1. Sanità e farmacie – Strutture private accreditate – Lesione interesse erogazione prestazioni sanitarie – Legittimazione e interesse ex art. 100 c.p.c. – Sussistono
2. Sanità e farmacie – Strutture Pubbliche e private – Principio di equiordinazione – Non sussiste – Principio di programmazione – Sussiste
3. Sanità e farmacie – Requisiti qualitativi strutture private accreditate – Sindacato G.A. – Estrinseco
4. Giustizia e processo – Incompetenza – Art. 34, comma 1, lett. e) c.p.a. – Annullamento e indicazioni sulle conseguenze del giudicato – Giudizio sul rapporto sostanziale
1. In capo alle strutture accreditate con il SSN operanti sul territorio regionale che lamentano la lesione del proprio interesse all’erogazione di prestazioni di riabilitazione per conto del SSN in posizione di tendenziale parità con le strutture pubbliche, nonchè lesione delle proprie prerogative quali operatori economici, è innegabile la sussistenza delle condizioni processuali per l’azione demolitoria, sia sotto il profilo della legittimazione, quali soggetti titolari di posizione sostanziale differenziata e protetta dall’ordinamento, riferita ad un bene della vita oggetto della funzione svolta dall’Amministrazione (ex multis Consiglio Stato Adunanza Plenaria, 07 aprile 2011, n. 4) sia sotto il profilo dell’interesse ad agire ex art 100 c.p.c., potendo ricevere dal richiesto annullamento effettiva utilità , anche sotto un profilo strettamente patrimoniale.
2. La giurisprudenza è costante nell’escludere radicalmente la pretesa equiordinazione tra strutture private e pubbliche, atteso che queste ultime non incontrano a differenza delle prime, alcun limite in ordine al volume complessivo delle prestazioni erogabili (tetti di spesa); al contrario, in sede di programmazione della spesa sanitaria, l’Amministrazione regionale ben può, come noto, individuare “tetti di spesa” relativi alle prestazioni erogate dai gestori privati, perchè ciò costituisce garanzia minima di una complessiva tenuta finanziaria del sistema sanitario. Essendo soltanto le strutture pubbliche vincolate a rendere le prestazioni sanitarie richieste, secondo cogenti obblighi di servizio pubblico, l’opzione regionale di subordinare l’accesso dell’utenza ai servizi resi dalle strutture private accreditate solamente in caso di impossibilità per le strutture pubbliche di garantire le prestazioni, poggia correttamente le proprie ragioni sulla radicale negazione di un principio di parità tra le medesime.
3. Il sindacato del G.A. sulla disciplina relativa alla organizzazione del servizio di riabilitazione domiciliare e sulla determinazione dei relativi requisiti qualitativi richiesti nei confronti delle strutture private accreditate in vista della sottoscrizione degli accordi contrattuali, espressione di ampia discrezionalità di tipo tecnico, sia da ritenersi limitato alle ipotesi di manifesta irragionevolezza, illogicità e sproporzione rispetto agli obiettivi perseguiti in relazione alla natura del servizio pubblico. Sicchè è legittimo che l’autonomia organizzativa interna degli operatori sanitari privati possa essere limitata e conformata ai fini dell’accreditamento o della sottoscrizione degli accordi contrattuali, in vista del conseguimento di obiettivi qualitativi propri della disciplina del servizio sanitario da garantire, nella logica del rapporto concessorio di servizio pubblico.
4. Dopo l’entrata in vigore del Codice del processo amministrativo approvato con D.Lgs. 2 luglio 2010 n.104, non è più riprodotta la regola dettata dall’art. 26, comma 2, l. TAR (l. n. 1034/1971), per la quale il Tribunale, qualora avesse accolto il ricorso per motivi di incompetenza, avrebbe dovuto limitarsi ad annullare l’atto e rimettere l’affare all’Autorità competente. Diversamente, l’art. 34, comma 1, lett. e) c.p.a. prevede che il giudice, se ritiene fondati uno o più motivi di ricorso, non deve limitarsi ad annullare l’atto impugnato, ma, contestualmente, può indicare alla p.A. le conseguenze che derivano dal giudicato, senza dover più attendere, a questo fine, la riedizione del potere. Ciò, d’altronde, risulta coerente con la stessa affermata trasformazione dell’oggetto del processo amministrativo da giudizio di verifica formale della legittimità dell’atto impugnato (nei limiti dei vizi dedotti e con salvezza del potere riesercitato) in giudizio di accertamento della fondatezza del rapporto sostanziale sottostante azionato.
