1. Procedimento amministrativo – Condizione giuridica dello straniero in Italia – Rinnovo del permesso di soggiorno – Condanna penale per reati ritenuti dal legislatore ( art. 26 comma 7 bis del d. lgs. 268/1998) ostativi al rinnovo del permesso di soggiorno – Automatica espulsione dello straniero – Mancanza di discrezionalità dell’autorità amministrativa procedente –
2. Procedimento amministrativo – Condizione giuridica dello straniero in Italia -Rinnovo del permesso di soggiorno – Diniego – Mancata traduzione del provvedimento in lingua comprensibile dal destinatario – Mera irregolarità –
3. Processo amministrativo ( artt. 63 e 64 c.p.a.) – Esercizio dei poteri istruttori ufficiosi del giudice amministrativo – Allegazione di un principio di prova da parte del ricorrente – Necessità –
2. L’omessa traduzione del provvedimento di diniego in una lingua comprensibile da parte del destinatario non incide sulla legittimità del diniego di soggiorno, ma integra una mera irregolarità rilevante ai fini del riconoscimento dell’errore scusabile in caso di presentazione del ricorso oltre il termine perentorio stabilito dalla legge.
3. Ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 63 e 64 del c.p.a. l’onere di indicare e provare specificamente i fatti posti a base delle pretese avanzate incombe sulla parte che agisce in giudizio e che sia nella loro disponibilità . Il cosiddetto principio dispositivo con metodo acquisitivo degli elementi di prova da parte del giudice postula che il ricorrente debba avanzare almeno un principio di prova perchè il giudice possa esercitare i propri poteri istruttori ufficiosi: l’applicazione di tale principio, infatti, non può mai tradursi in una assoluta e generale inversione dell’onere della prova.
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Vedi Cons. di Stato, sez. III, sentenza 24 marzo 2014, n. 1395 – 2014ordinanza 2 marzo 2012, n. 894 , ric. n. 1133 – 2012
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N. 01113/2011 REG.PROV.COLL.
N. 00034/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 34 del 2009, proposto da:
Cheikh Gueye, rappresentato e difeso dall’avv. Attilio Converso, con domicilio eletto presso Segreteria T.A.R. Bari in Bari, P.za Massari;
contro
Questura di Bari in persona del Questore, Ministero dell’Interno in persona del Ministro pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari, domiciliata per legge in Bari, via Melo, 97;
per l’annullamento
– del decreto n° Cat. A.11/2008 Imm. N.75/P.S. emesso dalla Questura della Provincia di Bari in data 16.09.2008 con il quale veniva rifiutata la richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno per “motivi commerciali/lavoro autonomo” n SBA575861, avanzata dal cittadino senegalese GUEYE Cheikh in data 12.06.07;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Questura di Bari in persona del Questore e del Ministero dell’Interno in persona del Ministro;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 giugno 2011 il dott. Paolo Amovilli e uditi per le parti i difensori Attilio Converso; nessuno è comparso per le Amministrazioni resistenti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Il ricorrente impugna il decreto n. cat.A.11/2008/Immm.n.75/P.S. emesso dalla Questura di Bari in data 16 settembre 2008, con il quale è stata respinta l’istanza dallo stesso presentata per il rinnovo del permesso di soggiorno n. SBA575861 per “motivi commerciali/lavoro autonomo”, da ultimo rinnovato dalla Questura stessa il 16 settembre 2006, nonchè gli è stato ordinato di presentarsi al posto di Polizia di frontiera presso l’aeroporto di Roma-Fiumicino per lasciare volontariamente il Paese.
Il suesposto diniego è motivato con esclusivo riferimento alla sentenza di condanna emessa il 17 gennaio 2007 dal Tribunale di Bari in composizione monocratica, divenuta irrevocabile il 13 aprile 2007, con la quale il ricorrente stesso è stato condannato ad anni 1 e mesi 6 di reclusione oltre €500,00 di multa per i reati di cui agli artt.648 e 474 c.p.
Tale sentenza è stata ritenuta dall’Autorità amministrativa rilevante agli effetti dell’art.26 comma 7bis, del d.lgs. n.286/98, come introdotto dall’art.21 della legge n.189/02, che prevede – come effetto automatico – in ipotesi di condanna con provvedimento irrevocabile per alcuno dei reati previsti dalle disposizioni del titolo III, capo III, sezione II della legge 22.4.1941 n.633 e successive modificazioni, relativi alla tutela del diritto di autore e dagli artt.473 e 474 del codice penale, la revoca del permesso di soggiorno rilasciato allo straniero e l’espulsione del medesimo con accompagnamento coatto alla frontiera a mezzo della forza pubblica.
