1. Sanità e farmacie – Ente ospedaliero ecclesiastico- Diritto al ripiano finanziario regionale – Giurisdizione operante in materia di concessione di pubblici servizi – Limiti alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
2. Sanità e farmacie – Ente ospedaliero ecclesiastico- Diritto al ripiano finanziario regionale – Diritto soggettivo – Conseguenze sulla giurisdizione
3. Sanità e farmacie – Ente ospedaliero ecclesiastico- Diritto al ripiano finanziario regionale – Impugnazione dei D.I.E.F. – Termini di decadenza – Art. 41 c.p.a.
4. Sanità e farmacie – Ente ospedaliero ecclesiastico- Diritto al ripiano finanziario regionale – Vigilanza e controllo annuale dei costi – Sistema dei DRG – Carattere vincolato
5. Sanità e farmacie – Ente ospedaliero ecclesiastico- Diritto al ripiano finanziario regionale – Accordo transattivo – Efficacia – In ipotesi di contratto di transazione ex art. 1965 c.c. o accordo integrativo o sostitutivo di provvedimenti ex art. 11 l. 241/90 – Giurisdizione amministrativa
6. Sanità e farmacie – Ente ospedaliero ecclesiastico- Diritto al ripiano finanziario regionale – Accordo transattivo – Diffida ad adempiere – Intento risolutorio entro congruo termine – Necessità
7. Sanità e farmacie – Ente ospedaliero ecclesiastico- Diritto al ripiano finanziario regionale – Accordo transattivo – Termine di adempimento dei pagamento fissati in un accordo transattivo – Termine essenziale ex art. 1457 c.c. – Desumibilità dalla volontà delle parti
8. Sanità e farmacie – Ente ospedaliero ecclesiastico- Diritto al ripiano finanziario regionale – Accordo transattivo – Concluso dall’Amministrazione nell’esercizio della propria autonomia negoziale – Disciplina civilistica – Rimozione accordo in autotutela – Illegittimità
9. Sanità e farmacie – Ente ospedaliero ecclesiastico- Diritto al ripiano finanziario regionale – Enti ecclesiastici ed ospedali pubblici – Quadro normativo statale e regionale – Equiparazione
10. Sanità e farmacie – Ente ospedaliero ecclesiastico- Diritto al ripiano finanziario regionale – Fissazione tetti di spesa – Enti ecclesiastici ed ospedali pubblici – Equiparazione
11. Sanità e farmacie – Ente ospedaliero ecclesiastico- Diritto al ripiano finanziario regionale – Lesione diritto all’immagine – Riferibilità anche agli enti e alle persone giuridiche
12. Sanità e farmacie- Ente ospedaliero ecclesiastico- Diritto al ripiano finanziario regionale – Lesione diritto all’immagine – Risarcimento danno patrimoniale e non patrimoniale – Quantificazione – Art. 1226 e 2056 c.c
1. Alla luce della sentenza n. 204/2004 della Corte Costituzionale in tema di riparto di giurisdizione nella materia delle concessioni di pubblici servizi, devono ritenersi oramai escluse dalla giurisdizione del G.A. tutte le controversie di contenuto meramente patrimoniale, ossia quelle nelle quali non venga in rilievo il potere della p.a. a tutela di interessi generali ovvero la verifica dell’esercizio di poteri discrezionali di cui la p.a. gode nella determinazione di indennità , canoni o altri corrispettivi (ex multis Cassazione civile, Sez. Un., 18 novembre 2008, n. 27333, Consiglio Stato, Sez. VI, 25 giugno 2008, n. 3226, T.A.R. Campania Napoli, Sez. I, 9 giugno 2008, n. 5518, T.A.R. Puglia Bari, Sez. III, 10 novembre 2010, n.3876).
2. Il “diritto al ripiano finanziario” derivante dalla natura di struttura ospedaliera privata equiparata alle strutture pubbliche, ha consistenza di vero e proprio diritto soggettivo, il cui esercizio resta comunque pur sempre collegato ai fini della giurisdizione al potere di controllo e verifica della spesa sanitaria sussistente anche nei confronti di tali strutture, seppur con connotazioni del tutto differenti rispetto alla ordinaria programmazione annuale della spesa sanitaria effettuata in sede di D.I.E.F. nei confronti della generalità degli operatori privati accreditati.
3. Le determinazioni di natura autoritativa emanate dall’Amministrazione Regionale, quali i documenti di indirizzo economico finanziario ex art. 25, l. reg. Puglia n. 28 del 2000 (cd. D.I.E.F.), aventi ad oggetto le assegnazioni dei tetti di spesa ovvero gli adeguamenti tariffari (così come le stesse classificazioni nosocomiali) debbono essere ritualmente contestate secondo i termini di decadenza valevoli per l’annullamento di statuizioni di natura autoritativa – oggi contenute nell’art. 41 c.p.a. – in aggiunta alla tutela di accertamento dell’illegittimità del silenzio-rifiuto per le ipotesi di inerzia.
4. Il potere di vigilanza e controllo annuale dei costi, secondo lo stesso sistema dei DRG non è connotato dalla ampia discrezionalità che contraddistingue le assegnazioni dei tetti di spesa ovvero gli adeguamenti tariffari nei confronti degli operatori privati accreditati (Consiglio di Stato, Sez. V, 28 febbraio 2011, n.1252, id. Sez. V, 31 dicembre 2007, n.6806, T.A.R. Campania, Salerno, Sez. I, 18 dicembre 2007, n. 3203) ma assume carattere tendenzialmente vincolato dovendosi esercitare “secondo congruità ” in relazione alla natura equiparata e agli obblighi di servizio pubblico propri di soggetti “consustanziali” (Consiglio di Stato, Sez. V, 22 aprile 2008, n.1858) a nulla rilevando l’eventuale non compatibilità con le risorse finanziarie disponibili (T.A.R. Campania Napoli Sez. I, 20 settembre 2001, n.4241, Consiglio di Stato Sez. V, ordinanza n.5319/2010).
5. Sussiste la cognizione del G.A. in merito alla questione inerente l’efficacia di un accordo transattivo, sia qualificando lo stesso quale vero e proprio contratto di transazione ex art 1965 c.c. sia quale accordo integrativo o sostitutivo di provvedimenti ex art 11 l.241/90 e s.m.; nel primo caso trattandosi di cognizione incidentale di questione pregiudiziale relativa a diritti la cui soluzione è necessaria per pronunciare sulla questione principale (art 8 c.p.a.), mentre nel secondo caso è invocabile l’ampia giurisdizione esclusiva del G.A. di cui al comma 5 dell’art 11, L.n. 241/90 (oggi art. 133, c.1, lett. a) 2), c.p.a.) in materia di “formazione, conclusione ed esecuzione” degli accordi, idonea a consentire definito accertamento con autorità di giudicato (Cassazione, Sezioni unite, 3 febbraio 2011, n.2546).
6. La diffida ad adempiere di cui all’art. 1454 c.c. esige la manifestazione univoca della volontà dell’intimante di ritenere risolto il contratto in caso di mancato adempimento entro un certo termine, non essendo pertanto sufficiente per produrre l’effetto risolutivo del rapporto costituito fra le parti, previsto dalla norma richiamata, la manifestazione della generica intenzione di agire in tutte le sedi più opportune, “senza specificare se si intenda ottenere l’adempimento o la risoluzione” (Cassazione civile, Sez. II, 11 maggio 1990, n. 4066, id. Sez. II, 21 febbraio 2006, n.3742).
7. Il termine per l’adempimento dei pagamenti fissati in un accordo transattivo può essere ritenuto essenziale ai sensi e per gli effetti dell’art. 1457 c.c., solo quando, all’esito di indagine da condursi alla stregua delle espressioni adoperate dai contraenti e, soprattutto, della natura e dell’oggetto del contratto, risulti inequivocabilmente la volontà delle parti di ritenere perduta l’utilità economica del contratto con l’inutile decorso del termine medesimo; tale volontà non può desumersi solo dall’uso dell’espressione “entro e non oltre”, quando non risulti dall’oggetto del negozio o da specifiche indicazioni delle parti che queste hanno inteso considerare perduta l’utilità prefissasi nel caso di adempimento tardivo (Cassazione civile, Sez. II, 25 ottobre 2010, n. 21838, id. 6 dicembre 2007, n.25549).
8. Una volta che l’Amministrazione, nell’esercizio della propria autonomia negoziale, ponga in essere atti di transazione, soggetti alla normale disciplina civilistica, essi vengono sottratti ad ogni possibilità di successiva rimozione mediante provvedimenti amministrativi di autotutela, mancando il potere di incidere autoritativamente sugli effetti di un negozio privatistico (Cassazione Sezioni unite 23 novembre 1985 n.5809, T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. II, 11 gennaio 2002, n.48) essendo la delibera di annullamento successiva alla stipulazione della transazione del tutto inidonea a dispiegare alcun effetto inibitorio dell’efficacia del contratto (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, 4 febbraio 2004, n.1590).
9. Esiste nel quadro normativo sia statale che regionale di riferimento un evidente principio di equiparazione tra enti ecclesiastici che esercitano l’assistenza ospedaliera di cui agli art 41 e 43 l. 833/1978 ed ospedali pubblici, facendo entrambi parte della rete ospedaliera pubblica.