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Vedi Cons. di Stato, sez. III, sentenza 13 marzo 2013, n. 1505 – 2013ric. n. 6411 – 2012
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N. 00271/2012 REG.PROV.COLL.
N. 02141/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2141 del 2010, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
“Eliadomus s.r.l.”, “Aurea Salus s.r.l.”, entrambe rappresentate e difese dagli avv. Ernesto Sticchi Damiani, Giulio V. Petruzzi, con domicilio eletto presso Fabrizio Lofoco in Bari, via Pasquale Fiore, 14;;
contro
Regione Puglia in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Antonella Loffredo, con domicilio eletto presso Antonella Loffredo in Bari, Settore legale Regionale Lungomare Nazario Sauro, n.33;
nei confronti di
O.S.M.A.I.R.M. s.r.l. Centro di Riabilitazione Neuropsicomotoria;
per l’annullamento
previa sospensione dell’efficacia
a) del Regolamento Regionale n. 16 del 4.11.2010 (pubblicato sul BURP 168-suppl. del 5.11.2010), avente ad oggetto: “Regolamento regionale dell’assistenza domiciliare per trattamenti riabilitativi ex art. 26 della l. n. 833/78”, nella parte in cui:
– stabilisce (art.5) che l’accesso degli utenti ai servizi resi dalle strutture private provvisoriamente/istituzionalmente accreditate può avvenire solo in caso di impossibilità per le strutture pubbliche di garantire le relative prestazioni;
– dispone (artt.6 e 7) che in caso di richiesta di prestazione riabilitativa da parte del medico di medicina generale la stessa debba pervenire esclusivamente, direttamente all’Unità di Valutazione Multidimensionale (istituita presso l’ASL) che autonomamente redige il programma riabilitativo;
– prevede che il programma riabilitativo debba essere redatto dalla prefata Unità di Valutazione Multidimensionale ovvero dall’equipe medica dell’O.P. di branca medica in cui è stato ricoverato il paziente da sottoporre a riabilitazione, estromettendo l’equipe medica dal centro riabilitativo che effettuerà le prestazioni di riabilitazione;
– prevede che tra i requisiti minimi di organizzazione la presenza di in solo medico specializzato in fisiatria o branca affine, di 6 fisioterapici e 1 logopedista, pretermettendo altre figure professionali indispensabili all’attività riabilitativa e alla valutazione multidisciplinare prevista dallo stesso regolamento dall’art. 8;
– stabilisce che i fisioterapici e i logopedisti debbano essere assunti a tempo indeterminato;
– limita a 24 il numero di accessi alle prestazioni domiciliari;
– prevede che la cartella clinica debba essere custodita nel domicilio del paziente;
– limita a 13 ore settimanali l’impiego del medico specialistico;
b) nonchè, ove occorra, di ogni altro atto presupposto, connesso e/o conseguenziale, anche di estremi e contenuto sconosciuti ed, in particolare, della delibera di G.R. n. 2336 del 29.10.2010 e della delibera n. 1978 del 13.9.2010.
quanto ai motivi aggiunti
c) del Regolamento regionale n. 20 del 4 agosto 2011 (pubblicato sul BURP n.125 del 10.08.2011) in parte qua avente ad oggetto “Regolamento regionale di modifiche al Regolamento regionale 4 novembre 2010 n.16”
d) nonchè, ove occorra, di ogni altro atto presupposto, connesso e/o conseguenziale, anche di estremi e contenuto sconosciuti, inclusi gli atti già impugnati con il ricorso introduttivo
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Puglia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 24 novembre 2011 il dott. Paolo Amovilli e uditi per le parti i difensori l’avv. Giulio V. Petruzzi e l’avv. Andrea Sticchi Damiani, quest’ultimo su delega dell’avv. Ernesto Sticchi Damiani, per la parte ricorrente; l’avv. Antonella Loffredo, per la Regione resistente.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Espongono le odierne ricorrenti di essere strutture sanitarie private istituzionalmente accreditate, operanti sul territorio regionale quali erogatrici di prestazioni di riabilitazione, in regime di degenza e/o domiciliare ex art 26 l.833/1978.
Previa ricostruzione degli aspetti tecnico-giuridici riguardanti l’attività di riabilitazione, precisavano che attualmente i trattamenti riabilitativi erogabili sono quelli indicati dal D.p.c.m. 29 gennaio 2001 di definizione dei livelli essenziali di assistenza, secondo linee guida puntualmente definite nell’ambito del SSN.
