1. Edilizia e urbanistica – Attività  edilizia privata – Abuso edilizio – Realizzazione di opere sine titulo – Ingiunzione di demolizione  – Onere di motivazione – Non sussiste
2. Processo amministrativo – Giudizio impugnatorio – Ingiunzione di demolizione – Epoca di realizzazione dell’opera – Onere della prova – Ricade sul privato
3. Procedimento amministrativo -Attività  edilizia privata – Abuso edilizio  Ingiunzione di demolizione – Atto vincolato – Comunicazione di avvio del procedimento – Non occorre

1. La p.A., nell’irrogare la sanzione demolitoria delle opere realizzate sine titolo, non deve motivare sulla conformità  delle opere medesime alla normativa urbanistica ed edilizia, sussistendo tale onere solo a fronte di istanze di accertamento di conformità  ex art. 36 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.

2. L’onere di fornire la prova certa dell’epoca di realizzazione di un abuso edilizio incombe sull’interessato, e non sull’amministrazione, che, in presenza di un’opera non assistita da un titolo che la legittimi, ha solo il potere-dovere di sanzionarla ai sensi di legge e di adottare, ove ricorrano i presupposti, il provvedimento di demolizione.

3. In caso di ordine di demolizione delle opere abusive non è necessaria la comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241, trattandosi di atto dovuto e vincolato sicchè non sono richiesti apporti partecipativi del soggetto destinatario.
 

N. 00165/2016 REG.PROV.COLL.
N. 00823/2010 REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 823 del 2010, proposto da: 
Francesco Pizzolorusso, Maria Altomare Lambo, rappresentati e difesi dall’Avv. Lucia Ghinelli, con domicilio eletto presso l’Avv. Carlo Capone in Bari alla via De Rossi n. 225; 

contro
Comune di Andria, rappresentato e difeso dagli avv. Giuseppe De Candia e Giuseppe Di Bari, con domicilio eletto presso l’Avv. Alberto Bagnoli in Bari alla via Dante n. 25; 

per l’annullamento
dell’ordinanza n. 150 del 10.3.2010 emessa dal Dirigente (ing. Giovanni Tondolo) del Settore Pianificazione del territorio – Servizio Atti Amministrativi – del Comune di Andria, notificata il 18.3.2010, con la quale si ordinava ai ricorrenti, in qualità  di proprietari del fondo censito nel N. C. T. al foglio n. 15. particelle n. 49 e 825 (ex 50) con accesso dal prol. di via Stazio lato destro, la demolizione delle opere e il ripristino dello stato dei luoghi entro e non oltre 90 giorni dalla data di notifica, in relazione ad opere eseguite in assenza del prescritto permesso di costruire, senza la direzione dei lavori da parte di un tecnico abilitato, senza il preventivo deposito del progetto presso il competente ufficio del genio civile, in zona sismica ed in zona classificata F/10 nel vigente P.R.G.”
 

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Andria;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 gennaio 2016 la dott.ssa Viviana Lenzi e uditi per le parti i difensori Lucia Ghinelli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 

