1. Giustizia e processo – Connessione tra diverse domande – Proposizione in unico giudizio – Possibilità  – Fattispecie


2. Risarcimento del danno – Proposizione della relativa azione – Anche in assenza di impugnazione di provvedimento – Ammissibilità 


3. Edilizia ed urbanistica – Localizzazione di strutture turistiche – Ccelta ampiamente discrezionale – Conseguenze


4. Edilizia ed urbanistica – Scelte pianificatorie della P.A. – Obbligo di motivazione specifica – Insussistenza – Eccezioni – Individuazione


5. Risarcimento del danno – Azione – Prescrizione – Decorrenza


6. Giustizia e processo – Richiesta di risarcimento del danno – Omesso esperimento dell’azione impugnatoria – Valutabilità  ex art. 30, comma III, c.p.a.  


7. Giustizia e processo – Domanda avente ad oggetto obblighi nascenti da convenzione di lottizzazione – Giurisdizione del G.A. – Sussiste


8. Edilizia e urbanistica – Convenzione di lottizzazione – Inadempimento – Rimedi – Sono tutti quelli di diritto privato

1. Nel processo amministrativo la connessione oggettiva, che legittima la proposizione più domande nel medesimo giudizio, può ritenersi sussistente quando: a) fra gli atti impugnati viene ravvisata quantomeno una connessione procedimentale di presupposizione giuridica o di carattere logico, in quanto i diversi atti incidono sulla medesima vicenda; b) le domande cumulativamente avanzate si basano sugli stessi presupposti di fatto o di diritto e sono riconducibili nell’ambito del medesimo rapporto o di un’unica sequenza procedimentale; c) sussistono elementi di connessione tali da legittimare la riunione dei ricorsi (nel caso di specie è stata ritenuta ammissibile la proposizione di due domande che, seppur fondate su diverso titolo giuridico, avevano ad oggetto il medesimo rapporto intercorrente tra privati e P.A. e si basavano sui medesimi presupposti di fatto).


2. La domanda del risarcimento del danno derivante dal provvedimento amministrativo lesivo di un interesse legittimo deve essere proposta dinanzi al Giudice Amministrativo ex art. 7, comma IV, C.p.a. e la relativa azione può essere esperita anche in via autonoma ed indipendentemente dall’eventuale decorso del termine di decadenza pertinente all’azione di annullamento.


3. Rientra nell’ambito della discrezionalità  amministrativa, non sindacabile in sede giurisdizionale se non per vizi macroscopici, la decisione in ordine alla localizzazione delle strutture turistiche nell’ambito del territorio comunale.


4. Le scelte urbanistiche adottate dalla P.A. per ciò che attiene la destinazione delle singole aree non necessitano di una specifica motivazione se non nel caso che la scelta medesima vada ad incidere negativamente su posizioni giuridiche differenziate, ravvisabili unicamente nell’esistenza di piani e/o progetti di lottizzazione convenzionati già  approvati o situazioni di diverso regime urbanistico accertati da sentenze passate in giudicato.


5. Il definitivo superamento della c.d. pregiudiziale amministrativa comporta la generale applicazione del principio per cui il dies a quo della prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento del danno coincide con la data del provvedimento lesivo, e non più con quella del passaggio in giudicato della sentenza che lo ha annullato.


6. L’omesso esperimento da parte degli interessati dell’azione impugnatoria integra gli estremi di un comportamento contrario a buona fede valutabile alla stregua del disposto di cui agli artt. 30, comma III, c.p.a. e 1227, comma II, c.p.c., i predetti principi trovano applicazione anche con riferimento a situazioni anteriori rispetto all’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, trattandosi di una disciplina ricognitiva di principi evincibili dal sistema normativo antecedente all’entrata in vigore del codice stesso.


7. Sussiste la giurisdizione esclusiva del G.A., ai sensi dell’art. 133, comma I, lett. a.2), c.p.a. in ordine ad una domanda avente ad oggetto l’inadempimento degli obblighi stabiliti da una convenzione di lottizzazione, venendo in rilievo un accordo ex art. 11 della L. n. 241/1990.  


