e quindi, oggi, dell’art. 34, comma 4, cod. proc. amm.).
In secondo luogo, è altrettanto evidente che il primo giudice non si è in alcun modo pronunciato sulla destinazione urbanistica in ragione della quale individuare il valore venale dell’immobile, sulla cui base calcolare il danno risarcibile, limitandosi a enunciare il principio per cui tale valore non va fissato con riferimento al momento dell’inizio dell’occupazione, nè a quello di irreversibile trasformazione del bene, bensì avendo riguardo alla destinazione del suolo per ciascun anno di protrazione dell’occupazione sine titulo.
Tale principio va senz’altro confermato in questa sede, l’opposto avviso di parte appellante essendo fondato – ancora una volta – sull’erroneo convincimento che il momento di ultimazione dell’opera pubblica possa avere una qualche rilevanza ai fini della consumazione dell’illecito (e, quindi, della determinazione del danno risarcibile).
Piuttosto, i criteri enunciati dal T.A.R. in questa sede possono essere integrati alla luce di quanto prescritto dal già  citato art. 42 bis del d.P.R. nr. 327 del 2001, medio tempore sopravvenuto: e pertanto, ferma restando la necessità  di partire dal valore venale del suolo per ciascun anno a partire dall’inizio dell’illegittima occupazione (15 novembre 2005), l’interesse corrispondente al danno da liquidare andrà  liquidato nella misura del 5% annuo sui predetti importi, come prescritto dal comma 3 della menzionata norma, non emergendo in atti la prova di un danno diverso e ulteriore.
Ancora si può aggiungere che, essendo stato nel presente giudizio chiesto il solo risarcimento da illecita occupazione, ed essendo quest’ultima ancora in corso, la determinazione del danno dovrà  arrestarsi alla data di erogazione della somma determinata in base ai criteri fissati; tuttavia, dal momento che l’ulteriore protrarsi dell’occupazione sine titulo anche dopo tale data ben potrebbe indurre la parte privata a intentare nuove azioni risarcitorie, in questa sede non ci si può esimere dal rappresentare l’opportunità  che l’Amministrazione provveda quanto prima a far cessare la permanenza dell’illecito (o dando esecuzione all’ordine di restituzione del suolo, o con le modalità  sopra indicate al punto 4, ovvero attraverso il meccanismo oggi previsto dal citato art. 42 bis del d.P.R. nr. 327 del 2001)”.
Con l’atto di significazione del 25 novembre 2010 e con un ulteriore sollecito pervenuto al Comune in data 6 settembre 2011 il ricorrente invitava l’Amministrazione ad eseguire, comunicando anche l’entità  del danno da occupazione abusiva, calcolato in € 235.507,91.
L’Ente locale annunciava allora l’avvio del procedimento volto all’attivazione dell’acquisizione ex articolo 42 bis del d.p.r. n. 327/2001, con nota 21 settembre 2011 n. 8496, contestando ancora una volta, quanto al valore del suolo, le risultanze della perizia di parte.
Constatati l’atteggiamento dilatorio dell’Amministrazione e la sostanziale inesecuzione del giudicato, con ricorso depositato il 28 ottobre 2011, il signor Dattoli perciò ha adito il T.A.R., ai sensi dell’articolo 112 del decreto legislativo 2 luglio 2010 n. 104, domandando, in ottemperanza della sentenza n. 3402/2010, confermata in appello, che venga ordinata al Comune resistente la restituzione del suolo, di cui alla particella 409 del foglio 5, e la rimozione delle opere realizzate sui suddetti terreni e che la medesima Amministrazione municipale venga condannata a pagare al ricorrente il risarcimento del danno subito per effetto dell’occupazione senza titolo, indicata nella misura di € 235.507,91, ma con la precisazione che l’importo di tale ristoro “è pari al 5% per anno del valore venale, salvo ulteriori interessi fino al rilascio del terreno, in conformità  dell’articolo 42 bis del d.p.r. n. 327/2001, come indicato nella decisione del Consiglio di Stato”.
L’interessato chiede altresì che venga nominato un commissario ad acta o che venga adottato ogni altro rimedio ritenuto opportuno per la completa esecuzione della sentenza.