10. E’ illegittima la fissazione di tetti di spesa disomogenei tra ospedali ecclesiastici e aziende ospedaliere in quanto “incompatibile con l’equiparazione normativamente disposta” (T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, 7 febbraio 2001, n.1980, id. 16 dicembre 1999 n.1980, T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 28 febbraio 2007, n.3016). Infatti “ai fini dell’operatività del meccanismo dei cd. tetti di spesa, da un lato stanno le strutture pubbliche e quelle ad esse equiparate (ospedali classificati, i.r.c.c.s., etc.), dall’altro quelle private accreditate. Solo per le seconde, invero, ha senso parlare di imposizione di un limite alle prestazioni erogabili; mentre per le strutture che risultano consustanziali al sistema sanitario nazionale (ospedali pubblici, ospedali classificati, i.r.c.c.s., etc.) non è neppure teorizzabile l’interruzione delle prestazioni agli assistiti al raggiungimento di un ipotetico limite eteronomamente fissato. Un conto sono, infatti, le case di cura private, altra cosa sono quelle istituzioni la cui parificazione all’apparato sanitario pubblico rende anche solo teoricamente incompatibile una limitazione delle prestazioni.” (Consiglio di Stato Sez. V, 22 aprile 2008, n.1858).
11. Il diritto all’immagine, quale diritto fondamentale della personalità tutelato dall’art 2 Cost., avente ad oggetto “la considerazione che un soggetto ha di sè e nella reputazione di cui gode” (Consiglio d Stato Sez. V, 12 febbraio 2008 n.491) non può ritenersi esclusivamente riferibile alla persona fisica, bensì agli stessi enti o persone giuridiche (Cassazione civile, Sez. III, 04 giugno 2007, n. 12929, Consiglio di Stato Sez. V, 12 febbraio 2008, n.491).
12. Allorquando si verifichi la lesione di tale immagine, è risarcibile, oltre al danno patrimoniale, se verificatosi, e se dimostrato, il danno non patrimoniale costituito – come danno c.d. conseguenza – dalla diminuzione della considerazione della persona giuridica o dell’ente nel che si esprime la sua immagine, sia sotto il profilo della incidenza negativa che tale diminuzione comporta nell’agire delle persone fisiche che ricoprano gli organi della persona giuridica o dell’ente e, quindi, nell’agire dell’ente, sia sotto il profilo della diminuzione della considerazione da parte dei consociati in genere o di settori o categorie di essi con le quali la persona giuridica o l’ente di norma interagisca (Cassazione civile,Sez. III, 04 giugno 2007, n. 12929). La quantificazione di tale danno va effettuata in via equitativa ai sensi degli art. 1226 e 2056 c.c. secondo le circostanze concrete del caso.
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Vedi Cons di Stato, sez. III, ordinanza 27 gennaio 2012 n. 376, sentenza 6 febbraio 2013, n. 697 – 2013 ric. n. 91 – 2012
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N. 01796/2011 REG.PROV.COLL.
N. 01033/2010 REG.RIC.REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANOIl Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia(Sezione Terza)ha pronunciato la presenteSENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1033 del 2010, integrato da motivi aggiunti, proposto da: Ente Ecclesiasttico Ospedale “F.Miulli”, rappresentato e difeso dagli avv. Anna Chiara Vimborsati, Paolo Nitti, con domicilio eletto presso Paolo Nitti in Bari, via Marchese di Montrone, 47; contro
Regione Puglia in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Sabina Ornella Di Lecce, Maria Grimaldi, con domicilio eletto presso Sabina Ornella Di Lecce in Bari, via Dalmazia n.70;
per l’annullamentoprevia idonea misura cautelare- del rifiuto prestato dalla Regione Puglia, della spettanza delle somme di seguito specificate a titolo di dovuto corrispettivo per prestazioni erogate in favore del S.S.R. a partire dall’1/1/2002;e per la condanna previo acclaramento, occorrendo, della inerzia colpevole della Regione Puglia, al pagamento:a)- delle predette somme, incrementate di rivalutazione interessi ed ulteriori accessori come di seguito precisato, a titolo principale ed occorrendo a titolo risarcitorio;b)- nonchè per la condanna al pagamento del danno ulteriore subito a seguito dell’inerzia e dell’inadempimento della Regione Puglia per i maggiori oneri bancari e finanziari sopportati al fine di assicurare il servizio nell’interesse del S.S.N.;nonchè per il risarcimento del danno di immagine che l’Ente Ecclesiastico subisce a causa della diminuita affidabilità contestata dal sistema creditizio, nonchè a causa dei forzosi ritardi nel pagamento dei fornitori e nella correntezza dei pagamenti stipendiali al personale medico e al personale di comparto;c)- nonchè in subordine ed occorrendo per la condanna al pagamento dei medesimi importi a titolo di indebito arricchimento ai sensi dell’art.21 comma VIII L.6.12.1971 n1034 introdotto dalla L.21.7.2000 n.205.Quanto ai motivi aggiunti- della deliberazione G.R. 1560 del 5 luglio 2010 avente ad oggetto annullamento deliberazione G.R 320/09 “definizione transattiva cont 865/08 – ospedale F.Miulli contro Regione Puglia”Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Puglia;Viste le memorie difensive;Visti tutti gli atti della causa;Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 ottobre 2011 il dott. Paolo Amovilli e uditi per le parti i difensori gli avv.ti Paolo Nitti e Anna Chiara Vimborsati, per la parte ricorrente; gli avv.ti Sabina Ornella Di Lecce e Maria Grimaldi, per la Regione resistente.;Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.FATTO e DIRITTO1. Espone l’ente ecclesiastico ricorrente che con autonomo ricorso innanzi a questo Tribunale (RG 595/2008) domandava la condanna della Regione Puglia al pagamento della somma di 42.666.760,61 euro a titolo di maggiori oneri stipendiali relativi al periodo 1.01.2002 – 30.06.2007 riferiti agli incrementi contrattuali del personale medico e di comparto, invocando la propria equiparazione pleno iure agli ospedali dipendenti dalle ASL.Riferiva l’ente Miulli che nel corso del suddetto giudizio veniva documentato uno squilibrio finanziario per gli incrementati oneri del personale e finanziari ammontante alla fine del 2008 ad oltre 76.000.000,00 inciso anche dai canoni finanziari per la costruzione del nuovo ospedale.A seguito della proposizione della suddetta domanda giudiziale, fu convenuto tra le parti di stipulare in data 12 marzo 2009 transazione nella misura di 45.000.000,00 euro come soluzione intermedia tra i suddetti costi per gli oneri di personale e l’aggravarsi dello squilibrio finanziario, diluendo il pagamento della somma pattuita in tre soluzioni di pari importo (15.000.000,00 euro) con scadenza 30 aprile 2009, 30 aprile 2010 e 30 aprile 2011. Con sentenza n.1099/2009, la I Sezione di questo T.A.R. definiva il suddetto giudizio con dichiarazione di cessazione della materia del contendere.A fronte del mancato adempimento, l’ente ricorrente intimava in data 11 giugno 2010 la risoluzione ex art 1457 c.c. della transazione per grave inadempimento della Regione Puglia, stante l’essenzialità dei suddetti termini di pagamento.Con ricorso notificato il 25 giugno 2010 ritualmente depositato, l’odierno ente ricorrente, come sopra rappresentato e difeso, domanda la condanna della Regione Puglia al risarcimento del danno sia a titolo extracontrattuale, in relazione all’omesso adeguamento della remunerazione delle prestazioni rese nell’interesse del S.S.N. e all’altrettanto omesso ripiano finanziario dei costi effettivi per le prestazioni rese al S.S.R., sia a titolo contrattuale come corrispettivo dovuto, costituito dal compenso per prestazioni erogate in favore del S.S.R. a partire dal 2002 sino al primo semestre 2011, unitamente a rivalutazione ed interessi.A supporto della pretesa di accertamento e condanna deduceva i seguenti articolati motivi:II. Violazione di legge art 1 comma 5 e 7 l.132/1968, art 129 d.p.r. 130/1969, art 41 l.833/1978, art 25 dpr 761/1979, art 10 c. 11 l. 595/1985, art 1 d.lgs. 229/1999; eccesso di potere per intima contraddizione ed illogicità , disparità di trattamento, violazione principi di cui agli art 1175, 1176, 1218, 1375 c.c.III. Eccesso di potere per contraddizione con precedenti manifestazioni; violazione principi art 1175, 1176, 1218, 1375 c.c.IV. Violazione di legge , art 16 l.r. 22/97, art 20 n.7 l.r. 27/2000, art 14 n.5 e art 15 l.r. 26/2006;V. Violazione e carente applicazione direttive statali specificheVI. Eccesso di potere per trascurata considerazione presupposti giurisprudenziali specifici;VII. Malgoverno dei presupposti in diritto e violazione dei principi emergenti dalla normativa di settore d.m. 15/4/1994, d.lgs. 502/92, art 8 sescies introdotto dall’art art 8 d.lgs. 229/1999,d.m. 30/06/1997, d.m. 12/09/2006, delib Cons Regione Puglia n.16 del 1/08/1995; accordo di cui a Conferenza Stato Regioni in data 8/8/2001, deliberazione CIPE del 25/07/2003, eccesso di