8. In caso di asserita violazione alle obbligazioni previste da una convenzione di lottizzazione, l’interessato deve poter contare su tutti i rimedi offerti dall’ordinamento ad un creditore, che derivi tale sua posizione da un contratto di diritto privato, per poter realizzare coattivamente il proprio interesse (Il TAR ha specificato che al creditore che assuma l’inadempimento del proprio debitore sia sufficiente provare la fonte negoziale o legale del suo diritto, potendosi limitare alla mera allegazione dell’inadempimento della controparte su cui graverà  l’onere di provare il fatto estintivo dell’altrui pretesa, secondo le ordinarie regole in materia di onere della prova).


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Vedi Cons. St., sez. IV, sentenza 22 aprile 2014, n. 2032 – 2014, ric. n. 7374 – 2012.


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N. 00367/2012 REG.PROV.COLL.
N. 00561/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 561 del 2008, proposto da:
Accadia Laura Delia Barbara, Augello Michele, Augello Dante, Augello Annunziata, Augello Antonio, Augello Maria, Augello Francesco, Augello Giovanni, Augello Raffaele, Augello Grazia, Buono Andrea, Buono Angela Giuseppina, Cavalluzzo Angelo, Pennelli Giuseppina Maria, Centra Giuseppe, Palladino Maria Addolorata, Ciavarella Dora Pia, Ciavarella Matteo, Ciavarella Vito, Ciavarella Rosa Pia, Spano Maria, Ciccone Giovanni, Fiorentino Fortunata, Ciccone Angela Pia, Ciccone Rosanna, Ciccone Addolorata, Ciccone Maddalena, Ciccone Grazia, Ciccone Bambina, Fossati Adriana, Ciccone Giampaolo, Ciccone Marco, Cocomazzi Giovanni, Merla Teresa, Leggieri Michele, Merla Antonietta, Curci Michele, Ciavarella Arcangela, D’Addetta Giuseppe, Gorgoglione Bambina, De Bonis Nicola Franco, De Bonis Costanzo, De Bonis Antonino, Savino Vincenzo, Cisternino Teresa, Tarluttini Vincenzo Luigi, Savino Nicoletta, Dragano Giuseppe, Palladino Annunziata, Gorgoglione Nicola, Merla Anna Maria, Gorgoglione Paolo, Longo Carmela Filomena, Longo Silvana, Grifa Matteo, Pazienza Angela, Bentivogli Cesare, Capuano Lucia, Iannacone Paolo, Camassa Fernanda, Iarossi Gennaro, Latiano Antonio, Piano Teresa, Russo Felice, Latiano Maria, Limosani Rosanna, Mangiacotti Donato, Giuliani Maria, Martino Matteo, Perrone Filomena, Minò Luigi, Nalesso Costantina, Nalesso Giuseppina, Nalesso Roberto, Nalesso Gianfranco, Nalesso Lorenza Monica, Donazzolo Angela, Pazienza Angela, Pirro Leonardo, Inverso Angela Rosa, Ricciardi Rosa, Ricciardi Matteo, Ricciardi Salvatore, Ricciardi Silvana, Ritrovato Giovanni, Ruberto Lucia Agnese Pia, Ruberto Teresa, Ruberto Antonio, Ruberto Michele, Russo Giuseppe, Saracino Maria Celeste, Mimmo Santoro Filomena, M.A.G.D.A Turismo di Mangiacotti Grazia & C. s.a.s., Congregazione delle Suore di S. Chiara, Longo Leonardo, Sara s.r.l., Vinelli Francesco Modesto Pio, Consorzio S. Maria di Patarillo, Cipriano Michele, Ritrovato Salvatore, Ritrovato Francesco, Fiore Matteo, Di Cosmo Giovanni, Piano Francesco, Piano Giuseppe, Coco Gabriele, rappresentati e difesi dagli avv.ti Maria Difino e Lorenzo Passeri Mencucci, con domicilio eletto presso la Segreteria del T.A.R. Puglia, sede di Bari in Bari, piazza Massari;

contro
Comune di San Giovanni Rotondo, rappresentato e difeso dall’avv. Salvatore Ricciardi, con domicilio eletto presso l’avv. Francesco Bovio in Bari, via Putignani, 141;

per l’accertamento e la declaratoria
della responsabilità  dell’Amministrazione comunale di San Giovanni Rotondo per i danni cagionati ai ricorrenti per il deprezzamento di valore delle aree di loro proprietà  ubicate nella Zona “CA-Alberghiera” come individuata dal P.R.G. comunale, a causa del comportamento tenuto da detta Amministrazione con l’approvazione e l’attuazione della delibera di Consiglio comunale n. 105 dell’11.11.1997, così come modificata dalla delibera di Consiglio comunale n. 32 del 18.3.1998 e degli altri atti a queste consequenziali e comunque connessi;
e per la condanna dell’Amministrazione comunale di San Giovanni Rotondo al risarcimento di tutti i danni, subiti e subendi;
 