Prima della camera di consiglio fissata per il 13 gennaio 2012, si è costituito il Comune di Rodi Garganico che ha ripercorso l’intera vicenda, riferendo in particolare gli ultimi sviluppi della stessa. Con nota 3 novembre 2011 prot. 9799 veniva invero comunicata la quantificazione dell’indennità  risarcitoria, come stimata dal Responsabile del Settore tecnico, pari ad euro 9.043,48. Nella stessa missiva inoltre, premesso che l’Autorità  d’ambito e l’Acquedotto pugliese hanno manifestato l’intenzione di spostare l’impianto di depurazione dal sito attuale, di proprietà  del signor Dattoli, l’Ente ha chiesto di conoscere la disponibilità  ad una cessione volontaria del suolo sulla scorta del valore di mercato individuato dal Responsabile del Settore tecnico, ammontante ad euro 132.283,96.
Alla luce di tali circostanze il Comune nega la propria inadempienza.
Si è costituito altresì l’Acquedotto pugliese, che tra l’altro ha eccepito che si sia determinata la cessazione della materia del contendere nel giudizio di ottemperanza (vista la proposta dell’Amministrazione municipale) e che sia tardivo e inammissibile l’atto integrativo del ricorso (in quanto la relativa notifica era stata ricevuta solo il 28 dicembre 2011, senza il rispetto del termine dimezzato di 15 giorni posto a presidio del contraddittorio) e il relativo deposito documentale. In sostanza, con tale atto integrativo il signor Dattoli aveva manifestato anche in sede processuale la sua contrarietà  alla proposta comunale, chiedendo, ai sensi dell’articolo 34, quarto comma, del codice processo amministrativo, la determinazione diretta della somma dovutagli a titolo di risarcimento nel giudizio di ottemperanza.
La discussione della causa veniva rinviata al giorno 8 marzo 2012, anche per verificare l’effettiva possibilità  di spostamento dell’impianto e i relativi tempi previsti.
Il ricorrente presentava ulteriore memoria in data 24 febbraio 2012, contestata dall’Acquedotto pugliese (perchè fuori termine) nella nota prodotta il 25 febbraio 2012.
La stessa società  produceva ulteriore documentazione, la quale risultava che per il prospettato spostamento del depuratore non vi è alcuna certezza sui tempi.
B.1. In primo luogo deve affermarsi la competenza di questo Tribunale a decidere sul ricorso per l’ottemperanza, ai sensi dell’articolo 113, primo comma, del decreto legislativo 2 luglio 2010 n. 104, poichè, come già  anticipato, la decisione di appello conferma anche in motivazione il contenuto dispositivo e conformativo della sentenza della prima Sezione 17 agosto 2010 n. 3402, limitandosi a farsi carico delle indicazioni rinvenenti dalle intervenute modifiche normative.
In secondo luogo, pur potendosi dubitare della stessa legittimazione passiva dell’Acquedotto pugliese (visto che il Consiglio di Stato, nella decisione 2 agosto 2011 n. 4590 ha dichiarato inammissibile l’appello incidentale dello stesso Acquedotto pugliese, non risultando soccombente in primo grado e non avendo altresì “svolto alcun ruolo, nè nel procedimento nè nella gestione del bene”, come osservato dal T.A.R.) rimane da constatare che esso è stato evocato in giudizio dello stesso ricorrente, per cui non sussistono i presupposti per la sua estromissione.
Per quanto riguarda le questioni dal medesimo Acquedotto sollevate, occorre rilevare che la denunciata tardività  dell’atto integrativo è comunque venuta meno a seguito del rinvio della trattazione della causa all’odierna camera di consiglio. Per quanto riguarda invece la memoria in data 24 febbraio 2012, il Tribunale ne rileva il deposito fuori termine, stralciandola perciò dal fascicolo processuale.
Ritiene poi la stessa parte che, a seguito delle iniziative dell’Amministrazione municipale prese dopo la decisione d’appello, sia sopravvenuta la cessazione della materia del contendere.
B.2. Da quanto sopra premesso risulta invece che, essendo questa azione diretta all’ottemperanza della sentenza del T.A.R. con cui veniva disposta a carico del Comune di Rodi Garganico e in favore del signor Antonio Pio Salvatore Dattoli la restituzione del suolo (particella 409 del foglio 5) e la rimozione delle opere realizzate sui suddetti terreni, nonchè il risarcimento del danno derivante dall’illegittima occupazione, nessuno dei due capi della sentenza è stato propriamente ed effettivamente eseguito, per cui non rimane altro al Collegio se non l’esame nel merito delle pretese avanzate.