La Regione Puglia con Regolamento Regionale n. 16 del 4.11.2010 pubblicato sul BURP 168-suppl. del 5 novembre 2010 avente ad oggetto: “Regolamento regionale dell’assistenza domiciliare per trattamenti riabilitativi ex art. 26 della l. n. 833/78” dettava la disciplina dell’erogazione da parte delle strutture pubbliche e private provvisoriamente/istituzionalmente accreditate, delle prestazioni riabilitative in regime domiciliare.
Il suddetto Regolamento richiamava poi la deliberazione GR n.2336 del 29 ottobre 2010 con cui l’Amministrazione regionale stabiliva le tariffe delle prestazioni di riabilitazione domiciliare.
Con ricorso notificato il 17 dicembre 2010 ritualmente depositato, le odierne ricorrenti come sopra rappresentate e difese, impugnano il suddetto Regolamento regionale, unitamente alla delib. GR 2336/2010 chiedendone l’annullamento, deducendo le seguenti articolate censure:
I. Violazione art 1 e 8-bis e ss d.lgs. 502/92 e s.m.; eccesso di potere per violazione del DIEF approvato con deliberazione G.R. n.1003 del 15 luglio 1999, assoluta carenza di istruttoria e motivazionale, illogicità e irragionevolezza, ingiustizia manifesta, assoluta disparità di trattamento, violazione principi di affidamento, imparzialità e buon andamento;
II. Eccesso di potere; erronea presupposizione; Violazione e falsa applicazione linee guida sulla riabilitazione di cui all’accordo Stato Regioni del 7.05.1998 come modificate ed integrate dal Piano di indirizzo del Ministero della Salute del 7.10.2010; assoluta carenza di istruttoria e motivazionale; illogicità e irragionevolezza, ingiustizia manifesta;
III. eccesso di potere sotto altro profilo per carenza di istruttoria, illogicità e irragionevolezza; violazione delle disposizioni normo-regolamentari statali in materia di prestazioni riabilitative; disparità di trattamento; ingiustizia manifesta;
IV. eccesso di potere sotto altro profilo per illogicità e irragionevolezza, perplessità e contraddittorietà dell’azione amministrativa, erronea presupposizione, violazione delle linee guida ministeriali sulla riabilitazione; carenza istruttoria e motivazionale;
V. eccesso di potere; erronea e falsa presupposizione in fatto ed in diritto; illogicità manifesta.
VI. Incompetenza, eccesso di potere, erronea presupposizione, perplessità e contraddittorietà dell’azione amministrativa, assoluta carenza istruttoria e motivazionale, violazione principi di affidamento e buon andamento
Sosteneva la difesa delle ricorrenti, in necessaria sintesi, che l’impugnato regolamento (art 5), subordinando l’accesso da parte dell’utenza ai servizi erogati dalle strutture sanitarie private all’impossibilità per le strutture pubbliche di garantire le prestazioni richieste, sarebbe gravemente lesivo del principio della libera scelta del luogo di cura, da ritenersi fondamentale in ambito sanitario. E ciò tanto più in un sistema, quale quello attuale, in cui vi sarebbe una sostanziale parificazione del rapporto tra i soggetti pubblici e privati che erogano prestazioni sanitarie per conto del servizio SSN, quantomeno in rapporto alla scelta del luogo di cura.
Non disconosceva parte ricorrente che la liberà di scelta potesse essere compressa dalla necessità di contingentamento delle risorse, ma denunziava la legittimità anche sotto il profilo della logica e ragionevolezza di un sistema, quale quello introdotto, in cui la libertà di scelta veniva minata già “a monte”, vale a dire nel momento in cui sorge per il cittadino l’esigenza di ricorrere alle cure mediche.
Contestava poi la legittimità di numerose altre disposizioni contenute nel regolamento, in epigrafe indicate (art. 5, 6, 7) relative in particolare alla disciplina sull’organizzazione delle strutture private chiamate ad erogare le prestazioni riabilitative, ritenute illogiche irragionevoli e lesive dell’autonomia privata degli operatori, e dirette al raggiungimento di finalità del tutto estranee agli obiettivi di qualità ed appropriatezza. Sottolineava altresì la disparità di trattamento non solo rispetto a quanto previsto in altre Regioni, ma anche in riferimento allo stesso ambito pugliese rispetto a prestazioni diverse da quelle di riabilitazione, senza alcuna ragione giustificatrice.
Quanto alla contestuale impugnazione della deliberazione G.R. n. 2336 del 29 ottobre 2010 avente ad oggetto la rideterminazione delle tariffe delle prestazioni di riabilitazione domiciliare, denunziava innanzitutto l’incompetenza della Regione, assegnata inequivocabilmente alla competenza statale ai sensi della legge n.133/2008, di modifica dell’art 8-sexies comma 5 d.lgs. 502/92, che ha disposto l’abrogazione del d.m. 15 aprile 1994 il cui art 3 demandava alle Regioni la competenza in questione. Censurava comunque anche nel merito la determinazione delle tariffe, ritenendole assolutamente non remunerative del capitale investito, con lesione del diritto costituzionalmente garantito di iniziativa economica.