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di San Giovanni Rotondo;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore il dott. Francesco Cocomile e uditi nell’udienza pubblica del giorno 21 dicembre 2011 per le parti i difensori avv.ti Vito Aurelio Pappalepore, su delega dell’avv. Maria Difino, e Salvatore Ricciardi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
 

FATTO e DIRITTO
Con delibere consiliari n. 303 dell’8 maggio 1996 e n. 69 del 18 luglio 1997 il Consiglio comunale di San Giovanni Rotondo approvava il piano particolareggiato zona “CA” Alberghiera di P.R.G. – delimitata da viale Aldo Moro, via della Difesa, via Anna Frank e via San Giovanni Gonzaga – costituente comparto edificatorio ai sensi della legislazione regionale pugliese.
I ricorrenti sono proprietari di fondi inseriti all’interno del suddetto piano particolareggiato.
In data 30 ottobre 1997 per atto Notar Filippo Rizzo Corallo veniva costituito il Consorzio “Santa Maria di Patarillo” al quale aderivano la maggioranza dei proprietari dei suoli siti nella zona “CA” con il fine di realizzare la volumetria privata assentibile a scopi esclusivamente turistico – ricettivi e le relative opere di urbanizzazione.
A detto consorzio partecipavano gli odierni deducenti.
Gli stessi agiscono in giudizio per il risarcimento del danno derivante dall’adozione della deliberazione del Consiglio comunale n. 105 dell’11.11.1997 così come modificata dalla deliberazione n. 32 del 18.3.1998 con cui sono stati approvati i criteri generali per la realizzazione, sul territorio comunale ed in deroga alle vigenti prescrizioni urbanistiche, di strutture ricettive finanziate dalla legge 7 agosto 1997, n. 270 in occasione del Giubileo.
Rilevano che, pur non essendo stata esercitata l’azione demolitoria avverso le suddette delibere comunali, nel 2006 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (cfr. ordinanze n. 13659 del 13 giugno 2006 e n. 13660 del 13 giugno 2006) hanno ammesso l’esperibilità  dinanzi al giudice amministrativo dell’azione risarcitoria in via autonoma.
Sostengono, inoltre, di subire un danno derivante dal deprezzamento di valore delle aree di loro proprietà  inserite nel piano particolareggiato “CA alberghiera” approvato nel 1997 a causa dell’adozione delle menzionate deliberazioni; che queste ultime sono illegittime per eccesso di potere e per contraddittorietà  della motivazione, avendo l’Amministrazione comunale ignorato l’esistenza di una specifica programmazione pianificatoria con riferimento alle opere turistico ricettive; che il Comune, pur avendo destinato all’attività  turistico ricettiva alcune aree del territorio comunale tra cui i suoli di proprietà  di essi ricorrenti – peraltro già  inseriti nel piano particolareggiato approvato nel 1997 -, decideva inopinatamente con le suddette deliberazioni di localizzare le strutture turistiche de quibus in una zona differente.
Infine, evidenziano che sussiste il nesso di causalità  tra condotta ed evento dannoso; che il pregiudizio patito può essere quantificato in un ammontare pari al prezzo delle aree in esame negli anni 90 (€ 250,00 per mq.) tenuto conto della successiva previsione della realizzazione di circa 6500 alloggi turistico-alberghieri; che la saturazione dell’offerta ha determinato l’abbattimento di tale valore di oltre il 50%; che l’Amministrazione comunale si è altresì resa inadempiente rispetto agli obblighi statuiti dalla convenzione di lottizzazione sottoscritta in data 30.5.2001 rep. n. 41256.
Si costituiva l’Amministrazione comunale, resistendo al gravame.
Ciò premesso in punto di fatto, ritiene questo Collegio che il ricorso debba essere in parte respinto ed in parte accolto.
Preliminarmente, va rilevato che parte ricorrente propone due distinte domande in un unico giudizio (la prima volta a far valere una responsabilità  di tipo “aquiliano” della pubblica amministrazione per lesione dell’interesse legittimo cagionata dall’adozione delle deliberazioni n. 105/1997 e n. 32/1998; la seconda diretta ad ottenere la condanna del Comune di San Giovanni Rotondo per responsabilità  “contrattuale” da inadempimento degli obblighi sanciti dalla convenzione di lottizzazione del 30.5.2001).
Le due domande possono ritenersi “connesse” e quindi, in virtù della previsione di cui all’art. art. 32, comma 1, prima parte cod. proc. amm., ammissibili nell’ambito dello stesso giudizio amministrativo.