potere per consolidata arbitrarietà ed illogicità , nonchè per disparità di trattamento ; violazione dei principi di cui agli art. 1175, 1176, 1218, e 1375 c.c.VIII. Eccesso di potere per travisata considerazione dei presupposti.IX. Travisata considerazione dei presupposti in diritto.X. Omessa o travisata considerazione dei presupposti; violazione dei principi di cui agli art. 1175, 1176, 1218, e 1375 c.c.XI. Violazione di legge art 1 comma 5 e 7 l.132/1968, art 129 d.p.r. 130/1969, art 41 l.833/1978, art 25 dpr 761/1979, art 10 c. 11 l. 595/1985, art 1 d.lgs. 229/1999, art 4 c. 12 d.lgs. 502/92; eccesso di potere per intima contraddizione ed illogicità , disparità di trattamento, eccesso di potere per contraddizione con precedenti manifestazioni; violazione di legge art 16 l.r. 22/97, art 20. n.7 l.r. 27/2000, art 14 n.5 e art 15 l.r. 26/2006; violazione e carente applicazione direttive statali specifiche, trascurata considerazione di indirizzi giurisprudenziali specifici; malgoverno dei presupposti in diritto e violazione dei principi emergenti dalla normativa di settore : d.m. 15/4/1994, d.lgs. 502/92 art 8 secsies introdotto con art 8 d.lgs. 229/1999, d.m. 30/06/1997 , d.m. 12/09/2006, delib Cons Regione Puglia n.16 del 1/08/1995; accordo di cui a Conferenza Stato Regioni in data 8/8/2001, deliberazione CIPE del 25/07/2003, eccesso di potere per consolidata arbitrarietà ed illogicità , nonchè per disparità di trattamento, travisata considerazione dei presupposti, nonchè per illogicità ed arbitrarietà .Chiedeva inoltre la condanna al pagamento del danno ulteriore subito a seguito dell’inerzia e dell’inadempimento della Regione Puglia per i maggiori oneri bancari e finanziari sopportati al fine di assicurare il servizio nell’interesse del S.S.N., oltre al risarcimento del danno di immagine patito a causa della “diminuita affidabilità contestata dal sistema creditizio”, nonchè a causa dei forzosi ritardi nel pagamento dei fornitori e nella correntezza dei pagamenti stipendiali al personale medico e al personale di comparto;A titolo del tutto subordinato, avanzava istanza di condanna al pagamento dei medesimi importi a titolo di indebito arricchimento ai sensi dell’art.21 comma 8, l..6.12.1971 n 1034 introdotto dalla l.21.7.2000 n.205.La difesa dell’odierno ricorrente fondava le proprie pretese sulla regola dell’equiparazione alle strutture pubbliche, ampiamente evincibile secondo il quadro normativo di riferimento sia statale che regionale (art 17 c.10 l.r. 1/2005, art.14 c. quarto e quinto l.r. 26/2006) che assegna all’ente Miulli il ruolo di struttura “consustanziale al S.S.N.”, come d’altronde interpretato da consolidata giurisprudenza amministrativa anche di questo Tribunale.Evidenziava l’ente Miulli che per le strutture equiparate al SSN quali gli ospedali pubblici, gli ospedali classificati, gli i.r.c.c.s. ecc., non sussisterebbe alcun limite alle prestazioni erogabili, proprio del sistema di programmazione della spesa sanitaria dei c.d. “tetti di spesa”, non essendo neppure teorizzabile l’interruzione delle prestazioni agli assistiti.Esponeva il diseguale trattamento tra ospedali classificati equiparati e ospedali dipendenti dalle ASL, beneficiando soltanto quest’ultimi di strumenti finanziari supplementari e di sistematici ripiani di fine esercizio accollati alla fiscalità regionale, resa evidente dal rifiuto regionale di adeguamento all’ammontare dei DRG. Sottolineava inoltre la disparità di trattamento con la “Casa Divina Provvidenza” in San Giovanni Rotondo, anch’essa ente eccelesiatico ed ospedale classificato, avendo beneficiato dalla Regione di finanziamenti straordinari a ripiano della gestione nella misura di ben 60.000.000,00 euroInvocava pertanto l’ente ricorrente la titolarità di un vero e proprio “diritto soggettivo” al ripiano finanziario nei confronti della Regione, in ragione dell’insufficienza del parametro costituito dai DRGS per le singoli classi di prestazione.Con atto di motivi aggiunti, impugnava anche la deliberazione G.R. 1560 del 5 luglio 2010 con cui la Regione annullava in autotutela la deliberazione G.R 320/09 di approvazione della transazione sottoscritta il 12 marzo 2009, rappresentando il proprio interesse a sentir dichiarata l’invalidità dei pretesi effetti caducanti sulla transazione stessa, non potendo l’Amministrazione dichiarare in via autoritativa lo scioglimento di un contratto, comunque da ritenersi già risolto per inadempimento in via stragiudiziale.Quanto alla quantificazione del credito dovuto per il periodo 2002-2011 (primo semestre) la difesa del ricorrente, depositando duplice perizia, lo stimava in una somma ricompresa tra i 223,7 e 226,9 milioni di euro, comprensivi di varie voci (incremento costi di produzione al netto dell’incremento delle tariffe, investimenti ex art 20, Colonia Hanseniana) ed interessi. Quantificava inoltre il danno di immagine in misura pari al 10 % del danno patrimoniale, come sopra determinato.Si costituiva la Regione Puglia eccependo preliminarmente il difetto di giurisdizione, in relazione alla prospettazione avanzata dallo stesso ricorrente in merito alla propria posizione sostanziale azionata, più volte auto-qualificata come vero e proprio diritto soggettivo (al ripiano finanziario), come tale ricadente nella naturale giurisdizione del G.O. su crediti a mere prestazioni patrimoniali.Eccepiva inoltre l’inammissibilità del gravame per difetto di interesse, per la mancata impugnazione dei D.I.E.F. annuali aventi ad oggetto la determinazione dei limiti delle prestazioni sanitarie erogabili, nonchè degli stessi accordi contrattuali che l’ente Miulli avrebbe sottoscritto.Quanto al merito, negava la correttezza della ricostruzione ex adverso prospettata, da cui discenderebbe un inesistente ed inconcepibile obbligo per l’Amministrazione regionale di provvedere al rimborso “a piè di lista” delle prestazioni rese dagli ospedali classificati, essendo comunque l’equiparazione limitata dai tetti di spesa assegnati, rimasti del tutto inoppugnati, così come del resto degli stessi accordi contrattuali annualmente sottoscritti dal Miulli. Sul punto, sosteneva la piena opponibilità dei tetti di spesa approvati previa consultazione delle organizzazioni rappresentative delle Istituzioni religiose ospedaliere. Negli ultimi anni tale assunto risulterebbe poi avvalorato da prima dall’entrata in vigore della l.133/2008, secondo cui le Regioni stipulano accordi con gli istituti, enti ed ospedali di cui agli art 41 e 43 comma 2 l.833/78 e s.m. vincolati al rispetto della programmazione annuale regionale. Poi, per effetto dello ius superveniens costituito dalla l.r. 12/2010 (pubblicata in BURP n.149 del 27 settembre 2010) con cui è stato approvato il Piano di rientro sanitario, e posto divieto di erogazione e remunerazione con oneri a carico del S.S.R. di prestazioni effettuate al di fuori dei tetti massimi e dei volumi di attività predeterminati annualmente.Secondo la difesa regionale, l’ente Miulli, per quanto equiparato, sarebbe pur sempre ente di natura privata, senza obbligo per la Regione di intervenire a ristoro del capitale netto, gravante esclusivamente sulla proprietà .Quanto alla transazione oggetto di autotutela, riteneva che la tesi della perdurante efficacia, a cui implicitamente avrebbe aderito lo stesso Consiglio di Stato pur nella sommarietà della fase cautelare, rendeva inesigibile le pretese inerenti il periodo 2001-2008 per l’effetto novativo della transazione stessa, chiedendo comunque a questo giudice di pronunciarsi anche su tale aspetto, pregiudiziale per la decisione della controversia.Con ordinanza n.741 del 13 ottobre 2010, questa Sezione accoglieva la domanda cautelare disponendo senza indugio in via provvisionale congrue risorse finanziarie in favore del ricorrente e ordinando l’attivazione di tavolo tecnico tra le parti.Con ordinanza n. 5319 del 24 novembre 2010, la V Sezione del Consiglio di Stato respingeva l’appello cautelare della Regione Puglia, e quantificando le “congrue somme” disposte in misura non superiore all’importo di 30.000.000,00 euro, di fatto corrispondente all’importo delle prime due rate scadute della transazione sottoscritta tra le parti.Con ordinanza n.263 del 24 marzo 2011 questa Sezione accoglieva parzialmente nuova istanza cautelare dell’ente Miulli dato il progressivo peggioramento dello stato di disavanzo e di esposizione debitoria, disponendo il pagamento immediato in favore del medesimo della somma di 3.000.000,00 euro a carico del bilancio regionale.Con ulteriore ordinanza n.593 del 29 giugno 2011 la Sezione accoglieva ancora l’ulteriore pretesa cautelare, ordinando all’Assessorato regionale alla Sanità il pagamento di ulteriori 15.000.000,00 euro.Con successive memorie l’ente ricorrente rappresentava l’avvenuto pagamento da parte della Regione della complessiva somma di 45.000.000,00 euro in adempimento alle pronunce