1. Giurisdizione – Espropriazione per pubblica utilità  – Indennità  – Giurisdizione del G.O. 


2. Espropriazione per pubblica utilità  – Occupazione appropriativa – Risarcimento del danno – Prescrizione del diritto – Dies  a quo – Fattispecie


3. Espropriazione per pubblica utilità  – Risarcimento del danno – Occupazione appropriativa – Irreversibile trasformazione del suolo – Acquisizione coattiva dell’area da parte della P.a. – Risarcimento per equivalente

1. Appartengono alla giurisdizione del G.O. le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità  in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa, alla luce dell’art. 134, comma 1 lett. g), c.p.a.


2. In materia di occupazione appropriativa, l’illecito della p.A. permane fino all’eventuale adozione dell’atto ablativo autoritativo; ne consegue che l’azione di risarcimento danni non si prescrive fino all’eventuale atto di acquisizione formale.


3. In materia di occupazione appropriativa, con contestuale irreversibile trasformazione del suolo da parte della P.A., la tutela più adeguata per il privato si sostanzia nell’ordine, rivolto all’Amministrazione, di acquisizione dell’area, ex art. 42 bis T.U. esp., con contestuale liquidazione in favore del proprietario dell’equivalente monetario a titolo di risarcimento.

N. 00722/2012 REG.PROV.COLL.
N. 01890/2002 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1890 del 2002, proposto da: 
Tricarico Italia e Tricarico Anna, rappresentate e difese dall’avv. Giovanni Fiorentino, con domicilio eletto in Bari presso l’avv. F.Lofoco alla via P.Fiore n.14; e, dopo il decesso della ricorrente Anna Tricarico proseguito dagli eredi universali Ernesto e Giovanni Paternostro, anch’essi rappresentati e difesi dall’avv. Giovanni Fiorentino, con domicilio eletto presso l’avv. Antonio Caterino in Bari, alla via Capruzzi n.184; 

contro
Comune di Manfredonia, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Pasquale Salvemini, con domicilio eletto in Bari presso l’avv. G.Bux al corso Cavour n.142; 

per l’accertamento
dell’occupazione sine titulo di aree di proprietà  di parte ricorrente per la realizzazione di opere pubbliche e, conseguentemente,
per il risarcimento dei danni da occupazione appropriativa;
 

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Manfredonia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 gennaio 2012 la dott.ssa Giacinta Serlenga e uditi per le parti i difensori avv. Rosa Petruzzelli, su delega dell’avv. G. Fiorentino e avv. Ciro Testini, su delega dell’avv. P. Salvemini;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue;
 