Come rilevato da Cons. Stato, Sez. V, 14 dicembre 2011, n. 6537 “Nel processo amministrativo la connessione oggettiva può ritenersi sussistente quando: a) fra gli atti impugnati viene ravvisata quantomeno una connessione procedimentale di presupposizione giuridica o di carattere logico, in quanto i diversi atti incidono sulla medesima vicenda; b) le domande cumulativamente avanzate si basano sugli stessi presupposti di fatto o di diritto e sono riconducibili nell’ambito del medesimo rapporto o di un’unica sequenza procedimentale; c) sussistono elementi di connessione tali da legittimare la riunione dei ricorsi.”.
Analogamente T.A.R. Sardegna, Cagliari, Sez. I, 14 gennaio 2011, n. 28 (che richiama Cons. Stato, Sez. IV, 18 marzo 2010, n. 1617) ha sottolineato che “Il principio, secondo cui il ricorso deve essere rivolto, a pena d’inammissibilità , contro un solo atto ovvero contro atti diversi, purchè collegati, va inteso senza formalismi, in termini di ragionevolezza e, ora, anche in sintonia con la disposizione di cui all’art. 32, Codice del processo amministrativo (in base al quale è sempre possibile nello stesso giudizio il cumulo di domande connesse proposte in via principale o incidentale e, se le azioni sono soggette a riti diversi, si applica quello ordinario, salvo quanto previsto dai Capi I e II del Titolo V del Libro IV; inoltre, il giudice qualifica l’azione proposta in base ai suoi elementi sostanziali e, sussistendone i presupposti, può sempre disporre la conversione delle azioni); pertanto, deve ritenersi ammissibile il ricorso cumulativo quando sussistano oggettivi elementi di connessione tra i diversi atti, ovvero ogni qual volta le domande cumulativamente avanzate si basino sugli stessi presupposti di fatto o di diritto e/o siano riconducibili nell’ambito del medesimo rapporto o di un’unica sequenza procedimentale.”.
Nel caso di specie, le due domande cumulativamente avanzate dai ricorrenti si basano sugli stessi presupposti di fatto e di diritto (responsabilità  del Comune, sia pure con differente titolo giuridico) e sono riconducibili nell’ambito del medesimo rapporto intercorrente tra gli interessati e l’Amministrazione comunale; in ultima analisi riguardano la medesima vicenda e la realizzabilità  del medesimo interesse economico degli istanti.
Deve, inoltre, affermarsi la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alla cognizione della domanda meramente risarcitoria, formulata da parte ricorrente, per responsabilità  aquiliana dell’Amministrazione comunale, derivante dall’adozione delle deliberazioni n. 105/1997 e n. 32/1998.
Trattasi di controversia relativa al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi introdotta in via autonoma.
Invero, ai sensi dell’art. 7, comma 4 cod. proc. amm. “Sono attribuite alla giurisdizione generale di legittimità  del giudice amministrativo le controversie relative ad atti, provvedimenti o omissioni delle pubbliche amministrazioni, comprese quelle relative al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi e agli altri diritti patrimoniali consequenziali, pure se introdotte in via autonoma.”.
Peraltro, come evidenziato da Cons. Stato, Sez. VI, 17 luglio 2008, n. 3602, in epoca antecedente all’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, “La giurisdizione si radica sulla situazione soggettiva vantata dall’interessato nel momento in cui l’amministrazione agisce, restando irrilevante l’eventuale riqualificazione che detta posizione possa ricevere a seguito dell’intervenuto annullamento giurisdizionale, ovvero la circostanza che l’azione di risarcimento danni abbia natura di diritto soggettivo; anche l’azione autonoma di risarcimento del danno spetta al giudice amministrativo.”.
In precedenza Cass. civ., Sez. Un, 13 giugno 2006, n. 13660 aveva rilevato che “La domanda di risarcimento del danno derivante dal provvedimento amministrativo lesivo di un interesse legittimo deve essere proposta dinanzi al giudice amministrativo, e la relativa azione può essere esperita anche in via autonoma ed indipendentemente dall’eventuale decorso del termine di decadenza pertinente all’azione di annullamento.”.
Nel caso di specie, i ricorrenti promuovono dinanzi a questo T.A.R. autonoma azione risarcitoria a tutela della propria situazione soggettiva (avente la consistenza dell’interesse legittimo) che gli stessi asseriscono essere stata sacrificata dall’esercizio illegittimo del potere (e cioè dall’adozione della deliberazione del Consiglio comunale n. 105/1997 così come modificata dalla deliberazione n. 32/1998).