In dipendenza pertanto della suddetta condanna per uno dei reati di cui al richiamato art.26, comma 7 bis, del d.lgs. n.286/98 il Questore ha ritenuto che lo straniero – come effetto automatico e in assenza di qualsiasi valutazione in merito alla concreta pericolosità dello stesso – non potesse più soggiornare nel nostro paese ed ottenere, quindi, ulteriore rinnovo del titolo di soggiorno in suo possesso.
Il ricorrente ha pertanto impugnato il predetto diniego e sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 7 bis in questione, per violazione degli artt. 2, 3, 13, 27 e 41 della Costituzione, assumendo:
a) che la norma in esame, imponendo una fattispecie di “presunzione di pericolosità ” in senso ampio si porrebbe in contrasto con il principio di uguaglianza trattando in modo identico fattispecie che in concreto potrebbero ben differire tra loro;
b) violerebbe lo stesso principio anche in relazione a quello di proporzionalità poichè la stessa condotta contestata al ricorrente, peraltro comportante una sanzione di lieve entità , concreterebbe un giudizio di disvalore non particolarmente intenso se posta in essere da un cittadino italiano; invece la grave e “desocializzante” perdita del permesso di soggiorno se posta in essere da uno straniero;
c) la norma stessa implicherebbe inoltre una limitazione della libertà personale, garantita dall’art.13 della Costituzione come libertà fisica di movimento, in linea di principio anche ai non cittadini, poichè lo straniero privato del titolo che gli consente di trattenersi in modo lecito sul territorio nazionale deve fisicamente allontanarsene; il sacrificio di un bene di tale rilievo non si giustificherebbe nella fattispecie normativa in esame in relazione all’effettiva realizzazione di altri valori costituzionali ed anzi comporterebbe la lesione dei fondamentali diritti tutelati dall’art. 2 della Costituzione e mortificherebbe anche il principio della valenza rieducativa della pena, come individuato dall’art. 27 della Costituzione stessa, nel caso cui la misura dell’espulsione automatica si ritenesse pena accessoria, come da prevalente orientamento giurisprudenziale.
Questa Sezione, con motivata ordinanza n.290 del 19 dicembre 2009 ritenendo la eccepita questione di legittimità costituzionale non manifestamente infondata nè irrilevante, rimetteva gli atti alla Corte Costituzionale sospendendo il giudizio in corso, e con ord. 56/2009 accoglieva nelle more l’istanza cautelare di sospensione.
Con ordinanza n.338 del 24 novembre 2010 la Corte Costituzionale dichiarava la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 7-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), sollevata, in riferimento agli artt. 2 e 3 della Costituzione in combinato disposto con gli artt. 29, 30, 35 e 41, nonchè agli artt. 13 e 27 della Costituzione stessa.
Riteneva la Consulta insufficiente la descrizione della fattispecie da parte del giudice remittente, omettendo di specificare se il ricorrente fosse o meno in possesso dei requisiti prescritti per il rilascio del permesso CE per soggiornanti di lungo periodo, nonchè se avesse o meno esercitato il diritto al ricongiungimento familiare, richiamandosi al decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 3 (attuazione della direttiva 2003/109/CE relativa allo status di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo), e al decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 5 (attuazione della direttiva 2003/86/CE relativa al diritto di ricongiungimento familiare).
Con il ricorso in epigrafe, parte ricorrente deduce oltre ai già descritti vizi di violazione di legge oggetto dell’eccezione di incostituzionalità , altresì la violazione dell’art 3 c. 3 d.p.r. 394/99 in relazione alla notificazione dell’atto impugnato esclusivamente in lingua italiana.
Si costituivano le Amministrazioni intimate, eccependo l’infondatezza del gravame.
All’udienza pubblica del 15 giugno 2011 la causa veniva trattenuta per la decisione.
Il ricorso è infondato e va respinto.
Non ritiene il Collegio di poter acquisire gli elementi fattuali evidenziati dalla Corte Costituzionale al fine di verificare il possesso da parte dell’odierno ricorrente dei requisiti prescritti per il rilascio del permesso CE per soggiornanti di lungo periodo, nonchè per l’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare, non avendo parte ricorrente allegato nemmeno un principio di prova al riguardo, e non potendo pertanto questo giudice procedere all’acquisizione d’ufficio.