FATTO
Le sigg.re Anna e Italia Tricarico, nella qualità  di comproprietarie per 1/6 ciascuna di un fondo sito nel territorio comunale di Manfredonia, riportato in catasto al foglio n.23 particelle 30 e 34, hanno adito questo Tar per l’accertamento dell’occupazione illecita del predetto suolo da parte dell’Autorità  comunale per la realizzazione di un’opera pubblica (una scuola elementare), giusta gravame notificato in data 28.11.2002 e depositato il successivo 5 dicembre.
Specificano invero le ricorrenti che scaduto il temine dell’occupazione temporanea e d’urgenza ed eseguiti i lavori con conseguente trasformazione dell’area, non veniva emesso nel quinquennio successivo alcun decreto di esproprio.
Deceduta nel 2007 la sig.ra Anna Tricarico, si costituivano per la prosecuzione del giudizio i suoi eredi universali, sigg.ri Ernesto e Giovanni Paternostro; il primo anche nella qualità  di procuratore speciale dell’altra ricorrente originaria, la sig.ra Italia Tricarico.
Nelle more si costituiva peraltro anche l’Amministrazione comunale, con atto depositato in data 5.4.2004, eccependo in via preliminare la prescrizione del diritto al risarcimento per occupazione acquisitiva e il difetto di giurisdizione del Tribunale adito in relazione alla -presunta- richiesta di liquidazione dell’indennità  relativa al periodo di occupazione legittima; in ogni caso chiedendo il rigetto delle avverse domande.
All’udienza del 12 gennaio 2012 la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
La questione ruota intorno all’annosa problematica dei rimedi esperibili avverso la trasformazione sine titulo di un’area di proprietà  privata per la realizzazione di un’opera pubblica e dei termini di reazione concessi al proprietario.
1.- Deve in proposito ripercorrersi -a grandi linee- l’evoluzione normativa e giurisprudenziale registratasi nel nostro ordinamento.
L’accessione invertita, istituto di conio giurisprudenziale preordinato al contemperamento dell’interesse pubblico alla realizzazione dell’opera di pubblica utilità  con quello dei privati a non vedersi sottrarre la proprietà  senza giusto ristoro e al di fuori delle procedure di legge, era stata la risposta alle espropriazioni sine titulo poste in essere dalle Amministrazioni pubbliche; per cui la trasformazione irreversibile dell’area comportava l’acquisto della relativa proprietà  da parte dell’Amministrazione procedente e, contestualmente, il sorgere in capo al privato illegittimamente espropriato del diritto al risarcimento dei danni per equivalente.
Tralasciando tutte le connesse questioni afferenti la giurisdizione (distinta a seconda della classificazione in concreto dell’occupazione come acquisitiva o usurpativa) e i parametri cui ancorare il valore del bene da risarcire, è qui sufficiente rammentare che l’istituto in parola, ideato e disciplinato dalla giurisprudenza e privo di suggello normativo, è stato definitivamente cancellato dal nostro ordinamento a seguito delle ripetute pronunzie della Corte europea dei diritti dell’uomo; questa ne ha invero rilevato l’insanabile contrasto con le garanzie di cui la proprietà  privata è assistita all’interno della Carta europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e, più precisamente, con l’art.1 del Protocollo n.1 (prima tra tutte Sez.II, 30.5.2000, Carbonara e Ventura c/ Italia).
Le pronunzie della Corte europea hanno destabilizzato il sistema nazionale ormai assestato sull’elaborazione di principi giurisprudenziali quasi unanimemente condivisi e ha condotto alla formulazione dell’art.43 del T.U. esproprio (D.P.R. n.327/2001); ossia alla codificazione della cd. acquisizione sanante.
E’ stato cioè attribuito alla pubblica Amministrazione il potere di “sanare” ex post una procedura ablativa illegittima (ab origine o diventata tale anche a seguito di annullamento giurisdizionale) attraverso l’emissione di un provvedimento autoritativo unilaterale, preceduto dalla valutazione del pubblico interesse all’acquisizione dell’area occupata, a fronte di un ristoro al proprietario commisurato al valore dell’area stessa.
Anche questa norma ha aperto un dibattito in giurisprudenza sulle correlative facoltà  dei proprietari illegittimamente espropriati e sul significato da assegnare all’iniziativa giudiziaria dagli stessi eventualmente proposta per vedersi riconoscere -direttamente- il risarcimento dei danni per equivalente.
L’art.43 è stato però oggetto di una pronunzia di incostituzionalità  per eccesso di delega (giusta sentenza della Corte costituzionale n.293 dell’8 ottobre 2010); sicchè, cancellata l’accessione invertita dalla C.e.d.u. e successivamente l’acquisizione sanante dalla Corte costituzionale, i giudici di merito hanno cercato di trarre dall’ordinamento generale i principi per delineare il regime giuridico delle aree sottoposte dall’Amministrazione a trasformazione sine titulo, nel tentativo di individuare i possibili rimedi.