cautelari suesposte, oltre a sollecitare condanna in forma generica ex art 34 comma 4 c.p.a.All’udienza pubblica del 20 ottobre 2011 la causa veniva trattenuta per la decisione.2. Preliminarmente va esaminata l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dall’Amministrazione resistente, la quale deve essere affrontata previo pregiudiziale accertamento della natura della posizione sostanziale azionata, secondo il consueto criterio del petitum sostanziale al fine di verificare se l’ente ricorrente lamenti in concreto non già una lesione determinata da poteri autoritativi e direttamente conseguente ad atti amministrativi di cui sia denunziata la illegittimità , bensì di un proprio diritto soggettivo, consistente nelle pretese economiche derivanti dalla concessione di servizio pubblico, quale deve ritenersi la erogazione di prestazioni sanitarie per conto del S.S.N. (Cassazione Sezioni Unite 13 febbraio 2007, n.3046).La giurisdizione pur esclusiva del G.A. prevista dall’art 33 d.lgs.80/98 in materia di pubblici servizi è stata come noto interamente riscritta dalla Corte Costituzionale, che con la sentenza n.204 del 6 luglio 2004 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’intero comma secondo nonchè del comma primo, nella parte in cui prevede che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo «tutte le controversie in materia di pubblici servizi, ivi compresi quelli» anzichè «le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità , canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, ovvero ancora relative all’affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore, nonchè».Secondo la Consulta, condizione imprescindibile per la legittimità costituzionale della giurisdizione esclusiva del G.A, anche in materia di pubblici servizi, è il collegamento della pretesa con l’esercizio del potere autoritativo pur se illegittimamente esercitato.Alla luce della sentenza n. 204/2004 in tema di riparto di giurisdizione nella materia delle concessioni di pubblici servizi, devono ritenersi oramai escluse dalla giurisdizione del G.A. tutte le controversie di contenuto meramente patrimoniale, ossia quelle nelle quali non venga in rilievo il potere della p.a. a tutela di interessi generali ovvero la verifica dell’esercizio di poteri discrezionali di cui la p.a. gode nella determinazione di indennità , canoni o altri corrispettivi (exmultis Cassazione civile, Sez. Un., 18 novembre 2008, n. 27333, Consiglio Stato, sez. VI, 25 giugno 2008, n. 3226, T.A.R. Campania Napoli sez I 9 giugno 2008 sent. n. 5518, T.A.R. Puglia Bari sez III 10 novembre 2010, n.3876)Tale assunto, maturato a seguito delle sentenze della giurisprudenza costituzionale trova oggi riscontro anche sul piano normativo, in ragione della previsione contenuta nella lett. c) comma 1, dell’art. 133 del Codice del processo amministrativo approvato con d.lgs. 2 luglio 2010 n.104, ai sensi del quale sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo “le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennita’, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo, ovvero ancora relative all’affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore, nonchè afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di pubblica utilita’”Ritiene il Collegio che la posizione giuridica di cui si invoca protezione quale “diritto al ripiano finanziario” derivante dalla natura di struttura privata equiparata alle strutture pubbliche, abbia consistenza di vero e proprio diritto soggettivo, il cui esercizio resta comunque pur sempre collegato ai fini della giurisdizione al potere di controllo e verifica della spesa sanitaria sussistente anche nei confronti di tali strutture, seppur con connotazioni del tutto differenti rispetto alla ordinaria programmazione annuale della spesa sanitaria effettuata in sede di D.I.E.F. nei confronti della generalità degli operatori privati accreditati.Come ha già statuito anche questa Sezione (n.3876/2010) e pacifico in giurisprudenza (ex multis T.A.R. Lazio Roma sez III 10 maggio 2007, n.4222, T.A.R. Campania Napoli sez I 16 settembre 2010, n.17421) le determinazioni di natura autoritativa emanate dall’Amministrazione Regionale, quali i documenti di indirizzo economico finanziario ex art. 25, l. reg. Puglia n. 28 del 2000 (cd. D.I.E.F.), aventi ad oggetto le assegnazioni dei tetti di spesa ovvero gli adeguamenti tariffari (così come le stesse classificazioni nosocomiali) debbono essere ritualmente contestate secondo i termini di decadenza valevoli per l’annullamento di statuizioni di natura autoritativa – oggi contenute nell’art. 41 c.p.a. – in aggiunta alla tutela di accertamento dell’illegittimità del silenzio-rifiuto per le ipotesi di inerzia.Nella fattispecie per cui è causa, nettamente distinta per petitum e causa petendi, parte ricorrente non contesta la legittimità del potere autoritativo in tema di assegnazione dei tetti di spesa, affermandone anzi l’inapplicabilità nei suoi confronti, quale struttura equiparata e “consustanziale” al servizio pubblico, ma avanza invece pretese di natura patrimoniale a titolo di responsabilità di tipo contrattuale e/o extracontrattuale.La suesposta pretesa, per quanto differenziata, risulta comunque secondo il Collegio ugualmente ancorata al potere autoritativo, qui consistente non già nella fissazione dei limiti inderogabili alle prestazioni erogabili, bensì nella vigilanza e controllo annuale dei costi, secondo lo stesso sistema dei DRG, vale a dire in base a verifiche di elementi opinabili e con istruttoria complessa (Consiglio di Stato sez V, 26 febbraio 2010, n.1146).Tale potere non è connotato dalla ampia discrezionalità che contraddistingue le assegnazioni dei tetti di spesa ovvero gli adeguamenti tariffari nei confronti degli operatori privati accreditati (Consiglio di Stato sez V 28 febbraio 2011, n.1252, id. sez V 31 dicembre 2007, n.6806, T.A.R. Campania Salerno sez I 18 dicembre 2007, n. 3203) ma assume carattere tendenzialmente vincolato dovendosi esercitare “secondo congruità ” in relazione alla natura equiparata e agli obblighi di servizio pubblico propri di soggetti “consustanziali” (Consiglio di Stato sez V 22 aprile 2008, n.1858) a nulla rilevando l’eventuale non compatibilità con le risorse finanziarie disponibili (T.A.R. Campania Napoli sez I 20 settembre 2001, n.4241, Consiglio di Stato sez V, ordinanza n.5319/2010).In altre parole, la Regione è tenuta ad assicurare (come si dirà limitatamente al periodo 2002-2008) uguale valore economico delle prestazioni riconosciute, remunerativo di ogni elemento di costo, ai sensi peraltro dello stesso chiaro disposto dell’ art 6 c. 5 l.r. 20/2002, altrimenti trasferendo del tutto indebitamente parte del costo complessivo di un servizio pubblico obbligatorio a spese del privato equiparato, con conseguente incostituzionalità della norma per violazione della libertà di iniziativa economica ex. art 41 Cost. nonchè anticomunitarietà per violazione art.49, 50 (libera prestazione servizi) 81 e seg.(concorrenza) del Trattato UE.I servizi sanitari sono servizi di interesse generale (art 86 c. 2 Trattato UE, art 2 direttiva “servizi” 2006/123/CE, decisione Commissione UE 28 novembre 2005 – 2005/842/CE) non sottratti all’applicazione del principio comunitario della libera prestazione di servizi, pur se temperato dall’equilibrio con le esigenze imperative nazionali di programmazione delle capacità ospedaliere disponibili e di controllo della spesa sanitaria (Corte Giustizia CE Grande Sezione C-372/04); laddove lo Stato (o la Regione) impongano, come nella fattispecie, obblighi di servizio pubblico, deve essere tendenzialmente assicurata la compensazione dei relativi costi.Diversamente opinando, si sarebbe al cospetto di una sorta di diritto al rimborso “a piè di lista”, inconcepibile – al di la dei profili di giurisdizione – in riferimento ad evidenti valori costituzionali di buona amministrazione (art 97 Cost.) e di contenimento e razionalizzazione della spesa pubblica nonchè al parametro comunitario del patto di stabilità .L’attività vincolata dell’Amministrazione secondo il principio della equiparazione con le strutture pubbliche (almeno fino all’entrata in vigore della l. n.133/2008) tutela secondo il Collegio in via diretta e non mediata la pretesa dell’odierno ricorrente al ripiano finanziario, senza affievolimento dunque della posizione sostanziale azionata ad interesse legittimo pretensivo (ex multis Consiglio Stato Adunanza Plenaria 24 maggio 2007, n. 8, T.A.R. Abruzzo sez I 24 marzo 2011, n.169) circostanza idonea a determinare altrimenti la complessiva tardività del gravame.Significativo al riguardo, come si approfondirà in seguito, è come il legislatore – a partire dalla l. n.133/2008 seguita poi dalla l.r. Puglia n.12/2010 “Piano di rientro sanitario” – abbia in parte abbandonato il criterio della equiparazione per preminenti ragioni