B.2.a. Quanto alla condanna alla restituzione dell’immobile, sgombro dalle costruzioni e dagli impianti esistenti, occorre osservare che il Comune, pur non avendo provveduto, ha recepito le indicazioni del Consiglio di Stato (“in questa sede non ci si può esimere dal rappresentare l’opportunità  che l’Amministrazione provveda quanto prima a far cessare la permanenza dell’illecito (o dando esecuzione all’ordine di restituzione del suolo, o con le modalità  sopra indicate al punto 4, ovvero attraverso il meccanismo oggi previsto dal citato art. 42 bis del d.P.R. nr. 327 del 2001))”.
Nel caso di specie la rilevanza della citata disposizione appare indubbia, poichè sull’area occupata senza titolo (perchè scaduti i relativi decreti e mai emanato quello di espropriazione) sono state realizzate opere di sicuro interesse pubblico, consistenti in un depuratore.
Il Comune ha perciò ritenuto di poter applicare il sopravvenuto meccanismo che consente l’acquisizione coattiva e ha avviato il relativo procedimento.
Al proposito di tale istituto il Consiglio di Stato ha recentemente osservato: “deve ritenersi che, anche nell’attuale quadro normativo, l’Amministrazione abbia comunque l’obbligo giuridico di far venir meno la occupazione sine titulo e cioè debba adeguare la situazione di fatto a quella di diritto” (Sezione sesta, sentenza I dicembre 2011 n. 6351).
Di conseguenza tale iniziativa, pur non potendo configurare l’esatta esecuzione della sentenza, rappresenta un’azione discrezionale che doverosamente tiene conto dalla possibilità  offerta dalle sopravvenienze legislative.
A ciò il ricorrente oppone che il contenuto delle note 21 settembre 2011 n. 8496 e 3 novembre 2011 prot. 9799 si ponga in diretto contrasto con il decisum, poichè il Comune elabora e propone una stima dei suoli lontana da quella richiamata nella sentenza 17 agosto 2010 n. 3402.
Il Collegio intende occuparsi in prosieguo di tale questione, ma non può esimersi dal constatare che la lettera e la ratiodell’articolo 42 bis inducono a qualificare la somma di cui si discute come “indennizzo”, aspetto tuttora sottratto alla sua giurisdizione, a norma dell’articolo 133, primo comma, lett. g), del codice del processo amministrativo e prima dell’articolo 53 del T.U. espropriazione.
Ciò chiarito, è evidente che tale nuovo procedimento non può costituire uno strumento di elusione e di differimento nell’adempimento dell’obbligo di ottemperare alla sentenza, passata in giudicato e tuttavia rimasta ineseguita.
Di conseguenza, il Collegio ritiene, nell’esercizio dei poteri in materia, attribuita alla propria giurisdizione esclusiva e di merito, valorizzando la già  evidenziata ratio sottesa all’articolo 42 bis, che la domanda proposta dal ricorrente possa e debba essere accolta, differendone, tuttavia, gli effetti alla mancata emissione da parte del Comune intimato di un formale provvedimento acquisitivo ai sensi del citato articolo 42 bis, per la quale devono essere fissati appositi termini per scongiurare pericoli di dilazione.
Il Comune dunque potrà  emanare, entro 60 giorni dalla comunicazione o notificazione, se antecedente, della presente sentenza, un provvedimento di acquisizione ex articolo 42 bis, quarto comma, del T.U. espropriazioni, contenente tra l’altro l’indicazione dell’indennizzo dovuto all’istante per la perdita della proprietà  del fondo che dovrà  essere effettivamente corrisposto o depositato nei successivi 15 giorni.
Per il caso in cui il Comune non adotti l’atto formale volto all’acquisizione del bene dei ricorrenti ed al correlativo indennizzo ex articolo 42 bis ovvero se quest’ultimo non venga liquidato o depositato (sì da impedire l’operatività  del meccanismo), nei suindicati termini, il Collegio ordina Comune di Rodi Garganico di restituire i suoli, previa demolizione del costruito, entro i successivi 90 giorni.
Ove il iussum del Giudice dovesse rimanere ancora una volta inottemperato, il ricorrente potrà  chiedere l’esecuzione coattiva, tramite commissario ad acta, dell’obbligo di restituzione dei lotti e l’adozione delle misure consequenziali e collegate (comprese quelle di cui all’articolo 114, comma quarto, lettera e), del codice del processo amministrativo).