Da ultimo il Tar Lombardia, Milano, con sentenza n.880/2011, dopo aver lucidamente ricostruito tutte le alternative sul campo (dalla specificazione ex art.940 all’accessione ex art.936 c.c. fino ai rimedi esperibili ex artt.2058 e 2933 c.c.), era pervenuto a configurare una tutela ripristinatoria di natura reale (distinta dalla reintegrazione in forma specifica) che si sarebbe dovuta sommare, senza escluderla, alla tutela risarcitoria ex art.2043 c.c. ricorrendone i presupposti.
Nelle more è tuttavia intervenuto nuovamente il legislatore con D.L. n.98/2011 conv. in legge n.111/2011, che ha riscritto l’art.42 bis e reintrodotto l’acquisizione sanante, pur rimodulandone le condizioni.
Si è pertanto tornati allo status quo ante la dichiarazione di incostituzionalità  di cui si è detto; sicchè alcuni arresti giurisprudenziali precedenti, relativi a talune questioni molto dibattute, possono essere recuperati.
Così delineato il quadro generale veniamo ora al caso di specie.
2.- Occorre esaminare con priorità  le eccezioni processuali.
2.1.- Innanzitutto l’asserito difetto di giurisdizione rispetto alla richiesta di indennità  che parte ricorrente ha presumibilmente inteso riferire al periodo di occupazione legittima.
L’eccezione è fondata considerato che l’art.134, comma 1 lett.g), c.p.a. (d.lgs. n.104/2010), sostanzialmente riproduttivo dell’art.53, 2° comma, D.P.R. n.327/2001, lascia ferma la giurisdizione del giudice ordinario per le controversie riguardanti “la determinazione e la corresponsione delle indennità  in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa”. Anche la giurisprudenza sul punto è granitica e il Collegio non ritiene di discostarsene (da ultimo C.d.S., sez. IV, 4.2.2011, n.804; cfr. in particolare un precedente di questo Tar, Sez.I, 1.9.2010, n.3423).
2.2.- Veniamo quindi all’eccezione di prescrizione.
Come anticipato in punto di fatto, l’Amministrazione comunale oppone l’intervenuta prescrizione
del diritto al risarcimento per occupazione acquisitiva sul presupposto che il dies a quo vada fatto coincidere, secondo i consolidati principi generali in materia, con la scadenza del termine per l’occupazione legittima o, comunque, con l’irreversibile trasformazione del bene; e, nel caso di specie in cui sarebbe incontroverso che l’opera sia stata realizzata nel termine di validità  dell’occupazione legittima, il termine quinquennale sarebbe spirato tra il 1984 (per la prima quota di suolo occupato corrispondente a mq.14.541) e il 1986 (per i residui mq.2.005), a fronte dell’azione risarcitoria promossa soltanto nel 2002.
L’eccezione è infondata.
A seguito delle richiamate pronunzie della Corte europea e della conseguente cancellazione dell’istituto dell’accessione invertita, l’elaborazione giurisprudenziale è pervenuta ad una rivisitazione di quei principi generali invocati dalla difesa dell’Amministrazione.
Non realizzandosi infatti l’effetto traslativo della proprietà  dal privato alla pubblica Amministrazione fino all’eventuale adozione di un atto espresso di acquisizione sanante, nella vigenza del richiamato art.43 T.U. edilizia si era concluso che l’azione di risarcimento non si sarebbe potuta prescrivere fino all’eventuale atto di acquisizione formale (cfr. C.d.S., sez.IV, 7.4.2010, n.1983 e 15.9.2009, n.5523); e, dopo la pronunzia di incostituzionalità  dell’art.43, fino al trasferimento della proprietà  a mezzo accordi traslativi o transattivi o, in generale, fino ad un atto di acquisto della proprietà  da parte dell’Amministrazione (cfr. C.d.S., sez.IV, 4.2.2011 n.804 e 9.3.2011, n.1521).
Con l’art.42 bis è stato reintrodotto -come detto- l’atto ablativo autoritativo; sicchè, recuperando le precedenti elaborazioni giurisprudenziali, è possibile senz’altro affermare che -allo stato- l’illecito permane fino all’eventuale adozione dell’atto stesso.
Nè può dubitarsi dell’applicazione retroattiva di tali principi, già  ammessa in via pretoria nella vigenza dell’art..43 T.U. espropri ed oggi espressamente codificata nello stesso art.42bis su richiamato (cfr. ultimo comma).
3.- Passando ora al merito della controversia, il Collegio ritiene l’azione fondata e, quindi, meritevole di accoglimento.
Va preliminarmente chiarito, sempre sulla scorta del prevalente orientamento giurisprudenziale consolidatosi nella vigenza del più volte richiamato art.43 del T.U. espropri ma che si attaglia alla reintrodotta disciplina dell’acquisizione sanante, che l’opzione per l’azione risarcitoria operata dal privato non può assumere il significato di abdicazione della proprietà  (essendo necessario -si ribadisce- un esplicito atto di trasferimento) ma piuttosto di dichiarazione di disponibilità  a rinunziarvi attraverso una scelta che esclude la restituito in integrum.