Si costituiva la Regione Puglia, eccependo preliminarmente l’inammissibilità per carenza di interesse e legittimazione, essendo le ricorrenti soltanto strutture private esterne al SSN, e comunque chiedendo il rigetto nel merito, attesa l’infondatezza di tutte le censure ex adverso dedotte, sia in riferimento al Regolamento che alla deliberazione 2336/2010 avente ad oggetto la rideterminazione delle tariffe.
Con atto di motivi aggiunti le ricorrenti estendevano l’azione di annullamento nei confronti del sopravvenuto nuovo Regolamento regionale n.20 del 4 agosto 2011 (pubblicato sul BURP n.125 del 10.08.2011) di contenuto in parte meramente confermativo, ed in parte modificativo del Regolamento regionale 4 novembre 2010 n.16, già gravato con il ricorso introduttivo. Parte ricorrente riproponeva pertanto in via derivata le medesime censure dedotte avverso il precedente Regolamento per la parte oggetto di conferma, nonchè i seguenti motivi autonomi:
I. Eccesso di potere, perplessità dell’azione amministrativa, contraddittorietà , illogicità ed irragionevolezza manifeste, violazione principio buon andamento.
II. Eccesso di potere, erronea presupposizione in fatto ed in diritto, violazione delle disposizioni normo-regolamentari statali e regionali in materia di accreditamento ed in particolare: art 8-bis, 8-ter e 8-quater d.lgs. 502/92, art 20, 21 e 24 l.r. n.8/2004, violazione principi imparzialità e buon andamento, perplessità , irragionevolezza manifesta, evidente disparità di trattamento.
Anche le disposizioni innovative del sopravvenuto Regolamento risultavano secondo parte ricorrente illegittime; in particolare, evidenziava la grave violazione della disciplina primaria statale e regionale in materia di accreditamento, ancora una volta differenziando senza valido motivo le strutture quali quelle gestite dalle ricorrenti rispetto a quelle solo autorizzate che intendano al pari delle prime ottenere il titolo di idoneità ad erogare prestazioni riabilitative domiciliari in nome e per conto del SSN.
Con ordinanza n.122 del 27 gennaio 2011, questa Sezione respingeva l’istanza cautelare di sospensione dell’efficacia degli atti impugnati, ritenendo pur ad un sommario esame insussistente l’equiordinazione tra strutture private e pubbliche, non sussistendo alcun confronto concorrenziale tra sistema pubblico e privato nello speciale contesto delle prestazioni sanitarie per conto del S.S.N., caratterizzato dalla prevalenza di motivi imperativi di interesse generale; la medesima ordinanza ordinava poi all’Assessore alle Politiche della Salute di fornire chiarimenti in merito:
– alle censure avverso l’art 9 dell’impugnato r.r essendo prima facie i requisiti fissati per lo svolgimento del servizio di riabilitazione domiciliare in regime di accreditamento (assunzione di personale a tempo indeterminato, mancata considerazione di figure professionali indispensabili all’attività riabilitativa) sproporzionati rispetto ai parametri stabiliti dalla legge e comunque in ipotesi irragionevoli, nel quadro di un rapporto comunque sinallagmatico;
– all’impugnata delib. G.R. 2336/2010 in merito alla effettiva considerazione dei costi in sede di determinazione delle tariffe, ritenute prima facie non rispettose del criterio della effettiva remuneratività del capitale investito, per l’esigenza di tutela del diritto costituzionalmente garantito di iniziativa economica (Consiglio di Stato sez VI 21 aprile 1999, n.484);
La Regione Puglia, con atto depositato il 18 marzo 2011, provvedeva a fornire i chiarimenti richiesti con la suesposta ordinanza. Evidenziava l’Amministrazione regionale la finalità di contenimento dei costi della spesa sanitaria, anche in relazione all’accordo sottoscritto con il Ministero della Salute e con il Ministero dell’Economia e Finanze mediante il Piano di rientro 2010-12 approvato con l.r. 2/2011. Quanto alle disposizioni regolamentari impugnate relative ai requisiti richiesti in capo alle strutture private di riabilitazione, evidenziava che le previsioni che rendevano necessarie dotazioni di personale a tempo indeterminato sono finalizzate al potenziamento della qualità e continuità della prestazione erogata, oltre a limitare e ridurre il fenomeno del lavoro precario che “costituisce oggetto di dibattito politico in tema di tutele sociali”. Quanto alle tariffe, forniva delucidazioni in ordine ai criteri utilizzati e alle professionalità necessarie.