Il c.d. principio dispositivo con metodo acquisitivo degli elementi di prova postula che il ricorrente debba avanzare almeno un principio di prova, perchè il giudice possa esercitare i propri poteri istruttori ufficiosi (ex multis di recente Consiglio Stato, sez. IV, 25 maggio 2011, n. 3135)
Gli art 63 e 64 del vigente Codice del processo amministrativo approvato con d.lgs. 2 luglio 2010 n.104 – applicabili anche alle controversie pendenti – nel recepire e sviluppare tali orientamenti giurisprudenziali, onera inequivocabilmente le parti del processo amministrativo di fornire gli elementi di prova che siano nella loro disponibilità riguardanti i fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni (Consiglio Stato, sez. IV, 11 febbraio 2011 n.924, T.A.R. Puglia Bari sez II 5 gennaio 2011, n.16)
Ne consegue che la mancata allegazione da parte del ricorrente di qualsivoglia elemento in merito al possesso dei requisiti prescritti per il rilascio del permesso CE per soggiornanti di lungo periodo, nonchè per l’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare, rientranti nella relativa esclusiva disponibilità , ne impedisce al Collegio ogni valutazione ai fini dell’esame dell’azione proposta.
Quanto alle censure che hanno formato oggetto del rinvio alla Consulta, non essendosi il giudice costituzionale pronunciato nel merito dell’eccepita questione di costituzionalità , ritiene allo stato il Collegio che l’atto di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno possa ritenersi sufficientemente motivato mediante il richiamo all’intervenuta sentenza di condanna dell’istante per il reato indicato dall’art. 26 comma 7 bis, d.lg. n. 286 del 1998, avendo detta pronuncia, una volta divenuta irrevocabile, valenza automaticamente ostativa al rilascio del titolo richiesto e configurando il diniego come un atto dovuto per l’Amministrazione, alla quale non residua alcun margine di discrezionalità sul punto, non essendo tenuta nè alla valutazione della successiva integrazione sociale dello straniero nè di eventuali altre circostanze (T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. I, 14 giugno 2010, n. 1148, T.A.R. Lazio Roma sez II 3 novembre 2010, n.33124).
Sul punto, seppur in riferimento a fattispecie di reato invero diverse in punto di astratta pericolosità sociale (art. 4, comma 3, e art. 5, comma 5, d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 in materia di stupefacenti) la Corte Costituzionale ha già escluso (sent. 16 maggio 2008, n. 148) il contrasto con la Costituzione di normative che stabiliscono quale causa automaticamente ostativa al rinnovo del permesso di soggiorno la sussistenza di condanne (anche a seguito di patteggiamento) senza alcuna valutazione in concreto della pericolosità del condannato, escludendone l’irragionevolezza, e statuendo l’irrilevanza:
a) del fatto che non venga dato rilievo alla sussistenza delle condizioni per la concessione del beneficio della sospensione della pena, data la non coincidenza delle valutazioni sottese rispettivamente alla non esecuzione della pena e al giudizio di indesiderabilità dello straniero nel territorio italiano;
b) del fatto che non sia previsto uno specifico giudizio di pericolosità sociale dei singoli soggetti, costituendo l’automatismo espulsivo un riflesso del principio di stretta legalità che permea l’intera disciplina dell’immigrazione e che costituisce, anche per gli stranieri, presidio ineliminabile dei loro diritti, consentendo di scongiurare possibili arbitri da parte dell’autorità amministrativa.
La Consulta ha così sancito l’ampia discrezionalità del legislatore sulla regolamentazione dell’ingresso e del soggiorno dello straniero nel territorio nazionale, collegata alla ponderazione di svariati interessi pubblici, quali la sicurezza e la sanità pubblica, l’ordine pubblico, i vincoli di carattere internazionale e la politica nazionale in tema di immigrazione.
Per i suesposti motivi, tutte le censure collegate all’eccepita incostituzionalità debbono essere respinte.
Va altresì respinta l’ultima doglianza di violazione dell’art 3 c. 3 d.p.r. 394/99 in relazione alla notificazione dell’atto impugnato esclusivamente in lingua italiana.
L’omessa traduzione del provvedimento in lingua italiana non incide sulla legittimità del diniego di rilascio del permesso di soggiorno, ma integra una mera irregolarità , idonea a porsi, in caso di effettiva non conoscenza della lingua italiana, come presupposto per il riconoscimento dell’errore scusabile in caso di presentazione del ricorso oltre il termine perentorio stabilito dalla legge, circostanza quest’ultima non sussistente nel caso concreto (ex multis T.A.R. Lombardia Milano, sez. III, 20 gennaio 2011, n. 154, T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. I, 13 aprile 2011, n. 511, T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 07 marzo 2011, n. 2028)
Per i suesposti motivi il ricorso va respinto.
Sussistono giusti motivi ai sensi del combinato disposto degli art 26 c.p.a. e 92 c.p.c. per disporre la compensazione delle spese di lite, data la particolare materia trattata.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 15 giugno 2011 con l’intervento dei magistrati:
Pietro Morea, Presidente
Paolo Amovilli, Referendario, Estensore
Rosalba Giansante, Referendario
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L’ESTENSORE
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IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 18/07/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)