di razionalizzazione della spesa pubblica sanitaria, nell’esercizio di un potere conformativo comunque sussistente in materia, di fatto assoggettando anche gli enti equiparati alla rigida predeterminazione del budget sanitario.In conclusione, la giurisdizione esclusiva del G.A. ex art 133 c.1 lett c) c.p.a. a tutela dei diritti soggettivi azionati, va affermata non già per il rilievo dell’esercizio di insussistenti poteri discrezionali nella determinazione dei corrispettivi per le prestazioni sanitarie, quanto per il collegamento della pretesa a equo corrispettivo ed al ripiano finanziario al potere pubblico di controllo e vigilanza in senso lato della spesa sanitaria, a tutela di evidenti interessi generali.3. Va quindi affermata la giurisdizione esclusiva del GA e respinta l’eccezione della difesa regionale.4. Va altresì conseguentemente parzialmente respinta l’eccezione di inammissibilità del gravame per mancata rituale impugnazione dei DIEF e degli accordi contrattuali annuali, sino alla fine dell’esercizio finanziario 2008.Infatti per le ragioni sopra esaminate, la controversia per cui è causa non verte sulla legittimità del potere di programmazione della spesa sanitaria mediante assegnazioni dei tetti inderogabili di spesa ovvero mediante adeguamenti tariffari nei confronti degli operatori privati accreditati, bensì sul diritto dell’ente Miulli – indipendente da tale previsioni – di ottenere assegnazione di fondi straordinari a ripiano del dissesto finanziario, a fronte di prestazioni imposte dagli obblighi di servizio pubblico.Priva di pregio è pertanto l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla Regione, non potendosi invocare la consolidata giurisprudenza anche di questa Sezione in merito alla necessità di rituale impugnazione da parte di soggetti privati accreditati delle determinazioni autoritative in materia di programmazione annuale sanitaria e determinazioni tariffarie.E’ pertanto sufficiente richiamarsi al principio consolidato ed indiscusso secondo cui nelle materie devolute alla giurisdizione esclusiva, ove la controversia si riferisca a diritti patrimoniali che non dipendono dall’esercizio di una potestà autoritativa e discrezionale, ma ineriscono ad una situazione paritetica tra cittadino ed Amministrazione concretantesi nella precisa determinazione di un credito patrimoniale che trova la sua base nella legge, il termine per adire il giudice amministrativo non è l’ordinario termine di decadenza, ma l’assai più ampio termine di prescrizione del diritto. (T.A.R. Campania Napoli, sez. VIII, 08 aprile 2011 , n. 2057, T.A.R. Piemonte sez I 9 aprile 2008, n.606, Consiglio di Stato sez VI 27 febbraio 2008, n.696).Come detto, ciò vale sino alla fine del 2008, poichè dall’esercizio finanziario 2009 l’entrata in vigore della l.133/2008 ha inciso profondamente sulla materia nonchè sulla pretesa dell’odierno ricorrente, autoritativamente degradata ad interesse legittimo, in relazione al riespandersi della discrezionalità dell’Amministrazione sanitaria nella fissazione del budget sanitario anche degli ospedali equiparati.5. Prima di affrontare il merito, ritiene il Collegio di esaminare prioritariamente la questione ampiamente dedotta dalle parti in merito alla presunta o meno perdurante efficacia della transazione sottoscritta il 12 marzo 2009, poi oggetto di risoluzione stragiudiziale da parte dell’ente odierno ricorrente, ed ancora di annullamento in autotutela con deliberazione G.R. n.1560/2010, impugnata con motivi aggiunti.La rilevanza pregiudiziale di tale questione è evidente, dal momento che la perdurante attuale efficacia dell’accordo transattivo determinerebbe la parziale estinzione della pretesa creditoria azionata nel presente giudizio, in riferimento agli oneri di investimento per la costruzione del nuovo ospedale e l’acquisto di attrezzature per il periodo 1 febbraio 2002 – 2008.Pacifica deve preliminarmente ritenersi la cognizione del G.A. in merito alla questione inerente l’efficacia, sia qualificando l’accordo transattivo quale vero e proprio contratto di transazione ex art 1965 c.c. sia quale accordo integrativo o sostitutivo di provvedimenti ex art 11 l.241/90 e s.m.; nel primo caso trattandosi di cognizione incidentale di questione pregiudiziale relativa a diritti la cui soluzione è necessaria per pronunciare sulla questione principale (art 8 c.p.a.), mentre nel secondo caso è invocabile l’ampia giurisdizione esclusiva del G.A. di cui al comma 5 dell’art 11 l.241/90 (oggi art. 133 c.1 lett a) 2) c.p.a.) in materia di “formazione, conclusione ed esecuzione” degli accordi, idonea a consentire definito accertamento con autorità di giudicato (Cassazioni Sez. Unite, 3 febbraio 2011, n.2546).Sul punto, ritiene il Collegio di poter qualificare il suddetto negozio di composizione parziale della lite quale transazione (art 1965 c.c.) a tutti gli effetti, sussistendone gli elementi costantemente richiesti della res dubia e della res litigiosa (ex multis Cassazione sez III, 1 aprile 2010, n.7999) avuto riguardo anche qui alla natura delle rivendicazioni creditorie dell’odierno ricorrente, come detto aventi piena dignità di diritto soggettivo, con conseguente disponibilità ex art 1966 c.c. delle reciproche posizioni. Risulta inequivocabilmente dal contratto transattivo, l’intento delle parti di estinguere le pretese dell’Ospedale Miulli in merito alle spese di investimento effettuate sia per la costruzione del nuovo complesso ospedaliero sia per l’acquisto di più moderne attrezzature, per un totale di 70.735.182,13 euro secondo le risultanze contabili, “fatte salve le (sole) partite correnti ancora a credito dell’Ospedale”.Manca per la possibile qualificazione della fattispecie quale accordo ex art. 11 l.241/90 – diversamente dagli accordi contrattuali di cui all’art 8-quinques c.2 lett b) d.lgs. 502/92 – il fondamentale presupposto contenutistico tipico della discrezionalità del potere esercitato (ex multis Consiglio di Stato sez IV 10 dicembre 2007, n.6344, T.A.R. Lombardia Milano sez III 27 dicembre 2006, n.3067) come detto sostanzialmente assente, in considerazione dell’obbligo regionale di assicurare fondi straordinari di bilancio finalizzati al ripiano finanziario, quantomeno sino a tutto l’anno 2008, obbligo subordinato al solo potere di verifica e controllo quali-quantitativo sul servizio pubblico erogato.Ciò detto, ritiene il Collegio che il contratto di transazione tra l’ente Miulli e la Regione Puglia – avente come detto oggetto limitato alle risorse destinate ad investimenti – sia tutt’ora valido ed efficace, per le seguenti ragioni.Innanzitutto, condividendo la linea difensiva regionale, l’atto di diffida intimato in data 11 giugno 2010 dall’odierno ricorrente non può apprezzarsi quale rituale diffida ad adempiere ex art 1454 c.c., che in assenza di clausola risolutiva espressa costituisce l’unico modo idoneo a determinare la risoluzione per inadempimento in via stragiudiziale (ex multis Cassazione sez II 29 maggio 1990. n.5017) a parte l’ipotesi di risoluzione di diritto per violazione del termine essenziale (art 1457 c.c.).Manca infatti in tale atto di diffida l’avvertenza in merito all’intento risolutorio entro congruo termine, posto che la diffida ad adempiere di cui all’art. 1454 c.c. esige la manifestazione univoca della volontà dell’intimante di ritenere risolto il contratto in caso di mancato adempimento entro un certo termine, non essendo pertanto sufficiente per produrre l’effetto risolutivo del rapporto costituito fra le parti, previsto dalla norma richiamata, la manifestazione della generica intenzione di agire in tutte le sedi più opportune, “senza specificare se si intenda ottenere l’adempimento o la risoluzione” (Cassazione civile, sez. II, 11 maggio 1990, n. 4066, id. sez II, 21 febbraio 2006, n.3742).La diffida intimata dal ricorrente è in realtà una comunicazione circa la volontà di avvalersi dell’effetto risolutivo verificatosi ope legis ex art 1457 c.c. nel presupposto (errato) della essenzialità dei termini di pagamento pattuiti nella transazione.Non ritiene infatti il Collegio sussistente l’essenzialità – sia sotto il profilo soggettivo che oggettivo – dei termini di pagamento fissati nell’accordo transattivo, al fine della operatività della risoluzione di diritto di cui all’art 1457 c.c. nonostante l’espresso riferimento a tale norma contenuto nell’atto unilaterale di intimazione del 11 giugno 2010.Come noto, il termine per l’adempimento può essere ritenuto essenziale ai sensi e per gli effetti dell’art. 1457 c.c., solo quando, all’esito di indagine da condursi alla stregua delle espressioni adoperate dai contraenti e, soprattutto, della natura e dell’oggetto del contratto, risulti inequivocabilmente la volontà delle parti di ritenere perduta l’utilità economica del contratto con l’inutile decorso del termine medesimo; tale volontà non può desumersi solo dall’uso