Con ordinanza n.439 del 11 maggio 2011 veniva fissata ex art 55 c.10 c.p.a. la sollecita discussione nel merito all’udienza pubblica del 20 ottobre 2011.
All’udienza pubblica del 24 novembre 2011 la causa veniva trattenuta per la decisione.
Preliminarmente ritiene il Collegio di esaminare le eccezioni in rito di inammissibilità del gravame sollevate dalla Regione resistente, che sono infondate e vanno respinte.
Con il ricorso in epigrafe le società ricorrenti in qualità di strutture accreditate con il SSN operanti sul territorio regionale pugliese, lamentano per effetto dell’impugnato Regolamento lesione del proprio interesse all’erogazioni di prestazioni di riabilitazione per conto del SSN in posizione di tendenziale parità con le strutture pubbliche, nel senso precisato nell’atto introduttivo del giudizio, nonchè lesione delle proprie prerogative quali operatori economici, minate dai requisiti introdotti dalla nuova disciplina regolamentare.
E’innegabile pertanto la sussistenza delle condizioni processuali per l’azione demolitoria, sia sotto il profilo della legittimazione, quali soggetti titolari di posizione sostanziale differenziata e protetta dall’ordinamento, riferita ad un bene della vita oggetto della funzione svolta dall’Amministrazione (ex multis Consiglio Stato Adunanza Plenaria, 07 aprile 2011, n. 4) sia sotto il profilo dell’interesse ad agire ex art 100 c.p.c., potendo ricevere dal richiesto annullamento effettiva utilità , anche sotto un profilo strettamente patrimoniale. Ciò naturalmente vale anche per l’impugnazione della deliberazione GR 2336/2010 concernente le nuove tariffe, lesive dell’interesse ad ottenere quantomeno la rimuneratività del capitale impiegato.
Quanto al merito il ricorso è fondato e va accolto limitatamente all’impugnazione della deliberazione GR 2336/2010, mentre è infondata l’azione demolitoria di cui al ricorso introduttivo ed ai motivi aggiunti inerente il R.R. 16/2010 come confermato e/o modificato dal R.R. 20/2011.
Le censure dirette all’annullamento dell’art 5 del Regolamento 16/2010 e interamente confermato dal successivo Regolamento 20/2011 impugnato con motivi aggiunti, sono tutte infondate e vanno respinte.
Stabilisce l’art 5 “1. La riabilitazione domiciliare fa capo al sistema organizzativo dei Distretti socio-sanitari (DSS) e si integra nella rete dei servizi riabilitativi territoriali. 2.Le prestazioni di riabilitazione domiciliare sono effettuate dai presidi ambulatoriali di recupero e riabilitazione funzionale delle ASL. Ove detti Servizi non siano in grado di sostenere il fabbisogno riabilitativo aziendale, le prestazioni di riabilitazione domiciliare possono essere effettuate, a seguito di accordo contrattuale, prioritariamente da strutture private di riabilitazione insistenti nel territorio aziendale, e successivamente da quelle insistenti nel territorio regionale, provvisoriamente ed istituzionalmente accreditate per l’erogazione di prestazioni riabilitative ex art. 26 legge n. 833/78, che si dotino di personale adeguato a tale attività previsto dal successivo art. 9, per l’autorizzazione e l’accreditamento in relazione ai requisiti organizzativi dei moduli dedicati all’erogazione delle prestazioni riabilitative domiciliari. L’accordo contrattuale definisce il volume e le tipologie dell’attività in relazione a quanto stabilito dalle disposizioni regionali”
La giurisprudenza anche di questo Tribunale è costante nell’escludere radicalmente la pretesa equiordinazione tra strutture private e pubbliche, atteso che queste ultime non incontrano a differenza delle prime, alcun limite in ordine al volume complessivo delle prestazioni erogabili (tetti di spesa) (ex multis Consiglio di Stato sez. V 4 ottobre 2007, n.5134, Corte Cost. 6 luglio 2007, n.257, T.A.R. Puglia Bari sez III 25 novembre 2011, n.1796).
In sede di programmazione della spesa sanitaria, l’Amministrazione regionale ben può come noto individuare “tetti di spesa” relativi alle prestazioni erogate dai gestori privati, perchè ciò costituisce garanzia minima di una complessiva tenuta finanziaria del sistema sanitario (T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 19 ottobre 2010, n. 32890, Consiglio Stato, sez. V, 28 febbraio 2011, n. 1259, Consiglio Stato, sez. V, 05 maggio 2010, n. 2577).