Non vi è dubbio, pertanto, che sussista la giurisdizione del giudice amministrativo.
Nel merito va, tuttavia, evidenziato che le deliberazioni del Consiglio comunale n. 105/1997 e n. 32/1998 non presentano i vizi dedotti in ricorso e, conseguentemente, non possono costituire fonte di responsabilità  extracontrattuale dell’Amministrazione, non risultando compromesso in alcun modo l’interesse legittimo degli interessati.
Quanto alla affermazione di parte ricorrente secondo cui le contestate deliberazioni hanno illegittimamente ignorato l’esistenza di una specifica programmazione pianificatoria con riferimento alle opere turistico – ricettive, deve essere rilevato che rientra nell’ambito della discrezionalità  amministrativa, non sindacabile in sede giurisdizionale se non per vizi macroscopici (non sussistenti nel caso di specie), la decisione in ordine alla localizzazione delle strutture turistiche.
Come evidenziato da Cons. Stato, Sez. IV, 16 febbraio 2011, n. 1015, “Le scelte effettuate dalla p.a. in sede di formazione ed approvazione dello strumento urbanistico generale sono accompagnate da un’amplissima valutazione discrezionale: dette scelte, quindi, appaiono insindacabili nel merito e sono per ciò stesso attaccabili solo per errori di fatto, per abnormità  e irrazionalità  delle stesse. L’Amministrazione non è tenuta a fornire apposita motivazione in ordine alle scelte operate in sede di pianificazione del territorio comunale, se non richiamando le ragioni di carattere generale che giustificano l’impostazione del piano. Le scelte urbanistiche adottate per ciò che attiene la destinazione delle singole aree non necessitano di una specifica motivazione se non nel caso che la scelta medesima vada ad incidere negativamente su posizioni giuridicamente differenziate, ravvisabili unicamente nell’esistenza di piani e/o progetti di lottizzazione convenzionati già  approvati o situazioni di diverso regime urbanistico accertate da sentenze passate in giudicato. Un soggetto privato non può invocare una sorte di diritto alla immutabilità  della classificazione urbanistica dell’area di sua proprietà  sulla scorta di una semplice richiesta di edificazione, che è del tutto inidonea a configurare una posizione qualificata rispetto ai nuovi intendimenti dell’Amministrazione. La preesistente destinazione urbanistica non impedisce l’introduzione di previsioni di segno diverso in virtù dell’esercizio di uno “ius variandi” pacificamente riconosciuto all’Amministrazione. La posizione del soggetto che avanza una richiesta di edificazione assume un contenuto di semplice aspettativa, senza che perciò possa configurarsi a carico dell’ente locale un onere di specifica motivazione in ordine alla disposta variazione urbanistica dell’area, ben potendo soccorrere al riguardo l’esposizione delle ragioni di carattere generale sottese alle scelte di gestione del territorio comunale.”.
Ed ancora Cons. Stato, Sez. IV, 16 novembre 2011, n. 6049 ha sottolineato che “Le scelte effettuate dall’Amministrazione nell’adozione degli strumenti urbanistici costituiscono apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità , salvo che non siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità , sicchè anche la destinazione data alle singole aree non necessita di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali, di ordine tecnico-discrezionale, seguiti nell’impostazione del piano stesso, essendo sufficiente l’espresso riferimento alla relazione di accompagnamento al progetto di modificazione al piano regolatore generale, salvo che particolari situazioni non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni; in sostanza le uniche evenienze, che richiedono una più incisiva e singolare motivazione degli strumenti urbanistici generali, sono date: dal superamento degli standards minimi di cui al d.m. 2 aprile 1968, con riferimento alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree; dalla lesione dell’affidamento qualificato del privato, derivante da convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi fra il Comune e i proprietari delle aree, aspettative nascenti da giudicati di annullamento di concessioni edilizie o di silenzio rifiuto su una domanda di concessione; e, infine, dalla modificazione in zona agricola della destinazione di un’area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo.”.