dell’espressione “entro e non oltre”, quando non risulti dall’oggetto del negozio o da specifiche indicazioni delle parti che queste hanno inteso considerare perduta l’utilità prefissasi nel caso di adempimento tardivo (Cassazione civile, sez. II, 25 ottobre 2010, n. 21838, id. 6 dicembre 2007 n.25549).Nella fattispecie per cui è causa, non solo manca l’espressa indicazione pattizia circa l’essenzialità del termine (c.d. essenzialità soggettiva) – a meno di voler ritenere sufficiente il generico richiamo all’obiettivo comune di urgente superamento della crisi finanziaria dell’ente Miulli – ma non è dato nemmeno ritenere, sotto il profilo funzionale, come l’interesse del creditore possa dirsi definitivamente perduto dopo la scadenza dei termini (30 aprile 2009, 2010 e 2011) residuando evidentemente invece interesse ad ottenere il pagamento seppur tardivo.Ne consegue che la transazione de quo, in mancanza di rituale diffida ad adempiere, non si è mai risolta, circostanza che ha mosso la Regione ad intervenire mediante autotutela all’annullamento con deliberazione G.R. n. 1560/2010, nel presupposto tuttavia altrettanto errato, della possibilità di incidere unilateralmente in via autoritativa sul contratto de quo.Infatti, come peraltro sostenuto dalla difesa del ricorrente, è principio altrettanto pacifico in giurisprudenza che una volta che l’Amministrazione nell’esercizio della propria autonomia negoziale ponga in essere atti di transazione, soggetti alla normale disciplina civilistica, essi vengono sottratti ad ogni possibilità di successiva rimozione mediante provvedimenti amministrativi di autotutela, mancando il potere di incidere autoritativamente sugli effetti di un negozio privatistico (Cassazione Sezioni Unite 23 novembre 1985 n.5809, T.A.R. Sicilia Catania sez II 11 gennaio 2002, n.48) essendo la delibera di annullamento successiva alla stipulazione della transazione del tutto inidonea a dispiegare alcun effetto inibitorio dell’efficacia del contratto (T.A.R. Campania Napoli sez V 4 febbraio 2004 , n.1590).Osserva poi incidentalmente il Collegio che la stessa richiesta formulata contro la Regione in (alcuni) atti difensivi, di adempimento della transazione, pare denotare la stessa rinuncia del ricorrente a valersi dei pur invocati effetti risolutivi, essendo comunque la diffida, per quanto irrituale, posta nell’esclusivo interesse del creditore (ex plurimis Cassazione sez III 24 novembre 2010, n.23824).Tale orientamento trova poi ulteriore conferma anche nei recenti approdi giurisprudenziali in tema di autotutela della stazione appaltante sugli atti di evidenza pubblica, laddove quantomeno in riferimento al periodo successivo alla emanazione della direttiva 2007/66/CE, recepita nel nostro ordinamento dapprima con il d.lgs. 20 marzo 2000 n. 53 e successivamente con il nuovo codice del processo amministrativo, l’annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione definitiva non comporta la caducazione del contratto stipulato, dovendosi l’Amministrazione rivolgersi al giudice competente per l’esecuzione del medesimo (T.A.R. Toscana Firenze, sez. I, 11 novembre 2010 , n. 6579) diversamente dal regime previgente (T.A.R. Puglia Bari sez I 29 marzo 2007, n.944).Conclusivamente, la deliberazione di annullamento in autotutela, a tacer d’altro, non può avere sul piano autoritativo alcuna efficacia risolutiva, concretando al più espressione del potere privatistico di recesso unilaterale, parimenti privo di efficacia ex art.1373 c.c. poichè non previsto nè da clausola contrattuale nè dalla legge, essendo la previsione di cui all’art 11 comma 4 l.241/90 riferita ai soli accordi integrativi o sostitutivi.Va dunque sul punto accolta l’impugnativa di cui ai motivi aggiunti, con l’effetto di annullare la deliberazione G.R. 1560/2010, avendo l’ente “Miulli” interesse in relazione come detto alla perdurante efficacia della transazione.Del resto, osserva il Collegio come lo stesso giudice d’appello, pur nella sommarietà del giudizio cautelare, non diversamente da questo Tribunale, pare averne indirettamente ed incidentalmente accertato l’efficacia, quantificando le congrue somme dovute dalla Regione a titolo di provvisionale proprio nell’importo coincidente con quanto transatto dalle parti.Deve quindi seppur incidentalmente ex art. 8 c.p.a. essere dichiarata l’attuale piena validità ed efficacia della transazione inter partes al fine della compensazione parziale con la complessiva pretesa creditoria e risarcitoria azionata dall’ente “Miulli”, che costituisce la questione principale del presente giudizio.6. Venendo alle questioni di merito, il ricorso è parzialmente fondato e va accolto, per le seguenti considerazioni.Ritiene il Collegio di dover confermare quanto già sommariamente più volte anticipato in sede cautelare, in merito all’esistenza nel quadro normativo sia statale che regionale di riferimento, di un evidente principio di equiparazione tra enti ecclesiastici che esercitano l’assistenza ospedaliera di cui agli art 41 e 43 l. 833/1978 ed ospedali pubblici, facendo entrambi parte della rete ospedaliera pubblica, a nulla rilevando sotto il profilo soggettivo la indubbia natura privata dell’ente “Miulli”.Convergono in questa direzione molteplici norme di rango primario e regolamentare, nonchè la stessa prassi del Ministero della Sanità e dell’Amministrazione sanitaria regionale.Appare in via preliminare necessario sviluppare un excursus normativo della posizione di status delle strutture sanitarie private c.d. equiparate, tra le quali rientra l’ente Miulli di Acquaviva delle Fonti, dipendente da ente ecclesiastico, attuale ricorrente.I precedenti legislativi sono nell’art 129 d.p.r. 130/1969 e nell’art 1 c.5 e 6 l. 132/1968 che regola gli enti ospedalieri e l’assistenza sanitaria: il primo introduce l’istituto della equiparazione degli enti ecclesiastici agli enti ospedalieri, il secondo inquadra nella categoria degli enti ospedalieri gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti che esercitano l’assistenza ospedaliera una volta intervenuta la classificazione dei loro ospedali (art 20 e segg l.132/1968), classificazione che ammette i predetti enti ecclesiastici ad utilizzare le disposizioni finanziarie per gli enti ospedalieri di cui al Titolo V della l.132/1968 – art 32, 33 e 34 richiamate dall’art 1 c.6 della medesima legge.Più in particolare, la classificazione dell’ente ecclesiastico, quale ente ospedaliero, ammette ex art 1 c.6 l.132/68 l’ente medesimo a fruire delle risorse del fondo nazionale ospedaliero sulla base del costo complessivo dell’assistenza sanitaria ospedaliera (art 32 e 33 della medesima legge) e insieme agli enti ospedalieri è sottoposto al divieto ex art 29 della stessa legge di istituire nuovi stabilimenti di ricovero e cura.Alla stregua degli enti ospedalieri, l’ente ecclesiastico classificato è sottoposto alla vigilanza e tutela regionale ex art 16 e all’alta vigilanza ministeriale ex art 18 della stessa legge 132/68.Con successiva legge 17.08.1974 n.386 (art 14 e 18) l’ente ecclesiastico classificato è ammesso agli stessi benefici derivanti dal fondo nazionale destinato al finanziamento delle spese per l’assistenza ospedaliera.Dal punto di vista strutturale l’equiparazione è il risultato di un procedimento amministrativo ministeriale introdotto dall’art 129 d.p.r. 130/1969 che: 1) accerta la corrispondenza delle caratteristiche funzionali degli enti ecclesiastici ai corrispondenti presidi e servizi delle unità sanitarie locali, la corrispondenza dei servizi e dei titoli acquisiti dal proprio personale ai servizi ed ai titoli acquisiti dal personale presso ospedali di uguale classificazione amministrati da enti ospedalieri.; 2) classifica l’ente ecclesiastico in una delle categorie di cui all’art 20 e segg (nella specie l’ente ecclesiastico Miulli fu classificato ente regionale) per gli art 2 e 6 l. 132/68.Tale classificazione costituisce l’atto conclusivo del procedimento che inquadra l’ente ecclesiastico nel circuito sanitario pubblico considerandolo “presidio dell’unità sanitaria locale nel cui territorio è ubicato” (art 43 l. 833). Con la classificazione l’ente ecclesiastico, quale presidio dell’unità sanitaria locale, si identifica con il medesimo e gode, quanto all’esercizio dell’assistenza sanitaria, degli stessi finanziamenti delle AA.SS.LL, ai sensi del combinato disposto dell’art 2 c.5 e 6 della l. 132/1968 e art 32 della medesima legge recante disposizioni finanziarie degli enti ospedalieri.Interviene successivamente ed a distanza di un decennio la legge 23.12.1978 n.833 istitutiva del servizio sanitario nazionale, la quale mantiene in piedi il sistema di equiparazione (art 41 l.833) e prescrive che i rapporti dell’ASL competente per territorio con gli istituti ecclesiastici che abbiano ottenuto la classificazione sono regolati da apposite convenzioni stipulate in conformità a schemi tipo