Ciò premesso, ai fini dell’operatività del meccanismo dei c.d. tetti di spesa, secondo la giurisprudenza sia del giudice di prime cure che del Consiglio di Stato, occorre distinguere, da un lato, le strutture pubbliche e quelle ad esse equiparate (ospedali classificati, i.r.c.c.c., enti ecclesiastici T.A.R. Puglia Bari sez III 25 novembre 2011, n.1796) e dall’altro quelle private accreditate, in quanto solo per le seconde ha senso parlare di imposizione di un limite alle prestazioni erogabili, mentre per le strutture che risultano “consustanziali” al sistema sanitario nazionale (ospedali pubblici, ospedali classificati, i.r.c.c.s., ecc.) non è neppure teorizzabile l’interruzione di prestazioni agli assistiti al raggiungimento di un ipotetico limite eteronomamente fissato (T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 27 maggio 2010, n. 9805, Consiglio Stato , sez. V, 16 marzo 2010, n. 1514, T.A.R. Puglia Bari sez III 25 novembre 2011, n.1796)
Essendo soltanto le strutture pubbliche vincolate a rendere le prestazioni sanitarie richieste, secondo cogenti obblighi di servizio pubblico, l’opzione regionale di subordinare l’accesso dell’utenza ai servizi resi dalle strutture private accreditate solamente in caso di impossibilità per le strutture pubbliche di garantire le prestazioni, risulta immune dalle censure dedotte, poggiando correttamente le proprie ragioni sulla radicale negazione di un principio di parità tra le medesime.
Completamente differente – diversamente da quanto opinato da parte ricorrente – è la fattispecie affrontata da questa Sezione in sede cautelare con le precedenti ordinanze n.193 e 194 del 24 febbraio 2011, relativa all’impugnazione del medesimo art 5 del Regolamento in esame ma nella diversa parte in cui comprime il diritto alla libera scelta del luogo di cura reso da strutture accreditate aventi sede in altra Regione contermine (Basilicata), privilegiando ingiustificatamente le prestazioni rese da strutture aventi sede nel distretto sanitario e nel territorio regionale, anche se a costi non inferiori rispetto alle tariffe praticate nella Regione Puglia.
Si trattava cioè in quella sede, di sacrificio del diritto individuale e collettivo alla salute non giustificato da ragioni di contenimento della spesa pubblica e/o di programmazione finanziaria idonee a comprimerlo, in violazione dell’art 26 l. n.833/78 avente valore di principio fondamentale della materia vincolante per la legislazione regionale (C.G.A.S. 6 settembre 2010, n.1130) il qual riconosce, in riferimento alle prestazioni di riabilitazione, il diritto di libera scelta del luogo di cura “sull’intero ambito territoriale nazionale e quindi oltre il territorio della sola Regione Puglia”.
E infatti questa Sezione in riferimento ai suddetti ricorsi promossi da strutture riabilitative private aventi sede legale nella Regione Basilicata, diversi per oggetto e motivi di censura, ne ha sospeso la trattazione nel merito, avendo sollevato dinanzi alla Corte Costituzionale (ordinanza 10 marzo 2011 n.100) questione di legittimità dell’articolo 8 della legge “provvedimento” regionale 25 febbraio 2010 n.4 in relazione agli articoli 3, 24, 97, 113, 117 primo comma, 117 terzo comma, della Costituzione nonchè al principio di legittimo affidamento.
Nella fattispecie per cui è causa, non viene in questione la lesione del c.d. diritto alla libera scelta del luogo di cura tra strutture private accreditate presso Regioni diverse, senza che il sacrificio al diritto alla salute risulti compresso da ragioni di contenimento della spesa pubblica e/o di programmazione finanziaria, bensì tra strutture private e pubbliche.
Al contrario, rientra negli obiettivi di programmazione e razionalizzazione della spesa sanitaria la previsione regolamentare secondo cui le prestazioni di riabilitazione domiciliare debbano essere rese con priorità dai presidi ambulatoriali di recupero e riabilitazione funzionale delle ASL, non sussistendo alcuna equiparazione delle strutture sanitarie private accreditate con le strutture pubbliche.