Nel caso di specie, non sussiste alcuna situazione che possa aver creato siffatta aspettativa qualificata in favore degli odierni ricorrenti: gli stessi, infatti, pur essendo proprietari di fondi situati all’interno della zona incisa dal piano particolareggiato approvato nel 1997, non risulta avessero stipulato, in epoca antecedente all’adozione delle contestate deliberazioni del 1997/1998, convenzioni di lottizzazione ovvero altri accordi di diritto privato con il Comune di San Giovanni Rotondo. Nè ricorrono gli estremi di altra situazione – individuata da Cons. Stato n. 6049/2011 – che possa legittimare il formarsi di un’aspettativa qualificata in capo agli istanti.
A tal riguardo, è interessante quanto sostenuto da Cons. Stato, Sez. IV, 12 maggio 2010, n. 2843:
«¦ in capo ai privati coinvolti nelle previsioni di piano non è comunque configurabile un’aspettativa qualificata ad una destinazione edificatoria in relazione ad una precedente determinazione dell’Amministrazione, ma soltanto un’aspettativa generica al mantenimento della destinazione urbanistica “gradita” ovvero ad una reformatio in melius, analoga a quella di ogni altro proprietario di aree, che aspiri ad una utilizzazione comunque proficua dell’immobile; onde non può essere invocata la cd. polverizzazione della motivazione, la quale si porrebbe in contrasto con la natura generale dell’atto, che – come tale – non richiede altra motivazione rispetto a quella automaticamente esplicitata dai criteri di ordine tecnico osservati per la redazione dello stesso (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 4 marzo 2003, n. 1197; id., 10 dicembre 2003, 8146; id., Ad. Plen., n. 24 del 1999, cit.).
Dunque, in sede di adozione di un nuovo strumento urbanistico, l’Amministrazione ben può introdurre innovazioni atte a migliorare e ad aggiornare le vigenti prescrizioni urbanistiche alle nuove esigenze; e ciò anche nel caso in cui la scelta effettuata imponga sacrifici ai proprietari interessati e li differenzi rispetto ad altri, che abbiano già  proceduto all’utilizzazione edificatoria dell’area secondo la previgente destinazione di zona (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 25 febbraio 1988, n. 97). ¦».
Pertanto, gli odierni deducenti possono al più vantare un’aspettativa generica al mantenimento della destinazione urbanistica (derivante dall’inserimento dei propri fondi nell’originario piano particolareggiato approvato nel 1997) “gradita” ovvero ad una reformatio in melius, analoga a quella di ogni altro proprietario di aree che aspiri ad una utilizzazione comunque proficua dell’immobile. Aspettativa la cui compromissione non genera alcuna responsabilità  aquiliana in capo all’Amministrazione comunale, anche in considerazione del fatto che – come visto in precedenza – alcun atto illegittimo è stato adottato dal Comune resistente.
In ogni caso, va evidenziato che la domanda risarcitoria (per responsabilità  aquiliana dell’Amministrazione derivante dall’adozione delle contestate deliberazioni) azionata nel presente giudizio con ricorso notificato in data 11 aprile 2008 è prescritta, essendo stato ampiamente superato il termine quinquennale di cui all’art. 2947 cod. civ. decorrente dalla data di adozione delle deliberazioni asseritamente illegittime fonte di pregiudizio (risalenti al 1997-1998). La prescrizione è stata eccepita dalla difesa di parte resistente nella memoria depositata in data 13 aprile 2011 (pag. 15).
Come rimarcato da Cons. Stato, Sez. IV, 3 dicembre 2010, n. 8533, “Il definitivo superamento della c.d. pregiudizialità  amministrativa comporta come conseguenza la generale applicazione del principio per cui il dies a quo della prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento del danno coincide con la data del provvedimento lesivo, e non più con quella del passaggio in giudicato della sentenza che lo ha annullato.”.
Peraltro, anche il nuovo termine breve introdotto dall’art. 30, comma 3 cod. proc. amm. per l’esperimento dell’azione risarcitoria conseguente alla lesione di interessi legittimi decorre dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo.
Infine, deve essere rilevato che l’omesso esperimento da parte degli interessati dell’azione impugnatoria avverso le deliberazioni n. 105/1997 e n. 32/1998 integra gli estremi di un comportamento contrario a buona fede valutabile alla stregua del disposto di cui agli artt. 30, comma 3 cod. proc. amm. e 1227, comma 2 cod. civ. (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 23 marzo 2011, n. 3).