approvati dal Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della Sanità , sentito il Consiglio sanitario nazionale.Il medesimo art 41 avanti richiamato prescrive altresì che le Regioni, nell’assicurare la dotazione finanziaria alle AA.SS.LL, devono tener conto delle convenzioni di cui al presente articolo.Orbene, come emerge dalla legislazione statale (art 1 c.6 l.132/68 ed art 41 c. 5 l.833/78) ex art 4 c.12 d.lgs 502/92 e s.m.le Regioni devono assicurare la dotazione finanziaria alle AA.SS.LL, nonchè agli enti classificati (rectius equiparati) in uguale misura.La successiva legislazione (d.lgs. 229/99) richiama all’art 8-quater il sistema della equiparazione di cui alla legge 132/1968 e 833/78 e lo mantiene in vita.Tanto premesso, si osserva che l’ente Miulli, classificato ospedale regionale: 1) ha l’obbligo di ricoverare senza particolare convenzione o richiesta di alcuna documentazione i cittadini italiani e stranieri (art 2 l.132/68) e secondo il principio della equiparazione, su di esso grava l’obbligo di prestare i servizi oltre il tetto di spesa assegnato; 2) ha il diritto di utilizzare lo stesso sistema di finanziamento delle aziende ospedaliere, costituendo l’istituto della equiparazione un principio generale delle leggi dello Stato (art 1 c.6 l.132/68, art 41 e 43 l.833/78) avente valenza finanziaria.L’attribuzione di un diverso significato alla c.d. equiparazione svuoterebbe di contenuto la sua essenza, di carattere legislativo, che è quella di assicurare dotazione finanziaria di uguale misura a quella delle aziende ospedaliere.D’altra parte, anche la legislazione regionale pugliese nel suo complesso, ha inteso attribuire agli enti equiparati una posizione sotto il profilo finanziario, sovraordinata, rispetto alle altre strutture private (art 14 c.5, 6 e 7 l.r. 26/2006, art 9 c.1 lett c) 2, 3 e 4 l.r. 19/2003, art 20 c. 5 l.r. 16/97). In particolare, l’art 16 l.r. 22/1997 stabilisce che gli enti ecclesiastici che esercitano l’assistenza ospedaliera di cui all’art 41 l. 833/1987 simili in termini di complessità funzionale e/o dotazione di personale in possesso dei requisiti previsti dall’art 4 c. 2 d.lgs 502/92 “sono equiparati alle aziende ospedaliere” al fine delle tariffe delle prestazioni erogate, al fine di correggere la precedente sperequazione, che ne limitava nella misura del 95 % il riconoscimento, in via del tutto illegittima (T.A.R. Puglia Bari sez I, 16 dicembre 1999, n.1980).La medesima legislazione deve, in ogni caso, essere interpretata secondo il principio fondamentale emergente dalla legge dello Stato (art 1 e 2 l.132/1968; art 41 e 43 l.833/78, art 8-quater d.lgs. 229/99) il quale esige parità di trattamento di ordine finanziario tra strutture pubbliche e strutture equiparate.Quel che rileva, nella specie, non è la natura giuridica privata dell’ente ecclesiastico, bensì il regime giuridico, dettato da leggi dello Stato, che è pubblicistico ed al quale l’ente medesimo è assoggettato.Ne consegue che con decorrenza 2002, sussiste il diritto dell’ente istante ad ottenere le risorse economiche con gli accessori di legge di uguale misura, attribuite all’azienda ospedaliera pubblica della stessa dimensione quali-quantitativa nonchè il diritto al ripiano finanziario annuale previo controllo dei rispettivi bilanci consuntivi.Quanto alle direttive statali – la cui efficacia vincolante quali “atti di indirizzo e coordinamento” ex art 5 l.833/1978 risulterebbe però venuta meno a seguito della riforma costituzionale del Titolo V della Costituzione nelle materie di potestà concorrente quali la “tutela della salute” (Corte Cost. 23 luglio 2009 n.232, T.A.R. Campania Napoli sez I 23 maggio 2005, n.6840) – il Ministero della Sanità ha ripetutamente avallato il principio della equiparazione degli ospedali classificati, collocando istituti ed enti ecclesiastici che esercitano l’attività ospedaliera quali parte integrante del sistema collocando gli stessi sul medesimo piano delle aziende ospedaliere (Circolare Min. Sanità 21 giugno 1997 prot 100.1/2195).Anche la giurisprudenza, ivi compresa quella di questo Tribunale, ha condiviso la suesposta lettura, ritenendo illegittime la fissazione di tetti di spesa disomogenei tra ospedali ecclesiastici e e aziende ospedaliere in quanto “incompatibile con l’equiparazione normativamente disposta” (T.A.R. Puglia Bari sez I 7 febbraio 2001, n.1980, id. 16 dicembre 1999 n.1980, T.A.R. Campania Napoli sez I 28 febbraio 2007, n.3016).Il Consiglio di Stato (sez V 22 aprile 2008, n.1858) nondimeno condivide la ricostruzione del panorama normativo di riferimento qui operata, affermando che “ai fini dell’operatività del meccanismo dei cd. tetti di spesa, da un lato stanno le strutture pubbliche e quelle ad esse equiparate (ospedali classificati, i.r.c.c.s., etc.), dall’altro quelle private accreditate. Solo per le seconde, invero, ha senso parlare di imposizione di un limite alle prestazioni erogabili; mentre per le strutture che risultano consustanziali al sistema sanitario nazionale (ospedali pubblici, ospedali classificati, i.r.c.c.s., etc.) non è neppure teorizzabile l’interruzione delle prestazioni agli assistiti al raggiungimento di un ipotetico limite eteronomamente fissato.” Secondo il giudice d’appello, “un conto sono, infatti, le case di cura private, altra cosa sono quelle istituzioni la cui parificazione all’apparato sanitario pubblico rende anche solo teoricamente incompatibile una limitazione delle prestazioni.”.In conclusione, l’espressa ricomprensione degli enti ecclesiastici ex art. 4 d.lgs. 502/1992 nell’ambito delle aziende ospedaliere e della rete ospedaliera pubblica, la previsione di oneri di adeguamento sotto il profilo tecnico-organizzativo, gli obblighi di servizio pubblico evincibili dal paradigma normativo di riferimento, convergono in modo univoco secondo il Collegio nel pieno inserimento dell’ente Miulli nell’apparato sanitario pubblico.Significativa al riguardo è la stessa circostanza secondo cui non risulta dagli atti depositati in giudizio che l’ente ricorrente abbia mai sottoscritto con l’Azienda sanitaria gli accordi contrattuali di cui all’art. 8-quinques c.2 lett b) d.lgs. 502/92, non avendo la Regione fornito prova del contrario.L’entrata in vigore della l.133/2008 ha però innovato, secondo il Collegio, il rapporto con i soggetti equiparati mettendo in pratica sullo stesso piano gli enti ecclesiastici e gli altri operatori sanitari privati, imponendo anche con gli istituti, enti ed ospedali di cui agli art 41 e 43 comma 2 l.833/78 e s.m. la stipulazione degli accordi contrattuali ed il vincolo della programmazione annuale regionale.Tale disciplina innovativa, come prospettato dalla difesa regionale, esplica la sua efficacia quantomeno a partire dall’esercizio finanziario 2009, con l’effetto di canalizzare le pretese dell’ente ricorrente e di tutti gli enti equiparati nell’ambito del potere conformativo di programmazione della spesa annuale sanitaria, con conseguente necessità di rituale impugnazione delle determinazioni autoritative in materia di tetti di spesa, e dei relativi accordi contrattuali.Il perseguimento del fine di razionalizzazione di tutta la spesa sanitaria è poi stato definitivamente sviluppato ed attuato con la l. r. n.12/2010 di approvazione del Piano di rientro sanitario, con cui la Regione Puglia ha tassativamente vietato l’erogazione e remunerazione con oneri a carico del S.S.R. di prestazioni effettuate al di fuori dei tetti massimi e dei volumi di attività predeterminati annualmente, anche qui in riferimento alla generalità del sistema sanitario, ivi compresi gli ospedali parificati.Appare allora evidente come per effetto del crescente deficit della sanità il legislatore abbia in sostanza revisionato il carattere della equiparazione quanto al finanziamento della spesa ospedaliera, collocando su di un piano di parità tutte le strutture sanitarie private, senza alcuna differenziazione, restituendo così omogeneità al sistema, fatte salve le risorse regionali per spese di investimento alla cui remunerazione la Regione Puglia è tenuta, ai sensi dell’art 4 c.15 l.412/91 e s.m.Ne consegue, ad avviso del Collegio, l’infondatezza della pretesa per il segmento temporale 1 gennaio 2009 – primo semestre 2011, sia a titolo contrattuale che extracontrattuale, che infine di arricchimento senza giusta causa. Sul punto, va chiarito che la pretesa azionata debba qualificarsi ex art 32 c.2 c.p.a. quale azione di risarcimento danni ex art 2043 c.c. da lesione di diritti, essendo pertanto improprio il riferimento da parte dell’ente ricorrente alla responsabilità della PA da “contatto qualificato” o alla pregiudizialità amministrativa, non derivando l’illecito da provvedimenti illegittimi bensì dalla colpevole inerzia regionale nel ripiano finanziario.7. Dall’affermata piena equiparazione discende, secondo il Collegio, l’onere per l’Amministrazione