D’altronde, osserva il Collegio come le strutture pubbliche del SSN non costituiscano strutturalmente e funzionalmente “imprese” (T.A.R. Lombardia Milano sez III 16 giugno 2010, n.1891) poichè pur nell’ambito del ben più ampio concetto di “operatore economico” costantemente affermata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE (ex multis CGUE Grande Sezione 11 luglio 2006 Fenin C-205/03 P) esse operano in un sistema pubblicistico caratterizzato peculiarmente dall’esercizio del potere di programmazione sanitaria da parte dello Stato e della Regione, svolgendo una funzione di carattere sociale e solidale, con stringenti obblighi di servizio pubblico del tutto indipendenti da criteri di economicità , diversamente dagli operatori sanitari privati. (T.A.R. Lombardia Milano sez III 16 giugno 2010, n.1891).
Le censure avverso l’art 5 del R.R. sono pertanto tutte infondate e vanno respinte.
Parimenti infondate sono le doglianze avverso le rimanenti previsioni regolamentari, aventi contenuto diverso ma comunque riguardanti l’organizzazione del servizio di riabilitazione nonchè la fissazione di requisiti qualitativi richiesti ai soggetti accreditati
Mette preliminarmente conto evidenziare come il sindacato del G.A. sulla disciplina relativa alla organizzazione del servizio di riabilitazione domiciliare e sulla determinazione dei relativi requisiti qualitativi richiesti nei confronti delle strutture private accreditate in vista della sottoscrizione degli accordi contrattuali, espressione di ampia discrezionalità di tipo tecnico, sia da ritenersi limitato alle ipotesi di manifesta irragionevolezza, illogicità e sproporzionalità rispetto agli obiettivi perseguiti in relazione alla natura del servizio pubblico. Deve pertanto valutare questo giudice se le disposizioni regolamentari impugnate, nei limiti delle censure dedotte, possano ritenersi manifestamente non ragionevoli o sproporzionate.
Denunzia la difesa di parte ricorrente l’irragionevolezza e la disparità di trattamento rispetto alla disciplina regionale sulla erogazione di prestazioni diverse da quelle riabilitative, pretendendo l’Amministrazione regionale di trasferire sulle ricorrenti obiettivi di stabilizzazione del personale precario, con grave interferenza sull’organizzazione interna dell’impresa e sull’autonomia privata, rappresentando l’obbligatoria assunzione di personale a tempo indeterminato, requisito non riguardante direttamente l’erogazione del servizio di riabilitazione, sia in termini quantitativi che qualitativi.
La tesi di parte ricorrente, pur non del tutto priva di pregio, non è condivisa dal Collegio.
Tale previsione, pur se in parte estranea rispetto ad obiettivi preordinati a garantire la qualità del servizio pubblico sanitario – come peraltro confermato nella stessa relazione regionale depositata in giudizio – è comunque diretta ad assicurare maggior continuità e qualità della prestazione erogata a domicilio. Non è infatti irragionevole la richiesta di un siffatto requisito, poichè l’assunzione di personale a tempo indeterminato, in disparte i profili di utilità sociale pertinenti alle sole politiche dell’Amministrazione, risponde in modo non irragionevole all’esigenza qualitativa, specie sotto il profilo della continuità del servizio pubblico da erogare.
Ritiene il Collegio che l’autonomia organizzativa interna degli operatori sanitari privati possa essere limitata e conformata ai fini dell’accreditamento o della sottoscrizione degli accordi contrattuali, in vista del conseguimento di obiettivi qualitativi propri della disciplina del servizio sanitario da garantire, nella logica del rapporto concessorio di servizio pubblico (Consiglio Stato, sez. V, 11 maggio 2010, n. 2828).
Le doglianze dedotte sono pertanto tutte infondate.
Parimenti prive di pregio sono le censure dirette nei confronti di tutte le rimanenti previsioni di cui al Regolamento 16/2010 (art. 6, 7, 8, 9) confermate dal successivo R.R. 20/2011, così come quelle dirette contro le nuove disposizioni di quest’ultima norma, contenute agli art. 3, 4, 5 di modifica agli art 6, 7 e 8 del R.R. 16/2010.
Trattasi di disposizioni che rinvengono in parte la propria giustificazione nella multidisciplinarità richiesta, poichè l’erogazione dell’assistenza riabilitativa comporta o comunque può comportare la necessità di prestazioni infermieristiche, o specialistiche (cardiologiche, diabetologiche ecc.).
Da un punto di vista più generale, le amministrazioni regionali possono richiedere agli operatori sanitari accreditati requisiti qualitativi per la sottoscrizione degli accordi contrattuali di cui all’art 8-quinques c.2 lett b) d.lgs. 502/92 più rigorosi e restrittivi di quelli minimi, purchè, tuttavia, tali ulteriori prescrizioni si rivelino rispettose dei principi di proporzionalità e ragionevolezza e siano giustificate da specifiche esigenze imposte dal peculiare oggetto del servizio pubblico.