Secondo Ad. Plen. n. 3/2011 – alle cui conclusioni questo Collegio ritiene di aderire – la disciplina di cui all’art. 30 cod. proc. amm. trova applicazione anche con riferimento a situazioni (quale quella oggetto del presente giudizio) anteriori rispetto all’entrata in vigore del codice del processo amministrativo (i.e. 16 settembre 2010), trattandosi di una disciplina ricognitiva di principi evincibili dal sistema normativo antecedente all’entrata in vigore del codice stesso.
Dalle considerazioni espresse in precedenza discende la reiezione del ricorso per quanto concerne la domanda risarcitoria per responsabilità  aquiliana dell’Amministrazione derivante dall’adozione delle deliberazioni n. 105/1997 e n. 32/1998.
Con riferimento al danno da asserito inadempimento degli obblighi stabiliti dalla convenzione di lottizzazione sottoscritta in data 30.5.2001 rep. n. 41256, preliminarmente va rilevato che ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. a.2) cod. proc. amm. sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in ordine alla cognizione di tale controversia (relativa ad una fattispecie di responsabilità  contrattuale dell’Amministrazione), venendo in rilievo un accordo ex art. 11 legge 7 agosto 1990, n. 241 (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 1° aprile 2011, n. 2040 e Cons. Stato, Sez. IV, 23 agosto 2010, n. 5904 per quanto concerne la giurisdizione del giudice amministrativo per le controversie relative alla risoluzione della convenzione per inadempimento dell’Amministrazione e per quelle concernenti la condanna dell’Amministrazione stessa al risarcimento del danno).
I ricorrenti rilevano che la convenzione del 30.5.2001 contempla la previsione in forza della quale entro e non oltre due mesi dalla data della stessa convenzione il Comune avrebbe proceduto all’esproprio con un’unica e complessa procedura ablatoria delle proprietà  dei soggetti non aderenti al Consorzio “Santa Maria di Patarillo”; che, nonostante l’inequivocabile tenore letterale della clausola della convenzione e l’essenzialità  del termine indicato, l’Amministrazione comunale non ha mai proceduto all’esecuzione delle operazioni ablatorie; che, solo a seguito di diffida scritta da parte del Consorzio del 5/6.6.2003 prot. n. 13375 (dunque dopo ben due anni dalla stipula della convenzione), tra i proprietari non aderenti al Consorzio ed il Comune si addiveniva alla stipula di un atto di rettifica ed integrazione con l’adesione dei primi alla convenzione di lottizzazione in oggetto; che, nonostante l’inadempimento del Comune, il Consorzio sulla base del permesso di costruire n. 82/2002 procedeva alla realizzazione delle opere di urbanizzazione previste dal progetto convenzionato; che, pertanto, l’Amministrazione si è determinata tardivamente rispetto a quanto previsto dalla convenzione di lottizzazione, cagionando ad essi ricorrenti un danno connesso alla maggiorazione dei costi di realizzazione degli interventi previsti per via del predetto inutile decorso del tempo; che tale pregiudizio può essere quantificano in € 2.000,00, oltre interessi e rivalutazione.
La controversia deve essere scrutinata da questo Giudice alla luce dei principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti, così come disposto dall’art. 11, comma 2 legge n. 241/1990.
Sostiene sul punto Cons. Stato, Sez. VI, 7 maggio 2010, n. 2658 che “L’art. 11 legge n. 241 del 1990, accresce la pienezza della tutela avanti al giudice amministrativo, non solo estendendo la “vocatio in ius”, ma anche ammettendo il ricorso ai rimedi contrattuali, previsti dal codice civile, nel processo amministrativo. L’accordo ex art. 11 delinea un assetto di interessi perseguibile solo attraverso l’adempimento di obbligazioni poste dallo stesso a carico dell’una e dell’altra parte del rapporto. In caso di inadempimento, della parte lottizzante o del suo avente causa da una parte e del Comune dall’altra, degli obblighi da ciascuna parte assunti con la stipula dell’accordo, il creditore deve poter contare su tutti i rimedi offerti dall’ordinamento a un creditore, che derivi tale sua posizione da un contratto di diritto privato, per poter realizzare coattivamente il proprio interesse.”.