regionale di provvedere a finanziare il disavanzo risultante dai consuntivi annuali a decorrere dal 2002, sino all’entrata in vigore della l.133/2008, detratte naturalmente le pretese oggetto del contratto di transazione per il periodo 1 gennaio 2002 – 31 dicembre 2008, a titolo di responsabilità extracontrattuale (art 2043 c.c.) non ravvisandosi i presupposti per una responsabilità contrattuale, per “contatto sociale qualificato”, fattispecie per altro del tutto impropriamente invocabile, data la natura di diritto soggettivo della pretesa azionata nel presente giudizio.Quanto alle pretese sino al 31 dicembre 2008, vanno pertanto detratti gli oneri di investimento (costruzione nuovo ospedale e acquisto attrezzature) relativi al periodo 1.01.2002 – 31.12.2008, pretese estinte per transazione per la somma di 45.000.000,00 euro, la quale risulta allo stato interamente liquidata dalla Regione, pur se a titolo di ottemperanza alle provvisionali disposte in sede cautelare.Restano naturalmente dovute sino a tale data tutte le ulteriori somme espressamente non comprese nell’oggetto della transazione, vale a dire le partite correnti ancora a credito dell’Ospedale Miulli.Quanto alla domanda subordinata di condanna ex art 2041 c.c., anche a voler prescindere dalla questione di difetto di giurisdizione del G.A. (Cassazione Sezioni Unite 6 febbraio 2009, n.2865) , la specifica disciplina di settore in materia di prestazioni sanitarie rese in eccedenza ai c.d. tetti di spesa rende ad avviso del Collegio (cosi come già statuito con la sentenza n.798/2011 di questa Sezione) non invocabile nemmeno il diritto all’indennizzo ivi previsto, essendo a monte vietata la stessa utilitas delle prestazioni – così come peraltro avviene in altri settori dell’agere amministrativo – potendo l’Amministrazione fortemente limitarne anche se non completamente azzerarne la remunerazione.Venendo dunque alla quantificazione del danno lamentato, l’ente ricorrente allega e comprova per l’intero periodo di riferimento un pregiudizio pari a 136.735.878,00 euro pari al differenziale del valore della produzione del Miulli a tariffe di riferimento, unitamente ad euro 39.531.887,00 per investimenti, euro 7.521.793,00 (Colonia Hanseniana) oltre ad interessi pari a 39.882.270,00, per un totale di 223.671.828,00 euro.Ritiene il Collegio di determinare le somme dovute dalla Regione Puglia con decorrenza 2002 in misura corrispondente alle risorse attribuite all’azienda ospedaliera pubblica della stessa dimensione quali-quantitativa, nonchè al ripiano finanziario annuale previo controllo dei rispettivi bilanci consuntivi, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali – trattandosi di debiti di valore, data la valenza extra-contrattuale della pretesa – sino alla pubblicazione della sentenza.Va respinta infine la domanda di accertamento e condanna alla corresponsione di maggiori oneri bancari e finanziari, poichè assorbita dall’accoglimento della pretesa al ripiano finanziario unitamente ad interessi e rivalutazione.8. Quanto al danno di immagine, l’ente odierno ricorrente ne collega la lesione soprattutto alla notevole compromissione della fiducia da parte del sistema bancario e dei fornitori, in considerazione della grave esposizione bancaria causata dal mancato trasferimento dei fondi regionali, chiedendone la liquidazione nella misura del 10 % del danno patrimoniale.Come noto, il risarcimento del danno non patrimoniale secondo fondamentale arresto delle Sezioni Unite della Cassazione (11 novembre 2008, n. 26972) è possibile allorchè sussistano tre condizioni: a) la rilevanza costituzionale dell’interesse leso; b) la gravità della lesione nel senso che l’offesa superi una soglia minima di tollerabilità ; c) la non futilità del danno, intesa come mero fastidio o disagio.Quanto al diritto all’immagine, quale diritto fondamentale della personalità tutelato dall’art 2 Cost., avente ad oggetto “la considerazione che un soggetto ha di sè e nella reputazione di cui gode” (Consiglio d Stato sez V 12 febbraio 2008 n.491) non può ritenersi esclusivamente riferibile alla persona fisica, bensì agli stessi enti o persone giuridiche (Cassazione civile, sez. III, 04 giugno 2007, n. 12929, Consiglio di Stato sez V 12 febbraio 2008, n.491).Ritiene la più recente giurisprudenza che allorquando si verifichi la lesione di tale immagine, è risarcibile, oltre al danno patrimoniale, se verificatosi, e se dimostrato, il danno non patrimoniale costituito – come danno c.d. conseguenza – dalla diminuzione della considerazione della persona giuridica o dell’ente nel che si esprime la sua immagine, sia sotto il profilo della incidenza negativa che tale diminuzione comporta nell’agire delle persone fisiche che ricoprano gli organi della persona giuridica o dell’ente e, quindi, nell’agire dell’ente, sia sotto il profilo della diminuzione della considerazione da parte dei consociati in genere o di settori o categorie di essi con le quali la persona giuridica o l’ente di norma interagisca (Cassazione civile sez. III, 04 giugno 2007, n. 12929).Ritiene il Collegio che la mancata dovuta corresponsione in favore dell’ente Miulli dei fondi straordinari necessari al ripiano delle perdite risultanti dai consuntivi annuali sino all’anno 2008 sia fatto idoneo, secondo la comune esperienza, a determinare le conseguenze negative allegate, vale a dire la compromissione della fiducia da parte del sistema bancario e dei fornitori, in relazione alla cronicità dell’esposizione bancaria e dei notevoli e documentato ritardi di pagamento nei confronti dei fornitori. Pertanto ritiene il Collegio che la notevole entità e cronicità dell’esposizione finanziaria, unitamente all’innegabile risalto della vicenda datone dall’opinione pubblica (c.d. clamor fori) possano costituire ragionevoli indizi ex art. 2729 c.c. per comprovare anche il lamentato danno non patrimoniale da lesione dell’immagine.Quanto alla quantificazione, da effettuarsi in via equitativa ai sensi degli art. 1226 e 2056 c.c. secondo le circostanze concrete del caso (Cassazione civile , sez. III, 04 giugno 2007, n. 12929, T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 05 marzo 2010, n. 3432) ritiene il Collegio prudente, data la difficoltà se non l’impossibilità di concreta analitica quantificazione, liquidarlo nella misura di 100.000,00 euro.9. Per i suesposti motivi il ricorso è parzialmente fondato, e per l’effetto va accertato il diritto dell’ente Miulli con decorrenza 2002 e sino al 2008, alla parità di trattamento finanziario corrisposto alle aziende ospedaliere per dimensioni e tipologia similari, nonchè ad ottenere risorse per spese di investimento secondo il contratto di transazione sottoscritto il 12 marzo 2009, con conseguente condanna della Regione Puglia al pagamento delle suddette somme in favore del ricorrente, unitamente a rivalutazione ed interessi.Va altresì accolta la domanda risarcitoria per il danno non patrimoniale da lesione dell’immagine, da liquidarsi in via equitativa in 100.000,00 euro.Vanno altresì accolti i motivi aggiunti, come da motivazione.Sussistono giusti motivi ai sensi del combinato disposto degli art 26 c.p.a. e 92 c.p.c. per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite, in relazione alla obiettiva complessità delle questioni trattate.P.Q.M.Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie parzialmente e per l’effetto:- accerta il diritto dell’ente Miulli alla parità di trattamento finanziario corrisposto alle aziende ospedaliere per dimensioni e tipologia similari, con conseguente condanna della Regione Puglia in persona del Presidente pro tempore al pagamento in favore dell’ente ricorrente con decorrenza 2002 e sino al 2008 delle spettanze economiche (disavanzo) derivanti dai costi dell’assistenza ospedaliera quantificati per annualità previa ratifica dell’ente di controllo, oltre svalutazione ed interessi legali sino alla pubblicazione della sentenza.- accerta il diritto dell’ente Miulli ad ottenere risorse per spese di investimento secondo il contratto di transazione sottoscritto il 12 marzo 2009, diritto pienamente soddisfatto nel corso del giudizio, in ordine al quale deve dichiararsi cessata la materia del contendere;- condanna la Regione Puglia in persona del Presidente pro tempore al pagamento in favore dell’ente ricorrente della ulteriore somma pari a 100.000,00 euro, a ristoro del danno non patrimoniale di immagine.- respinge l’azione di indebito arricchimento, nonchè la pretesa ai maggiori oneri bancari e finanziari, come da motivazione.- accoglie i motivi aggiunti e per l’effetto annulla la deliberazione G.R. n.1560/2010.Spese compensateOrdina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 20 ottobre 2011 con l’intervento dei magistrati:Pietro Morea, PresidentePaolo Amovilli, Referendario, EstensoreFrancesca Petrucciani, Referendario
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