B.2.b. L’Amministrazione municipale è stata anche condannata a pagare il risarcimento del danno per l’occupazione senza titolo (dallo scadere del quinto anno dall’immissione in possesso in esecuzione del decreto di occupazione d’urgenza in data 15 novembre 2000 a tutt’oggi),
La sentenza 17 agosto 2010 n. 3402, partendo dal presupposto che “l’illecito permanente debba essere risarcito per ogni anno di abusiva occupazione, che si è realizzata nella vigenza del nuovo piano regolatore”, ha affidato all’Amministrazione intimata l’effettiva determinazione del quantum debeatur, ai sensi dell’art. 35, comma secondo, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, entro il termine di sessanta giorni.
In particolare, il Comune avrebbe dovuto “formulare una proposta alla parte ricorrente, indicante l’ammontare complessivo del dovuto, corredata dall’analisi delle varie voci”, “assumendo a valore-base quello di mercato del bene, come stimato dal perito”, sul quale poi avrebbe dovuto computare il danno per la perdita della possibilità  di utilizzo del bene, calcolato attraverso il tasso d’interesse legale.
Sul punto la pronuncia di appello non ha sollevato alcun rilievo che comporti quale effetto la riforma della sentenza di primo grado.
Il Consiglio di Stato ha infatti constatato “che il T.A.R. non ha proceduto a una quantificazione specifica del danno risarcibile, limitandosi a dettare i criteri per la sua determinazione” e ha espressamente condiviso il principio enunciato dal Tribunale per cui il valore venale dell’immobile, sulla cui base calcolare il danno risarcibile, non va fissato con riferimento al momento dell’inizio dell’occupazione, nè a quello d’irreversibile trasformazione del bene, bensì avendo riguardo alla destinazione del suolo per ciascun anno di protrazione dell’occupazione sine titulo”.
Nella decisione 2 agosto 2011 n. 4590 si è invece in effetti limitato a suggerire che tali criteri possano “essere integrati alla luce di quanto prescritto dal già  citato art. 42 bis del d.P.R. nr. 327 del 2001, medio tempore sopravvenuto: e pertanto, ferma restando la necessità  di partire dal valore venale del suolo per ciascun anno a partire dall’inizio dell’illegittima occupazione (15 novembre 2005), l’interesse corrispondente al danno da liquidare andrà  liquidato nella misura del 5% annuo sui predetti importi, come prescritto dal comma 3 della menzionata norma, non emergendo in atti la prova di un danno diverso e ulteriore”.
Ora tale osservazione, formulata evidentemente per l’ipotesi del prosieguo della vicenda e, quindi, soprattutto, nella prospettiva di ulteriori sviluppi giurisdizionali, non può che essere condivisa, rappresentando una modalità  di calcolo del tutto analoga a quella della sentenza, ma in definitiva più chiara e semplice.
Fugata ogni perplessità  sul punto, occorre rimarcare l’inadempienza dell’Amministrazione municipale che ha ritenuto di potersi sottrarre al decisum, non solo non pagando alcuna somma all’istante, ma anche formulando un’offerta che nulla ha a che vedere con quanto statuito dal Giudice. Ciò sia per quanto riguarda l’entità  dell’importo, sia addirittura per ciò che concerne gli stessi metodi e criteri di apprezzamento del valore venale. Infatti, come si legge nel controricorso del Comune 4-8 novembre 2011, il medesimo, accogliendo il suggerimento del Consiglio di Stato, ha proceduto alla determinazione del valore del suolo, attraverso la perizia di stima redatta dal Responsabile del Settore tecnico, di cui si è data notizia all’istante con nota 3 novembre 2011 n. 9799 (pagine 10-11).
Tale relazione, datata ottobre 2011, tende a stabilire direttamente il valore di mercato del terreno, applicando, quale sistema di stima, la comparazione con i prezzi dei suoli edificabili compravenduti di recente a prezzi noti, con eventuale applicazione di coefficienti correttivi (pagine 3-4). Invece, come espressamente riconosce l’Ente nell’atto difensivo, tutta la descritta impostazione diverge in radice dalla stima come effettuata dal perito di parte, che il Tribunale aveva individuato (incaricando appositamente il Comune, ai sensi dell’articolo 35, comma secondo, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 – oggi corrispondente all’articolo 34, comma quarto, del codice del processo amministrativo) come base per la quantificazione specifica del danno risarcibile.