Nel caso di specie l’occupazione è divenuta abusiva decorso il quinquennio di validità  dei decreti di occupazione d’urgenza senza che sia intervenuto formale provvedimento di esproprio; periodo di tempo nel quale i lavori sono stati materialmente eseguiti e l’area irreversibilmente trasformata. Più precisamente, i primi mq. 14.541 erano stati occupati in virtù di decreto emesso in data 14.9.79 e gli ulteriori mq.2.005 in virtù di decreto emesso l’11.8.1980; il tutto preordinato alla costruzione di una scuola elementare, effettivamente realizzata.
L’Amministrazione non contesta la riportata ricostruzione dei fatti ed anzi chiarisce -sia pure allo scopo di supportare l’eccezione di intervenuta prescrizione- che rispetto al primo decreto il termine di occupazione legittima sia scaduto il 30.10.84 e rispetto al secondo decreto il 22.9.86 giacchè, nelle more, era entrata in vigore la proroga automatica di un anno introdotta con D.L. 901/84, convertito in legge 42/85.
L’occupazione è dunque divenuta illegittima rispettivamente dopo cinque e sei anni dall’immissione in possesso. Si tratterebbe -stando alle categorie tradizionalmente elaborate dalla giurisprudenza- di occupazione acquisitiva.
Considerato, tuttavia, che l’accessione invertita con il relativo effetto traslativo della proprietà  è divenuta assolutamente incompatibile con la disciplina normativa introdotta dal d.lgs. n. 327/2001 (allo stato riconducibile al più volte richiamato art.42bis, intitolato “Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico”) l’unico rimedio riconosciuto dall’ordinamento alla Pubblica Amministrazione per evitare la restituzione dell’area è l’emanazione di un (legittimo) provvedimento di acquisizione c.d. “sanante”. In buona sostanza, la mancanza di un atto formale di acquisizione impedisce all’Amministrazione di diventare proprietaria del bene occupato (cfr. giurisprudenza riferita al vecchio art.43; per tutte C.d.S., Sez.VI, 16 novembre 2007 n. 5830 e T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 27 luglio 2007, n. 5445).
Nel caso di specie l’atto di acquisizione manca sicchè a tutt’oggi la proprietà  dell’area su cui è stata realizzata l’opera pubblica è in capo ai ricorrenti.
L’opzione per l’azione risarcitoria deve dunque essere interpretata quale disponibilità  alla cessione della proprietà  stessa a fronte di adeguato ristoro economico. Questo è il significato da attribuire alla condotta processuale dei proprietari; quello cioè di ritenere satisfattivo l’equivalente in danaro.
L’Amministrazione, dal canto suo, ha inequivocabilmente espresso per facta concludentia la volontà  di acquisire la proprietà : ha avviato la procedura espropriativa, occupato l’area e soprattutto realizzato l’opera prevista impiegando risorse pubbliche.
Ciò stante, i margini di discrezionalità  che in astratto connotano la valutazione comparativa degli interessi in conflitto cui l’art.42 bis condiziona l’acquisizione sanante dell’area, risultano in concreto sensibilmente ridotti (se non totalmente esclusi). Non può invero dubitarsi che nella specie la restituzione del bene ai privati comporterebbe grave nocumento all’interesse pubblico, privando la collettività  dell’opera ormai completata; tanto più che, stando alle allegazioni di parte ricorrente, altri comproprietari della stessa area avrebbero chiesto ed ottenuto risarcimento per equivalente (viene richiamata una non meglio specificata sentenza del Tribunale di Foggia del 3 maggio 1995) con presumibile correlativa perdita della proprietà  pro-quota in favore dell’Amministrazione, presumibilmente secondo l’ormai superato meccanismo dell’accessione invertita.
E’ vero che l’art.42 bis in esame non riproduce la disposizione precedentemente contenuta nell’art.43 che riconosceva all’Amministrazione la facoltà  di chiedere al giudice amministrativo, nel caso di fondatezza del ricorso, di disporre la condanna al risarcimento del danno con esclusione della restituzione del bene; ma è anche vero che, nelle more, il codice del processo amministrativo ha previsto un generale -atipico- potere di condanna all’adozione delle misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio (art.34, comma 1, lett.c)).
Nel caso di specie, in cui la situazione giuridica soggettiva azionata in giudizio coincide con il diritto di proprietà  (rectiusdi comproprietà ) compromesso dalla condotta illecita della pubblica Amministrazione (che ha già  prodotto -si ribadisce- l’effetto della trasformazione irreversibile e della parziale acquisizione della proprietà  del suolo da parte del Comune), il Collegio ritiene che la tutela più adeguata si sostanzi nell’ordine di acquisizione dell’area ex art.42 bis con contestuale liquidazione in favore dei proprietari ricorrenti dell’equivalente monetario a titolo di risarcimento secondo le precise disposizioni dell’art.42 bis stesso e secondo la stessa domanda formulata da parte ricorrente.