FATTO e DIRITTO
I ricorrenti impugnano l’ordinanza n. 150 del 10/3/2010 con la quale il dirigente del settore pianificazione del territorio del Comune di Andria ha disposto la demolizione delle opere abusive (in quanto realizzate in assenza del prescritto permesso di costruire) riscontrate dalla P.M. durante il sopralluogo del 3/4/2007: in particolare, gli abusi consistono in una recinzione in cemento armato, un manufatto di circa 60 mq. adibito ad uso ufficio, altro manufatto di circa 160 mq ad uso abitazione, una struttura lignea adibita a ricovero di automezzi.
A sostegno del gravame deducono:
– illegittimità  dell’atto per omessa considerazione dell’attuale compatibilità  delle opere contestate con lo strumento urbanistico vigente;
– illegittimità  dell’atto nella parte in cui dispone la demolizione del manufatto di mq. 60 realizzato in epoca anteriore al 1/9/1967;
– illegittimità  dell’ordinanza per mancata comunicazione di avvio del procedimento (considerato che il procedimento intrapreso con comunicazione del 7/6/2007 non era sfociato in alcun provvedimento sanzionatorio, avendo i ricorrenti presentato istanza di accertamento di conformità  il 27/9/2007, cosicchè – rigettata tale istanza – il procedimento sanzionatorio avrebbe dovuto ricominciare ex novo);
– eccesso di potere per carenza di motivazione relativa al pubblico interesse sotteso al ripristino dello stato dei luoghi.
Il Comune di Andria ha resistito alla domanda, depositando documentazione sui fatti di causa.
Rinunziata l’istanza cautelare, all’udienza del 14/1/2016 la causa è stata trattenuta in decisione.
Va preliminarmente evidenziato che il Collegio non ritiene di accogliere la richiesta di rinvio della discussione avanzata dalla difesa di parte ricorrente, stante la vetustà  del presente giudizio e la circostanza che esso sia ormai maturo per la decisione.
Il ricorso non merita accoglimento.
Il primo motivo si palesa infondato: ed invero, “la P.A. nell’irrogare la sanzione demolitoria delle opere realizzatesine titulo non deve motivare sulla conformità  delle opere medesime alla normativa urbanistica ed edilizia, sussistendo tale onere solo a fronte di istanze di accertamento di conformità  ex art. 36 D.P.R. 380/01” (T.A.R. Campania – Napoli – sez. 7, sent. 14/10/15 n. 4814).
Infondato è pure il secondo motivo di ricorso: secondo la consolidata giurisprudenza, condivisa dal Collegio, “l’onere di fornire la prova certa dell’epoca di realizzazione di un abuso edilizio incombe sull’interessato, e non sull’amministrazione, che, in presenza di un’opera non assistita da un titolo che la legittimi, ha solo il potere-dovere di sanzionarla ai sensi di legge e di adottare, ove ricorrano i presupposti, il provvedimento di demolizione” (cfr. TAR Campania, Napoli, VI, 8.5.2014, n. 2543; T.A.R. Campania, Napoli, VIII, 2.7.2010, n. 16569).
Nel caso in esame, i ricorrenti non sono stati in grado di fornire elementi sufficienti a dimostrare la legittima e qualificata preesistenza del manufatto di mq 60 attualmente adibito ad ufficio, oggetto dell’intervento edilizio: i ricorrenti, infatti, hanno depositato – all’uopo- l’atto di compravendita risalente all’anno 2002 in cui la dante causa dichiara sotto la propria responsabilità , ai sensi degli artt. 46, 47 e 76 del DPR 445/00, che il fabbricato rurale rivestito in pietra oggetto di vendita è stato edificato in epoca antecedente al 1/9/67. Tale dichiarazione non appare idonea, da sola, a comprovare che il manufatto risalga al periodo (ante legge n. 765/1967) nel quale non era necessario munirsi, per opere situate fuori dai centri abitati, della concessione edilizia.
Inoltre, la mera preesistenza di un rudere non dimostra che i lavori cui è stato sottoposto non abbiano dato vita a un organismo edilizio del tutto nuovo. Nel caso di specie, risulta (da quanto leggesi nella relazione tecnica illustrativa allegata alla richiesta di permesso in sanatoria del 27/9/2007) che l’originario fabbricato rurale in pietra sia divenuto un manufatto in cemento armato con destinazione ufficio (difforme da quella originaria a deposito rurale risultante anche nella relazione allegata alla D.I.A. del 2003 e dichiarata non soggetta a modifica).
E’, altresì, infondata la (terza) censura che attiene alla violazione della comunicazione di avvio del nuovo procedimento sanzionatorio: in proposito, è sufficiente rammentare che, per costante giurisprudenza “in caso di ordine di demolizione delle opere abusive non è necessaria la comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 della L. 241/90, trattandosi di atto dovuto e vincolato sicchè, sotto un primo profilo, non sono richiesti apporti partecipativi del soggetto destinatario (ex multis, T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VIII, 29 gennaio 2009 n. 5001)” – T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VII, sent. 15/1/15 n. 292.
Va, altresì, osservato che la peculiarità  del caso in esame consiste nella circostanza che il procedimento repressivo ex art. 31 D.P.R. n. 380/01, in seguito alla comunicazione di avvio (che il Comune ha comunque ritenuto di effettuare), non è pervenuto al suo naturale esito rappresentato dall’ordinanza di demolizione (erroneo, pertanto, è il richiamo contenuto nell’atto gravato ad un precedente “ordine di demolizione”, in realtà  mai emesso), essendosi – evidentemente – arrestato per effetto della presentazione della domanda di accertamento di conformità , per poi riprendere il suo corso all’esito del diniego dell’istanza di sanatoria. Di talchè si ritiene che una seconda comunicazione di avvio non fosse in ogni caso (ed a fortiori) dovuta.
L’orientamento giurisprudenziale richiamato in ricorso attiene alla diversa ipotesi di emanazione di un atto repressivo, seguito da un’istanza di condono ex l. 47/85, anch’essa rigettata e si è formato, quindi, in tema di condono edilizio (ossia di richiesta che trova il suo fondamento in una norma di carattere legislativo, che, innovando alla disciplina urbanistica vigente, consente, a determinate condizioni e per un limitato periodo di tempo, la sanatoria degli abusi commessi (cfr. Consiglio di Stato,sez. 6, sent. 6 maggio 2014 n. 2307).
Parimenti infondato si palesa il quarto ed ultimo motivo di ricorso. Ed invero, la gravata misura repressivo-ripristinatoria costituisce – per ius receptum – atto dovuto e rigorosamente vincolato, affrancato dalla ponderazione discrezionale del confliggente interesse al mantenimento in loco della res, dove l’interesse pubblico risiede in re ipsa nella riparazione (tramite ripristino dello stato dei luoghi) dell’illecito edilizio e, stante il carattere permanente di quest’ultimo, non viene meno per il mero decorso del tempo, insuscettibile di ingenerare affidamenti nel soggetto trasgressore (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 31 agosto 2010, n. 3955; sez. V, 11 gennaio 2011, n. 79; sez. IV, 4 maggio 2012, n. 2592; TAR Campania, sez. VI, 6 settembre 2010, n. 17306; sez. VII, 3 novembre 2010, n. 22291; sez. VIII, 5 gennaio 2001, n. 4; 6 aprile 2011, n. 1945; TAR Puglia, Lecce, sez. III, 10 settembre 2010, n. 1962; 9 novembre 2010, n. 2631; TAR Piemonte, Torino, sez. I, 19 novembre 2010, n. 4164; TAR Lazio, Roma, sez. II, 6 dicembre 2010, n. 35404; TAR Liguria, Genova, sez. I, 21 marzo 2011, n. 432).
Ed ancora: “l’ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori edilizi, è un atto vincolato che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, nè una comparazione di questo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, nè una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare” (T.A.R. Campania, Napoli, sez. 7, sent. 14/10/15 n. 4814).
Per le suesposte ragioni, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese di lite in favore del Comune resistente, che liquida in euro 3.000,00, oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità  amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 14 gennaio 2016 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Desirèe Zonno, Presidente FF
Viviana Lenzi, Referendario, Estensore
Cesira Casalanguida, Referendario
 
 
 
 

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/02/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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