Infatti, la stima del consulente di parte, richiamata espressamente nella sentenza n. 3402/2010, adotta, quale criterio quello (diverso) del “valore di trasformazione del suolo” (pagina 13 del controricorso), ovvero ricava dal presumibile valore del costruito quello della relativa superficie.
A tal proposito si deve solo chiarire (avendo notato il Consiglio di Stato “che il primo giudice non si è in alcun modo pronunciato sulla destinazione urbanistica in ragione della quale individuare il valore venale dell’immobile”) che risulta incontestato – perchè affermato dallo stesso Comune (nota del Sindaco 21 settembre 2011 n. 8496; relazione n. 363/2011) – che il suolo in questione alla data del 15 novembre 2005 era edificabile perchè tipizzato zona CM (mista, residenziale-commerciale-artigianale) dal P.R.G. approvato con deliberazione G.R. 14 maggio 2002 n. 613.
Di conseguenza, una volta accertata l’inesecuzione nella sentenza, (anche) nella parte in cui il Comune era stato condannato a quantificare il risarcimento per abusiva occupazione dei suoli – calcolato in base ai criteri stabiliti nella pronuncia e precisati nella decisione del Consiglio di Stato n. 4590/2011 (“assumendo a valore-base quello di mercato del bene, come stimato dal perito” per ciascun anno e applicando il criterio del “valore di trasformazione del suolo”, per poi liquidare le somme nella misura del 5% annuo sui predetti importi) – e, poi, a pagare quanto dovuto, altro non rimane se non provvedere a tale (non effettuata nei termini imposti dalle pronunce intervenute) quantificazione specifica.
A tal fine è necessario disporre apposita verificazione e, per l’effetto, ai sensi dell’art. 66 del codice del processo amministrativo, stabilire quanto segue:
a) alla verificazione provvederà  il Direttore della Direzione regionale della Puglia dell’Agenzia del Territorio, con facoltà  di delega ad un Funzionario dell’Ufficio;
b) il verificatore dovrà  procedere alla quantificazione specifica del risarcimento del danno con le modalità  e i criteri di cui motivazione;
c) alla verificazione si provvederà , previi acquisizione dell’occorrente documentazione (operazione per la quale il Comune di Rodi Garganico metterà  a disposizione un proprio dipendente e fornirà  comunque il supporto richiesto dal verificatore) e apposito sopralluogo, cui potranno partecipare le parti, eventualmente assistite dai loro legali, nonchè ogni altra operazione ritenuta utile o necessaria dal verificatore; la data del sopralluogo sarà  comunicata alle parti 10 giorni prima dell’effettuazione, anche tramite fax o posta elettronica, ove così concordato;
d) la relazione conclusiva sarà  depositata entro il termine del 17 settembre 2012;
e) l’anticipo sul compenso spettante al verificatore è stabilito nella misura di euro 1.000,00, a carico dell’istante;
f) la camera di consiglio per il prosieguo della trattazione è fissata per il 29 novembre 2012.
P.Q.M.
il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sede di Bari, Sezione terza, parzialmente pronunciandosi sul ricorso in epigrafe,
I. in parte lo accoglie e, per l’effetto, assegnati al Comune di Rodi Garganico il termine di 60 giorni dalla comunicazione o dalla notificazione della presente sentenza per emanare il provvedimento di acquisizione, ex articolo 42 bis del T.U. espropriazioni, contenente l’indicazione dell’indennizzo dovuto ai ricorrenti per la perdita della proprietà  del fondo, e l’ulteriore termine di 15 giorni per la liquidazione di tali somme,
– ORDINA a carico del Comune di Rodi Garganico e in favore del signor Antonio Pio Salvatore Dattoli la restituzione del suolo di mq 2075, contrassegnato in catasto al foglio 5, p.lla 409, e la rimozione delle opere realizzate sui suddetti terreni, con effetto dall’infruttuosa scadenza dei termini sopra fissati;
II. per la restante parte,
– DISPONE VERIFICAZIONE nei termini e con le modalità  di cui in motivazione, fissando per il prosieguo la camera di consiglio del 29 novembre 2012
Spese al definitivo
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità  amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 8 marzo 2012 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Pietro Morea, Presidente
Giuseppina Adamo, Consigliere, Estensore
Francesca Petrucciani, Referendario
 
 
 
 

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 04/05/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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