Negli atti del giudizio non si rintraccia, invero, alcuna richiesta di restituzione. La soluzione peraltro -si ribadisce- salvaguarda anche l’interesse pubblico alla conservazione dell’opera ormai realizzata su di un’area parzialmente già  divenuta di proprietà  dell’Ente.
L’indennizzo dovrà  ristorare i proprietari sia della perdita della proprietà  sia del mancato godimento della stessa dal momento in cui l’occupazione è divenuta illegittima.
La relativa quantificazione viene rimessa all’accordo tra le parti ai sensi e per gli effetti del quarto comma del citato art.34 c.p.a., alla luce dei criteri di seguito indicati:
a) secondo le espresse previsioni del più volte richiamato art.42 bis, l’indennizzo per il pregiudizio patrimoniale collegato alla perdita della proprietà  (il pregiudizio non patrimoniale esula dalla domanda dei ricorrenti), deve essere commisurato al “valore venale” del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità  con applicazione dell’art.37, commi 3,4,5,6 e7, D.P.R. n.327/2001 se si tratta di terreno edificabile;
b) per la determinazione del valore venale si dovrà  tener conto della destinazione urbanistica dello stesso al momento della materiale apprensione ma la stima andrà  effettuata con riferimento al momento di scadenza dell’occupazione legittima; è tale data, infatti, a segnare il momento di inizio dell’occupazione illegittima e l’insorgenza dell’illecito permanente;
c) la valutazione dovrà  inoltre essere effettuata avvalendosi degli elementi in possesso dell’Amministrazione e di quelli che verranno forniti da parte ricorrente nonchè delle informazioni che potranno essere acquisite presso uffici fiscali o da altri pubblici ufficiali in ordine ai prezzi ed alle valutazioni dei beni (avuto riguardo, in particolare, ad atti di cessione, a procedimenti relativi all’applicazione di imposte e tributi ovvero a procedimenti in sede giudiziaria, per beni ubicati nella zona ed aventi analoghe caratteristiche di destinazione urbanistica, di utilizzazione, di stato e conformazione dei luoghi; primo fra tutti quello che ha riguardato le diverse porzioni della stessa area innanzi al tribunale di Foggia);
d) la superficie oggetto di valutazione sarà  quella risultante dallo stato di consistenza e di immissione in possesso;
e) la somma così quantificata andrà  rivalutata annualmente sino alla data di adozione del provvedimento di acquisizione della proprietà  e maggiorata degli interessi fino al soddisfo;
f) quanto ai danni per mancata utilizzazione del bene per il periodo compreso tra l’inizio dell’occupazione senza titolo e il trasferimento che verrà  disposto con apposito provvedimento vanno calcolati forfetariamente nella misura del 5% annuo sul valore venale del bene rivalutato, al netto degli interessi, secondo le previsioni del più volte richiamato art.42 bis; anche tale importo andrà  poi rivalutato annualmente fino alla data del suddetto provvedimento di acquisizione e maggiorato degli interessi fino al soddisfo.
Paventandosi un danno erariale, il Collegio reputa doveroso incaricare la Segreteria di trasmettere il fascicolo di causa, unitamente alla presente pronuncia, alla Procura Regionale della Corte dei Conti.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia-Bari (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così dispone:
1) dichiara il difetto di giurisdizione in relazione alla richiesta di liquidazione dell’indennità  di occupazione legittima e, per l’effetto, rimette le parti innanzi all’Autorità  giurisdizionale ordinaria competente per territorio, previa riassunzione del giudizio nel termine di legge ai sensi dell’art.11 c.p.a;
2) accoglie il ricorso quanto alla domanda risarcitoria e, per l’effetto, condanna il Comune di Manfredonia all’adozione dell’atto di acquisizione sanante entro e non oltre novanta giorni dalla comunicazione della presente decisione con contestuale quantificazione dell’indennizzo in favore di parte ricorrente nei sensi, modalità  e termini di cui in motivazione;
3) condanna altresì l’Amministrazione soccombente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in € 2000,00 (duemila/00);
4) dispone la trasmissione della presente sentenza alla procura regionale della Corte dei conti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità  amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 12 gennaio 2012 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Sabato Guadagno, Presidente
Antonio Pasca, Consigliere
Giacinta Serlenga, Referendario, Estensore
 
 
 
 

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 13/04/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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