Conseguentemente, può trovare applicazione il principio civilistico sancito da Cass. Civ., Sez. Un., 30 ottobre 2001, n. 13533: “In tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento exart. 1460 (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poichè il debitore eccipiente si limiterà  ad allegare l’altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà  dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione). Anche nel caso in cui sia dedotto non l’inadempimento dell’obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà  sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell’obbligo di diligenza, o per difformità  quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto, esatto adempimento. (Nell’affermare il principio di diritto che precede, le SS.UU. della Corte hanno ulteriormente precisato che esso trova un limite nell’ipotesi di inadempimento delle obbligazioni negative, nel qual caso la prova dell’inadempimento stesso è sempre a carico del creditore, anche nel caso in cui agisca per l’adempimento e non per la risoluzione o il risarcimento).”.
Nel caso di specie, i ricorrenti hanno provato (cfr. documento n. 9 della produzione del 5 aprile 2011) la fonte negoziale del proprio diritto (ossia la convenzione del 30.5.2001) ed il relativo termine di scadenza, peraltro non oggetto di specifica contestazione da parte della difesa del Comune (che, anzi, a pag. 11 della memoria depositata in data 13.4.2011 ammette la circostanza della stipula, da parte dei ricorrenti, della convenzione del 30.5.2001).
Si rammenta, a tal proposito, che ai sensi dell’art. 64, comma 2 cod. proc. amm. “Salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti nonchè i fatti non specificatamente contestati dalle parti costituite.”.
Inoltre, i ricorrenti correttamente hanno allegato la circostanza dell’inadempimento della controparte pubblica.
Pertanto, il debitore convenuto (i.e. Comune di San Giovanni Rotondo) era gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento.
Tuttavia, la difesa del Comune nulla ha dedotto sul punto, in violazione della previsione normativa di cui all’art. 64, comma 1 cod. proc. amm. (“Spetta alle parti l’onere di fornire gli elementi di prova che siano nella loro disponibilità  riguardanti i fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni.”). Nell’unica memoria depositata la difesa comunale non ha, infatti, tentato in alcun modo di dimostrare di aver proceduto all’esecuzione delle operazioni ablatorie contemplate nella convenzione del 30.5.2001 nel termine ivi previsto.
Ne consegue che il Comune di San Giovanni Rotondo deve essere condannato al pagamento in favore dei ricorrenti della somma di € 2.000,00 dagli stessi quantificata a pag. 24 dell’atto introduttivo (danno connesso alla maggiorazione dei costi di realizzazioni degli interventi previsti per via dell’inutile decorso del tempo), oltre interessi e rivalutazione.
A tal riguardo, va evidenziato che “Sul quantum risarcitorio spettante a seguito di responsabilità  contrattuale dell’Amministrazione da intendersi quale debito di valore dovranno essere computati gli interessi nella misura legale e la rivalutazione monetaria sino al giorno della pubblicazione della sentenza. Dovranno, inoltre, essere computati gli interessi nella misura legale dalla data di pubblicazione della decisione fino all’effettivo soddisfo.” (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 12 luglio 2011, n. 4196).
In considerazione della natura e della peculiarità  e complessità  della presente controversia, nonchè della qualità  delle parti e dell’esito del giudizio, sussistono gravi ed eccezionali ragioni di equità  per compensare le spese di giudizio.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sede di Bari, Sez. I, definitivamente pronunciando sul ricorso come in epigrafe proposto, così provvede:
1) respinge la domanda risarcitoria per responsabilità  aquiliana dell’Amministrazione derivante dall’adozione delle deliberazioni n. 105/1997 e n. 32/1998;
2) accoglie la domanda risarcitoria per inadempimento degli obblighi statuiti dalla convenzione del 30.5.2001 e, per l’effetto, condanna il Comune di San Giovanni Rotondo al pagamento in favore dei ricorrenti della somma di € 2.000,00, oltre interessi e rivalutazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità  amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 21 dicembre 2011 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Corrado Allegretta, Presidente
Savio Picone, Referendario
Francesco Cocomile, Referendario, Estensore
 
 
 
 

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 21/02/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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