Va invece accolta l’azione di annullamento avverso la deliberazione G.R. n. 2336 del 29 ottobre 2010 avente ad oggetto la rideterminazione delle tariffe delle prestazioni di riabilitazione domiciliare, per la fondatezza sia della censura di competenza, che di eccesso di potere per carenza di istruttoria, motivazione, erronea presupposizione ed arbitrarietà .
Quanto alla competenza, l’art 79 comma 1-quinques della l. n.133/2008, di modifica dell’art 8-sexies comma 5 d.lgs. 502/92, ha disposto l’abrogazione del d.m. 15 aprile 1994, il cui art 3 demandava alle Regioni il compito di determinare le tariffe per la remunerazione delle attività riabilitative. La determinazione delle tariffe in questione risulta pertanto ricadente nella competenza del Ministero della Sanità , con conseguente illegittimità delle tariffe deliberate dalla Regione Puglia.
Non ritiene il Collegio che la fondatezza della censura di incompetenza abbia carattere completamente assorbente delle rimanenti doglianze di carattere sostanziale inerenti il quantum delle tariffe, secondo il consolidato orientamento invalso in vigenza della legge T.A.R. n.1034/1971 (ex multis Consiglio Stato, sez. V, 11 dicembre 2007, n. 6408, T .A.R. Sicilia Catania, sez. II, 04 ottobre 2005, n. 1547) .
Infatti, dopo l’entrata in vigore del Codice del processo amministrativo approvato con d.lgs. 2 luglio 2010 n.104 non è più riprodotta la regola dettata dall’art. 26, comma 2, l. TAR(l. n. 1034/1971), per la quale il Tribunale, qualora avesse accolto il ricorso per motivi di incompetenza, avrebbe dovuto limitarsi ad annullare l’atto e rimettere l’affare all’Autorità competente. Diversamente, l’art. 34, comma 1, lett. e) c.p.a. prevede che il giudice, se ritiene fondati uno o più motivi di ricorso, non deve limitarsi ad annullare l’atto impugnato, ma, contestualmente, può indicare alla P.A.. le conseguenze che derivano dal giudicato, senza dover più attendere, a questo fine, la riedizione del potere (così T.A.R. Toscana Firenze, sez. II, 16 giugno 2011 , n. 1076). Ciò, d’altronde, risulta coerente con la stessa affermata trasformazione dell’oggetto del processo amministrativo da giudizio di verifica formale della legittimità dell’atto impugnato (nei limiti dei vizi dedotti e con salvezza del potere riesercitato) in giudizio di accertamento della fondatezza del rapporto sostanziale sottostante azionato (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria 23 marzo 2011, n.3).
Ciò premesso, ritiene il Collegio parzialmente fondate anche le censure inerenti la quantificazione delle tariffe, al fine di conformare la successiva attività dell’Amministrazione, pur se diversa da quella che ha adottato l’atto, e non evocata in giudizio.
Infatti nelle tariffe approvate, risultano quantomeno sottodimensionati i costi del personale sia medico che non; non risultano infatti considerate le spese per le sostituzioni in ipotesi di assenza (sia per la figura professionale del logopedista che del fisioterapista) che invece hanno indiscutibilmente un costo per l’operatore sanitario, che pur se non preventivabile con esattezza, dipendendo da fattori variabili, debbono essere debitamente stimate. Inoltre, non vengono tenuti in considerazione i costi diversi da quelli del personale (costi di gestione, amministrativi ecc.), nè la necessità ineludibile (Consiglio di Stato sez V, 5 maggio 2008, n.1988) dell’utile di impresa, che può essere abbattuto ma non azzerato.
Per i suesposti motivi il ricorso introduttivo va in parte respinto, in parte accolto con l’effetto dell’annullamento della deliberazione GR 2336/2010; l’atto di motivi aggiunti è infondato e va respinto.
Sussistono giusti motivi ai sensi del combinato disposto degli art 26 c.p.a. e 92 c.p.c. per disporre l’integrale compensazione delle spese lite, attesa sia la complessità delle materie trattate, sia la reciproca soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:
– dichiara in parte respinto ed in parte fondato il ricorso introduttivo, e per l’effetto annulla la deliberazione GR 2336/2010, come da motivazione;
– respinge l’atto di motivi aggiunti.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 24 novembre 2011 con l’intervento dei magistrati:
Pietro Morea, Presidente
Paolo Amovilli, Referendario, Estensore
Francesca Petrucciani, Referendario
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 27/01/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)